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Read Ebook: Spagna by De Amicis Edmondo

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Ebook has 602 lines and 102132 words, and 13 pages

he fanno a quale tira pi? gli sguardi; vien quasi da ridere; vi son colori che non si son mai visti sui muri; verde, incarnato, porporino; colori di fiori strani, di salse, di dolci, di stoffe da veste da ballo; se ci fosse a Burgos un manicomio di pittori si direbbe che la citt? fu colorita un giorno che scapparono i pazzi. A render pi? grazioso l'aspetto delle case, moltissime finestre hanno dinanzi una specie di terrazzino coperto, chiuso davanti da un'ampia vetrata, come una scans?a da museo; uno a ogni piano, per lo pi?, e quel di sopra appoggiato su quel di sotto, e il pi? basso sulle vetrine d'una bottega, in modo che dal suolo al tetto paion tutti insieme una vetrina sola d'una bottega smisurata; e dietro ai vetri d'ogni piano si vedono, come messi in mostra, visini di ragazze e di fanciulli, fiori, paesaggi e figurine di carta di Francia, tende ricamate, trine, rabeschi. S'io non l'avessi saputo, non mi sarebbe mai caduto in mente che una citt? siffatta potesse essere la Capitale della Vecchia Castiglia, il cui popolo ha fama di grave e di austero; l'avrei creduta una delle citt? andaluse dove la gente ? pi? allegra; m'ero figurato di vedere una matrona meditabonda, e avevo trovato una mascherina ghiribizzosa.

"No."

"Vuole una cartella della lotteria di Madrid?"

"Nemmeno."

"Vuole dei sigari di contrabbando?"

"Neppure."

"Vuole...?"

"Eh!"

L'amico si gratt? il mento.

"Vuol vedere i resti del Cid?"

Vivaddio, che salto! non importa: andiamo a vedere i resti del Cid.

La Cattedrale di Burgos ? uno dei pi? vasti, pi? belli e pi? ricchi monumenti della Cristianit?. Dieci volte scrissi in capo alla pagina queste parole, e dieci volte mi manc? il coraggio di proseguire, tanto mi sento inetto e meschino, paragonando le forze della mia mente alle difficolt? della descrizione.

La facciata ? sur una piccola piazza, dalla quale si pu? abbracciare collo sguardo una parte dell'immenso edificio; dagli altri lati, ricorrono strade tortuose e strette, che impediscono la vista. Da tutti i punti del tetto smisurato s'alzano guglie snelle e graziose, sopraccariche di ornamenti di color calcareo fosco, sporgenti oltre i pi? alti edifizi della citt?. Sul dinanzi, a destra e a sinistra della facciata, sorgono due campanili acuti, coperti di sculture dalla base alla cima, traforati, cesellati, ricamati, con una delicatezza e una grazia che innamora. Pi? in l?, verso il punto di mezzo della chiesa, sorge una torre straricca, essa pure, di bassorilievi e di fregi. E sulla facciata, sugli spigoli dei campanili, a tutti i piani, sotto tutti gli archi, da tutti i lati, una moltitudine innumerevole di statue d'angeli, di martiri, di guerrieri, di principi, cos? fitte, cos? varie d'atteggiamenti, e poste in cos? netto rilievo dalle forme leggiere dell'edifizio, da presentar quasi allo sguardo un'apparenza di vita, come d'una legione celeste posta a guardia del monumento. A risalir cogli occhi su per la facciata, fino al vertice delle guglie esterne, abbracciando a poco a poco tutta quell'armoniosa leggiadria di linee e di colori, si prova un senso dolcissimo come a sentire una musica che si elevi gradatamente da un'espressione di raccolta preghiera fino all'estasi d'un'ispirazione sublime. Prima ch'entriate nella chiesa, la vostra immaginazione spazia gi? fuori della terra.

La chiesa appartiene all'ordine chiamato gotico, dell'epoca del Rinascimento; ? divisa in tre lunghissime navate, attraversate per mezzo da una quarta, la quale separa il coro dall'altar maggiore. Sopra lo spazio compreso tra l'altare e il coro, s'innalza una cupola, formata dalla torre che si vede di sulla piazza. Voi volgete gli occhi in su, e restate un quarto d'ora a bocca aperta: ? un visibilio di bassorilievi, di statue, di colonnine, di finestrelle, d'arabeschi, d'archi sospesi, di sculture aeree, armonizzate in un disegno grandioso e gentile, la cui prima vista mette un tremito e fa sorridere, come l'improvviso accendersi, scoppiettare e risplendere d'un immenso foco artificiale. Mille vaghe immagini di paradiso che rallegrarono i nostri, sogni infantili si spiccano tutte insieme dalla mente estatica, e volteggiando su su come uno stuolo di farfalle si vanno a posare sui mille rilievi dell'altissima v?lta, e girano, e si confondono, e il vostro sguardo le segue come se le vedesse davvero, e il cuore vi batte, e vi fugge dal petto un sospiro.

Se dalla cupola volgete lo sguardo intorno, vi si offre uno spettacolo anche pi? stupendo. Le cappelle son altrettante chiese per vastit?, per variet?, per ricchezza. In ognuna ? seppellito un principe, o un vescovo, o un grande; la tomba ? nel mezzo, e v'? stesa su la statua rappresentante il sepolto, col capo appoggiato sur un origliere e le mani giunte sul petto; i sacerdoti vestiti dei loro abiti pi? pomposi, i principi delle loro armature, le donne delle loro vesti di gala. Tutte coteste tombe son ricoperte di un ampio panno che ricasca dai lati e che assecondando i rilievi angolosi delle statue, fa parer che ci siano sotto davvero le membra irrigidite d'un corpo umano. Da qualunque parte uno si volga, vede lontano, fra gli smisurati pilastri, dietro i ricchi cancelli, all'incerto chiarore che scende dalle altissime finestre, quei mausolei, quei drappi funebri, quei rigidi profili di cadaveri. Avvicinandosi alle cappelle, si resta sbalorditi dalla profusione delle sculture, dei marmi, degli ori che ne adornano le pareti, le v?lte, gli altari: ogni cappella racchiude un esercito d'angeli e di santi scolpiti nel marmo, nel legno, dipinti, dorati, vestiti; in qualunque punto del pavimento il vostro sguardo si fermi, ? spinto su di bassorilievo in bassorilievo, di nicchia in nicchia, di rabesco in rabesco, di dipinto in dipinto, fino alla v?lta, e dalla v?lta, per un'altra catena di sculture e di pitture, ricondotto al pavimento. Da qualunque lato volgiate il viso, incontrate occhi che vi guardano, mani che vi accennano, teste di cherubini che fan capolino, svolazzetti che par che s'agitino, nuvole che par che salgano, soli di cristallo che par che tremolino; una variet? infinita di forme, di colori, di riflessi, che v'abbagliano gli occhi e vi confondon la testa.

Non basterebbe un volume a descrivere tutti i capolavori di scultura e di pittura che son sparsi in questa immensa cattedrale. Nella sagrestia della cappella del Conestabile di Castiglia ? una bellissima Maddalena attribuita a Leonardo da Vinci; nella cappella della Presentazione una Vergine attribuita a Michelangelo, in un'altra una Santa Famiglia attribuita ad Andrea del Sarto. Di nessuno dei tre quadri si conosce sicuramente l'autore; ma quando vidi tirar la cortina che li copriva, e udii proferire con voce riverente quei nomi, mi corse un brivido dalla testa ai piedi. Provai per la prima volta in tutta la sua forza quel sentimento di gratitudine che dobbiamo ai grandi artisti, che resero il nome d'Italia riverito e caro nel mondo; compresi per la prima volta ch'essi non sono solamente illustratori, ma benefattori della loro patria; e non solo di chi ha intelletto per comprenderli ed ammirarli, ma anche di chi sia cieco alle opere loro, anche di chi non li curi, o gl'ignori. Perch? a chi manca il sentimento del bello, non manca l'orgoglio nazionale, e chi non sente neppur questo, sente almeno l'orgoglio suo, e gode nel profondo dell'anima quando non foss'altri che un sagrestano, all'udirgli dire: nacqui in Italia... gli sorride e si rallegra; e di quel sorriso e del suo godimento ei va debitore ai grandi nomi che non gli toccavan l'anima prima di uscir dai confini del suo paese. Quei grandi nomi l'accompagnano e lo proteggono, dovunque ei vada, come indivisibili amici; lo fan parere meno straniero fra gli stranieri; gli spargono intorno al viso un riflesso luminoso della loro gloria. Quanti sorrisi, quante strette di mano, quante parole cortesi di gente ignota dobbiamo a Raffaello, a Michelangiolo, all'Ariosto, al Rossini!

Chi vuol vedere cotesta Cattedrale in un giorno bisogna che passi dinanzi ai capolavori correndo. La porta scolpita che d? nel chiostro ha fama di essere, dopo le porte del Battistero di Firenze, la pi? bella del mondo; dietro l'altar maggiore ? uno stupendo bassorilievo di Filippo di Borgogna, rappresentante la Passione di Cristo, una composizione immensa, a cui si direbbe non possa esser bastata la vita d'un uomo; il coro ? un vero museo di scultura d'una ricchezza prodigiosa; il claustro ? pieno di tombe con su statue distese, e intorno una profusione di bassorilievi; nelle cappelle, intorno al coro, nelle sale della sagrestia, per tutto quadri dei pi? grandi artisti spagnuoli, statuette, colonne, ornamenti; l'altar maggiore, gli organi, le porte, le scale, le inferriate, ogni cosa ? grande e magnifico, e desta e schiaccia nello stesso punto l'ammirazione. Ma a che pro aumentar parole su parole? La pi? minuta descrizione potrebbe dare un'immagine viva della cosa? E quando avessi scritto una pagina per ogni quadro, per ogni statua, per ogni bassorilievo, sarei riuscito forse a destare nell'animo altrui, solo per un istante, la commozione che io provai?

Un sagrestano mi si avvicin?, e mi mormor? nell'orecchio, come se mi rivelasse un segreto:

"Vuol vedere il Cristo?"

"Qual Cristo?"

"Eh!" rispose "si sa, quel famoso!"

Il famoso Cristo della cattedrale di Burgos, che sanguina tutti i venerd?, merita un cenno particolare. Il sagrestano vi fa entrare in una cappella misteriosa, chiude le imposte delle finestre, accende due candele sull'altare, tira un cordoncino, una tenda corre, e il Cristo ? l?. Se al primo vederlo non pigliate la fuga, siete anime forti: un cadavere vero piantato sulla croce non vi metterebbe pi? orrore. Non ? una statua, come le altre, di legno dipinto; ? di pelle, si dice che ? una pelle umana, imbottita; ha dei veri capelli e sopracciglia e ciglia e barba di pelo; i capelli intrisi di sangue, rigato di sangue il petto, le gambe, le mani; le piaghe che paion vere piaghe, il color della pelle, la contrazione del viso, l'atteggiamento, lo sguardo, ogni cosa terribilmente vera; direste che a toccarlo si deve sentire il tremito delle membra e il calor del sangue; vi par che le sue labbra si muovano, e stia per uscirne un lamento; non potete reggere lungo tempo a quella vista; vostro malgrado, torcete il viso, e dite al sagrestano:--Ho veduto!--

Dopo il Cristo, bisogna vedere il celebre cofano del Cid. ? un cofano sdrucito e tarlato, appeso ad una parete in una sala della sagrestia. La tradizione narra che il Cid portava seco questo cofano nelle sue guerre contro i Mori, e che i sacerdoti se ne servivano come d'altarino per celebrare la messa. Un giorno, trovandosi colle tasche vuote, il formidabile guerriero riemp? il cofano di sassi e di ferramenti, lo fece portar da un ebreo usuraio, e gli disse:--Il Cid ha bisogno di denaro; potrebbe vendere i suoi tesori, non vuole; dategli il danaro che gli occorre, egli ve lo render? fra breve cogl'interessi del novantanove per cento, e lascia intanto come pegno nelle vostre mani questo cofano prezioso che racchiude la sua fortuna. Ma ad un patto: che voi gli giuriate che non l'aprirete prima ch'ei v'abbia restituito l'aver vostro: v'? un segreto che non pu? esser noto ad altri che a Dio e a me: decidete.--O sia che gli usurai d'allora riponessero maggior fiducia negli ufficiali dell'esercito, o avessero un'oncia di pi? di minchioneria che quelli d'adesso, il fatto ? che l'usuraio del Cid accett? la proposta, prest? il giuramento e diede il denaro. Se il Cid si sia pi? fatto vivo, non so; e neanche se l'ebreo abbia dato querela; il fatto ? che il cofano c'? ancora, e che il sagrestano vi racconta celiando la cosa, senza sospettare neanco per ombra che sia una gherminella da briccone bollato, piuttosto che una burletta ingegnosa da galantuomo faceto.

Udita la storia, feci ancora un giro per la Cattedrale, pensando con tristezza che non l'avrei riveduta mai pi?, che di l? a poco tante meravigliose opere d'arte non sarebbero pi? state per me che un ricordo, e che questo ricordo un giorno si sarebbe turbato, o confuso con altri, o perduto. Un prete predicava sul pulpito davanti all'altar maggiore: la sua voce si sentiva appena; una folla di donne inginocchiate sul lastrico, col capo basso e le mani giunte, stavano ascoltando; il predicatore era un vecchio di aspetto venerabile, parlava della morte, della vita eterna, degli angeli, con un accento soave, e facendo ad ogni frase un atto della mano, come se volesse porgerla a una persona caduta, e dicesse:--Sorgi.--Io gli avrei porto la mia, gridandogli:--Sollevami.--La cattedrale di Burgos non ? trista come quasi tutte le altre di Spagna; m'aveva rasserenato l'animo, e disposto quietamente ai pensieri religiosi. Uscii ripetendo a fior di labbra, quasi senza accorgermene:--Sollevami;--mi voltai a guardar ancora una volta le ardite guglie e gli svelti campanili, e fantasticando mi diressi verso il centro della citt?.

Svoltando a una cantonata, mi trovai dinanzi a una bottega, che mi fece rabbrividire. Ce n'? di uguali a Barcellona e a Saragozza, e in tutte le altre citt? della Spagna; ma non so come, non ne avevo mai viste. Era una bottega ampia, pulita, con due stupende vetrine a destra e sinistra della porta; sulla soglia, una donnina sorridente, che faceva la calza, e un ragazzo, in fondo, che giocava. Eppure, guardando quella bottega, l'uomo pi? freddo avrebbe sentito una stretta al cuore, l'uomo pi? allegro si sarebbe turbato. Ve la do in mille a indovinare. Nelle vetrine, dietro i battenti della porta, lungo le pareti, e su, fin quasi al soffitto, l'una sull'altra, in bell'ordine, come ceste di frutta, quali coperte di un bel velo ricamato, quali infiorate, dorate, scolpite, dipinte, v'eran tante casse da morto. Dentro, le casse per gli uomini; fuori, quelle pei bambini. Una delle vetrine combaciava dalla parte esterna con la vetrina d'una bottega da salumaio, in modo che le casse toccavan quasi le uova e i formaggi; e si poteva dare benissimo che un cittadino frettoloso, credendo d'andarsi a comperar la colezione, sbagliasse la porta, e andasse a inciampar nelle bare: scambio poco atto a stuzzicar l'appetito.

Cos? partii da Burgos senz'aver visto proprio altro che monumenti, ciceroni e soldati, poich? le castigliane, impaurite dalla pioggia, non avevano osato avventurare i loro piedini nella strada; e mi rimase perci? un ricordo quasi tristo di quella citt?, nonostante la pompa dei suoi colori e la magnificenza della sua Cattedrale.

Da Burgos a Valladolid, la campagna ? poco diversa che da Saragozza a Miranda; sono ancora quelle pianure vaste e spopolate, cinte di colline rossastre, dalle forme recise e dalle creste nude; quelle lande solitarie, mute, inondate d'una luce ardente, che volgon la fantasia ai deserti dell'Affrica, alla vita romita, al cielo, all'infinito, destando nel cuore un sentimento inesprimibile di stanchezza e di malinconia. In mezzo a quelle pianure, in quella solitudine, in quel silenzio, si comprende la mistica natura del popolo delle Castiglie, la fede ardente dei suoi re, le sacre ispirazioni dei suoi poeti, le estasi divine dei suoi santi, le sue grandi chiese, i suoi grandi chiostri, e la sua grande istoria.

VALLADOLID.

E lo svegliarsi in una citt? sconosciuta, quando ci si ? andati per elezione, ? infatti un piacere vivissimo. Quel pensare che dal momento che uscirete di casa fino a quando ci tornerete la notte, non farete che passare di curiosit? in curiosit?, e di soddisfazione in soddisfazione; che tutto quello che vedrete vi riuscir? nuovo, e che ad ogni passo imparerete qualcosa, e che ogni cosa vi s'imprimer? nella memoria per tutta la vita; che sarete tutta la giornata libero come l'aria e allegro come un uccello, senza un pensiero al mondo, fuor di quello di divertirvi; che divertendovi, gioverete nello stesso punto alla salute del corpo, dell'animo e dell'intelletto; che il termine, finalmente, di tutti questi piaceri, invece di avere per voi qualcosa di malinconico come la sera dei d? di festa, non sar? che il principio d'un'altra serie di diletti, che vi accompagner? da quella citt? ad un'altra, da questa a una terza, e via via, per uno spazio di tempo al quale la vostra fantasia si compiace di non assegnare confini; tutti questi pensieri, dico, che vi si affacciano alla mente in folla, nel punto che aprite gli occhi, vi danno una cosiffatta scossa di gioia, che prima di avvedervene, vi trovate ritto in mezzo alla stanza, col cappello in testa e la Guida tra le mani.

Andiamo dunque a godere Valladolid.

Svoltando in una strada accanto, vidi la facciata del Collegio domenicano di San Gregorio, pure gotica, e pi? grandiosa e pi? ricca di quella di San Paolo. Poi, di strada in strada, giunsi fino alla piazza della Cattedrale. Nel punto che sbocco nella piazza, incontro una spagnolina graziosissima, alla quale si sarebbero potuti applicare quei due versi dell'Espronceda:

<>

o il nostro <> che ? la grazia suprema delle donne spagnuole. Aveva nell'andatura quei mille sfuggevoli guizzi e mollissimi ondeggiamenti, che l'occhio non iscorge a uno a uno, n? la memoria ritiene, n? la parola esprime; ma che formano tutti insieme quello che ha di pi? seducentemente femminino la donna. Qui mi trovai in un imbarazzo; vedevo in fondo alla piazza la gran mole della Cattedrale, e la curiosit? mi stimolava a guardare la mole; vedevo, pochi passi davanti a me, quella personcina, e una curiosit? non meno viva mi costringeva a guardare la personcina; e non volendo perdere n? il primo colpo d'occhio della Chiesa, n? la fugace vista della donna, correvo cogli occhi dal visino alla cupola e dalla cupola al visino, con s? affannosa avidit?, che la bella sconosciuta dovette credere certamente ch'io avessi scoperto una qualche corrispondenza di linee, o qualche legame misterioso di simpatia fra lei e l'edifizio; perch? si volse a guardar la chiesa essa pure, e passandomi accanto sorrise.

Poche ore dopo mi trovavo in un carrozzone del treno che andava a Madrid, e non era anche finito il fischio della partenza, che io mi diedi un gran colpo della mano sulla fronte. Ahim?! era tardi; a Valladolid avevo dimenticato di visitare la stanza dove mor? Cristoforo Colombo!

NOTE:

MADRID.

<>

<<...... mestier facile e piano.>>

Non dissi che dei teatri: a Madrid v'? un concerto musicale, si pu? dire, ogni giorno; concerti nei teatri, concerti nelle sale accademiche, concerti nelle strade, e poi una folla di suonatori ambulanti che vi assordano a tutte le ore del giorno. Dopo tutto questo viene fatto di dimandare come mai un popolo tanto infatuato della musica, da averne bisogno, sto per dire, come dell'aria che respira, non abbia dato all'arte alcun grande maestro. Gli Spagnuoli non se ne sanno dar pace!

V'? ancora a Madrid un grande Museo d'Artiglieria, un immenso Museo del Genio, un bel Museo Archeologico, un ragguardevole Museo di storia naturale; vi sono altre mille cose degne di veduta; delle quali bisogna nulla meno sacrificar la descrizione al meraviglioso Museo di pittura.

Il giorno in cui s'entra per la prima volta in un Museo come quello di Madrid costituisce una data storica nella vita d'un uomo; ? un avvenimento importante come il matrimonio, la nascita d'un bambino, la presa d'un'eredit?; se ne sentono gli effetti fino alla morte. E ci? perch? un Museo come quello di Madrid, come quello di Firenze, come quello di Roma, ? un mondo; una giornata passata fra quelle pareti ? un anno di vita; un anno di vita agitata da tutte le passioni che ci possono agitare nella vita reale: l'amore, la religione, il furor di patria, l'ardor della gloria; un anno di vita per quello che ci si gode, per quello che ci s'impara, per quello che ci si pensa, per i conforti che ci si raccolgono per l'avvenire; un anno di vita in cui si sian letti mille volumi, esperimentati mille affetti, corse mille avventure. Questi pensieri volgevo in mente dirigendomi a rapidi passi verso il palazzo del Museo di pittura, posto a sinistra del Prado, per chi venga dalla strada d'Alcal?; ed era tanta la gioia che mi agitava, che giunto dinanzi alla porta, mi fermai, e dissi a me stesso:--Vediamo!... Che cosa hai tu fatto nella vita per meritare d'entrar l? dentro? Nulla! Ebbene, il giorno che ti colpisca una disgrazia, china la testa, e tien per saldata la partita.--

Sbollito il primo entusiasmo, si comincia ad ammirare. In mezzo a un esercito di tali artisti, dei quali ciascuno richiederebbe un libro a s?, mi attengo agli Spagnuoli, e tra questi, ai quattro che mi destarono un'ammirazione pi? profonda, e delle cui tele serbo una memoria pi? distinta.

Pochi giorni dopo ch'ero arrivato a Madrid, vidi per la prima volta, sboccando dalla strada d'Alcal? nella piazza della Porta del Sole, il re Amedeo. Provai un piacere vivissimo, come se avessi riveduto il pi? intimo dei miei amici. ? curiosa quella di trovarsi in un paese dove l'unica persona che si conosca ? il Re! Verrebbe voglia di corrergli dietro gridando:--Maest?! son io, sono arrivato.--

Il Re e la Regina solevan pranzare con un maggiordomo e una dama di Corte. Dopo il pranzo, il Re fumava un sigaro di Virginia , e andava nel suo gabinetto ad occuparsi delle cose di Stato. Soleva pigliar molti appunti e consigliarsi spesso colla Regina, specie quando si trattava di metter l'accordo tra i Ministri, o comporre gli animi divisi dei capi di parte. Leggeva un gran numero di gazzette d'ogni colore, le lettere cieche che lo minacciavan di morte, quelle che gli davan dei consigli, le poesie satiriche, i progetti di rinnovamento sociale, tutto quello che gli mandavano. Verso le tre esciva dal Palazzo a cavallo, le trombe della Guardia squillavano, un servitore vestito di rosso lo seguiva alla distanza di cinquanta passi. A vederlo, si sarebbe detto ch'egli non sapeva d'essere il Re: guardava i bambini che passavano, le insegne delle botteghe, i soldati, le diligenze, le fontane, con un'espressione di curiosit? quasi infantile. Percorreva tutta la strada Alcal?, lentamente, come un cittadino sconosciuto che pensasse ai fatti suoi, e se ne andava al Prado a godere la sua parte d'aria e di sole. I Ministri strillavano; i borbonici, assuefatti all'imponente corteo d'Isabella, dicevano ch'egli strascinava per le strade la maest? del trono di San Ferdinando; persino il servitore che lo seguiva, guardava intorno con un'aria crucciata, come per dire:--Vedete un po' che pazzie!--ma checch? si dicesse, il Re non poteva pigliar l'abitudine di aver paura. E gli Spagnuoli, convien dirlo, gli rendevan giustizia, e qual si fosse il giudizio che portassero della sua mente, della sua condotta e del suo governo, non mancavan mai di soggiungere:--In quanto a coraggio poi, non c'? nulla da dire.

Questa milizia nazionale, bench? meno disfatta e sfinita della nostra, non ? pi? tuttavia che una larva; il ridicolo ne ha corroso le radici; ma come divertimento nei giorni di festa, bench? il numero dei volontarii sia molto scemato , ? sempre uno spettacolo che rivende tutte le antenne e tutti i cenci rossi del signor Ottino.

Il Circo ? pieno zeppo ed offre uno spettacolo del quale ? impossibile, a chi non l'abbia visto, di formarsi un'immagine; ? un mare di teste, di cappelli, di ventagli, di mani che s'agitano in aria; dalla parte dell'ombra, dove sono i signori, tutto nero; dalla parte del sole, dov'? il basso popolo, mille colori vivissimi di vestiti, di ombrellini, di ventagli di carta, un'immensa mascherata; non c'? pi? posto per un bambino; la folla ? compatta come una falange, nessuno pu? uscire, si stenta a muovere le braccia. E non ? un brulich?o, uno strepito come negli altri teatri; ? diverso; ? un'agitazione, una vita affatto propria del Circo; tutti gridano, si chiamano, si salutano, con un'allegrezza frenetica; i bambini e le donne strillano, gli uomini pi? gravi folleggiano come giovinetti; i giovani, a gruppi di venti, di trenta insieme, vociando in cadenza, e battendo le canne sulle gradinate, annunziano al rappresentante del Municipio che ? l'ora; nei palchi ? un ribollimento da piccionaja di teatro diurno; al grid?o assordante della folla si mescono gli urli d'un centinaio di rivenditori che gettano aranci da tutte le parti; suona la banda, i tori muggiscono, rumoreggia la folla accalcata di fuori; ? uno spettacolo che d? le vertigini; prima che la lotta cominci, si ? gi? stanchi, ebbri, smemorati.

Ah! si ha un bell'avere la fibra forte: in quel momento si diventa bianchi come cadaveri!

L'impressione insomma che lascia nell'animo questo spettacolo ? indescrivibile, ? un miscuglio di sentimenti nel quale ? impossibile raccapezzar nulla di schietto, non si sa che pensarne. A momenti, inorriditi, vorreste fuggire dal Circo, e giurate di non tornarci mai pi?; a momenti, meravigliati, rapiti, quasi ebbri, non vorreste che lo spettacolo avesse mai fine; ora vi sentite quasi pigliar male; ora anche voi, come i vostri vicini, prorompete in grida, in risa e in applausi; il sangue vi fa ribrezzo, ma il coraggio meraviglioso dell'uomo vi esalta; il pericolo vi stringe il cuore, ma la vittoria vi rallegra; a poco a poco la febbre che agita la folla s'impadronisce di voi; non riconoscete pi? voi stesso; siete un altro; avete anche voi degli accessi d'ira, di ferocia, d'entusiasmo; vi sentite vigoroso e audace; la lotta vi accende il sangue; il balen?o della spada vi mette un fremito; e poi quelle migliaia di visi, quello strepito, quella musica, quei mugg?ti, quel sangue, quei silenzi profondi, quei fragori improvvisi, quella vastit?, quella luce, quei colori, quel non so che di grande, di forte, di crudele, di magnifico, che v'abbarbaglia, vi stordisce e vi rimescola....

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Dopo le donne, le fiere. In vari tempi si fece combattere il toro coi leoni e colle tigri; pochi anni or sono ebbe luogo una di codeste lotte nel Circo di Madrid. ? celebre quella che fece fare il conte duca di Olivares per festeggiar il giorno onomastico, se non m'inganna la memoria, di Don Baltasar Carlos d'Austria, principe delle Asturie. Il toro combatt? col leone, colla tigre, col leopardo, e riusc? vincitore di tutti. Anche nel combattimento di pochi anni sono, la tigre e il leone ebbero la peggio; l'una e l'altro si slanciarono impetuosamente addosso al toro; ma prima di riuscire ad addentargli il collo, infilati dal terribile corno, caddero a terra in un lago di sangue. Il solo elefante, un elefante enorme che vive tuttora nei giardini del Buon Ritiro, riport? la vittoria: il toro lo assal?, quegli non fece che mettergli la testa sul dorso e premere, e la pressione fu cos? delicata che il malcauto assalitore ne fu schiacciato come una polpetta. Ma ? agevole immaginare quanta destrezza, quanto coraggio, e che imperturbabile tranquillit? d'animo occorra ad un uomo per affrontare con la spada un animale che uccide il leone, che assale l'elefante, e che per tutto dove tocca, squarcia, spezza, rovescia ed insanguina! E vi son degli uomini che l'affrontano tutti i giorni!

Ma, insomma, un giudizio finale sulle corse dei tori! Sono o no una cosa barbara, indegna d'un popolo civile? Sono o no uno spettacolo che guasta il cuore? Fuori una parola schietta! Una parola schietta? Io non voglio, rispondendo in un modo, tirarmi addosso un diluvio d'invettive, e rispondendo in un altro, darmi della zappa sui piedi, dacch? debbo confessare che sono andato al Circo tutte le domeniche. Ho narrato e descritto, il lettore ne sa quanto me, giudichi lui, e mi conceda di non metterci bocca.

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