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Read Ebook: Dal molino di Cerbaia a Cala Martina Notizie inedite sulla vita di Giuseppe Garibaldi by Guelfi Guelfo

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Ebook has 94 lines and 31325 words, and 2 pages

DAL MOLINO DI CERBAIA A CALA MARTINA

NOTIZIE INEDITE SULLA VITA DI GIUSEPPE GARIBALDI

FIRENZE PEI TIPI DI SALVADORE LANDI 4--Via delle Seggiole--4 1889

AL LETTORE

Il Comitato costituito in Scarlino collo scopo di erigere un Monumento a Cala Martina mi incaricava di riunire e coordinare i dati storici del salvamento di Giuseppe Garibaldi compiuto dai patriotti toscani nel 1849.--Ho fatto quanto le mie forze permettevano, non risparmiando ricerche onde raggiungere la pi? scrupolosa verit?.--Ora presento l'opera mia accompagnata da un desiderio, e da una speranza; il desiderio ? che altri raccolga pazientemente tutte le particolarit? del trafugamento da Cesenatico all'appennino toscano, e cos? si completi il racconto dello scampo miracoloso,--la speranza ? che gli Italiani facciano buon viso a questo piccolo lavoro non per il merito suo, ma per lo scopo patriottico al quale ? destinato.

Scarlino, 2 settembre 1885.

Si additano alla riconoscenza del popolo italiano coloro che nel 1849 sulle terre toscane scientemente cooperarono al salvamento dell'Eroe, e sono i seguenti:

IL COMITATO

INTRODUZIONE

Ma la fortuna non arrise propizia a questo sforzo supremo. Sopraggiunte da incrociatori austriaci le sue barche, guidate da marinai presi a forza o improvvisati, si sbandarono, e Garibaldi con pochi compagni fu costretto a riprendere terra sulle coste di Magnavacca. Un bando feroce dell'austriaco generale Gorzkowscki lo poneva fuori della legge come un predone, e comminava la fucilazione a chi gli dasse soccorso. Pochi per difendersi, troppi per potersi nascondere, non era dunque possibile che quei gloriosi avanzi di Roma repubblicana si tenessero uniti su quella spiaggia scoperta, e si sparpagliarono a caso per diverse vie.

Raccolto da patriotti di Sant'Alberto e di Ravenna fu per la via di Forl? diretto a Modigliana, e affidato a Don Giovanni Verit?, sacerdote onesto e patriotta, presso il quale rest? nascosto per otto giorni, e che forn? i due profughi di una guida per condurli lungo il crinale dell'Appennino nei monti di San Marcello, da dove pel Modenese sarebbero di poi passati in Piemonte. Ma la guida serv? loro di scorta fino al valico di Montepiano, e, forse errando la via, li fece divergere verso Toscana, prendendo il contrafforte appenninico delle Galvano, ove durante un temporale, e in mezzo ad una folta nebbia, fu perduta di vista dai due proscritti, che rimasero anche privi di alcuni oggetti--affidati al loro conduttore. Chiamata e ricercata inutilmente la guida, n? sapendo per dove incamminarsi, stretti dalla necessit?, si risolsero a discendere il monte, e a cercare una via di salvezza attraverso ai luoghi abitati. Questo lo stato del grande Nizzardo sulla fine del 1849, questi i suoi dolori nei due mesi trascorsi. La patria ricaduta nella schiavit?, la sua Anita morta di stento fra le sue braccia, e abbandonata la salma di lei all'altrui carit?, esso stesso segu?to da un solo compagno, incerto del dove muovere il piede, privo di appoggi, cercato a morte come una belva feroce, e nonostante ci? sempre sicuro di s?, col suo indomito coraggio, colla sua fede nell'avvenire, l'Eroe non ha piegato, e non piegher? sotto il peso dell'avversa fortuna. Tanto disprezza il pericolo, che neppure ha voluto fare sacrifizio dei suoi capelli inanellati, e della sua barba bionda, ornamento bello ma troppo singolare della sua testa caratteristica. ? tranquillo e sereno, come se la condanna di morte non pesasse su lui.

DAL MOLINO DI CERBAIA A PRATO

La mattina del 26 agosto 1849, giorno di domenica, due sconosciuti, poco dopo il sorgere del sole, guidati da persona del paese, scendevano a piedi il monte delle Calvane per la pendice che conduce alla valle del Bisenzio. Si erano presentati a Montecuccoli ad ora inoltrata della sera innanzi, ed avevano chiesto ed ottenuto ricovero per quelle poche ore in casa Ciampi, da dove erano ripartiti senza dare a conoscere l'essere loro, e dopo avere fatta ricerca di chi li dirigesse verso Pistoia. Un tale Ferdinando Marcelli detto Fiorino si era offerto di condurli al Molino di Cerbaia, da dove il mugnaio, che aveva nome di ospitaliero e servizievole, avrebbe pensato al modo di fare loro continuare la via. Una qualche straordinaria circostanza aveva certamente balzati quei due per luoghi cos? alpestri ed inusitati; non avevano toscana la pronunzia; era il loro vestiario decente, ma non portavano seco qualsiasi oggetto di viaggio; erano pervenuti a Montecuccoli sboccando dalle boscaglie che ricuoprono i monti dell'Appennino. N? questo solo avrebbe attirata sui due viandanti l'attenzione altrui, che anche dalle loro persone traspariva un qualche cosa di veramente singolare; l'uno di essi, di mezzana statura, dalle membra bene proporzionate, dalla barba bionda, dai capelli lunghi e ricciuti che gli scendevano per le spalle, dalla fisonomia bella, fiera, ma velata da un intimo senso di mestizia, procedeva pel primo, e faceva trasparire da tutti i suoi atti una tale sicurezza di s?, da doverlo a forza riverire ed ammirare. L'altro, bruno di carnagione e di capelli, adusto della persona, zoppicante da un piede, seguiva il compagno coll'obbedienza del soldato verso il suo capo, coll'amore previdente del figlio verso il suo genitore. Camminavano spediti, per quanto il bruno non potesse fare a meno di mostrarsi qualche volta sofferente del suo piede, e, mentre passavano al di sotto del poggio a cui sovrastano i grandiosi avanzi dell'antica rocca di Cerbaia, il viaggiatore biondo non pot? fare a meno di soffermarsi a rimirare le grandezze dei tempi che furono. I suoi belli occhi celesti si saranno velati ancora pi? di mestizia, e forse l'istoria intera dell'umanit? pass? come un lampo per la mente di lui--la forza che si impone al diritto--si asside sovrana--e cacciata a sua volta da forza maggiore, lascia a vestigia di s? le proprie rovine.

Procederono oltre fino al Molino di Cerbaia, cui girarono attorno per andare a trovare l'ingresso situato dalla parte opposta a quella per la quale erano discesi. Il mugnaio Luigi Biagioli, conosciuto col soprannome di Pispola, che veramente era servizievole, ricev? i due viandanti con ogni maniera di cortesia, come era nel suo costume di fare. Chiesero i nuovi venuti ristoro di riposo e di cibo, o il modo di procedere oltre per la via pi? breve fino a Pistoia, e su favorevole risposta del mugnaio licenziarono la guida, remunerandola del servizio prestato. Intanto Pispola fece porre a mensa i due viaggiatori, e si disponeva ad insellare due cavalli, coi quali avrebbe fatto guidare gli ospiti a Pistoia da alcuno dei suoi figli.

N? ? da meravigliarsi che la domanda improvvisa uscisse cos? vivace dalle labbra del bravo ingegnere. Garibaldi stava allora nella mente di tutti i liberali d'Italia.--Non era ancora il Duce della leggendaria spedizione dei Mille--non era ancora il liberatore di Sicilia e di Napoli--ma il popolo italiano aveva gi? divinato di quanto sarebbe capace quell'uomo singolare--non lo avevano compreso gli uomini di Stato nostri di qualunque parte si fossero, e fu questa causa non ultima delle sciagure nazionali del 1849.--Allora e poi Garibaldi non era per gli uomini di Stato che un abile condottiero di guerriglie.--Sar? il popolo che lo chiamer? Generale--sar? la storia che lo chiamer? eccelso capitano--ma intanto l'umanit? non godr? il frutto dei trionfi di quel genio di guerra, e forse acquister? stentatamente in un secolo quanto poteva dare a lei il Duce glorioso in due delle sue miracoloso campagne.

Piuttosto ? da meravigliarsi che l'onesto Sequi nello strano incontro, nella fisionomia speciale, nei capelli lunghi ed inanellati, nella barba bionda, e pi? che tutto nel fascino singolare che sapevano destare l'accento e lo sguardo di lui, non sospettasse il profugo illustre nel modesto ospite del mugnaio. Forse ne dubit? in modo confuso, e da ci? fu mosso alla passionata domanda.

Quale effetto producesse la generosa confidenza nel giovane ingegnere non ? da dirsi. Pens? all'ardua impresa che la fortuna gli offriva, alle soldatesche austriache che occupavano ogni citt?, ogni paese di Toscana, agli amici che perseguitati essi pure non avrebbero potuto prestare l'opera loro, alle poche conoscenze di cui poteva disporre come quasi nuovo del luogo, e pens? anche alla difficile riuscita del salvamento, che, se sortiva esito fausto, era tale da meritarne eterna lode, se avverso, avrebbe portato sul di lui capo la persecuzione dei tristi e forse l'esecrazione dei buoni. Rest? muto un momento, che non fu di esitazione, ma di sorpresa, e tornato alla realt? delle cose, raccomand? ai profughi illustri che non rendessero palese in quella casa l'essere loro. Disse dal mugnaio, sebbene tutt'altro che patriotta, esservi poco a temere, mentre era esso un uomo di cuore, e oltre ogni dire ospitale, ma la casa essere pericolosa come quella nella quale si riducevano spesso a gozzoviglia gli sgherri sguinzagliati alla caccia dei poveri sbandati di Roma, che per quei monti cercavano una via di salvezza. Pure non seppe per il momento quale altro migliore consiglio dare se non quello di differire la gi? stabilita partenza fino alla sera; egli intanto farebbe del suo meglio per trovare ai profughi una via di scampo. Accett? il Generale la proposta del suo nuovo amico, e lo ringrazi? con effusione di quanto farebbe per lui e pel suo compagno ivi presente, che gli disse essere uno dei suoi pi? fidi, il capitano Leggero, avanzo della legione di Montevideo, e che, quantunque sofferente per recenti ferite, non lo aveva mai voluto abbandonare, anche quando sulla costa di Magnavacca lo stesso Generale per il bene di tutti aveva dato l'ordine di sbandarsi. Narr? poi all'amico le loro avventure degli ultimi giorni, le sofferenze mentre senza guida e senza tetto si aggiravano pei monti vicini, poi chiamato il mugnaio gli disse che dopo l'incontro favorevole dell'ingegnere aveva pensato di ritardare la partenza fino alla sera, nella quale sarebbe tornato il Sequi a riprenderlo per dirigerlo a Pistoia per vie pi? comode che non fossero quelle traverso ai monti, come insieme al mugnaio avevano divisato di fare; intanto gli chiedeva ospitalit? per quel giorno, al che il buon uomo condiscese di gran cuore, ponendo a disposizione degli ospiti una camera ove potessero riposare.

Partiva il Sequi dal Molino alle ore 9 e mezzo, e si dirigeva a Vaiano sopraffatto dall'inopinato incontro, dalla difficolt? della riuscita, e da mille altri pensieri tanto diversi da quelli che gli passavano per la mente quando due ore avanti faceva la stessa via cacciando, e preceduto dal suo fedele Tamigi. Il primo ostacolo che gli si presentava era la mancanza di aderenti in quei luoghi, nei quali si trovava precariamente, per causa dei lavori stradali affidati alla sua direzione. Si ridusse alla casa Bardazzi, luogo di sua residenza in Vaiano, e poich? conviveva con quella famiglia, contrastato come era da opposti pensieri, si ridusse alle 12, ora del pranzo, senza avere presa una definitiva decisione. Si pose a tavola colla famiglia Bardazzi, composta dei fratelli Carlo e Vincenzo, e delle sorelle Clementina ed Anna, e dopo avere nella mente agitato il s? e il no della rivelazione che era per fare, stretto dalla necessit? del momento, di trovare cio? una via per venire in aiuto dei due profughi, si risolse finalmente a raccontare quanto gli era avvenuto al Molino di Cerbaia.

Ed ora si vedr? la propizia fortuna non abbandonare pi? il Generale fino al suo felice imbarco sulla costa toscana. Era Carlo Bardazzi, il maggiore della famiglia, uomo di cuore italiano, e soffriva ai dolori sotto cui gemeva in quei giorni la misera patria. Tostoch? sent? dal Sequi il racconto del prodigioso incontro, non solo non si perd? di animo, ma offertosi esso insieme al fratello di venire in aiuto del suo ospite, lo incoraggi? nell'impresa, gli offr? la sua casa, e lo mun? di una lettera per il dottor Francesco Franceschini di Prato, egregio patriotta col quale avrebbe potuto stabilire la via da seguirsi. E poich? il bisogno stringeva, ed era possibile che il Franceschini per ragioni di professione si trovasse assente da Prato, non trascur? di dare al Sequi altra lettera per Leopoldo Bertini, onesta persona anche esso, e che il Bardazzi giudicava adatto a rimpiazzare il Franceschini, dato che questi fosse pel momento lontano.

Arriv? il Sequi a casa Bardazzi, e raccont? ai due fratelli, che lo stavano aspettando con impazienza, come la sua gita avesse avuto esito favorevole, e come fosse ormai assicurato l'appoggio dei patriotti di Prato.--Ne esultarono i Bardazzi, e fu stabilito che il maggiore farebbe preparare una modesta refezione per gli ospiti illustri, i quali si sarebbero fermati in casa sua nel passare da Vaiano, e che il minore, come per et? pi? adatto ai disagi, sarebbe a disposizione dell'impresa per tutto quello che potesse occorrere.

Strada facendo giunsero alla casa di un loro conoscente, Michelangelo Barni, e richiestolo del suo baroccino si diressero al Molino di Pispola. A misura che il Sequi si avvicinava al Molino si ingigantivano nella sua mente i pericoli cui erano stati esposti per tutta la giornata i due profughi tanto accanitamente ricercati dalla sbirraglia della reazione, e non fu senza un'ansia tremenda che si present? sul limitare della casa. Entr? e vide il coraggioso capitano e il suo compagno seduti a mensa in mezzo alla famiglia del mugnaio, colla tranquillit? e sicurezza di persone che non avessero nulla da temere.

Si sollev? a tale vista il cuore del Sequi, balzarono in piedi i due profughi, e ridottisi col bravo ingegnere in una cameretta del Molino, lo abbracciarono come un fratello, mentre esso raccontava le vicende della giornata, le pratiche fatte, e la buona speranza di trarli da quelle strette merc? l'aiuto dei liberali di Vaiano e di Prato. Allora il Generale, chiamato il mugnaio, lo ringraziava dell'ospitalit? ricevuta, lo pregava di fare accompagnare la comitiva col suo baroccio, e si disponeva a ricompensare quella buona famiglia recandosi in mano una borsa, dalle cui maglie trasparivano poche monete d'oro, una dello quali estrasse per darla al mugnaio; ma fosse per il fascino che il Generale sapeva destare sopra tutti coloro che lo accostavano, o fosse per l'espansione d'animo acquistata dal buon uomo merc? le copiose libazioni fatte a cena in onore dei suoi commensali, il fatto ? che Pispola, per quanto fosse pregato, ricus? di ricevere il denaro, e dopo fatto approntare al figlio Ranieri il barroccio richiesto, salut? gli ospiti alla partenza con ogni maniera d'augurii per il loro felice viaggio.

Intanto correva il Martini, sempre a tutto previdente, ad accertarsi che il vetturino Vincenzo Cantini da lui noleggiato fosse per l'ora convenuta al luogo stabilito, ed il Sequi, disceso anch'esso insieme al Barbagli per la parte da dove erano venuti, entr? in citt? per la Porta al Serraglio, dicendo al custode suo conoscente essere in cerca di altro ingegnere, che per? ben sapeva essere assente da Prato. Fece ci? allo scopo di eludere le future ricerche della polizia, che anzi and? fino alla casa dell'ingegnere, ove, come gi? sapeva, gli fu risposto essere a Firenze, e presa una vettura finse tornare a Vaiano, ma invece con un lungo giro fece capo di nuovo agli amici nella Stazione.

Torn? il Martini ad annunziare che tutto era in ordine per la partenza, e alle due antimeridiane lasciavano la Stazione il Generale e Leggero guidati dal Martini e dal Sequi, e raggiungevano la vettura che li aspettava presso la stanza mortuaria dietro le mura della citt?, e distante circa 100 metri dalla porta e dalla Stazione. Prima della partenza furono consegnate al Generale due lettere, di cui una dell'ingegnere Sequi per il dottor Pietro Burresi a Poggibonsi, l'altra di Antonio Martini per il suo parente Girolamo ministro al Bagno a Morbo. Nell'una e nell'altra si pregava ad assistere con ogni maniera d'aiuto i due profughi senza per? declinare i loro nomi.

Ebbe la polizia sentore del fatto dopo qualche giorno, o fece arrestare, prima tutta la famiglia di Pispola, che come inconsapevole fu rilasciata, quindi l'ingegnere Enrico Sequi, sostenuto in carcere per qualche giorno, e liberato per mancanza di prove, tanto seppero i bravi patriotti accoppiare la prudenza all'ardire.

DA PRATO AL BAGNO A MORBO

La vettura noleggiata per i profughi dall'egregio Martini era a quattro ruote e ad un cavallo, adatta cio? alle vie pianeggianti che esistono fra Prato e Poggibonsi, e non tale da richiamare l'attenzione di chicchessia. La conduceva Vincenzo Cantini, garzone di Angiolo Franchi tenutario di vetture pubbliche, e credeva di condurre verso la Maremma due mercanti di bestiame, che col? si portavano per fare acquisti. A tutto aveva pensato il previdentissimo patriotta pratese.

Allestite le uova, e tornato il Cantini da Poggibonsi coll'assicurazione che quanto prima tutto sarebbe in ordine per la partenza, volle la buona donna nell'attiguo salotto apprestare la mensa, cui si assisero Garibaldi, il capitan Leggero e il vetturino di Prato. Poco avanti il mezzogiorno venne il vetturino di Poggibonsi, e Garibaldi, ringraziata la Bonfanti di tutto quello che aveva ricevuto da lei, volle ad ogni costo soddisfarla dei prestati servigi, ad onta che essa facesse del suo possibile per rifiutare la moneta, e lasciando al Cantini i suoi saluti per gli amici di Prato, e accomiatandosi dalla famiglia Bonfanti come un vecchio amico, part? insieme al compagno pel Bagno a Morbo.

Abbiamo con ogni accuratezza procurato di rintracciare se il dottore Pietro Burresi, allora medico-condotto di Poggibonsi, poi Clinico esimio degli Studi Superiori di Firenze, avesse avuto un colloquio col Generale alla casa Bonfanti, non essendo possibile l'incontro in altro luogo, mentre nelle poche ore di sosta siamo certi che i profughi non si mossero di l?; ma tutto ci fa credere, e ce lo affermano concordi i testimoni viventi, che il Burresi non accostasse i due viaggiatori, ed ? ci? anche naturale se si riflette che la lettera dell'ingegnere Sequi parlando di profughi senza rammentare chi fossero, e raccomandando di fornire ad essi i mezzi per continuare il viaggio, l'egregio professore, dopo avere adempiuto a quanto lo pregava l'amico, non si sar? occupato pi? in l?, non potendo neppure sospettare il nome illustre che portava uno degli esuli a lui diretti da Prato. ? certo per? che il Burresi non poteva fare migliore scelta nel vetturino. Era questi Niccola Montereggi giovane popolano di principii liberali, e test? uscito dalle carceri per causa politica. Nonostante ci? gli era stato detto che conduceva due mercanti di bestiame in Maremma.

DAL BAGNO A MORBO A SAN DALMAZIO

Frattanto il Martini aveva fatti passare i suoi ospiti nella parte pi? riposta della casa, e li aveva alloggiati al piano superiore nella camera sovrapposta alla sala di ricevimento. Nella notte non chiuse occhio, pensando e ripensando al dove trovare un asilo sicuro per essi, ch? tale non era quello prescelto per necessit?. E come uomo di cuore non si preoccupava soltanto del domani, ma anche e molto pi? di trovare una via per la quale far giungere i profughi in luogo di salvezza. Finalmente risolse di dirigersi a Michele Bicocchi, ricco proprietario della vicina fattoria di Sant'Ippolito, come a colui che poteva dare asilo, aiuto e consiglio. Si rec? da lui la mattina prestissimo, e gli raccont? gli eventi della sera, gli disse il nome illustre che portava uno dei suoi ospiti, la necessit? di ricovero pi? sicuro, il dovere che sentiva fortissimo di non abbandonare il proscritto.

D?tte il Bicocchi consiglio buono, profferta grande di aiuti, ma rifiuto circa all'asilo. Coonest? la repulsa col dire la fattoria di Sant'Ippolito spesso frequentata dagli agenti del governo restaurato--ma questo era quanto succedeva allora per tutte le case di campagna, e in ogni caso era sempre stanza pi? sicura per gli esuli che non fosse il Morbo in tempo di bagnatura.--La ragione vera si era che il Bicocchi, per pochezza d'animo non volle correre il rischio delle pene comminate per chi ricettasse Garibaldi. Ma qui si ferma il lato cattivo, che poi, sempre a patto di non avere in casa sua un cos? pericoloso proscritto, si di? di tutta lena ad aiutare il Martini, d'onde ne venne il consiglio buono, e la profferta d'aiuti.--Propose Cammillo Serafini di San Dalmazio, e Angiolo Guelfi di Scarlino, come quelli che avrebbero accettata di gran cuore l'impresa del salvamento, e sarebbero stati da tanto di portarla a termine con esito fortunato, e l'uno fornirebbe sicuro asilo in San Dalmazio, mentre l'altro provvederebbe una via di salvezza per la Maremma.--Consigli? spedire un espresso al Serafini, e si profferse di parlarne egli medesimo ad Angiolo Guelfi, che sapeva doversi trovare quel giorno stesso alla fiera del Ponte di Ferro.--Quanto ad aiuti non misur? la promessa, che anzi dichiar? essere la sua pecunia a disposizione dell'impresa, ed essere pronto a spendere qualunque somma purch? riuscisse a bene.--Offr? uomini e cavalli per trasporti ed espressi, e certamente avrebbe tutto mantenuto, ma non ve ne fu il bisogno. Insomma il Bicocchi tutto poneva a disposizione, eccetto la sua personale sicurezza, e in quei momenti di egoistica abiezione, non era poca cosa. E se si aggiunge il modo tepido anzich? no con cui aveva sempre proceduto il Bicocchi nei partiti politici, e la sua vita appartata, vi ? piuttosto da lodare che da biasimare. Questo ? certo che passato il panico della reazione, il Bicocchi si ? doluto pi? volte con alcuno dei coadiuvatori di non aver presa parte pi? attiva nell'impresa onoranda.

Cos? stabilito il da farsi, mand? il Martini un espresso a San Dalmazio, e part? il Bicocchi per la fiera del Ponte di Ferro alla quale sapeva d'incontrare il Guelfi. Ma l'espresso del Martini trov? che il Serafini era gi? partito per la fiera, cosicch? il Bicocchi pot? ivi parlare con ambedue.

Brevi furono gli accordi, e Serafini propose come temporario asilo la sua casa di San Dalmazio intanto che si fosse potuto provvedere allo scampo per la via di Maremma, e accennava alla presenza del Guelfi tutto disposto a prestare l'opera sua. In poche parole fu concertato che sull'imbrunire sarebbe tornato il Serafini per trasportare i due profughi a San Dalmazio.

Restarono il Garibaldi ed il Leggero per alcune altre ore nella loro camera appartata del Morbo. Quali fossero in questo tempo le cure da cui erano circondati per parte del Martini, ? inutile il dire; basti solo riflettere quanti ostacoli avr? dovuto superare il buon uomo per poter ritenere nascostamente nella casa due individui, e provvedere ai loro bisogni di vitto, in mezzo a tante persone alcune delle quali gi? al corrente del segreto arrivo del Generale. Ma tanta fu la prudenza e l'assennatezza sua, congiunta a quel mirabile sangue freddo di cui lo abbiamo gi? veduto capace, che tutto seppe eludere, e si arriv? alla sera senza che nessuno della casa pensasse di coabitare coll'Esule temuto.

DA SAN DALMAZIO ALLA CASA GUELFI

Diremo intanto delle misure di precauzione prese dal Serafini a tutela de' suoi ospiti illustri. Il paesello di San Dalmazio dista 12 chilometri dal Morbo, ed ? fabbricato sull'erta pendice meridionale del poggio, che ha sulla sua vetta la vecchia e diruta Rocca Silana. Segregato allora dal movimento commerciale per la mancanza di vie ruotabili, colla sua piccola popolazione intenta ai lavori agricoli, sembrava il pi? sicuro asilo pei due proscritti, eppure la lebbra reazionaria era entrata fin l?, e le precauzioni prese dall'egregio Serafini non potevano dirsi mai troppe. La sua casa, posta quasi alla cima del paese, ha l'ingresso principale nella via di mezzo, e due altre uscite secondarie, di cui una al di sopra del paese in aperta campagna, e l'altra posteriore in una vallata deserta e quasi selvaggia. Della disposizione eccellente della casa intendeva servirsi il Serafini in caso di sorpresa, e mentre aveva provveduto con abbondanza d'armi alla momentanea resistenza, aveva indicata ai suoi ospiti la via che dovrebbero seguire per le diverse uscite, e i punti diversi di ritrovo, se, come esso diceva, sarebbe rimasto vivo nella lotta.--Aveva aperto da s? stesso la porta della casa al Generale e a Leggero, e mai nei quattro giorni della loro permanenza li fece vedere a' suoi familiari, ai quali con minaccia della vita aveva ingiunto il pi? rigoroso silenzio sulla presenza di stranieri nella casa, dichiarandoli due suoi consanguinei implicati nelle ultime vicende politiche, e che voleva ad ogni costo salvare.--Insomma una volta nelle mani del Serafini, Garibaldi non era pi? il proscritto in bal?a della sorte, e la sua cattura non sarebbe stata pi? un facile colpo di mano.--Quivi il perseguitato pot? godere i primi momenti di quiete dopo la morte di Anita.

Seguiva un'aggiunta scritta dalla mano di Girolamo Martini nei termini che seguono:

Pass? cos? il 29, e la mattina del 30 il Serafini, insofferente della mancanza di notizie del Guelfi, che a lui pareva prolungata, ed era naturalissima, mand? un espresso al Bagno per sapere qualche nuova dal Martini. Ma il Martini ne sapeva quanto lui, e gli rispondeva sempre calmo, sempre prudente con la seguente lettera senza data, senza firma, senza indirizzo:

E il ritorno tanto desiderato del Guelfi avvenne infatti la mattina del 30, come col suo animo calmo lo avea previsto il Martini.

Diremo ora della gita di Angiolo Guelfi in Maremma, ma a spiegazione dei timori del Serafini, e del rifiuto del Guelfi a portare seco i due profughi, accenneremo come pochi giorni avanti, mentre attendeva esso nel piano di Scarlino alla direzione della sua azienda, venne a trovarlo Olivo Pina, quello stesso che vedremo poi accompagnare Garibaldi al mare, e gli disse come essendo andato per affari suoi a Massa Marittima, aveva incontrato Giovanni Fabbri e Giuseppe Lapini ambedue autorevoli ed onesti cittadini, ma non malevisi dal restaurato governo lorenese, i quali, come amici di Angiolo Guelfi, cercavano appunto occasione segreta e sicura per fargli sapere che non si presentasse n? a Massa n? a Scarlino, perch? era a loro certa cognizione, avere le autorit? locali ordine di procedere in tal caso al di lui arresto. All'annunzio di questa nuova persecuzione aveva il Guelfi domandato fra il serio ed il faceto, dove dovesse dunque andare, poi facendo di necessit? virt?, si ritir? nelle vicinanze del Morbo, un poco riparandosi presso gli amici suoi Bruscolini di Castelnuovo, un poco presso l'amico e parente Cammillo Serafini a San Dalmazio, e cos? si conduceva, incerto sempre del domani, tantoch? cred? bene stare lontano anche dalla famiglia che teneva allora a Laiatico, per risparmiare il possibile dolore di un suo arresto sotto gli occhi dei suoi cari. Era insomma il Guelfi un perseguitato, che si era assunto di aiutare altri pi? perseguitati di lui. N? poteva delegare ad alcuno la missione sua, perch? difficile sarebbe stato il trovare chi al pari di lui avesse autorit? e fiducia insieme sui patriotti di Massa, di Scarlino e di Follonica, tutti indispensabili col concorso loro alla buona riuscita dell'impresa. Ora per organizzare il passaggio e il salvamento per la via di mare, era necessario non solo aggirarsi pei due luoghi proibiti, Massa e Scarlino, ma occorreva altres? in quei tempi di sospetti e di arbitrii, avere rapporti coi pi? caldi repubblicani, che erano a lor volta i pi? perseguitati e i pi? sorvegliati. Ecco dunque perch? il Serafini, che bene sapeva lo stato del Guelfi, temeva tanto del buon esito dell'impresa; ecco perch? il Guelfi stesso rifiut? con dolore la richiesta del Generale di averlo a compagno, ecco perch? lo troveremo sempre in luogo diverso dal Generale.

? stato in varii modi e da varii scrittori toccato questo periodo della vita avventurosa del Garibaldi, ma nessuno ha conosciuto e svelato la posizione difficile nella quale dov? preparare, e portare a termine l'impresa un pugno di patriotti, perseguitati essi stessi, e costretti spesso a pensare alla loro salvezza, se volevano avere libero il domani, per spenderlo, non a proprio vantaggio, ma in pr? della salute del Generale.

Si mise il Guelfi a fare in apparenza la parte del tranquillo bagnante al Morbo, ma dentro a s? tormentato dal dubbio circa la riuscita del suo piano, e pronto a tentare altra via se quello andasse fallito; e il Martini pensava intanto a trasmettere a San Dalmazio la lieta nuova del felice ritorno, e delle pratiche bene avviate dal Guelfi.

Per tutto il tempo che il Generale si trattenne a San Dalmazio traspariva dai suoi atti una tale sicurezza, come se i pericoli non esistessero intorno a lui. Si alzava alle 6 della mattina, dormiva tranquillamente, mangiava, come al suo solito, parcamente, era calmo, spesso sorridente col suo ospite che procurava con ogni modo di mostrargli il suo rispetto e il suo amore. Prediligeva trattenersi nella terrazza attigua al salotto, e che guarda la vallata deserta. Ivi stava fumando e leggendo per molte ore i libri messi a sua disposizione dal Serafini, e pi? degli altri la vita di Vittorio Alfieri. Cos? passava tutto il tempo che non si intratteneva a parlare coll'ospite suo. Il capitano Leggero poi si aggirava continuamente per tutte le stanze della casa, escluse quelle praticate dai domestici del Serafini, quasi fosse insofferente di quella prigionia, e accorreva pronto ad ogni minimo desiderio dal suo Generale. Nei ragionamenti che faceva il Garibaldi col Serafini entravano spesso le speranze sulla liberazione della patria, ed anzi riconoscendo nel suo interlocutore un entusiasta partigiano di libert?, gli lasci? scritti di sua mano i nomi di coloro coi quali poteva intendersi per una futura riscossa, ma per non compromettere l'amico scriveva cos?:

Cos? l'autografo religiosamente conservato dal Serafini insieme a molti altri del Generale, e l'esule che non aveva terra che lo sostenesse, pensava non a s? ma al bene futuro della sua patria. ? sempre il prigioniero di Gualeguay che intuona alla patria schiava i versi pieni di amore selvaggio:

Io la vorrei deserta E i suoi palagi infranti .......... Pria che vederla trepida Sotto il baston del Vandalo!

E per provare che la serenit? dell'animo non lo abbandonasse anche nei momenti pi? difficili, basti il dire che in casa Serafini trovava tanta quiete da permettergli di accingersi alla narrazione dei fatti gloriosamente compiuti a difesa della Repubblica Romana. La sera del 1? Settembre aveva cominciato il suo scritto cos?:

Cos? rest? troncata questa pagina di storia che scriveva l'autore stesso dei fatti gloriosi; il manoscritto fu conservato dall'egregio patriotta Cammillo Serafini, e insieme ad altri documenti riguardanti questo periodo della vita di Garibaldi, fu da lui tenuto nascosto sotterra per i dieci anni nei quali rimase in piedi la dominazione lorenese.

Spieghiamo ora la venuta di Angiolo Guelfi a dare in persona l'avviso della partenza.

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