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Read Ebook: Memorie del Presbiterio: Scene di Provincia by Praga Emilio

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Ebook has 2301 lines and 68844 words, and 47 pages

EMILIO PRAGA

MEMORIE DEL PRESBITERIO

SCENE DI PROVINCIA

TORINO

F. CASANOVA. LIBRAIO--EDITORE

Via Accademia delle Scienze

AMICO MIO,

ROBERTO SACCHETTI

LE MEMORIE DEL PRESBITERIO

Senza ch'egli ripudii gli altri suoi figli, ? naturale che questi due sieno i prediletti del poeta.

Guardate il sorriso trionfante della madre di cui vi prendete nelle braccia e accarezzate, ammirando, il bambino; per poco ella si rist? dal fare altrettanto con voi.

Per me, se me ne fosse data licenza, non indugerei un momento a rispondere con baci in fronte alle indulgenze accordate a quelle mie strofe. Tanto pi? che, oggid?, le creature che si commovono un po' ancora alla poesia sono le donne, e le donne belle in ispecie.

Ma l'esercizio di siffatti rendimenti di grazie non ? concesso in questa valle di frutti proibiti. Forse provvidenzialmente: lo scambio delle gentilezze e delle cortesie diventerebbe troppo generale, e la musica di baci finirebbe per assordar di soverchio la gente d'affari.

Per? baciar col pensiero non ?, che io mi sappia, proibito. Ed ? un bacio morale che io intendo appunto inviare con queste semplici memorie, come un ringraziamento a quelle poche anime appassionate che forse, nelle ore men gaie, si ricordano ancora del mio vecchio professore e dei mio vecchio curato--due scheletri, adesso, amendue.

Semplici memorie; ? la giusta parola.

Cominciano e finiscono in un paesello delle Alpi. Il povero sant'uomo e il suo presbiterio, un medico e una farmacia, un sindaco e la sua storia...--Ecco tutte le mie scene e tutti i miei personaggi.

Nulla ? grande, nulla ? piccino; il cuore ne ? la misura; e un po' del mio ? restato lass? in quei boschi, fra quelle pareti bianche, in mezzo a quel beato silenzio; lass? dove furono prima pensate queste pagine.

Molti anni, ci? che vuol dire molte sciagure, sono passati dal giorno in cui bussai a quella porta.

Compivo i venti, avevo la valigia del pittore sulle spalle, e un buon angelo mi guidava--un angelo che adesso chi sa dove ? andato a nascondersi. Allora io vedevo e sentivo; splendore di cielo, verzure di convalli, scroscio di torrenti, belate di mandre, tutto brillava, profumava, cantava per la presenza di lui; e sul nostro passaggio gli atomi della natura si animavano al contatto delle sue ali per parlar meco di arte e di gloria.

Quel giorno la conversazione era cominciata al primo nascere del sole, e aveva continuato senza interruzioni per tutta la strada.

Epper? come fui vicino al villaggio di Sulzena, la stanchezza delle gambe prevalse. Si fece silenzio.

Tramontava il sole, e pensavo a mia madre; due tra le infinite cose da cui germina la umana tristezza.

E forse le lagrime erano l? per sgorgare, quando la recrudescenza della fatica diede nuova autorit? alle gambe.

Furono questi poveri stinchi a farmi accorto della presenza del villaggio.

Alla solita strada polverosa, soffice e piana come il pavimento di un gabinetto principesco, era successo un selciato di pietre druidiche, sul quale, a non inciampare, vi giuro che o bisognava avervi camminato appena fuor delle fasce, o aver compiti molte volte i sette anni.

Debbo alla luna, che in quel momento era venuta a far capolino, ed a un mio talento ginnastico se non mi ruppi il collo, io che sette anni non li avevo ancora compiti tre volte.

Non ? necessario descrivervi il villaggio di Sulzena.

Poi il monumento comunale, la fontana perenne, formata di quattro lastre di pietra appena dirozzate, e dove tre volte al giorno vanno a dissetarsi in famiglia tutte le giovenche del vicinato.

Ero gi? passato davanti a buon numero di case, e per quanto avessi guardato e guardassi in su ed in gi? a destra ed a sinistra, l'insegna non appariva, che mi potesse far sperare in una cena ed in un letto.

Gli abitanti erano gi? rientrati, vedevo le finestre illuminate dal riverbero dei focolari; non avevo ancora incontrato di vivo che un ragazzetto ed un cane. Il primo, spalancati due grandi occhi azzurri mi aveva contemplato in silenzio per un minuto, poi s'era dato alla fuga dietro una siepe; il cane aveva abbaiato sommessamente come uno che non sappia di aver torto o ragione, poi anch'esso via nella macchia.

Proseguii tra quelle case dalla faccia inospitale, coll'animo alquanto turbato.

Nei pellegrinaggi artistici non ?, del resto, cosa difficile di trovarsi nell'imbarazzo in cui avevo a quell'ora tutta la probabilit? di essere caduto.

In uno dei libri sacri dell'India sta scritto:

<>.

E tale mi aveva l'aria di essere il villaggio di Sulzena quando, giunto all'inevitabile fontana, mi scontrai finalmente in un uomo.

Curvo sul bacino da cui esalava un acre odor di sapone, prova che quella sera le comari avevano fatto il bucato, egli teneva le braccia, nude fino alle spalle, nell'acqua biancastra, e pareva assorto in qualche occupazione di grave momento, giacch? non si accorgeva o non curavasi del largo zampillo che, cadendo dall'alto, gli spruzzava copiosamente la testa.

Stavo per rivolgergli la parola, quando si sollev?, e, traendo dalla fogna un cencio infilzato a un bastoncino, esclam?, con quel timbro di voce proprio dei lavoratori della montagna:

--Una calza! e poi si lagnano della povert?, e poi pretendono trovar l'acqua pulita alla mattina! Come si fa, se lasciano otturarsi il pertugio... persino dalle calze! O che gente!

--Brav'uomo, gli dissi io, sapreste indicarmi l'osteria?

Si volse e la prima cosa che osserv? fu--indovinate che cosa?--il mio bastone.

--Oh! che magnifico corno! ma questo era il pap? di tutti i camosci!

E senza complimenti, me lo prese dalle mani, a si di? a contemplare l'alpestre ornamento del mio muto compagno di viaggio colla compiacenza con cui una forosetta avrebbe vagheggiato un monile.

--Non ve ne sono mica sulle nostre cime di camosci cos? grossi; ? forastiero, vossignoria, non ? vero?

--S?, siamo d'altri paesi tant'io che il corno. Veniamo da lontano, epper? abbiamo bisogno di mangiare e di dormire; se dunque voleste aver la bont? di indicarci....

--D'osteria propriamente non ce n'?: ma c'? di meglio.

--Che?

--C'? il curato!

--Ma che c'entra il curato coll'osteria?

--Se c'entra! La mi dica, sarebbe cosa decente che, per mancanza della locanda, non si potesse alloggiare un cane in paese?

--? giusto. Ed ? il vostro curato che ha messo insegna?

--Oh! insegna, no; un prete, le pare? E poi che importa l'insegna; quelli che girano il mondo non le mangiano mica le insegne delle osterie, n? vi dormono sopra.--L'importante ? che trovino un desco ed un letto; ci? che si trova dal signor curato per l'appunto. E, soggiunse, ammiccando furbamente gli occhi, non si paga niente.

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