Read Ebook: Fior di passione by Serao Matilde
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Ebook has 163 lines and 13245 words, and 4 pages
va, che malediceva l'amore e adorava l'amore, che trasaliva, fremeva, si scuoteva, tremava nel delirio. Poi, infine, una spossatezza, un'attesa calma--la reddizione.
Alle due il trasalto feroce. Egli veniva. O amore, o amore, o amore!
Dalle due, alle tre, alle sette, a mezzanotte, egli non venne. Non venne pi?, non venne. Lei fredda nella sua follia, automaticamente, prendendosi la testa fra le mani per poter pensare, diventata di sasso, gli scrisse queste parole:
"Si manca al primo appuntamento solo per la morte".
Infatti egli era morto; all'una, nella sua stanza da letto, mentre prendeva i guanti per uscire. Avea una gardenia all'occhiello. Da tre o quattro giorni era inquieto, agitatissimo. Un mal di cuore, una vena rotta, poich? avevano trovato del sangue sul tappeto, dove era lungo disteso. Questo lo lesse nel giornale, la Duchessa.
Cos? lei non ama pi?, non pu? amare pi?. Lei vive, ma portando quella sconosciuta tragedia in s?; lei prega, sconvolta da quella morte che sembra un castigo di Dio. E forse pi? infelice, pi? sciagurata ancora, lei ama sacrilegamente quel morto, e vive nel desiderio profondo di quell'amore, di quei baci, di quel primo appuntamento, di quel peccato che la morte le ha tolto.
SCONOSCIUTO.
Nell'oscurit? della notte fiammeggiava nella stanza il fuoco del caminetto. Ogni tanto una mano bianca si coloriva di fiamma attizzando lentamente il fuoco. Le tre fanciulle tacevano, prese da un pensiero. Ognuna di esse s'immaginava di essere sola, in un ambiente vago e indefinito, senza nozioni di spazio, senza nozioni di tempo. Quando il crepuscolo era cresciuto, avevano sentito il bisogno di tacere, di raccogliersi. L'una abbandonata sulla poltroncina, col capo riverso sulla spalliera, con gli occhi chiusi, pareva dormisse; l'altra tutta ravvolta in uno scialle, raggomitolata nella poltrona, aveva il capo abbassato sul petto; la terza coi piedini sugli alari si chinava macchinalmente ad avvivare il fuoco. Non si vedeva se fossero bionde, brune, belle, brutte, robuste, ammalate: nulla si vedeva, se non il basso delle gonne che si tingeva di colori falsi alla luce del caminetto. Scomparsa ogni traccia di et?, di condizione, di nome. Erano ombre nell'ombra.
Dopo un'ora di silenzio una di esse parl?. Non si dirigeva ad alcuno, parlava verso le tenebre. Aveva una voce debole, ogni tanto pi? affievolita da una corrente di tenerezza.
Tacque la voce, smorzata in un entusiasmo sommesso e soffocante. Nessuno le rispose. Solo, poco dopo, la seconda che teneva il capo abbassato sul petto, si sollev? e parl?, a scatti, a sussulti, con una voce variabile, ora troppo forte, ora stridente e nervosa.
--Egli mi ama; io lo amo. Non so come, non so perch?. ? bello, di una bellezza calda, fulva, virilmente giovane. I capelli gli si piantano sulla fronte, possenti come la criniera di un leone. Gli occhi bruni affascinano. Al teatro mi guardava sempre. Attraverso le lenti dell'occhialino sentivo il suo sguardo che mi toccava e mi abbracciava, lasciandomi sul volto, sul collo, sulle braccia le stimmate della passione. Io credo di aver ceduto a un magnetismo, poich? mentre il capo mi pesava come se fosse coperto di piombo, il cuore si dilatava precipitosamente sotto l'urto del sangue. Ho baciato il mio fazzoletto. Egli m'ha visto e un pallore di trionfo ha scomposto il suo volto. Nelle scale mi ha aspettato, gli sono passata daccanto, ha osato stringere la mia mano nuda, ha rubato il mio guanto. Ha passata la notte sotto la mia finestra: io, alla finestra. Nevicava; non sentivamo il freddo. Da allora questa mia vita ? diventata una tempesta di desiderii, di sconfitte, di dolori acuti, di gioie morenti: quando non lo vedo, va lentissima l'ora nell'intensa brama del rivederlo. Quando ci vediamo, restiamo l'uno di fronte all'altro, smorti, col cuore in tumulto, le mani brucianti, la voce strangolata: questo ? l'impeto dell'amore che ci fa impazzire. Le sue lettere sono brevi, a frasi nette come un colpo di coltello, scritte a frasi dove vi ? il sangue della vita, dove vi ? l'eccitazione dei nervi, dove vi ? lo scoppio furibondo di un amore supremo. Io l'amo come egli m'ama. Ambedue siamo torturati dall'amore, ambedue soffriamo le pene dei dannati per la gelosia che ci rode, ambedue rotoliamo, inebbriati di amore e di dolore, per una china dirupata dove a nulla possiamo rattenerci. Noi abbiamo le medesime folli e ammalate inclinazioni per i fiori rossi del papavero, per le cose cupe e tragiche, per i tramonti incendiati, per le albe sanguigne, per gli azzurri oltremarini, per le maremme pestilenziali sotto il sole, per i profumi violenti, per l'oro intarsiato che pare scorrere, fluido, liquido, sul fondo nero della lacca, per i grilli sfiniti che muoiono d'amore nel solco fumicante, per le farfalle nere che si abbruciano intorno al lume. Ci amiamo: ? lui il mio poeta, sono io la sua dea. Con me, per me, piange le sue lagrime scarse e roventi; con lui, per lui, io trovo il mio sorriso scapigliato, inebbriante. Noi comprendiamo che per una sola cosa viviamo, ed ? l'amore; che per una sola cosa moriremo, ed ? l'amore. Sono nostri gli spasimi, le trafitture; i fremiti allo stringere lieve di una mano, i pallori incomposti, le convulsioni disperate. Lui distrugge la mia vita: io distruggo la sua...
Bruscamente si arrest?, stringendosi il viso fra le mani. Allora la terza parl?, quietamente, con una voce media, giusta, di una monotonia grave:
--Egli mi ama; io l'amo. Almeno, ogni tanto, me lo dico. Almeno, ogni tanto, mi sembra d'amarlo. Non ne siamo punto sicuri. Egli non ha mai creduto all'amore: io non vi credo da che lui ha fatto crollare la mia fede. Una giornata plumbea, in una sala di accademia, quando un oratore scalmanato cercava invano ispirare nel pubblico il suo falso entusiasmo, egli mi disse: Tutto questo ? molto ridicolo. Moltissimo--gli risposi. Lui s'inchin?, soddisfatto di aver ritrovato una donna arida come lui. Non mi ha mai scritto lettere d'amore, non me ne scrive: io non gliene scrivo. Noi non crediamo alle lettere d'amore. Non mi ha dato n? i suoi capelli, n? un anello, n? un piccolissimo dono; mi disse che tutta questa roba non serve, e che va sempre a finire, in cucina, nella spazzatura. Quando io gli dico di amarlo, fa un sorriso d'incredulit?, e mi risponde: Sai? non t'affannare, ch? non ti credo. Quando gli giuro che gli voglio bene, egli mi lascia dire, poi mi soggiunge, sorridendo: Non giurare, non giurare, non giurare, tu non sai nulla; pu? darsi che tu non m'ami. Egli non impallidisce, non arrossisce, non cerca vedermi, non cerca sedersi accanto a me, non mi stringe la mano, non mi offre il braccio: la sua sola manifestazione ? il sorriso, un sorriso freddo e lento. Egli non ha entusiasmi, mai. Non si scalda mai per nulla. Non comprende l'arte, non comprende la politica, non comprende la scienza, non comprende Dio: egli ? un assiduo e calmo demolitore di quanto gli altri credono. ? l'apostolo pi? sicuro dello scetticismo. Lui sostiene brillantemente la falsit? delle cose, la falsit? della natura, la falsit? della virt?, la falsit? della passione. Lui ? forte, bello: nei suoi occhi grigi, quasi felini, vi ? tutto il riflesso metallico della sua anima minerale. Egli rassomiglia all'acciaio. ? d'un pezzo solo. Non hanno peso su lui n? sospiri, n? lagrime. Non ci erede. Contro lui mi spezzo. Dacch? l'amo, l'anima mia subisce la sua influenza, si trasforma. Quello che lui non crede, io non credo. Quello che lui vuole, io fo. Quando, in un momento di ribellione disperata, gli domando: Perch? mi vuoi bene, dunque? Egli esita, si conturba, mi risponde: Chiss?! Non so: noi non sappiamo nulla. Io ripeto con lui: Noi non sappiamo nulla. Rimaniamo silenziosi, pensosi nello sconfinato dubbio di due anime inaridite...
Di nuovo il silenzio si fece. Niuno non lo interruppe pi?. Nell'ambiente caldo e bruno, si calmavano gli echi dei tre amori, cos? profondamente diversi fra loro.
Eppure era lo stesso uomo che le amava tutt'e tre.
UN INVENTORE.
--Ebbene, Ulrich, non mi rispondi?--chiese Lottchen, molto indispettita.
Egli stava ritto presso la finestruola archiacuta, dai vetri impiombati, guardando fisso nella viottola. Nell'ombra della sera che cresceva, il suo duro ed energico profilo teutonico si addolciva; e il corpo alto si curvava, quasi preso dalla stanchezza.
--Ulrich, tu non mi ascolti--ripet? Lottchen, con una certa tristezza nella voce.
Egli si volse, e sulle sue labbra spunt? un sorriso debole ed indeciso. Lo sguardo gli vag? incerto per la stanzetta, come se la mente lo mandasse in traccia di un pensiero smarrito.
--A che pensavi tu dunque, mentre io ti parlava?
--A nulla, Lottchen--disse finalmente lui, con la sua voce grave e sonora.
--Sempre cos?, sempre cos?, Ulrich. Tu mi ami molto meno delle tue sciocche fantasie.
Ulrich chin? il capo, e parve che attorno maggiormente gli si addensasse l'ombra. Mentre Lottchen continuava a tormentarlo ed a tormentarsi, ricominciando per la centesima volta le sue recriminazioni, egli non os? risponderle parola. La fanciulla si chinava verso di lui per vederne il volto, ma si ritraeva scontenta: sulla faccia di Ulrich non si vedeva alcuna impressione. Solo un lieve tremol?o gli agitava le dita. Infine la bionda Lottchen si tacque, stringendosi nelle spalle, come se dicesse che tutto, tutto era inutile; ed i due fidanzati stettero per tanto tempo in quel silenzio penoso, pieno di pensieri dolorosi. Ad un tratto, mentre una fantesca posava un lume monumentale sopra la tavola, una voce infantile grid? di fuori:
--Zio Ulrich! zio Ulrich!
Ed un bambino entr? correndo nella stanza, cercando d'arrampicarsi sulle ginocchia del giovanotto. Quando ebbe conquistato quel posto, col tono lento e carezzevole dei bambini, gli domand?:
--Me lo fai un giocattolo, zio Ulrich?
Ulrich impallid?, arross? e pos? una mano sul capo del bimbo.
--Te lo far?, Hans.
--Bello?
--Bello.
--Un giocattolo che avr? io solo, io solo?
--Tu solo.
--Uno di quei giocattoli belli belli che tu solo sai fare?
--Sicuro, uno di quei giocattoli belli che io solo so fare.
Ulrich per la prima volta sorrise d'orgoglio: ma fu anche una lagrima di orgoglio offeso quella che Lottchen cel? andando in un'altra stanza. Il bimbo rideva e stringeva le mani, quasi che possedesse gi? il prezioso giocattolo.
Perch?, pochi lo sanno e nessuno ci pensa, ma ? una piccola citt? di Germania quella che fa contenti tutti i bambini dell'Europa. Da Nuremberg, la citt? gotica, dall'architettura fantastica e bizzarra, dalle torricelle merlate e dalle case di legno, dalla piccola Nuremberg partono i tesori che destano il riso sulle labbra infantili: le bambole dal roseo viso di cera, dagli occhi azzurri senza pensiero, dai capelli biondi come la stoppa; i fantoccetti vestiti da zuavo, da Arlecchino, da Rigoletto; le armi miracolose, le trombettine di stagno dal suono stridulo; le scatole donde vengono fuori le casettine microscopiche che puzzano di vernice fresca, gli alberetti fatti con un bastoncello ed un fiocchetto di trucioli tinti di verde, i piccoli appartamenti, le piccole cucine, i piccoli animali, i piccoli soldati ed infine tutto il mondo minuscolo, la vita microscopica che prepara il bimbo alla vita vera. In Nuremberg, citt? della gioia e della tranquillit?, dove gli innocenti operai delle fabbriche di giocattoli sorridono nella consolazione di una coscienza soddisfatta; in Nuremberg dovrebbero andare in gaio pellegrinaggio tutti i bambini, accompagnati dalle madri giovanette, processione fulgida e meravigliosa. Ma dovrebbero salutare con le grida d'allegria la casa di Ulrich, il grande ed ignoto artista, il grande ed umile inventore.
Ulrich era stato un bimbo infelice nella casa di una dura matrigna. Sapeva quante lagrime segrete si possono versare in una notte, come possano soffocarsi mordendo il lenzuolo; aveva conosciuto la monotonia delle lunghe ore, passate in un angolo oscuro, sopra una seggiolina, con le mani in grembo. Non aveva giocattoli e ne vedeva dappertutto e ci pensava spesso, e li desiderava tacitamente e li chiamava nel suo cuore. Chiudendo gli occhi, li rivedeva nella sua mente e li scomponeva, li ricomponeva, cercava loro una forma nova. Passando dinanzi ad una fabbrica, guardava, timido, per la porta socchiusa. Stare l? dentro sarebbe stata per lui una felicit?. Quelle bacchinucce, quei pennelli, quegli strumentini, quei lembi di stoffa, quei pezzetti di legno, lo seducevano, lo affascinavano. La notte li sognava. E anche di giorno egli era un sognatore, perduto nella contemplazione del suo fantasma. Egli vedeva nella sua immaginazione nuovi congegni, combinazioni strane ed audaci; e fuori egli rimaneva un pallido e debole adolescente, dalle labbra smorte, dallo sguardo errante, troppo alto, troppo magro, talvolta abbattuto ed inerte, talvolta arse le guancie dalla febbre dell'idea. Quando entr? come operaio nella fabbrica, cred? di essere diventato un re; ma soffr? profondamente, perch? il lavoro usciva dalle sue mani rozzo e incompiuto. Egli piangeva di rabbia per quelle spaventose difficolt? manuali, ed avrebbe voluto mordere le dita incapaci di tradurre in atto le sue fervide creazioni. Si castig?, condannandosi, lui che aveva un mondo nel cervello, a lavorare di copia, a seguire i modelli antichi. Visse un altro anno in desiderio raddoppiato, ardente, contenuto; si consolava passeggiando sulla piazza e guardando i bambini che s'inseguivano. Provava una grande tenerezza che gli faceva venire le lagrime agli occhi. In fondo era rimasto anche lui un bambino, col cuore buono ed appassionato.
Malgrado la sua cera assorta, noncurante, le sue distrazioni, il suo silenzio, la gente gli voleva bene. Il direttore se lo teneva caro, sfruttandone il genio inventivo. Bertha lo curava come un grosso bambino inesperto, dandogli sulla voce, carezzandolo, dirigendolo in tutte le azioni della vita in cui si mostrava tanto ingenuo. Lottchen lo disprezzava, lo tormentava e lo amava. I bambini se lo mostravano a dito nella via, gli tenevano dietro, gli saltavano addosso, gli frugavano nelle tasche, era la divina provvidenza per loro. Egli camminava colla testa nelle nuvole, artista innamorato dell'arte, sognatore incorreggibile, con le dita che gli si movevano come se toccassero molle misteriose. L'idea fissa scacciava a poco a poco tutte le altre. Alle volte si stordiva tanto da rimanere inebetito per un paio di minuti; poi nel cervello cominciava una ridda infernale d'idee che cozzavano fra loro, e allora gli operai non avevano il tempo di copiare un modello che gi? dalla cameretta usciva nuovo lavoro. Il direttore sorrideva. Lottchen diventava sempre pi? triste, sempre pi? collerico; il polso di Ulrich era mosso da una febbre continua che ne consumava e rinnovava il sangue. Egli si faceva sempre pi? esperto nell'arte, ne aveva penetrati tutti i segreti: era arrivato alla finezza dell'ultimo tocco, della pi? lieve sfumatura, all'eleganza pi? leggiadra, al gusto raffinato, alla solidit?, a tutte le qualit? riunite insieme in un'armonia completa. Creava dei giocattoli meravigliosi--e mai, mai si era sentito cos? intensamente felice.
Il direttore gli dava sempre notizie del favore che toccava a que' giocattoli. Venivano grandi ordinazioni. Solamente, un giorno, gli disse con un mezzo sorriso:
--Siate pi? semplice.
Ulrich non vi bad?. Anzi, nella sua mente s'intrigavano, si complicavano sempre pi? mille forme, mille congegni. Fece un uccellino che apriva le ali, gonfiava la gola e cantava. Il direttore lo ammir?, ma non molto; fece qualche difficolt? per le riproduzioni, poi non disse pi? nulla. Dopo un paio di mesi, duramente:
--Sapete, Ulrich? L'uccellino ha fatto fiasco. ? troppo ingegnoso: i bambini non lo capiscono.
Egli sedeva nella sua cameretta, con la testa fra le mani, ansioso, trepidante. Era l'ultima prova che tentava. Sulla porta Lottchen comparve.
--Dove ? Hans?--chiese egli vivamente.
--? di l?.
--Chiamalo.
--Non verr?.
--Perch??
--Ha paura di venire.
--Paura di venire?... e perch??...
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