Read Ebook: Abissinia: Giornale di un viaggio by Vigoni Giuseppe
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Ebook has 457 lines and 81050 words, and 10 pages
La mattina del 14 si levano le ancore, operazione che col progresso egiziano si fa ancora a forza di braccia, e richiede quindi altrettanto tempo che fatica: dopo un paio d'ore appare la costa, si vedono le montagne allo sfondo, si distingue la linea bianca di Massaua, spiccano gli alberi di due bastimenti che vi stanno ancorati; alle undici siamo accanto a loro.
Massaua.--In cerca di abitazione.--Conoscenza della famiglia Naretti.--Notizie dell'interno e consigli pel nostro viaggio.--Descrizione di Massaua.--Un sistema di cura.--Un forno assai semplice.--Gite di caccia.--Il pranzo di Natale.--Invasione di locuste.
Massaua si presenta presso a poco come Suakin, piantata sopra un banco di madrepore e tutta circondata dal mare; si protende come lunga lingua ad est, ove sta un forte e la missione cattolica colla propria chiesuola; segue uno spazio deserto in cui ? sparsa qualche capanna, poi viene la cittadina di carattere arabo, seguita dal nucleo maggiore di rozze abitazioni di indigeni; la unisce una diga ad altra isola maggiore su cui sta il palazzo del Governo, abbastanza elegante, che subito risalta all'occhio di chi entra in queste acque.
Avvicinati dalla sanit? che con tutta formalit? ricevette la nostra patente con lunghe molle in ferro e le espose al fumo di abbondanti profumi, in pochi momenti ci fu concessa libert? di pratica. Il signor Habib Sciavi, delegato sanitario e agente postale, adempie al suo ufficio con vera intelligenza e vero scrupolo; venne a bordo; avevo per lui una raccomandazione che subito ci fece diventare buoni amici; mi piace nominarlo, perch? per lui ho molta riconoscenza, e fu per noi una vera risorsa durante il nostro soggiorno in questa citt?.
Prima nostra cura fu di recarci dal governatore che ci accolse assai cordialmente; ma ad onta di tutte le nostre buone commendatizie ci disse: telegraferemo a Gordon pacha che siete qui giunti; diremo quanti siete, quante casse e quante armi avete, dove siete diretti, poi dalla risposta decideremo sul da farsi. Non ci rest? che far portare a terra tutto il nostro bagaglio e depositarlo nei magazzeni di dogana, poi andarcene in cerca di una casa da affittare, che di alberghi qui non se ne ha idea. Fummo fortunati di trovarne una abbastanza vasta, con un piano superiore e un cortile chiuso; lo stile, arabo; le camere hanno molte aperture, e i vetri sono ignoti; le pareti bianche od almeno lo furono; il soffitto a travicelle, che sono rozzi tronchi non lavorati con sovrappostovi un assito o delle stuoie che portano un grosso strato di terra che forma tetto e serve da terrazza; il pavimento ? pure di terra fina e pulverolenta; in complesso presso a poco e forse peggio delle case dei nostri contadini.
Una delle prime conoscenze fu la famiglia di Giacomo Naretti da Ivrea, che da parecchi anni vive in Abissinia, dove colla sua onest?, col suo grande senno pratico e colla rettitudine e disinteresse nei suoi intendimenti, seppe accaparrarsi la stima e l'affetto del Re che lo tiene come vero amico e pregiato consigliere. Reduce da una gita in Egitto, se ne stava gi? da parecchi mesi in Massaua aspettando di poter penetrare in Abissinia quando fosse completamente cessato un terribile tifo che decimava la popolazione del Tigr?, e sedata una rivoluzione che da tre anni teneva agitata la provincia del Hamasen.
Quantunque si sapesse che il primo andava decrescendo e che per la seconda s'erano intavolate trattative di pace, pure queste notizie non ci giunsero troppo gradite, prevedendo che, per quanto si confidasse che il diavolo potesse essere meno brutto di quello che ce lo dipingevano, bisognava pure rassegnarsi a perdere un tempo che avremmo meglio impiegato nell'avanzare o nello studiare l'interno. Fummo subito consigliati di spedire una lettera al Re Giovanni Kassa per annunciargli il nostro desiderio di recarci a visitarlo, fargli palesi i nostri progetti tutt'affatto commerciali, e domandare la sovrana permissione di entrare nei suoi Stati.
Questa specie di supplica era gi? stata preparata al Cairo, dietro suggerimento avutone, e scritta su pergamena in caratteri amarici da un sacerdote cofto. Accompagnata da una lettera di raccomandazione di Naretti, fu subito spedita per mezzo di apposito corriere al campo reale.
Fra il 15? e il 16? lat. nord, ? situata Massaua, che come dissi, sorge sopra un isolotto di madrepore che si estende per circa 900 metri da est ad ovest e per 250 da sud a nord elevandosi non pi? di 6 metri sul livello del mare; un canale di circa 600 metri di larghezza la divide da un altro isolotto di maggiori dimensioni detto Tau-el-hud, ed a questo si accede per mezzo di una diga, come pure per mezzo di altra diga, della lunghezza di 1200 metri, si passa poi dal lato di ponente alla terra ferma. Tutto quello che si vede ? aridit? assoluta, e solo lungo la spiaggia attecchisce qualche arbusto che pu? vivere sorbendo acqua marina; non ? che durante la stagione delle pioggie che la superficie si copre di uno smalto verde, e nel resto dell'anno, se l'occhio vuol riposarsi, non pu? che volgersi al sud della citt? dove un isolotto detto Scek-Said da un santone che vi fu sepolto, ? tutto coperto da vegetazione. Geograficamente Massaua dovrebbe appartenere all'Abissinia, ma ? occupata dagli Egiziani a cui fu ceduta mediante trattati dalla sublime Porta nel 1865.
Abbiamo cos? attraversata l'isola nella sua lunghezza; proseguiamo sulla diga, e appena messo piede in Tau-el-hud vedremo la palazzina del governatore generale, l'ufficio telegrafico, una moschea, il pozzo dove giunge l'acqua portatavi con canali dalla montagna, e attorno al quale formicolano centinaia di ragazzi e ragazze che empiono le loro otri o le loro pelli, se le caricano sulla testa, sul dorso o sui somarelli, e per pochi quattrini le trasportano in citt?: qualche baraccone in cui dormono i soldati, un forte degno dei suoi difensori, poi l'altra diga che ci porta a terra ferma nella direzione di Omcullo, dove passeremo facendo qualche altra escursione.
A questa originalit? dell'ambiente aggiungiamo la novit? in tutto, persino nell'atmosfera, la variet? dei tipi, il carattere simpatico di questa gente primitiva, e respiriamo i profumi delicati che spesso escono dai negozii, in cui i proprietarii accovacciati a contare i chicchi del rosario aspettando gli avventori, cercano adescarli facendo evaporare del muschio o bruciando dell'incenso sulla soglia della loro porta.
Massaua ? l'antica Sebastrium-os, e fu molto fiorente, concorrendovi i prodotti dell'India e dell'Etiopia che qui si riunivano per scambiarsi, e per riprendere poi vie diverse.
Ora non conta pi? di 6000 abitanti, e vi si fa poco commercio, ch? l'Etiopia ? ben lungi dall'essere quella d'una volta; d'altra parte il Governo egiziano cerca con ogni modo di impedire lo sviluppo dell'interno, essendo geloso e nemico dell'Abissinia. Si importa qualche poco di tessuti, filati, commestibili, e si esportano pelli, cera, avorio, zibetto, poco grano, burro, madreperla, gomma, caff?, prodotti tutti che provengono con carovane dall'altipiano etiopico, e bene spesso molto dall'interno.
Il commercio di esportazione deve subire un notevole aumento in questo porto, ora che re Giovanni, per obbligare i commercianti a percorrere maggior cammino nei suoi territorii, e nella speranza forse che Massaua per conquista o per cessione diventi parte del suo Stato, ha proibito alle carovane che partono dal Goggiam e dal Gondar di prendere la via del Galabat e Suakim, molto pi? conveniente, perch? piana e battuta da camelli, di gran lunga preferibili ai muli.
Mariam, la ragazzina del guardiano della nostra casa ? occupata tutta la giornata a far farina triturando grani di dura fra due pietre: ne forma poi una pasta che cuoce in un forno alquanto originale. Un otre rotto al fondo ? sepolto col labbro a fil di terra: a poca distanza un foro praticato obliquamente nel suolo comunica col basso del vaso, formando cos? una gran pipa, che d? luogo alla corrente d'aria necessaria a ravvivare il fuoco acceso nell'otre: quando questo ? cos? riscaldato se ne levano le brage e Mariam appiccica alle pareti le manate di pasta che possono quasi dirsi focacce: turato il foro nel suolo e applicato il coperchio all'otre e ben chiuso all'ingiro con pezzole bagnate, non riapre che quando la pratica le insegna che deve esser cotto questo pane che, con qualche cipolla od un po' di pesce, molto abbondante qui, forma il nutrimento di tutta la famiglia.
Siamo nella stagione invernale, e ad onta di questo la temperatura varia fra 28? e 30?: ? questo forse il punto pi? caldo nel Mar Rosso che passa per essere una delle localit? pi? infuocate nel mondo: sono qualcosa di terribile le descrizioni che ci fanno dei mesi in cui non si pu? aver respiro n? giorno n? notte, sempre oppressi da un'afa soffocante e accesa.
Una delle mancanze che pi? si facevano sentire era quella di una tavola, per cui avendone vedute due in una piazza andammo in cerca del rispettivo proprietario per noleggiarle, ma per buona fortuna fummo avvertiti ancora in tempo che erano di uso pubblico, cio? si trasportavano a domicilio quando ne era il caso, per stendervi e lavarvi i morti: tanta ? l'abbondanza di mobiglia in queste case.
Il giorno di Natale si avvicinava e ne prendemmo occasione per mostrare la nostra riconoscenza ai Naretti e ad altri che ci andavano usando delle continue gentilezze, invitandoli a passare con noi quelle ore che s'usa in questo giorno riunirsi in famiglia attorno ad una tavola. L'invito ? accettato; a noi dunque a disimpegnarci; ch? per pranzare, sia bene sia male, ci vogliono fatti e non parole. Ci demmo dunque a girare dalle conoscenze mettendole a contributo per avere piatti, posate, bicchieri, casseruole, tavoli, sedie e tutto quanto l'occorrente. Si decor? una delle nostre camere dipingendone le pareti, a carbone e mattone pesto, cogli stemmi delle nostre principali citt? e decorandole con trofei delle nostre armi e componendo di facciata all'entrata un artistico gruppo di due ritratti del nostro Re e della nostra Regina circondati da una bandiera tricolore. Alle finestre si appesero dei lampioncini e al centro un lampadario che la nostra immaginazione ci ajut? a comporre con traverse di legno che sostenevano delle bottiglie vuote destinate a portare le candele. Unimmo tre tavole che resero presso a poco di eguale grandezza alcuni pezzi di nostre casse aggiuntivi; coprimmo il tutto con due lenzuola di bucato, preparammo i coperti con posate che la ruggine faceva parere passabilmente uguali: nel centro una piramide di amaretti di Saronno, ai lati due ceste di banane giunte la mattina da Hodeida; sui davanzali delle finestre dei gruppi di eleganti bottiglie di liquori che qualche amico di buon cuore o qualche fabbricante illuso ci avevano date a compagne: sulla scala qualche altro lampioncino: nell'insieme un apparato fantastico e sfarzoso pel paese in cui siamo.
All'imbrunire del giorno fissato arriva la processione degli invitati che si ricevono in corte, mentre si corre a dar fuoco alle candele, poi si da il segnale perch? la comitiva salga. Nella prima camera il Tagliabue aveva disegnato a carbone un medaglione con un immaginario re Giovanni, riconoscibile dall'iscrizione, che diede origine ai primi atti di stupore, che furono poi innumerevoli, quando sollevate le cortine si present? la gran scena della sala del banchetto. L'arte culinaria del nostro compagno fu molto lodata, e i fatti constatarono che lo fu sinceramente e non per puro complimento: i vini d'Italia trovati squisiti, talch? il pranzo fu molto allegro e i brindisi assai numerosi. Era certo la prima volta che in Massaua si trovavano tanti Italiani riuniti, e la festa era tale che fece a parecchi dimenticare i bicchieri gi? vuotati, cui aggiunta la propriet? del Sassella e dell'Inferno di scaldare le orecchie e paralizzare le gambe, si ebbe una chiusura molto chiassosa e non scevra di incidenti abbastanza comici. Il servizio fu fatto piuttosto regolarmente alternando noi con un po' di disinvoltura la parte dell'anfitrione con quella del cameriere, non senza ritirare qualche volta un piatto sporco da destra per rimetterlo a sinistra, se non ve ne erano pronti di ricambio. In complesso gli invitati furono contenti e noi nella nostra modestia abbastanza soddisfatti, tanto pi? che, la mattina dopo, parecchi avevano le idee piuttosto confuse e una ricordanza un po' svanita di quanto avvenne da met? pranzo in avanti.
Il giorno 6 gennaio correva la festa del Natale pei Greci e per gli Abissinesi, per cui fin dal mattino l'aria echeggiava di canti, suoni di tamburo e grida selvagge: entrammo in qualche tugurio per vedere il ballo delle donne abissinesi: alcune battono colle mani su un rozzo tamburo, ed altre disposte a circolo accompagnano con una cantilena cadenzata interrotta dal solito trillo acuto, ballando, saltellando, accovacciandosi, poi rimettendosi ritte, girando alternatamente da destra a sinistra o viceversa: le pi? distinte di quando in quando passano al centro per fare apprezzare le loro movenze lascive accompagnate da sussulti dei muscoli. Spettacolo in cui, per vero dire, la troppa trivialit? ? alquanto corretta dall'eleganza delle forme di queste brave ragazze, e da una certa grazia che ? in loro naturale.
Vedemmo una mattina il cielo sparso di macchie nerastre che poco a poco si andarono avvicinando prendendo quasi forma di nubi: erano miriadi di grosse locuste divise in diversi gruppi. Alcune stettero qualche tempo sopra Massaua, poi se ne andarono verso l'interno in cerca di terreni meglio adatti al loro istinto divoratore.
Partenza pei Bogos.--In carovana.--Incontro di scimmie.--Paradiso dei cacciatori.--Arrivo alla Missione.--Le propagande.--Il villaggio.--Usi e costumi della popolazione.--Ritorno.--Bellezze del paesaggio.--Fermata a Kalamet.--Nuovamente a Massaua.--Una festa originale.
Per quanto con Ferrari si facessero continuamente gite di caccia, pure la monotonia di questa vita ci stanc?, e non sapendo ancora quando si potrebbe definitivamente partire per l'Abissinia, pensammo intanto di andarcene a fare un'escursione nel paese dei Bogos. A noi si associ? l'amico Legnani che, pratico del viaggiare in carovana e parlando l'arabo, oltre che simpatico, ci fu pure utile compagno di viaggio. Fissati i camelli e fatti quei pochi preparativi che pensammo necessarii, il giorno 12 lasciammo gli altri compagni, felici di incamminarci ad una vita nuova ed a paesi nuovi.
Aperti appena gli occhi, la mattina seguente, ancora in una semi-oscurit? e senza muoverci da dove eravamo, si fecero le fucilate a due jene che tranquillamente passavano a pochissima distanza. Non ? molto a temere questo schifoso animale che difficilmente attacca l'uomo, perch? lo teme, e piuttosto si avventa agli animali od ai bambini, sempre ai cadaveri; ? tanto ributtante che appena morto ? carogna e tutta la sua vigliaccheria genera ribrezzo. Nessuno osa mangiare le sue carni e nemmeno far uso della sua pelle. Radunati i camelli che stavano pascolando, e fatto il carico, ci incamminammo a piedi, precedendo di pochi passi la carovana, sperando di poter fare un po' di caccia, ma ben presto il sole ci fece ricordare che eravamo in Africa, per cui montammo le nostre cavalcature.
Siamo sfortunati nei camelli, che sono piuttosto cattivi, ed uno non soffre alcun movimento di chi lo cavalca: le selle poi sono perfide, ma ormai siamo in ballo e bisogna ballare.
Il terreno ? sempre sabbioso e sparso qua e l? di qualche cespuglio spinoso e di acacie nane, ma in complesso l'aspetto ? piuttosto arido, perch? tutto bruciato dalla grande aridit?: lentamente andiamo innalzandoci superando delle elevazioni di pochi metri, oso dire dei gradini, per passare una sequela di altipiani, tagliati di quando in quando da torrenti infossati che solo si gonfiano durante le piogge. Nei punti pi? bassi del loro letto sono generalmente praticati dei pozzi che per infiltrazione danno l'acqua necessaria a rifornire le carovane; e per vero dire non ? sempre l'acqua pi? pura n? la pi? pulita: spesso ? vero fango diluito con gusto anche di materie organiche in putrefazione, ma quel terribile male che ? la sete alimentata dai raggi di questo sole cocente, fa superare certe cose che fanno ribrezzo al pensarvi quando si possono invece avere delle buone limonate.
Verso le 10-1/2 passiamo presso un paio di capanne, abitazioni di qualche soldato che con aspetto e assetto tutt'altro che militare sta a guardia del telegrafo che tiene questa linea per spingersi fino a Kartum.
Le due cose meglio organizzate dove governa l'Egitto sono certamente la posta e il telegrafo, e dove passa quest'ultimo, che serve anche di guida alle carovane, con provvido sapere, Gordon pacha pose, ad ogni quattro ore circa di strada, una capanna di rifugio pei viaggiatori e spesso un soldato di guardia pel filo.
Ancora un'ora di cammino, e ci fermiamo nel letto di un torrente dove qualche macchia nerastra nelle sabbie e un po' di vegetazione fresca ci indicano la presenza dell'acqua, per ristorare noi e lasciar pascolare i camelli.
Ripartiamo alle due, e sempre continuando in terreno piuttosto monotono, colla sola distrazione di stupendi uccelletti dai colori vivissimi, dai riflessi metallici e dalle code assai lunghe, e dell'incontro di qualche carovana diretta a Massaua per portarvi tabacco di Keren, ci fermiamo alle sette e mezzo sopra un'altura, in posizione perfettamente isolata, dove la notte fu solo disturbata dalle voci di qualche jena e da una abbondante rugiada.
Prima che i camelli siano pronti, ci incamminiamo la mattina del 14 cacciando le lepri che in buon numero fuggono davanti ai nostri passi. Avanti a noi sta un'enorme pianura e allo sfondo una catena di montagne che dobbiamo raggiungere per trovar acqua, e che pare si vadano sempre allontanando al nostro avanzare: la stanchezza era alleviata dalla distrazione di trovare frequenti gazzelle, ma il sole ci faceva desiderare il punto fissato pel riposo: verso mezzogiorno incontriamo molti buoi e capre, indizio che siamo poco lontani dalla sospirata fonte: pieghiamo infatti leggermente ad ovest, entriamo in una larga vallata che va a poco a poco restringendosi, la vegetazione si fa pi? fitta, e verso l'una ci accampiamo presso il letto di un torrente in cui con gran consolazione vediamo scorrere acqua limpida.
Si fa perfetto buio, troviamo passaggi piuttosto difficili, dove i camelli a stento trovano ove posare i loro piedi fatti per calcare le sabbie del deserto: nell'ombra della notte si capisce che bella dev'essere la natura che ne circonda, e come viaggiatori ne duole perderne la vista, ma i nostri camellieri, timorosi forse di fermarsi soli, sono sordi alle nostre domande e ai nostri ordini, e colla scusa della mancanza d'acqua ci fanno camminare fin dopo le otto, fin quando cio? si ferm? l'altra carovana. Accampati in un allargamento del letto del torrente vi lasciarono liberi i camelli di andarsene a pascolare, si accesero parecchi grandi fuochi, si fece una meschina cena, e ci sdrajammo in cerca del meritato riposo.
Continuiamo la mattina dopo, alternandosi passaggi stretti ed allargamenti del fondo della vallata per la quale si va risalendo: mentre attraversiamo appunto una di queste gole di pochi metri di larghezza, le cui pareti si elevano a scaglioni basaltici, e la nostra carovana preceduta dall'altra cammina silenziosa e quasi triste, un assalto di acute grida ci scuote dal letargo in cui eravamo quasi caduti, e chiama la nostra attenzione a pochi passi davanti a noi, dove centinaia di scimmie se ne stavano bevendo attorno ad un pozzo e furono disturbate dal nostro apparire. Fu un fuggi fuggi generale, le pi? grandi stringendo al seno o caricando sulle spalle le piccine, tutte saltando e arrampicandosi sulle rocce laterali, poi disponendosi sull'estremo ciglio quasi a darsi spettacolo del nostro passaggio: fra noi e loro non saprei davvero chi fu il pi? divertito.
Dopo qualche ora usciamo in un vasto altipiano, e ci andiamo a fermare verso il mezzogiorno all'ombra di un grosso albero, poco lontano dal quale i nostri fucili ci procurarono qualche faraona pel pranzo. Circa tre ore di sosta, poi nuovamente in cammino: incontriamo una carovana che porta dei prigionieri a Massaua: sono quattro che alternativamente camminano a piedi o salgono due camelli: quelli che stanno a camello sono incatenati alle mani ed ai piedi, quelli che camminano ci destano un vero senso d'orrore: un grosso ramo d'albero lungo circa due metri e terminato a forcella racchiude con questa il collo del condannato e ve lo stringe dietro con intreccio di corde: all'altra estremit? ? legato alla sella del camello. Nei viaggi in Africa che ho letti, ho visto questo genere di supplizio usato come mezzo di trasporto o meglio di punizione per gli schiavi, e m'aveva inorridito: non mi sarei mai aspettato di vederlo ufficialmente usato da una potenza che la pretende a civilt?, quale l'Egitto. Sapere poi come questi disgraziati sono trattati, per quanto colpevoli, ? meglio non ripeterlo, per rispetto a qualsiasi principio di umanit?.
Questo accampamento in luogo perfettamente isolato e selvaggio, il mistero della notte, l'apprensione per quel che poteva forse succedere, e l'emozione del poterci veder davanti quei due occhioni scintillanti senza le barre di ferro che ce ne separino, un ascoltare ansiosi ad ogni muover di foglia, la cantilena dei camellieri che sparsi a gruppi stavano preparandosi con pochi grani di dura la loro cena, la luce delle enormi fiamme che innalzavano grosse colonne di fumo e spandevano i loro raggi luminosi sulle foreste che da ogni lato ci circondavano, tutto questo, ripeto, formava uno spettacolo veramente imponente e fantastico. Lo contemplammo lungamente, poi ci sdraiammo coi nostri fucili al fianco e cercando addormentarci con un occhio aperto, ma la stanchezza la vinse ben presto. S. M. il re delle foreste non venne a turbarci i nostri sonni placidi e solo verso l'alba un muoversi confuso fra le piante ci fece balzare e mettere in guardia, ma non era che un innocente cignale che se ne andava facendo la sua passeggiata mattutina.
Fu questa la nostra sveglia, e poco dopo riprendemmo il nostro itinerario, lungo il quale incontriamo spesso dei cimiteri di trib? nomadi che vi tennero le loro tende. Le tombe consistono di un ammasso conico di pietra o di un largo circolo segnato pure da pietre, con un tumulo al centro; generalmente si copre la tomba con piccole pietre di quarzo bianco; se la tomba ? di fresca data, ? circondata da una siepe di rami spinosi per tenervi lontana la jena, ed allora ogni fedele che passa vi recita una prece e vi aggiunge un sasso.
La natura si fa sempre pi? grandiosa e selvaggia, la vegetazione aumenta, i baobab sono giganteschi, non hanno in questa stagione una sola foglia, ma molti frutti consistenti in piccoli globi verdastri, che contengono una farina bianca acidula e di sapore grato e molti semi dal gusto di mandorla; le euforbie si fanno veri alberi di cinque, sei, otto e pi? metri d'altezza e in alcuni punti costituiscono da sole vere foreste. Saliamo sempre finch? ci troviamo in un vasto bacino, attraversato il quale, in direzione ovest, ci si presenta un'erta salita che ne ? forza superare a piedi.
Passata cos? la catena dello spartiacque che d? origine a levante al torrente Ain, del quale rimontammo il corso, e dall'altro versante ad altri torrenti che radunati gli sfoghi di varie vallate secondarie, attraversano la provincia di Barka, costituendo il Xor Barka che ha foce poco lungi da Suakin, ridiscendiamo per una lunga vallata dove la natura non ? per nulla cambiata, ma da dove ci sta davanti un esteso e variato panorama, e alla 1-1/2 ci fermiamo in un vastissimo altipiano.
Ci svegliammo l'indomani quando il vescovo, monsignor Touvier, con due preti vennero ad augurarci il buon giorno e con ogni sorta di gentilezze vollero traslocarci in uno spazioso salotto con un letto e due comodi divani.
La provincia dei Bogos geograficamente appartiene all'Abissinia, ma ? ora occupata dall'Egitto che la tiene preziosa come linea di comunicazione fra il Sudan e il porto di Massaua, e per questo ? fonte di continue inimicizie e di frequenti attacchi fra i due Governi. Essa ? costituita da un altipiano a pi? di 1200 metri sul mare, rinserrato da montagne granitiche; la sua popolazione, sparsa in parecchi villaggi, si pretende da secoli immigrata dall'interna provincia del Lasta e derivare quindi dalle bellicose trib? degli Agau, dei quali mantiene lingua, costumi e tradizioni.
La capitale ne ? Sanayd, villaggio posto sul versante di un'altura coronata da un forte costrutto da Munzinger pacha; rimpetto a questo, e pi? sotto la montagna, sta Keren, ove siede la Missione stabilitavi or fanno circa trent'anni dal padre Stella, che dopo avervi consacrata l'esistenza, facendosi amare dalla popolazione, mor? travagliato da dispiaceri e perseguitato da chi gli mosse ingiusta guerra. Col tempio della fede vi aveva stabilito pure un faro di civilt?, unendo cos? queste due propagande che sempre dovrebbero essere compagne nella faticosa marcia attraverso popoli barbari, e praticando per tal modo la vera e pura dottrina di Cristo. Una colonia di Europei dava l'esempio del lavoro, e mostrava alle popolazioni selvagge che la missione dell'uomo sulla terra ha uno scopo ben pi? alto che quello di vegetare abbrutendosi e facendosi continua guerra gli uni agli altri. Ma come pur troppo spesso succede, la mancanza di mezzi materiali e di costanza a sopportare le prime disillusioni per un avvenire migliore, fecero che la piccola colonia fin? per morire quasi di consunzione. La Missione rest?, ed ? ora occupata da lazzaristi francesi, e la colonia riprese sviluppo quando or fanno quattro anni si introdusse la coltivazione del tabacco.
? un nero del Sudan che fece, nella legione straniera, la campagna del Messico, poi fu in Francia, ma ebbe troppo rispetto per la civilt?, e non os? troppo avvicinarla; fu per? con noi cordialissimo e ci fece vedere in tutti i suoi particolari il forte costruito sotto la sua direzione. Quasi alla vetta del colle su cui ? piantato, per occupare i soldati, fece scavare una gran vasca per raccogliere l'acqua delle piogge, idea questa assai buona e pratica in un paese dove fa tanto difetto questo elemento. Passiamo a visitare qualche Greco e il reggiano Cocconi che tengono piccoli negozii, e vi coltivano tabacco, e da tutti quanti siamo ricevuti con gran festa, poi passiamo da M. Constant, un francese e il principale degli agricoltori.
In una vasta capanna entriamo a vedere la fabbrica del pane che si d? loro. Quattro ragazze sono occupate a macinare la dura schiacciandola fra due pietre, una fissa a lastra, l'altra cilindrica che colle mani si fa scorrere sulla prima. Fatta con farina e acqua una pasta assai tenera, la si versa e distende su larghi piatti di terra, sotto ai quali arde il fuoco, e si ottiene cos? un pane molle, ma abbastanza gustoso, di forma piatta, del diametro di circa quaranta centimetri e dello spessore di non pi? di uno. Ogni giorno ne vengono distribuiti ottanta ai bambini.
La chiesa ? piccolina, in muratura ed eseguita per ordine di Munzinger pacha, poi donata alla Missione. Il convento non ha nulla di rimarchevole: una casina con cinque finestre, a due piani, e ai lati due bracci sporgenti col solo pianterreno, e in continuazione a questi qualche altro locale cogli opificii da un lato, e la tettoia col recinto per gli animali addetti al servizio, cio? muli, somari e buoi, dall'altro. Vi sono ora dieci preti e qualche indigeno convertito non solo, ma consacrato sacerdote perch? aiuti nella propaganda.
E giacch? il nostro itinerario ci ha portati su questo argomento, mi si permetta di fermarmici a dirne due parole. Ho tanto e sempre sentito dir bene delle Missioni cattoliche che hanno sede a Kartum, e delle quali ? capo l'egregio monsignor Comboni, ed ho avuto io stesso tali prove in Palestina dell'utilit? che possono arrecare le Missioni quando siano ispirate da sentimenti veramente cristiani e umanitarii, che davvero bisogna essere compresi da venerazione per simili istituzioni. Da coloro che vogliono atteggiarsi a critici giudicando le cose solo da lontano e senza altro aiuto che il proprio criterio, ispirato spesso da falsi pregiudizii o da spirito di parte, sentii spesso chiedermi cosa mai possano fare di bene pochi individui che si sagrificano per andare battezzando dei selvaggi sia in Africa, sia in altre parti del mondo: per rispondere a questi e per difendere una causa che i fatti m'hanno persuaso essere santa, mi permetto una breve disertazione in proposito. Pur troppo ho visto qualche volta missionarii che si accontentano di appiccicare il titolo di cristiani a dei bambini ottusi, solo perch? bagnarono loro il fronte con dell'acqua benedetta, aggiungendovi la formola battesimale, oppure perch? credettero convertire degli individui col far loro luccicare avanti agli occhi qualche tallero, o collo spaventarli approfittando della loro ignoranza e mostrando loro degli ignobili dipinti che fanno vedere Maometto all'inferno fra le fiamme perch? mangiava un cristiano mattina e sera, oppure un leone che fra parecchi dormienti si avventa sul solo mussulmano che se ne sta fra cristiani; e schiettamente io pel primo ammetto che non si possono seriamente chiamare cristiane delle genti convertite con simili mezzi che mi permetto di chiamare immorali. Io crederei offendere Cristo presentandogli di tali fedeli, come sono convinto che con questo sistema nulla si pu? far di bene alla umanit?, e si vilipende anzi la santit? dello scopo. Apprezzo sempre l'abnegazione di chi si sagrifica per la causa di cui ? convinto, ma prescindendo da questo merito tutt'affatto personale e presa invece a considerare la causa delle Missioni quando basano su tali principii, tenuto calcolo dei sacrificii, delle preziose esistenze, delle somme enormi che questa propaganda costa, e considerato il bene che ne deriva alla religione ed alla umanit?, trovo che non regge il confronto coll'utilit? che se ne potrebbe avere, usandone invece ad alleviare tante e tante miserie che pur sussistono fra noi.
Ma quando invece si prepara alla religione un fondamento di sviluppo intellettuale, si sveglia questa povera gente dal suo letargo di ignoranza, si fa loro vedere e toccar con mano di quanto bene possa esser fonte la civilit?, si sviluppa l'industria e l'agricoltura, si aprono loro cos? la mente e gli occhi, e si migliora la loro condizione, si ottiene della gente che veramente ci ama e ci stima, ci crede, perch? ci vede capaci di un bene reale, e dietro questa si ispira ad amare e stimare chi ha ispirata in noi quella fede per la quale si abbandon? patria e famiglia per andare cercando il bene altrui, quel bene dal quale vedranno scaturire il loro nuovo benessere. Quando la propaganda si basa su tali principii, come fortunatamente si basa nel maggior numero dei casi, allora si prefigge ed ottiene uno scopo eminentemente utile e sacro, ed a questo proposito mi ? caro poter ripetere qualche parola che pronunciava con me quel valente uomo che ? M. Comboni, capo della Missione che risiede a Kartum e di la distende i suoi raggi in un orizzonte quasi sconfinato. <
Il giorno 19 essendo domenica, assistemmo alla messa, che fu per vero dire soggetto di distrazione pi? che di divozione; era detta da convertiti Abissinesi che recitano le loro orazioni nella lingua madre, e vestono una lunga pellegrina come anticamente si usava nel servizio religioso; i chierici erano pure indigeni e vestiti di rosso; le candele anch'esse nere, perch? fatte con cera del paese non purificata. L'insieme era assai originale.
Ogni villaggio riconosce come suo capo supremo e giudice colui che per merito o meglio per anzianit? fu chiamato a godere della fiducia di tutti i compaesani, fra i quali ancora vige una specie di sistema feudale, cio? i plebei riconoscono la superiorit? dei patrizii ai quali devono parte dei redditi, ubbedienza, soccorso e difesa a pericolo della propria vita in caso di necessit?. Ogni padre poi ha diritto di vita, di morte o di vendere quale schiavo, se pu? farlo in barba al Governo egiziano, sui proprii figli, finch? hanno raggiunto i 18 anni, in cui sortendo di minore et?, diventano padroni di s? stessi e con questo cessa la superiorit? e la responsabilit? paterna. Lo spirito di vendetta vi regna fortissimo e tale che un'offesa viene qualche volta ripagata della stessa moneta dopo qualche generazione.
Nel caso di morte di un capo o di qualche persona influente o ricca, la famiglia, gli amici e alcune donne espressamente chiamate e pagate e delle quali la professione abituale ? molto comune in paese e meglio tacere, si radunano nella casa del defunto e fingendo piangere e disperarsi decantano le virt? sue, lo glorificano come brava persona, guerriero invincibile, forte, prode, amato, distinto nel maneggio della lancia e della spada, ecc., e terminano sempre col rallegrarsi, perch? oltre questo era ricco, quindi in sua casa si trover? dell'idromele, della dura, dei talleri, molta roba d'ogni genere e quindi si manger?, si bever?, si far? buon festino.
Dopo ci? si lava il corpo del morto con acqua, che si conserva in un gran vaso, e quindi si fa il trasporto alla sepoltura sempre seguiti da tutto il corteo; dopo circa un mese altra funzione solenne con canti, gridi, suoni, abbondanti libazioni e sagrificii di buoi e montoni; si investe allora il primogenito dell'eredit? e dei diritti paterni, e per questo lo si lava da capo a piedi coll'acqua conservata dalla stessa operazione fatta al genitore morto. Trattandosi di uomini tenuti in gran conto, dove fu sepolto il padre, deve essere sepolto il figlio, per cui bisogna alle volte operarne il trasporto attraverso monti e valli.
I matrimonii si fanno innanzi testimonii, e meno la lavatura, presso a poco colla stessa cerimonia dei funerali.
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