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Read Ebook: La freccia nel fianco by Z Ccoli Luciano

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Ebook has 2686 lines and 57443 words, and 54 pages

Le donne facevan musica, cinguettando, si prendevan Bruno come una piccola scimmia innocua e se lo mettevan sulle ginocchia; o lo lasciavan dormire in un cantuccio del divano, o lo portavano in braccio, o se lo facevano arrampicare sul collo o si sdraiavano a terra con lui a giuocare coi soldatini.

Egli s'era abituato cos? ai profumi, alle vesti seriche, alle mani dalle unghie dipinte, agli occhi ombreggiati, ai colli bianchi, ai capelli morbidi, che sprigionavano olezzi misteriosi, alle caviglie sottili, a tutte le malizie dell'eleganza; e precocemente aveva capito che le giovani eran balocchi degli uomini; ogni ufficiale n'aveva una; com'egli era un balocco tra quei balocchi di lusso.

Viveva da piccolo animale non anco pericoloso, tollerato e un poco beffeggiato, piuttosto sul tappeto e sul divano che dritto in piedi; e la sua crudelt? infantile si scapricciava con quelle ragazze, calpestandole, pungendole, scompigliandone i capelli, come la crudelt? degli altri bambini si sazia torturando le mosche.

Ma avveniva che d'improvviso, ricordando d'avere un figlio e di doverne rispondere, Fabiano non si occupasse che di lui. E non era piacevole, quantunque avessero detto a Bruno i maestri e le istitutrici che l'amore paterno e l'amore materno sono due grandi tesori nella vita.

Fabiano voleva troppo dal piccolo, che a sei anni sapeva leggere e scrivere; lo ingozzava di somme e di sottrazioni e di geografia, cos? che il bambino se ne sognava anche di notte, e aveva pi? paura delle cinque parti del mondo che del diavolo.

E l'indomani, colto da una tenerezza repente, il pap? conduceva Bruno con la carrozza a due cavalli in un immenso parco, per le and?ne del quale s'incontravano amazzoni belle, quelle stesse che giuocavano col bambino, e cavalieri, quegli stessi che giuocavano col babbo.

In una grande trattoria elegantissima tra il verde e i fiori, al suono d'una musica invisibile, Fabiano e Brunello si trattenevano a colazione; e tutto il giorno era festa, e la sera il teatro, per lo pi? un Circo equestre, chiudeva degnamente la giornata faticosa. Bruno era soddisfatto, perch? il babbo era stato sempre con lui e non gli aveva chiesto quali sono le cinque parti del mondo.

Pareva egli stesso un fanciullo, il babbo, in quelle rarissime giornate.

A casa difendeva in lunghe battaglie ordinate i suoi soldatini di piombo contro i soldatini di Bruno, o improvvisava una commediola nel teatrino di marionette; ad ogni scena che gli garbava, Bruno chiedeva immediatamente il bis, e l'autore si sforzava a piacer meno che fosse possibile per non ripetere, una scena dopo l'altra, tutta la rappresentazione. Ma piaceva sempre troppo, al contrario di ci? che avviene nella vita d'ogni giorno.

Quando compariva il Re moro, si faceva l'oscurit? nella camera, e alla ribalta bruciavano certi sali in due salierine d'argento che figuravan da tripodi, e tutta la scena era illuminata da vapori azzurri. Poi il Re moro si sentiva male, e cadeva lungo disteso sul palcoscenico. Bruno aspettava il seguito, e non udendo voce, si muoveva dalla sua poltroncina e scopriva che il babbo non c'era pi?; se n'era andato alla chetichella, e Bruno lo ritrovava nel suo studio a leggere o in salotto a chiacchierare con gli amici.

Il Re moro indicava con la sua morte la fine del dramma; epper? quando lo vedeva apparire, Bruno gridava inquieto:

--Pap?, non farlo cadere! Pap?, lascialo vivere!

Brevi giorni di gioia, che saranno stati dieci, che saranno stati venti in un anno: gli altri, Bruno se li doveva sbarcare da solo, ora coi domestici, ora con un maestro che insegnava tutto ma non interrogava mai, ora con le donnine del babbo.

Disponeva della propria giornata a piacere, comparendo un po' dovunque e cercando d'esser vicino a suo padre. Qualche volta una ragazza se lo prendeva e se lo conduceva a spasso e a pranzo, e lo faceva dormire in un lettuccio improvvisato, restituendolo a casa dopo due o tre giorni.

Egli tornava e non diceva nulla; lo interrogavano e si sbrigava con poche parole; aveva le sue conoscenze personali qua e l?, di cui alterava i nomi a caso e ricordava nella sua disordinata conversazione qualche gesto o abbozzava qualche aneddoto. Le ragazze lo consideravano come un amico discreto e placido, e ne sorridevano, quando non si dilettavano ad aizzarne la bizza sparlando a bella posta del conte, o protestando perch? il Re moro puzzava di vernice.

La vita nella citt? dei lumi e del fracasso dur? un tempo troppo breve per Fabiano e certo troppo lungo per Brunello.

Fin? il giorno in cui il Re moro perdette la corona di cartapesta dorata, la quale da qualche tempo gli scivolava sull'occhio sinistro o sul naso, con danno alla sua gravit? augusta.

Stanco degli scherzi e dello sfringuellare delle amiche e assordato dall'incrociarsi di conversazioni di cui capiva ormai il linguaggio ma non afferrava tutto il significato, Bruno aveva preso sonno in una poltrona, tenendo il Re moro tra le braccia; e un tintinn?o sul tavolino e qualche fresca risata ne cullarono il riposo.

Quando si dest?, gli ospiti erano partiti e la corona di cartapesta rotolata dal capo regale a terra.

Restava il pap?, assorto in un pensiero cos? difficile, che forse non gli lasciava nemmen vedere il suo bambino; e passeggiava in lungo e in largo pel salotto.

Brunello e il Re stettero a guardarlo, fin che il pap?, vista la corona a terra, si chin? a raccattarla e la gett? dalla finestra nel giardino.

--Partiamo domani!--annunzi? senza volger la testa a Bruno, forse parlando a s? medesimo.

La decisione della partenza sembrava cos? naturalmente scaturita da quel gesto, che Bruno ne fu sorpreso.

Dopo un istante di silenzio, durante il quale non os? muoversi dalla sua nicchia, domand?:

--Perch? il Re non ha pi? la corona, pap??

--Perch? il Re non ha pi? la corona,--ripet? Fabiano fermandosi.

Allora Bruno ebbe coscienza che qualche grande fatto era avvenuto.

E vedendo che il pap? riprendeva la corsa, il Re e Brunello scivolarono dalla poltrona; e l'uno, con la testa scoronata e le braccia penzoloni, portato dall'altro che camminava piano con le sue scarpette di panno, se ne andarono.

Il cavaliere Maurizio Dossena chiam? sua figlia Nicoletta, una mattina di giugno, per annunziarle che la villa vicina era stata presa in affitto da quel famoso conte Fabiano Traldi di San Pietro, del quale anch'ella aveva udito parlar qualche volta a Milano.

Il famoso conte Fabiano Traldi di San Pietro,--Maurizio lo rammentava intanto alla figliuola,--viveva separato dalla moglie, aveva dato scandalo come giuocatore sfrenato, ed era continuamente in lite coi creditori, con la famiglia sua, con la moglie, con la famiglia della moglie.

Ed arrivava da Parigi

--Da Parigi!--ripet? solennemente il cavaliere Maurizio.

Prese un grosso libro di sulla scrivania, lo lev? in alto, lo lasci? ricadere, perch? il tonfo sottolineasse con terribilit? il nome della citt? di perdizione.

A Parigi, il conte Fabiano, in un anno o due di soggiorno, aveva dato un forte tracollo al suo patrimonio. Ne tornava per trovar danaro e forse per riprendere le vecchie liti con la famiglia. Viveva nel frattempo in campagna, come vive il lupo nella caverna fin che gli ricresca il pelo; ma non ci sarebbe rimasto molto, fortunatamente; la campagna ? noiosa per uomini di tal fatta.

Era bene che Nicoletta sapesse tutto ci?. La villa del conte confinava con la villa Dossena; i due giardini guardavano la strada e avevano in comune il tratto di spiaggia e di lago che si stendeva loro innanzi.

Ora, Nicoletta doveva essere prudente; perch? il cavalier Maurizio e la moglie non desideravano punto di conoscere quel personaggio. Occorreva dunque evitarlo, e quando fosse stato necessario, anche rinunziare alle passeggiate sulla spiaggia.

Nicoletta vestita di bianco, un gran cappello di paglia ornato di papaveri sulla chioma nera a riflessi azzurrini, ascolt? la discorsa di suo padre freddamente.

C'era da tempo, da due anni almeno, un malinteso tra il padre e la figlia.

La fanciulla aveva sognato un giorno, ancor bambina, di darsi all'arte; il palcoscenico l'attraeva; s'era messa a studiare, prima di nascosto, poi palesemente, per essere attrice. Ma quando aveva affacciato quel suo desiderio, era avvenuta una scena in casa.

Il padre non sapeva capacitarsi che Nicoletta bella, pura, intelligente, chiamata alla felicit?, poich? un giorno avrebbe potuto disporre di centomila lire di rendita, sognasse un sogno cos? stravagante. La madre se n'era accorata, scusando la figlia con l'ignoranza del mondo, ma guardandola da quel momento con occhi inquieti, come si guarda una persona dai gesti e dagli atti poco rassicuranti.

Il teatro! La folla! I pericoli del palcoscenico! La intimit? con gli uomini! L'arte di rappresentar le passioni pi? colpevoli!...

N? la moglie n? la figlia, innanzi alle quali Maurizio esalava il sentimento della sua indignazione, sapevano chi fosse Mirra; ma la moglie Carlotta alz? le mani e gli occhi al cielo, scandalizzata; e Nicoletta alz? le spalle, tranquillamente.

--Mirra!--andava ripetendo il cavaliere Maurizio.--Mia figlia dovrebbe un giorno rappresentare la scellerata donna con tutte le astuzie che assicurano gli applausi. Mirra!

--Ma che Mirra!--esclam? Nicoletta, arrischiando.--Son cose che si scrivono, ma che non si rappresentano.

--Se ne rappresentano di peggio!--incalz? la signora Carlotta, la quale non sapeva che di l? dalla passione di Mirra non s'era inventato ancor nulla.

--E insomma,--concluse Maurizio risolutamente--fin che tua madre ? viva, fin che tuo padre ? vivo, il palcoscenico no!

Lev? la mano destra chiusa a pugno, e ripet? la frase che gli pareva sintetica:

--Il palcoscenico no!

Per due anni dai sedici ai diciotto, Nicoletta si prov? a lottare; vano sforzo contro volont? strapotenti che la fiaccavano, perch? la fanciulla si sentiva sola di fronte a tutta la famiglia, a tutti i parenti i pi? lontani, a tutte le conoscenze e le amicizie di casa.

La signora Carlotta portava intorno la passione di sua figlia per il palcoscenico come un mendicante porta in giro il suo moncherino, per ispirar piet? e ribrezzo; e si faceva compiangere largamente e suscitava la simpatia che si riserba alle grandi sventure. Il padre ne parlava come un giuocatore di Borsa parla della guerra imminente che gli far? perdere una fortuna. I parenti non ne menavan rumore, ma ne discorrevano senza posa, sottovoce, come d'un mal di famiglia o d'una piaga nascosta.

Nicoletta sentiva d'essere malamente amata; non gi? perch? si contrastava il suo desiderio, ma pel modo chiassoso e villano con cui si contrastava, ma perch? pesava sulle sue fragili spalle una riprovazione, palese o tacita, sproporzionata alla causa, ma perch? si ribellava, s'offendeva della figura che volevan formarle: la figura d'una ribelle sconsigliata, d'una piccola sciocca vanitosa, d'una ingrata senza cervello.

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