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Read Ebook: Il re dei re vol. 1 Convoglio diretto nell'XI secolo by Petruccelli Della Gattina Ferdinando

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Ebook has 722 lines and 44248 words, and 15 pages

BIBLIOTECA NUOVA

PUBBLICATA DA G. DAELLI

IL RE DEI RE

Stabil. tip. gi? Benietti, diretto da F. Gareffi.

RE DEI RE

PER

F. PETRUCCELLI DELLA GATTINA

MILANO G. Daelli e C. Editori.

LIBRO PRIMO

IL PLACITO.

La mattina 26 giugno 1070 nella badia di Montecasino era affaccendato movimento. Frati che ivano e redivano pei chiostri colonnati recando vasi sacri e ricchi panni di chiesa, scudieri che lustravano usberghi e giacchi di maglia, palafrenieri attenti al governo di numerosi cavalli, damigelli che dalle cucine servivano succulenti asciolvere ai padroni negli assegnati appartamenti, oltre numero molto di vassalli intenti a servigi diversi dell'abadia, e grossa folla di chierici che accompagnavano i vescovi. Tutti trovavano alcuna cosa a dire, alcun comento a fare sulla povert? santa dei frati, ricevendo e comunicando ordini, ghignazzando, motteggiando. Erano nell'abadia quarantatr? vescovi, e dieci arcivescovi, Sergio duca di Napoli, Gisulfo II principe di Salerno e i suoi fratelli, Sergio duca di Sorrento, Riccardo principe di Capua con Giordano suo figlio e Rainulfo suo fratello, Landolfo principe di Benevento, i conti di Marsi, e moltissimi tra baroni normanni e longobardi di minor conto, e valvassori, ed uomini liberi. Infine vi era papa Alessandro II con codazzo pomposo di laici ed ecclesiastici. L'abate Desiderio aveva ristaurata la chiesa, ed invitato il papa a consacrarla. Ed onde al pontefice fosse resa maggiore onoranza, tutt'i sopra detti signori vennero sollecitati di preghiere molte a recarsi al monistero. Cos? che corte splendida al di l? dei desiderii si ragunava intorno ad Alessandro, di queste vanit? mondane ghiotto; superbo nei modi; svogliato nel condurre gli affari.

N? per vero bisogna ingollarsi che papa Alessandro si togliesse al suo dolce far niente di Roma solamente per compiacere l'abate. Aveva sibbene riposto pensiero che in lui tutt'i d? teneva desto il suo cancelliero e consigliere. Al quale pensiero non avrebbe mai potuto dare altrimenti vigore, e forse vita, se non in occasione tanto solenne. Che perci?, nell'accettare l'invito, destramente all'abate insinu? di raccogliere a Montecasino quanto pi? di vescovi e baroni, onde i semi della supremazia ecclesiastica sulla laicale, che tre pontefici avevano di gi? principiato a spargere, si propagassero ancora. Non perch? allora si tenessero malcontenti dei progressi di questa idea, che per tre secoli form? base di dritto pubblico, ma perch? ogni Assuero ha il suo Mardocheo, il quale toglie il sonno alle vigili pupille, e la veneranza d'altrui neutralizza. Per modo che, compiute le cerimonie, diversamente la somma delle cose del mezzogiorno d'Italia il Papa, o il suo cancelliere, disegnava avviare, e rinsaldire i legami d'investitura per violenza da papa Niccol? II stabiliti. Aveva quindi benignamente accolto l'invito di Desiderio, e lasciate le mollezze di Roma.

A Costantinopoli l'abate aveva fatto fondere le porte di bronzo storiate, che ancora adesso sono alla chiesa; di Costantinopoli erano venuti i fabbricatori di musaici, che bellissimi di fiori e figure ornavano l'abside. I quali artefici, oltre dell'opere, istruirono altres? taluni dei frati i quali fecero poscia vivere quest'arte in Italia. N? altri uomini periti nell'operare l'oro, l'argento, il ferro, il bronzo, l'avorio, il vetro, il legno, il talco, ed il marmo trasand? convocare di Francia, come altres? di Lamagna, d'Italia tutta e di Grecia, onde bellissima, e riccamente ornata tornare quella basilica. Alla cui splendidezza concorsero con donativi di oro e di ricchi drappi molti principi oltremontani, e quasi tutti i baroni del regno. Non mica gi? perch? d'uopo ne avesse l'abadia, potente e doviziosa a pari delle migliori di Europa, ma perch? quel di Montecasino era pellegrinaggio in voga a quei tempi, ed i nobili palmieri giammai tornavano alle patrie loro senza largamente pagare il perdono delle peccata. Sicch? maravigliosa a vedere quella mattina poteva dirsi la chiesa, non solamente perch? sfolgorava di lampade moltissime d'oro e d'argento e delle stoffe pi? sontuose che, tessendo sete per colori diversi e lamine d'oro e ricami di pietre preziose, allora si usassero; ma perch? il corteggio che formavano al papa tanti vescovi e signori abbarbagliava. Ed abbarbagliava nel pieno senso della parola, dappoich? i lumi bellamente risplendevano sugli ghiazzerini lustrati d'acciaio e di argento, e nei pomposi rocchetti di trine d'oro che adoperavano i vescovi. Il sole poi, che penetrava per le finestre a vetri colorati, tappezzava le mura ed il lastrico di marmo d'un profluvio d'iride quasi che tutto fosse incrostato di pietre preziose. Mazzi di fiori in guastade d'oro ingombravano gli altari ed impregnavano l'aria di un profumo indefinibile. Gli organi mandavano fiotti di armonia.

Verso l'ora di sesta la funzione cominci?. Nel silenzio pi? profondo, nell'ordine meglio serbato, assistevano i circostanti, preparandosi alla comunione ed al riconciliamento coi nemici. Ed e' veramente pentiti allora, come disposti a rincrudelire negli odii e nelle avanie il d? dopo, rallegravano l'animo del pontefice, il quale la sottile sua politica vedeva profittare. Egli celebrava la messa; gran coro di damigelli francesi e di eunuchi romani cantavano, accompagnati dal suono dei tricordi e degli organi, cui toccavano maestri alemanni, i pi? periti allora in quest'arte. Cos? tirossi innanzi fino all'evangelo, cantato dall'arcivescovo di Bari. Allora il papa si assise sopra ricco trono per dar cominciamento al baciamano; perocch? allora la mano solamente al papa si baciava non il piede, come per la prima volta vilmente pratic? Lottario II, il 4 giugno 1133. Sicch? dunque Alessandro fra l'arcivescovo di Bari e quello di Napoli, con in testa il berretto frigio sormontato dalla corona, che papa Osmida pel primo us?, ed in dosso magnifica cappa rossa, si prestava a quell'atto primamente agli arcivescovi poi ai vescovi ed agli abati, per indi ricevere i secolari.

Ma sino a costoro la cerimonia non giunge. Da poich? nel mentre l'abate di Bansi scendeva i due gradini del soglio, ed il principe di Benevento si appressava per profferire a sua volta quel segno di divozione al sommo pontefice, un rumore si ode nell'atrio della chiesa, e ben presto si vede entrare un cavaliere coperto tutto di acciaro, col morione in testa a buffa calata che, aprendosi ardito varco fra mezzo a tanti, passa i balaustri, ascende il soglio, e giunto innanzi ad Alessandro II, sguaina il pugnale cui punta sul destro cosciale come scettro, e la visiera si alza.

Stordito all'atto ardimentoso ognuno gli leva sopra lo sguardo. Ed ebbero a vedere un giovane di poco meno di venti anni, le labbra appena ombrate da biondi baffi, gli occhi turchini fieri e scintillanti come quelli di un rettile, la bianca carnagione infoscata dal sole, accese le gote. In quell'atteggiamento maestoso ed impavido sembrava l'arcangelo che guarda il soglio di Dio. Egli si compiace un istante a scorrere lentamente lo sguardo su quell'adunata, poi fissa con piglio severo il pontefice e dice:

--Sire papa, tu sei il pi? codardo uomo di cristianit?.

Il volto di Alessandro, da bianco addivenuto per paura, arroventa. Nel tempo stesso cento destre cadono sui manichi dei pugnali, ch? le spade avean tutti lasciate fuori la porta, ed il principe di Benevento fa qualche passo onde istrappare quel temerario di quel sito, e gittarlo lontano. Ma lo sguardo altero del giovane l'arresta, e, dopo averlo considerato un istante con aria di freddo disprezzo, si rivolta novellamente ad Alessandro e soggiunge a voce forte e tranquilla:

--S?, sire papa, tu sei lo pi? vigliacco uomo di cristianit?. E voi, baroni, non vi mostrereste per avventura meno dappochi, se segno alcuno di veneranza veniste a fare a costui.

--Se non si tratta che di ci?! si ud? una voce partir dal gruppo dei baroni. Il cavaliere si volse da quel lato aspettando il seguito, ma non udendo pi? che un fremito indistinto in mezzo all'assemblea, continu?:

--Dio aveva chiamato il papa ad esser capo dei cristiani: in et? pi? avventurosa e' ne fu sempre la voce, il sostegno e l'esempio; ora e' si fa oltraggiare dai pi? imbelli, si fa schernire dai suoi vassalli. Papa Alessandro II ? il trastullo di Roberto Guiscardo e del priore Guiberto di Lacedonia.

Tutti aspettavansi grande esplosione dal pontefice, superbo e puntiglioso uomo, contro colui che gli gittava sul volto cos? mortali parole; pur nullameno diversamente avvenne. Dappoich?, se Alessandro II avesse voluto imaginare mezzo pi? efficace che al suo intento lo conducesse, meglio non avrebbe saputo. Anzi guard? in volto il suo cancelliero, pensando non fosse stato per consiglio di lui che quella scena quivi avvenisse. Ma vedendo che alfine anche costui radiava di gioia amara, si rivolge al giovane e calmamente favella:

--Bene dite, cavaliere, che noi siamo vigliacchi, e che non lo sono meno questi baroni, i quali, la nostra persona venerando, ci lasciano insultare da altrui. Essi per vero dimenticarono che Iddio noi rappresentiamo quaggi? e che ogni vituperio diretto al pontefice Iddio colpisce sull'eterno suo soglio di zaffiro.

--Essi non dimenticarono nulla, ser papa << lo interruppe il giovane >> tratto il nobile giuramento che profferirono prendendo il cingolo di milizia. La religione non si difende pi?: la donna vilipesa, l'orfano spogliato non trova pi? braccio generoso che per essi si levi. E sta bene, baroni; la paura di Guiscardo vi ha infiacchiti nell'anima. Ma quelle offese, che per altrui oggi non vendicate, da un d? all'altro sopra di voi ancora cadranno, sopra di voi sicuri in boria indolente.

--Ma, col vostro permesso, santo padre, chi fia codesto temerario che ci viene a vilipendere di modi cos? villani? >> dimanda il principe di Salerno, traendosi innanzi sino al soglio del papa.

Il giovane stava per rispondere, Alessandro gli fa cenno della mano e dice:

--Chi, messer principe? un inviato del Signore sicuramente. Egli ci ha chiamati vili perch? lasciamo conculcare la santa dignit?, di cui noi, servo dei servi di Dio, fummo investiti. Egli si ? apposto. Noi abbiamo scagliati gli anatemi contro codesto ribelle priore e contro codesto Guiscardo; abbiamo pianto su i mali della Chiesa ed invocata la forza laicale. I vigliacchi dunque siete voi, o baroni, che ci vedete spogliare, ci vedete offendere, e non curate delle nostre preghiere. Sa Iddio se questa amara parola di codardi noi vi avremmo mai fatta udire; ma poich? dessa usc? di bocca ad un generoso, se la tolga cui spetta, che noi la nostra missione compimmo fin dove la carit? ci consigliava.

--Morte al priore, morte a Guiscardo << scoppiarono allora unanimi quanti erano nella chiesa, infiammati >> vendetta, vendetta!

--Ah! << sclama il giovane sogghignando e rimettendo il pugnale nella vagina >> levate pure la voce, levatela forte, messeri, ch? Roberto ? lontano, assai lontano per udirvi, il priore troppo immerso fra i bagordi delle sue concubine. Ma guardatevi bene, baroni, studiate attentamente di non inchinarli abbastanza umilmente quando essi vi saranno da presso, ch? le incaute parole di questa mattina sono sentenza di morte per vassalli i quali ai loro padroni forfanno.

--Se questo ragazzo ha il braccio libero come ha lo scilinguagnolo, eh! eh!--mormora di nuovo una voce dal gruppo dei baroni.

--Noi non siamo vassalli di chicchessia, arrogante baccelliere << grida a sua volta il principe di Capua >> n? di alcuno temiamo dopo il Signore. Il duca Roberto Guiscardo, il valvassore di Lacedonia, non ci oltraggiarono mai direttamente perch? noi, con l'aiuto di Dio, sappiamo bene come le offese si vendicano, e speriamo nell'arcangelo del Gargano ed in questo barone s. Benedetto di mostrarlo un poco anche a voi, se pur siete cavaliere. Il solo torto che abbiamo a rimproverarci d'innanzi a Dio gli ? di non aver prestato mano al santo pontefice nelle sue querele con questi due baroni. Ebbene, per quelle sante reliquie dunque giuriamo che non saranno passati sei mesi...

--Uhm! meritare l'? uno, darglielo ? un altro; ci badi messere, susurra taluno di mezzo all'adunanza.

--A domani << replica il principe di Capua ritirandosi >> e riposate pure tranquillo, santo padre, ch? il vostro dolore ci si scolpisce nel cuore. Ricominciate le cerimonie.

--Aspettate << interrompe il giovane facendo cenno al papa di sedere >> Il principe Gisulfo da uomo prudente si dichiar? campione del marito di sua sorella e dell'audace priore: il principe Riccardo, da bravo cristiano, si arrest? in mezzo ad uno spavaldo di giuramento, che in cuore suo sapeva non poter compire giammai: i duchi di Sorrento e di Napoli, assorti nelle beate visioni dei loro feudi incantati, pensano a tutelarvisi dentro come le lumache nel guscio: il principe di Benevento medita la morte di languore, in cui, unitamente al suo Stato, si consuma: vescovi ed arcivescovi ardono di ritornare agli ozii voluttuosi dei loro castelli ed ordinare cacce e processioni onde viver lieti e tranquilli. Ma voi, ser papa, uditemi bene, voi direte al vostro monsignor Ges? Cristo, che fra qualche minuto chiamerete nell'ostia, voi gli direte che avete udito giurare a Baccelardo, duca di Puglia, spogliato dei suoi Stati dal suo zio Roberto Guiscardo, che allora e' perdoner? a costui, quando quelle sante reliquie di Macario e di Benedetto prenderanno di nuovo forma umana, e diranno: Dio non ?! Dio non ?! Voi, sire papa e baroni, siatemi testimoni del giuramento che ho fatto.

E s? dicendo il giovane proscritto scendeva dal soglio del pontefice, attraversava la chiesa con la medesima maest? con cui era entrato, montava a cavallo e partiva dal monistero. E quei signori, lungi dal fare onta alcuna al diseredato, lo compiansero e molti gli giurarono protezione. Il cancelliero di Alessandro dal suo primo apparire gli aveva fissato addosso l'immobile sguardo, quasi avesse voluto ben bene comprenderlo; poi aveva abbassato il capo, n? pi? fatto atto che il suo pensamento rivelasse, n? detto motto.

MAF. Madame, je suis Maffio Orsini fr?re du Duc de Gravina que vos sbires ont ?trangl? la nuit pendant qu'il dormait.

IEP. Madame, je suis Ieppo Liveretto neveu de Liverotto Vitelli, que vous avez fait poignarder dans les caves du Vatican.

OLOF. Madame, je m'appelle Oloferno Vitellozzo neveu de Iago d'Appiani, que vous avez empoisonn? dans une f?te apr?s lui avoir tra?treusement derob? sa bonne citadelle seigneurial de Piombino.

DON APOS. Madame, vous avez mis ? mort sur l'?chafaud Don Francisco Gazzella....... Je suis Don Apostolo Gazzella.

Primamente, che oltre le dignit? ecclesiastiche fino a quella di priore, ed alle laicali fino a quella di castellano o valvassore, non si permetteva a chicchessia intervenire all'adunata se non fosse per particolarmente far atto di accusa o di difesa contro i due giudicabili; da poich? gli uomini della condizione di Roberto Guiscardo e del priore barone di Lacedonia dovevano aspettarsi di essere giudicati da loro pari.

Infine, che ciascheduno metterebbe in un'urna il suo voto, designando con dado bianco l'assoluzione, con dado nero la condanna, giusta il codice longobardo in voga anche presso i Normanni.

A terza dunque, come si ? detto, tutti trovavansi pronti nella grande sala del capitolo. Le porte del monistero si chiusero, onde niuno di fuori venisse a sturbarli. Innanzi ad un grande tavolo di legno di quercia sedeva il cancelliero di papa Alessandro, con la testa scoverta, severo e sereno. Presso di lui stava un'urna per raccogliere le tessere, il codice longobardo, ed il calamaio con pergamene. A fianco di lui il principe Gisulfo, scoverto del pari, con una manopola di ferro innanzi. Negli stalli del capitolo ed in altri seggi appositamente quivi allogati sedevano gli ecclesiastici ed i baroni. Alcuni ravviluppati in grandi cappe co' becchetti tirati infino agli occhi, altri con celate in testa e visiere calate; tal che per sola congettura alcun di loro si poteva ravvisare. Il lume delle finestre , era stato temperato con tendine di seta. Tutto inspirava solennit? luttuosa.

Quando furono accolti, le porte serraronsi e vi si apposero a guardia quattro labardieri. Il cancelliere allora si ginocchi? per invocare lumi di giustizia dallo Spirito Santo. Gli altri baroni ne seguirono l'esempio. Ciascuno preg? in segreto per un istante, poi tutti silenziosi si riassisero ed il cancelliero volgendosi verso uno degli stalli della destra, con maest? disse:

--Campione della Chiesa, la parola ? a voi.

E lento lento da uno di que' stalli si alza come un'ombra un uomo strettamente involto nel mantello e tirasi in mezzo alla sala. Qualcuno pens? che colui fosse l'abate Desiderio in persona, altri il celebre Amato. Noi propendiamo pel primo. Egli dunque stava per favellare, allorch? gli sorge da canto un cavaliere chiuso nell'elmo e parla:

--Con la vostra sopportazione, bel sere, ancora un momento. Le querele del papa giungeranno a migliore proposito dopo ci? che io dir?.

Il campione della Chiesa fa con la testa cenno di assentire, e si ritragge a sedere. L'altro si alza la vantaglia, s? che ognuno ravvisa Baccelardo, e comincia:

--Io accenno a cose, baroni, che le vostre signorie gi? conoscono. Gli ? per? bene che abbiano la cortesia di rammentarsele. Nel cominciar di questo secolo, quaranta pellegrini sopra galee amalfitane, tornando di Terra Santa, approdavano a Salerno nel momento proprio che una flottiglia di Saraceni appariva nella rada e si cacciava nel porto, chiedendo forte riscatto. Il principe, per farli desistere dalle avanie, promette, ed i suoi vassalli comincia a tribolare per raccogliere la somma. I quaranta palmieri, maravigliati di tanta obbrobriosa condotta, dimandano armi e cavalli; e nel bel delle crapole e dell'orgie, in che guazzavano i Saraceni, vi dan dentro e ne fanno poderoso macello. Il rimanente ottiene appena in ventura risalir sulle navi e fuggire. Quei palmieri erano normanni. Guaimaro li colma di doni e di grazie, e li solletica con promesse di onoranze perch? restassero nella sua corte. Coloro per?, caldi di riveder la patria loro, gli rispondono: << che non potevano rimanere avendo da molti anni peregrinato, che speravano visitare ancora i santuari di monte Gargano e di Montecasino, e risalutare i tetti paterni, promettengli l'invio di altri loro compagni. >>

Il principe, confortato di tali promesse, li accomiata carichi di molti e bei regali. Quei Normanni giungono alla patria. I concittadini loro stupefatti de' ricchi presenti, spronati dal racconto de' splendori del cielo d'Italia, si pongono sotto la condotta di Osmondo Drengotto, ed uniti fra fratelli e nipoti, in pressoch? cento, vengono in Italia.

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