Read Ebook: Il re dei re vol. 1 Convoglio diretto nell'XI secolo by Petruccelli Della Gattina Ferdinando
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Ebook has 722 lines and 44248 words, and 15 pages
Il principe, confortato di tali promesse, li accomiata carichi di molti e bei regali. Quei Normanni giungono alla patria. I concittadini loro stupefatti de' ricchi presenti, spronati dal racconto de' splendori del cielo d'Italia, si pongono sotto la condotta di Osmondo Drengotto, ed uniti fra fratelli e nipoti, in pressoch? cento, vengono in Italia.
Io non ricorder? a voi testimoni, parte, vittime dei Normanni, i loro fatti, le loro conquiste, coma e quando venissero i primi figli di Tancredi d'Altavilla, Guglielmo Braccio-di-ferro, Drogone ed Umfredo, n? quali servigi e' rendessero ai principi longobardi e quali ricompense ne togliessero, n? come infine, dopo largo pugnare, occupassero vasto paese, e Guglielmo Braccio-di-ferro fosse scelto a Matera capo dei Normanni e nominato conte di Puglia....
--Sta bene, sta bene, sclama il principe Gisulfo, sappiamo ci?, ser cavaliere; siateci cortese di venire ai vostri propositi.
--Ci siamo, monsignore, continua Baccelardo. I soldati longobardi adunque, i Normanni, gl'Italiani, i loro capi, il popolo, la maestranza, tutti si uniscono, e a suono di timpani e di oricalchi, levato Guglielmo sopra uno scudo, gli affidano il gonfalone della loro nuova terra, gli danno l'elmo sormontato da cerchio d'oro e la rotella insignita della divisa medesima in campo di argento, e lo proclamano conte di Puglia--riconoscendolo per loro primo condottiero e signore. Indi recandosi tutti ai dieta a Melfi, si dividono il conquisto. Non stette guari per? e Guglielmo muore a Venosa.
--Da scomunicato.
--Da cristiano e da guerriero, senza rimorsi e senza paura, grida Baccelardo. Poi continua:
--I Normanni, accoltisi di nuovo a dieta, eleggono conte suo fratello Drogone. In quel tomo di tempo vennero gli altri figliuoli di Tancredi d'Altavilla. Umfredo padre mio, e maggiore tra i figli del secondo letto di Tancredi, fu creato conte. Roberto, che poscia per sua scaltrezza e perfidia addimandarono Guiscardo, fu mandato a sostenersi nella fortezza di San Marco in Calabria.
--E di chi era quel paese, ser cavaliere, se Dio vi aiuta? domanda una voce con accento commosso.
--Di Dio e di chi lo prendeva, riprende Baccelardo, peroch? erano terre occupate da vili, ed i vili non meritano una patria.
--Quella del papa non bastava dunque loro, domanda balbettando un membro dell'assemblea.
--Esse avevan tutte lo stesso valore, risponde Baccelardo. La investitura vera la tenevano dalle loro spade. Infrattanto i Pugliesi ribellati uccidevano molti Normanni a tradimento e facevano assassinare l'istesso conte Drogone dal suo compare Riso, mentre entrava nella chiesa di Montoglio ad udir messa. Il conte Umfredo, succeduto a Drogone, assedia e prende Montoglio e fa morire gli assassini di suo fratello quivi rifugiati.
--Adesso, ser cavaliere << l'interrompe il campione della Chiesa >> abbiate la cortesia di cedere a me la parola. Questo punto del racconto vostro gli ? bene che fosse rammentato da me.
--Vi ascolto << risponde Baccelardo e piegando le braccia si asside al seggio da cui il campione della Chiesa erasi levato. E quegli dice:
--Avrebbero meglio fatto di sollevarsi, sclamava una voce; chiamare un aiuto gli era chiamare un nuovo padrone.
--Calate, calate, interrompe una voce, santi di quel conio non vanno agli altari.
--Da quel santo che era, insiste il campione, Leone tenne qualche motto ai principi longobardi. Ma conoscendo questi baroni come i Normanni fossero ostinati nel proposito, e tenaci nelle loro risoluzioni, persuasero il papa che senza niente affatto avvilirsi a pregarli di carit? verso i vinti, si volgesse all'imperatore Enrico.
--Il consiglio era eccellente, dice un membro dell'assemblea, perch? l'imperatore, mal doveva tollerare che nei suoi Stati si andasse levando gigantesca una dominazione novella, di uomini non mai sazi di guerre n? mai pieghevoli.
--Cos?, li avesse mandati all'inferno! mormorava taluno; quei saccomanni vennero a desolare l'Italia.
--E non furono i soli, replica Baccelardo perch? in Italia Leone fece altre cerne di truppa ed accozz? esercito numeroso, alla cui testa si mise egli in persona da condottiero.
--S?; Leone si mise alla loro testa per addolcire i mali della guerra, continua il campione. Per?, udendo i Normanni di quella tolta di laici e chierici che il papa loro voltava contro, gli mandano ambasciadori, simulando pentimento e voglia di soddisfarlo all'intutto. Ma gli oratori normanni non sanno di tanto mascherarsi da accecare Leone. Talch? il sant'uomo, inasprito dall'insolenza di quei venturieri, che piccoli della persona e segaligni si davano in volta boriosi per conquistare il mondo, cavalca su quel di Civitade in Capitanata il 18 giugno 1053. I Normanni ridotti allo stremo di viveri e disperati per la troppa disuguaglianza di forze, si trovano costretti accettare l'abbattimento.
<< Sire Iddio >> sclama allora un cavaliere << giuro ammazzarti di mia mano dugento Saraceni, se ci dai di mandare al diavolo questi bricconi di papalini >>.
--E l'uomo che cos? giurava, soggiunge Baccelardo, era Roberto Guiscardo. E gli altri a loro volta giurarono:
<< Regina Maria di Lacedonia, facciamo voto di darti tante messe nel tuo priorato, quanti di questi mariuoli del papa ognuno di noi uccider? >>.
--S?, dice Baccelardo interrompendo, e chi questo supplizio loro minacciava era Guiscardo. Che perci? quei poltroni spaventati cacciarono il papa fuori le mura della fortezza. Un cavaliere allora si accost?, e prendendo le redini della sua bianca mula:
<< Ser papa >> gli disse sorridendo << siete prigione >>.
--Quel cavaliere era ancora Roberto.
--Era Roberto, >> continua il campione della Chiesa; << proprio lui, egli sempre. I Normanni, in apparenza rispettosi, punsero il pontefice di amari motteggi. Gli occhi pregni di lagrime, pallidissima la faccia, Leone venia tirato dalla briglia da Guiscardo ed attraversava i ranghi dei soldati, i quali ebri di tanta bella ed inaspettata vittoria, gli si ginocchiavano schernevolmente sul passaggio per riceverne la benedizione.
--Ed avrebbero meglio ricevuti dei bisanti, dei fiaschi di Orvieto e delle lacche di maiale! interrompe una voce chioccia dal fondo della sala.
--Pu? ci? essere ancora, continua il campione: eran tanto scomunicati! Il conte Umfredo per? prese il santo padre sotto la sua custodia: n? il lasci? a libert? se non carpiti accordi che pienamente lo soddisfacessero. Il papa ridotto a tanto stremo mal volente o volentieri condiscese a tutto, torn? libero e poco stante mor? a Roma di cordoglio per gli oltraggi ricevuti. E l'uomo che tanta sventura alla cristianit? cagionava era sempre Roberto.
--Sventura poi non era tanta, mormor? un cavaliere dell'adunanza: quel Leone fu una mala ventura.
--La parola ? a me adesso << l'interruppe il principe Gisulfo alzandosi >>.
--Con vostra licenza, monsignore, ancora due motti << preg? Baccelardo >> indi giustificherete a vostro piacimento, se potrete, la condotta di vostro cognato.
Gisulfo si riassise, e quegli continu?:
--Ridotta la Puglia << prosegu? il cavaliero >> tutto l'animo del conte Umfredo si rivolge alle Calabrie. Vi manda Roberto con molta mano di truppa e di scorte. Cosenza, Bisignano, Malvito, Gerace e Martorano sono prese. Poco di poi, in Puglia il conte Umfredo muore. Dal suo letto supremo chiama Roberto, facendo cenno della mano ad un frate, che apprestavagli la comunione, di attendere ancora un istante.
E Roberto, stendendo una mano sull'ostia e prendendo dall'altra il crocifisso, fra molte lagrime, cadendo ai piedi del letto del fratello, grid?:
<< Giuro su questa santa ostia e su questo Cristo che il tuo volere sar? fatto, fratel mio caro >>.
>> Umfredo radi? di gioia negli occhi, assunse l'ostia, e mor?.
>> Ora, baroni, Roberto non ha mantenuto il giuramento, e Baccelardo, il figliuolo del caro fratello suo, va ramingando di terra in terra, sprovvisto di ogni cosa, spogliato dei suoi Stati, perseguitato come il lupo, dannato a terribile morte da suo zio. Cotesto zio ? Roberto Guiscardo. Giudicatelo.
--Uhm! giudicatelo! mormora l'abbate di Farfa dal fondo del suo cappuccio: e chi si incarica di eseguire la sentenza?
--Se altri manca, Dio! sclama il cancelliero del papa rizzandosi sul suo seggio.
--Proseguite le vostre accuse, signori << torvo e pensoso dice a sua volta Gisulfo >> io parler? per ultimo.
Allora dal fondo della gran sala sorge un altro cavaliere che tirandosi fino innanzi della tavola del cancelliero favella:
--Ed io accuso Roberto Guiscardo come spergiuro di altra promessa.
--Egli ha promesso di non tenerne mai una! mormora una voce stridula dal fondo della sala.
--Pare che la sia proprio cos?, soggiunge il cavaliero che aveva cominciato a parlare. Infatti udite questa. Sotto la fortezza di Malvito i Normanni avevano consumato lungo tempo in assedio, senza niuna speranza di prenderla. Una mattina un araldo d'armi, preceduto da banderaio con bianco pennoncello e due trombettieri, si presenta avanti alle porte e dimanda esser introdotto. I sergenti vanno a prender l'ordine, e non passa guari, si apre una porta di soccorso per fare entrare l'araldo. Il sire di Malvito, in piedi nel vestibulo del suo castello, lo aspetta, tutto pronto a ricevere i patti della tolta dell'assedio. L'araldo invece gli dice:
<< Messer Asclettino, il mio nobile signore Roberto Guiscardo conte di Puglia vi manda salute e prosperit?. Nel tempo medesimo prega la cortesia vostra che vogliate concedere sepoltura nella vostra chiesa al suo compare Brado, morto la notte scorsa di ferita al ventre, onde come scomunicato non venga sotterrato in rasa campagna. Che perci? egli in nome di Dio promette che domani toglier? il campo dalle mura e sulle reliquie dei santi ve ne fa sacramento.
<< Bene sta, risponde Asclettino; il sire di Malvito che non teme i Normanni vivi non avr? paura degli estinti, n? incrudelir? verso i morti. Torna dunque al conte Roberto e digli: che noi gli diamo parola di cavaliere, col favore di Ges? Cristo, di non aprir mai le porte nostre ai soldati normanni finch? ci resteranno polpe alle braccia e cuoi a' calzari; ma che non le chiuderemo giammai ai loro cadaveri--dovessero pure cercarvi ricovero tutti quanti sono.
<< Mille merc?, sire di Malvito, riprende l'araldo, ed Iddio misericordioso non ascolti le vostre parole.
--Che lusso di frati! Ne avevano dunque delle caneve nel campo? grida l'uno.
--Pi? che di maiali per disfamarsene al desco--replica un altro.
--Voi credete, cavalieri? riprende il primo interlocutore. Ascoltate allora. Questo manipolo di frati tir? dritto alla chiesa. Fervorosamente tutti pregarono agli altari, poi supplicarono voler passare la notte in preghiere per l'anima del defunto, ch? al domani gli avrebbero cantato messa, l'avrebbero sepolto, e sarebbero tornati al campo per dimandare a Roberto di mantenere la sua parola, avendo quel di Malvito mantenuta la sua. Asclettino, che era uomo di cuore, non rifiut? la preghiera, e nel sagrato fece loro recare molti bei fiaschi di vino e pasticci e camangiari che avevan proprio a farci uno stravizzo.
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