Read Ebook: Amedeide: Poema eroico by Chiabrera Gabriello
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Ebook has 1944 lines and 93450 words, and 39 pages
Chi mosse in prima, e per piet? soccorse Quei tanto afflitti, e guerreggiati regni? Il gran Batista; Egli ver Dio sen corse Forte pregando, e mitig? suoi sdegni. Per le colpe di Rodi in ira sorse, Ch'avean d'ogni piet? varcati i segni, E guardava su lei con fronte carca Di ben giusto furor l'alto Monarca.
Gi? d'acerbi guerrier tutte cosperse Avea l'aspro Ottoman piaggie, o pendici, E gi? sforzando le difese avverse, De le mura abbattea gli alti edifici. Ma non Giovanni rimirar sofferse Senza conforto i popoli infelici, E sperando impetrarne alcun perdono, Di Dio sen venne a l'ineffabil Trono.
Ed ivi ardente, come amore invita, Parl? cosparso di piet? ben vera: Alto Dio, la cui forza alta infinita Non mai per ira i peccator dispera, Che 'n lor miseria i Rodiani aita Sperin da tua merc? per mia preghiera, Etti palese; e s'io per lor procuro, Di non spiacerne a Te son ben sicuro.
Eterno Redentor, tempra i disdegni, E di tua gran bont? cresci gli esempi; Non dar popoli tuoi, non dar tuoi regni A' tuoi nemici abbominati ed empi; Quante rie ferit?, quanti atti indegni Su gli aitar forniransi, e dentro i Tempi? Quante vergini pi? verransi a meno? Deh Dio, deh stringi a la giustizia il freno.
Cos? pregando inginocchiato avante Del Signor stava a l'immortal presenza, E di vera piet? colmo il sembiante Tenta per ogni via l'alta clemenza. A quel parlar commosso il gran Tonante, Rivolse nel pensier nova sentenza, E si dispose a dispensar pietate; Poi queste fece udir voci beate:
In lor gran cecit? non mai per certo Fian ciechi i peccator, s'a' lor peccati Dimanderan perdon col vostro merto, O nel colmo del Ciel spirti beati; Ed oggi i Rod?an del mal sofferto Godranno il fine, e gli avversarj armati Vedran sul campo traboccar funesti; Con s? fatta piet? preghi porgesti.
Cos? diceva, ed il pensier, che chiude Nel petto eterno, a Gabriel fa chiaro; Scenda di Sciro in su l'arene ignude, Ove il grande AMEDEO vinto gittaro Di concitato mar tempeste crude, Poi ch'i navigli suoi sparsi affondaro; Indi per l'ampio mar seco sen vada, E poi di Rodi al fin gli apra la strada.
Dier lode allor nel Re del mondo intenti I gran stuoli de gli Angioli, e dei Santi; E gli aurei cerchi de le stelle ardenti, E i campi eterni risonaro a i canti. Ma veste infra soavi almi concenti Fulgidi vanni a fulgido or sembianti Quel divin nunzio, e ne fornisce il tergo, Ed esce fuor del sempiterno albergo.
Qual se poi lungo vagheggiar l'aspetto De l'aureo sol, de le stellanti sfere, Move aquila superba aspro diletto A sanguinar l'unghie ritorte, altiere, S?, le nubi nel ciel fende col petto, E 'n un punto qu? gi? l'aure leggiere, E quanto ? d'aria infra la terra, e 'l polo Sembra solcar, sembra varcar d'un volo;
Tal gi? si cala, e le volubil piume Rivolge intento a l'arenosa sponda, Ove tra salse, e tra cerulee spume Il procelloso Egeo Sciro circonda; Omai de l'alba rugiadosa il lume Indorava del mar l'instabil onda, Quando l'Angelo giunse a l'antro ombroso, Ove in terra AMEDEO prendea riposo.
Egli lo stuol de' suoi, che 'n mare estinto Scorse affondar ne la tempesta rea, Pianse dolente, e se medesmo; or vinto I nobili occhi in sul mattin chiudea; Qu? fronte annosa, e lungo crin ritinto In molta neve il messaggier prendea, E di rigidi manti il busto involve; Lo scote, e sveglia, indi la lingua ei solve:
O d'arme invitto, e pi? di cor gentile, Germe immortal degl'immortali Eroi, Com'?, che d'ozio neghittoso e vile Non tuo valor, non tua virt? s'annoi? Tu di vil plebe a seguitar lo stile Or volgi riposando i pensier tuoi; Ma qual poscia in Italia, almo paese, Fia sculto marmo a le tue chiare imprese?
Allor di doglia al cos? dir confuso Tragge dal mesto cor lungo sospiro, E diceva AMEDEO: del vulgar uso L'anima serva a le vilt? raggiro? Io vago d'ozio? che risplenda, o chiuso Stia 'l sole in mar, questa prigion sospiro? Ah che qu? circonscritto odio la vita, E conto ore e momenti a la partita.
Sciolsi spirando in cielo aure serene, Del gran S?on per adorar le mura; Ma su per queste inabitate arene Ruppe nostri sentier cruda ventura; S? tra fere, e tra boschi il ciel mi tiene, Come tu scorgi e 'l lagrimar non cura; Cos? l'onor, di che sperava altiero Mio nome incoronarsi, omai dispero.
Ma tu chi sei? che 'n s? crudel martoro Anima afflitta visitar non sdegni? Vivi mortale? od immortal fra loro, C'han pace eterna in su gli eterni regni? Se m'appari celeste, ecco io t'adoro; Toglimi, o Santo, a tanti casi indegni; O perch? mia memoria indi difenda, S? rei destin la bella Italia intenda.
Cos? pregava alto gemendo; allora Sparse d'eletti fior nembo giocondo L'Angelo intorno; e s? di raggi indora, Mirabil vista! entro fulgor profondo: Dice, o guerrier, del cui gran pregio ancora Memoria eterna fia sacrata al mondo, A pi? lieti pensier l'alma rivolta, E me messo di Dio verace ascolta.
Come risorga il sol, Pensa al partir; ma ricercar quai liti Deggia partendo, di mia bocca or odi; Asia, Or?ente, eserciti infiniti, Arme d'inferno, aspro guerreggian Rodi, E mille armate navi, orribil guerra, Tutto chiudono il mar, chiudon la terra.
Oppressa da furor barbari ed empi Sente omai da vicin l'ultimo pianto; Va tu col?; suoi formidabil scempi Saran del ciel cura pietosa intanto; L? fa scudo a gli altar, fa scudo ai Tempi, E di Savoia sempiterna il vanto; Cos? diceva; e di pietate accese L'anima fida a le sacrate imprese.
S'invola poscia il volator Divino, Qual sparisce per l'aure aureo baleno. Tende le palme, e reverente inchino Traeva gridi il cavalier dal seno: Qual celeste piet?, qual mio destino Ti veste l'ali? e gi? dal ciel sereno A questo afflitto dispensar conforto Te qu? possente messaggiero ha scorto?
Deh se ne l'alto ciel fatto hai ritorno, Mio pronto cor, deh tua piet? non cele; Esponlo, prego, a' pi? di Dio; col giorno, Qual tu m'impon, dispiegher? le vele; Pronto a morir, con mille rischi intorno A' cenni suoi combatter? fedele. S? da l'antro deserto, ove ei si serra, Volgesi a Dio con le ginocchia in terra.
N? cos? tosto a l'immortal sentiero Mosse la fulgida Alba il pi? celeste, Ch'ei nel fondo del cor sveglia il pensiero, Come se stesso a la partenza appreste. Su l'erma piaggia non pervien nocchiero; Or come troncher? l'aspre foreste? Onde bipenne avr?? con quali ingegni A far naviglio tesser? quei legni?
In tanto affanno ver la terra inchine Ferma le ciglia; e gi? nel sen non posa Il cor, che vuol, n? pu? partirsi; alfine Ne ritrova la via l'alma animosa; Vassene a l'aspre rupi indi vicine L?, 've le navi sue l'onda spumosa Con lungo assalto tempestando aperse, E sovra i liti le lasci? disperse.
Ivi le travi, che fur scherzo a l'ira De l'Oce?no, col pensier misura Intentamente; e bench? rotto, ei mira Che quasi in stato un battelletto dura; Ponvi la mano, e su l'asciutto il tira; Poscia fornirlo, e risaldar procura Con gli arnesi sdrusciti, e con le sarte, Che de la vinta armata il mare ha sparte.
Ed al fin punta in su la ripa il piede, E 'n varando il naviglio ei su v'ascende; E poi da terra allontanato il vede, Picciola vela agli aquilon distende. Ma su la poppa non veduto siede L'Angelo seco, ed al governo attende Con occhio intento, e per la fragil nave Spira su lucida onda aura soave.
N? con sembiante neghittoso e lento I gran soccorsi rimirava Aletto, Mostro infernal, cui sol pena e tormento Di Rodi afflitta empiea di gaudio il petto: Volse il pensier per mille parti intento A sviarne il campion dal Cielo eletto, E quando ella il dispera, aspra s'ingegna Di far Rodi espugnar prima ch'ei vegna.
Teme del campo a Rodi avverso, teme Del Tartareo tiranno aspri destini; N? pu? mirar da le miserie estreme A sua salute i Rod?an vicini. Arsa tra queste furie ulula, e freme Livida i guardi, invenenata i crini; N? punto cessa intra furori immensi, Che su lo strazio de Cristian non pensi.
XXX
Quinci un momento sol non spende in vano; Ma di Bostange ella vest? sembianza, E vol? trasformata ad Ottomano L? sotto Rodi in ammirabil stanza: Ponsi ivi al petto l'una e l'altra mano, E reverente a la real possanza La fronte inchina, e le ginocchia piega, E con tal voce i suoi pensier dispiega:
Perch? dal ferro, e dal travaglio oppressi Alcuna requie i tuoi guerrier ristori, Gi? molti d? dal guerreggiar tu cessi, E del tuo fiero cor tempri gli ardori; Rompi i riposi al campo tuo concessi, E con l'armi risveglia i tuoi furori, Risvegliali, Ottomano; ecco a gran corso Sen viene inverso Rodi alto soccorso.
A pi? de' monti, e fra quelle alpi estreme, Onde il Francese inver l'Italia scende, Regna AMEDEO, che di virt? supreme Quasi un fulgido Sol quivi risplende; Forte cos?, ch'ogni nemico il teme, O se spada impugnando egli contende Fuor di dorato arcione, o se con asta Su corridor spumante altrui contrasta.
Deggio forse narrar come possente Dom? l'orgoglio de' vicin nemici, O ne i regni lontan come non lente Spieg? l'insegne a sollevar gli amici? Che pi? narrar degg'io? l'inclita gente Sempre in guerra ha vibrato arme felici; E questi ad emular forte s'accese Di tanti avi magnanimi l'imprese.
Scoter? forte il tuo s? saldo impero, Farassi appoggio a queste debil mura: Sorgi, sorgi, Ottoman; tanto guerriero Precorri armato, e tr?onfar procura. S? disse il mostro, e dilegu? leggiero, Come rapido augel per l'aria pura, E sparsi i nembi, onde egli apparve adorno, Ivi stridendo se ne va dintorno.
Grida Ottomano; e che far? quel forte? Alzi l'antenne, e quanto pu? s'affretti; Vengane omai; dure catene, e morte Per suo trionfo, il forsennato aspetti. Rodi sottrar da miserabil sorte? Ardir cotanto de' Cristian ne' petti? Perch? non paventar, ch'Europa cada Sotto il giusto furor di questa spada?
Ma pur da gli atti a reputar costretto Ch'oltramondano il messaggier si manda, Bench? rigonfio d'alterezza il petto, I gran duci del campo a se dimanda. A pena han de gli araldi inteso il detto, Che corrono ad udir ci?, ch'ei comanda, E stan dimessi ad ascoltar sue voci; Ed ei s? le formava aspre, e feroci:
Rodi soccorso avr?; s? per pietate Odo, ch'a' Re cristian vien che ne caglia; Ma pria giungano qu? lor navi armate Certo ella ha da cader per mia battaglia; Oggi le turbe io vo' veder schierate; Come risorga il Sol vo' che s'assaglia; Non sia per gioco mia parola udita; Chi non avr? valor, non avr? vita.
Qu? fine ei pose a gli orgogliosi accenti; E quei dimora ivi non fanno alcuna; Ma ver l'insegne le disperse genti De' tamburi animosi il suon raguna. In tanto sul gran pian mille Sergenti Spiegano tenda di real fortuna, Di donde rimirar l'alto tiranno Debba le turbe, che schierate andranno.
Parte di gemme la distinse, parte D'oro e di seta, inimitabil mano, Ammirabile s?, ch'ivi con l'arte Giostrar vedeasi ogni ricchezza in vano; Di bianche perle intra zaffiri sparto Ondeggia un tranquillissimo oce?no, Che i lidi implica; e di tessuto vento Il fanno tremolar soffi d'argento.
Vedeasi, alto diletto a l'altrui ciglio, Argo solcarvi; ed il drappello Acheo Travaglia i remi nel mortal periglio Per entro i golfi de l'ignoto Egeo: Canta su cetra, e di virt? consiglio A ciascun porge incoronato Orfeo; Quinci liete sen van l'antenne ardite; Guardale con stupor l'ampia Anfitrite.
XLI
Ver s? gran tenda il gran Signor s'invia; Seco Sultana a paro, a par movea; Ed Ebr?in mille guerrier per via, Usata guardia, intorno lor scorgea; Purpurea vesta ad Ottoman copr?a Il busto fier, che di piropi ardea; E cinto su quegli ostri aureo risplende, Onde al fianco la spada aurea s'appende.
XLII
Di bianchissimi lin turbante altiero, Carco di gran tesor, fascia i capelli, E tremano su lui, ricco cimiero, Gemmate piume di famosi augelli. Tale in sembianza minaccioso, e fiero Gli occhi volgea per giovent? pi? belli, E spirava nel barbaro ornamento Per entro ad ogni cor tema e spavento.
Ma ne l'anima altrui sol spira amori Sultana, e foco di letizia pieno; S? vincea con la chioma i pi? fin'ori, E con la tersa fronte il ciel sereno; Rubin le labbra, e su la guancia fiori Avea rosati, e d'alabastro il seno; Ed in celeste fiamma i guardi accesi Con dolce asprezza a rimirar cortesi,
XLIV
Cerchio sazio di perle il crin le cinge; E ricca in pompa di dorati manti Con la candida mano un scettro stringe, Che folgora d'elettri, e di diamanti; Quinci il fiero Ottoman frena, e sospinge Solo col variar de' bei sembianti, E sol che vibri de' begli occhi un giro, Sforza di quel superbo ogni desiro.
XLV
Costei di Regi in glor?osa sorte Gi? nei regni di Lidia i lumi aperse, Ma poscia il Turco in guerreggiar pi? forte La grandezza di lor tutta disperse; Sultana allor se ne correva a morte Per involarsi a le miserie avverse; Ma quando ella la destra al ferro porse, Ottoman giunse, e sul ferir la scorse.
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