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Read Ebook: Agide by Alfieri Vittorio

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Ebook has 285 lines and 33336 words, and 6 pages

SCRITTORI D'ITALIA

VITTORIO ALFIERI TRAGEDIE

A CURA DI NICOLA BRUSCOLI

VOLUME TERZO

BARI GIUS. LATERZA & FIGLI TIPOGRAFI-EDITORI-LIBRAI 1947

AGIDE

ALLA MAEST? DI CARLO PRIMO RE D'INGHILTERRA.

Parmi, che senza vilt? n? arroganza, ad un re infelice e morto io possa dedicare il mio Agide.

Questo re di Sparta ebbe con voi comune la morte, per giudizio iniquo degli efori; come voi, per quello d'un ingiusto parlamento. Ma quanto fu simile l'effetto, altrettanto diversa n'era la cagione. Agide, col ristabilire l'uguaglianza e la libert?, volea restituire a Sparta le sue virt?, e il suo splendore; quindi egli pieno di gloria moriva, eterna di se lasciando la fama. Voi, col tentare di rompere ogni limite all'autorit? vostra, falsamente il privato vostro bene procacciarvi bramaste: nulla quindi rimane di voi; e la sola inutile altrui compassione vi accompagn? nella tomba.

I disegni d'Agide, generosi e sublimi, furono poi da Cleom?ne suo successore, che il tutto trov? preparato, felicemente e con grande sua gloria eseguiti. I vostri, comuni al volgo dei regnanti, da molti altri principi furono e sono tuttavia tentati, ed anche a compimento condotti, ma senza fama pur sempre. Della vostra tragica morte, non essendone sublime la cagione, in nessun modo, a mio avviso, se ne potrebbe fare tragedia: della morte d'Agide crederei pure ancora, attesa la grandezza vera dello spartano re, che tragedia fortissima ricavarsene potrebbe.

S? l'uno che l'altro, ai popoli foste e sarete un memorabile esempio, e un terribile ai re: ma, colla somma differenza tra voi, che de' simili alla MAEST? VOSTRA, molti altri re ne sono stati e saranno; ma de' simili ad Agide, nessuno giammai.

Martinsborgo, 9 Maggio 1786.

PERSONAGGI

AGIDE. LEONIDA. AGESISTRATA. AGIZIADE. ANFARE. Efori. Senatori. Popolo. Soldati di Leonida.

ATTO PRIMO

SCENA PRIMA

LEONIDA, ANFARE.

ANFAR. Ecco, or di nuovo sul regal tuo seggio stai, Leonida, assiso. Intera Sparta, o d'essa almen la miglior parte, i veri maturi savj, e gli amator dell'almo pubblico bene, a te rivolti han gli occhi, per ottener dei lunghi affanni pace.

LEON. Di Sparta il re non io perci? mi estimo, finch? rimane Agide in vita. Ei vive non pur, ma ei regna in cor de' molti. Asilo gli ? questo tempio, il cui vicino foro empie ogni d? tumultuante ardita plebe, che re lo vuol pur anco, e in trono un'altra volta a me compagno il grida.

ANFAR. E temi tu d'esserne or vinto? Io 'l giuro, e gli altri efori tutti il giuran meco; Agide mai non fia pi? re. Ma, vuolsi oprar destrezza or, pi? che forza...

LEON. Egli era da tanto gi?, che co' raggiri suoi, con le sue nuove mal sognate leggi, tutto sossopra a forza aperta porre, e me cacciarne ardia del soglio in bando: ed io, da' miei fidi Spartani al soglio richiamato, or dovr? con vie coperte la vendetta pigliarne?

ANFAR. Un velo ? forza porvi: ei genero t'?. Quel d?, che in crudo esiglio, solo, abbandonato, e privo del regio serto, fuor di Sparta andavi, umano ei t'era. Ai percussor feroci che Agesil?o crudel su l'orme tue a svenarti inviava, Agide a viva forza si oppose; e di Teg?a salvo al confin ti trasse: in ci? soltanto non figlio ei d'Ages?strata, ed avverso apertamente al rio di lei fratello. Sol del pubblico bene or puoi far dunque a tua vendetta velo.

LEON. Infame dono ei mi fea della vita, il d? ch'espulso m'ebbe dal seggio; e a vie pi? grande oltraggio recar mel debbo. Ei mi credea nemico da non pi? mai temersi? oggi nel voglio disingannare appieno. In me raddoppia l'esser egli mio genero il dispetto. Genero a me? deh! quale error fu il mio, d'avere a lui donna dissimil tanto data in consorte? Ammenda omai null'altra, che lo spegnerlo, resta. Unica figlia, Agiziade diletta, a me compagna, sostegno a me nel duro esiglio l'ebbi. Abbandonava ella il suo amato sposo, perch? al padre nemico; ella i legami di natura tenea pi? sacri ancora che quei d'amore: e al fianco mio trar vita misera volle errante, anzi che al fianco del mio indegno offensore in trono starsi.

ANFAR. Pur, per quanto sia giusto in te lo sdegno, premilo in petto, se sbramarlo or vuoi. Io men di te non odio Agide altero; e la sua pompa di virtudi antiche, finta in biasmo di noi. Sparta ridurre qual gi? la fea Licurgo, ? al par crudele, che ambiz?osa stolidezza: ? tale pure il disegno suo; quindi ebbe ei quasi la citt? nostra all'ultimo ridotta: e, sconvolta pur anco, in risse e affanni egra ella sta. Ma, van cangiando i tempi: quei traditori, efori allor, che schiavi eran d'Agesil?o, pi? a lui venduti che ad Agide, con esso ora sbanditi son tutti, o spenti: e sta in noi soli Sparta. Ma il popol rio, mendico, e ognor di nuove cose voglioso, Agide ancora elegge mezzo a sue mire ingiuste. A schietta forza, mal frenare il potremmo; ogni novello governo erra adoprandola. Deluso, pria che sforzato, il popol sia. Tal cura, che a cor mi sta non men che a te, mi lascia. Ecco la madre d'Agide: gran donna ogni d? pi? degli Spartani in core si fa costei: temer si debbe anch'ella.

SCENA SECONDA

AGESISTRATA, LEONIDA, ANFARE.

AGESIS. Chi ne' miei passi trovo? oh! mentre io vado di Sparta al re, cui sacro asil racchiude, qu? intorno io veggo irsi aggirando or l'altro re di Sparta novello?

LEON. E il fero giorno, ch'io, re di Sparta, esul di Sparta usciva, ebbi al mondo un asilo? Assai gran tempo dal trono io vissi in bando; e reo, ch'? il peggio, in apparenza io vissi. Avriami ucciso il duol, se in un coll'usurpato seggio restituita la innocenza mia non m'era appieno da un miglior consiglio di Sparta istessa. Il mio rival cacciato, quel Cle?mbroto iniquo, a chi il mio scettro signor del tutto allora Agide dava, gi? mie discolpe ei fece. A far le sue, che tarda Agide pi?? Collega ei fummi sul trono; ancor mi ? genero; e nemico mi sia, se il vuole.--Ma, cagion qual altra, che il suo fallir, chiuso or nel tempio il tiene?

AGESIS. A Sparta, e a me, Leonida, sei noto: quai sieno i tuoi, quai sien d'Agide i falli, ? brevissimo a dirsi. Agide volle libera Sparta; i cittadini uguali, forti, arditi, terribili; Spartani in somma: e a nullo sovrastare ei volle, che in ardire e in virtude. In ozio vile, ricca, serva, divisa, imbelle, quale appunto ell'?, Leonida la volle. Falli son l'opre d'Agide, perch'havvi copia di rei, pi? che di buoni, in Sparta: di Leonida l'opre or son virtudi, perch'elle son dei tempi. Oggi rimembra tu almen, se il puoi, che il mio figliuol mostrossi nemico aperto del regnar tuo solo, non di te mai; ch'or non vivresti, pensa, se cittadino ei pi? che re, tua vita non ti serbava, ed in suo danno forse.

LEON. Vero ?; nel d?, che il tuo crudo fratello a trucidarmi gli assassin suoi vili mandava, Agide, forse a tuo dispetto, per altri suoi satelliti mi fea vivo e illeso serbar: ma un re sbandito, cui l'onor, l'innocenza, il soglio tolto vien dal rival, fia ch'a pietade ascriva la mal concessa vita?

AGESIS. Al par che grande era imprudente il dono: Agide stesso tale il credea; ma innata ? in quel gran core ogni magnanim'opra. Agide eccelso contaminar non volle col tuo sangue la generosa ed inaudita impresa di un re, che in piena libert? sua gente restituir, spontaneo, si accinge. Dal perdonarti io nol distolsi: e forse tentato invan lo avrei: d'Agide madre, mostrarmi io mai potea di cor minore a quel di un tanto figlio? ? ver; mi nacque Agesil?o fratello; or di un tal nome indegno egli ?. Con libera eloquenza, e con finte virt? suoi vizj veri adombrando, ei deluse Agide, Sparta, e me con essi...

LEON. Ma, non me, giammai.

AGESIS. Noto e simile ei t'era.--A tor per sempre dei creditori e debitor, de' ricchi e de' mendici, i non spartani nomi, Agesil?o, pi? ch'altri, Agide spinse. Vistosi poi dal nostro esemplo astretto di accomunar le sue ricchezze, ei vinto dall'avarizia brutta, il sacro incarco contaminando d'eforo, impediva la sublime uguaglianza. Il popol quindi, sconvolto e oppresso pi?, dubbio, tremante fra il servir non estinto e la sturbata sua libertade rinascente appena, te richiamava al seggio: e te stromento degno ei sceglieva al rincalzare i molli non cangiabili in lui guasti costumi. Il popol stesso, avvinto in man ti dava qual Cle?mbroto re pur dianzi eletto: e il popol stesso alla custodia or sola di un asilo abbandona il gi? s? amato Agide, il riverito idolo suo.

ANFAR. Pi? custodito ? dalle leggi assai, che da questo suo asilo. Ei delle leggi sovvertitore, annullator, pur debbe ad esse e a noi la sua salvezza. E a noi efori veri, a Sparta tutta innanzi, ei dar? di se conto: ove non reo vaglia a chiarirsi, ei non del re, n? d'altri temer de' mai.

LEON. S'egli in suo cor se stesso reo non stimasse, a che l'asilo? al giusto giudizio aperto popolar me pria perch? non trarre?

AGESIS. Perch? d'armi e d'oro tu ti fai scudo, ei di virtude ignuda: perch? tu pieno di vendetta riedi, ed ei neppure la conosce: in somma, perch? i tuoi, non di Sparta, efori nuovi suonan ben altro, che terror di leggi. Nulla paventa Agide mio; ma torsi vuol dalla infamia; e darla, ancor che breve, altrui pu? sempre chi il poter si usurpa.

LEON. Che far? dunque Agide tuo? pi? a lungo racchiuso starsi omai non pu?, s'ei teme la infamia vera.

ANFAR. E molto men pu? Sparta nelle presenti sue strane vicende d'un de' suoi re star priva. Agide il nome tuttor ne serba; e il necessario incarco pur non ne adempie: mal sicura intanto e dentro e fuori ? la citt?; sossopra gli ordini tutti; e manca...

AGESIS. Agide manca; e con lui tutto. Al par di noi ci? sanno i nemici di Sparta, in cui novello fea rinascer terror dell'armi nostre Agide solo. S?, gli Etoli feri, cui disfar non sapea canuto duce il grande Ar?to co' suoi prodi Achei, tremar d'Agide imberbe; antico tanto spartano egli era.--A non imprender cosa or contro a lui, Leonida, ti esorto: che se pur anco, ingiusto spesso, il fato palma or ten desse, onta non lieve un giorno ne trarresti dal tempo, e danno espresso della patria. Non so, se patria un nome sacro a te sia: ma primo, e forte tanto nome ? fra noi, che se in mio cor sorgesse un leggier dubbio mai, ch'anco i pensieri, non che d'Agide l'opre, al ben di Sparta non fosser volti tutti, io madre, io prima, il rigor pieno delle sante leggi implorerei contra il mio figlio.--Or dunque opra a tuo senno tu: tremar non ponno Agide mai, n? chi a lui di? la vita, che per la patria lor: tu, bench? in armi, ed in prospera sorte, entro al tuo core conscio di te, sol per te stesso tremi.

LEON. Donna, sei madre; e d'uom ch'ebbe gi? scettro, il sei; quind'io ti escuso. In voi temenza non ?; di' tu? meglio per voi: ma Sparta, gli efori, ed io, vi diam sol uno intero giorno, a mostrar questa innocenza vostra, sempre esaltata e non provata mai. Esca al fin egli, e se difenda; e accusi me stesso ei pur, se il vuol: tranne l'asilo, tutto or gli sta. Ma, se a celarsi ei segue, digli, che al nuovo d? n? Sparta il tiene pi? per suo re, n? per collega io il tengo.

SCENA TERZA

AGESISTRATA, ANFARE.

ANFAR. Dal fresco esiglio inacerbito ei parla: ma, non ha Sparta l'ira sua.--Dovresti, tu cui son cari Agide e Sparta, il figlio piegare ai tempi alquanto, e indurlo...

AGESIS. A farsi vile, non io, n? voi, n? Sparta indurlo mai non potremmo. Che del re lo sdegno non sia sdegno di Sparta, assai mel dice l'immenso stuolo di Spartani in folla presso all'asilo d'Agide ogni giorno adunati, che il chiamano con fere libere grida ad alta voce padre, cittadin re, liberator secondo, nuovo Licurgo. Assai pur alta e vera esser de' in lui la sua virt?, poich'osa laudarla ancor con suo periglio Sparta; poich?, pi? del terror dell'armi vostre, pu? in Sparta ancor la maraviglia d'essa.

ANFAR. Si affolla e grida il popolo; ma nulla opra ei perci?: n? i ribellanti modi altro faran, che inacerbir pi? sempre contra il tuo figlio i buoni. Assai tu puoi, d'Agide madre, entro a spartani petti, e sovr'Agide pi?: quelli al cessar dai tumulti, e questo or traggi, per poco almeno, all'adattarsi ai tempi. Se il ben di tutti e il ben del figlio brami, fra v?olenze e rabide contese, mal si ritrova, il sai. Se in ci? tu nieghi caldamente adoprarti, e Sparta, ed io, e Leonida, a dritto allor nemici crederem voi di Sparta; allor parranno, a certa prova, i vostri ampj tesori malignamente accomunati in prezzo, non di uguaglianza, di comun servaggio. Dell'alte imprese, ottima o trista, pende dall'evento la fama. All'opre vostre generose, magnanime macchia non rechi il rio sospetto altrui, che giustamente voi pentiti accusa del tanto dono; e del volerne infame traffico far, vi accusa. Io tutto appieno, qual cittadin, qual eforo, ti espongo; non qual nemico: a voi l'oprar poi spetta.

SCENA QUARTA

AGESISTRATA.

--Tempo acquistar voglion costoro; e tempo dar lor non vuolsi. Ah! di costui la finta dolcezza, e di Leonida la rabbia repressa a stento, indizj a me son del destino e d'Agide, e di Sparta. Tutto si tenti or per salvarli; e s'anco irati i Numi della patria vonno sol placarsi col sangue, Agide, ed io, per la patria morremo; a lei siam nati.-- Pur che risorga dal mio sangue Sparta.

ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

AGIDE.

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