Read Ebook: Istoria civile del Regno di Napoli v. 1 by Giannone Pietro
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ISTORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI
DI PIETRO GIANNONE
VOLUME PRIMO
AL POTENTISSIMO E FELICISSIMO
PRINCIPE
CARLO VI IL GRANDE
DA DIO CORONATO IMPERADORE DE' ROMANI RE DI GERMANIA, DELLE SPAGNE, DI NAPOLI, D'UNGHERIA DI BOEMIA, DI SICILIA, EC.
PIETRO GIANNONE.
INTRODUZIONE
L'Istoria, che prendo io a scrivere del Regno di Napoli, non sar? per assordare i leggitori collo strepito delle battaglie, e col romor dell'armi, che per pi? secoli lo renderon miserabil teatro di guerra; e molto meno sar? per dilettar loro colle vaghe descrizioni degli ameni e deliziosi suoi luoghi, della benignit? del suo clima, della fertilit? de' suoi campi, e di tutto ci?, che natura, per dimostrar suo potere e sua maggior pompa profusamente gli concedette: n? sar? per arrestargli nella contemplazione dell'antichit? e magnificenza degli ampj e superbi edificj delle sue citt?, e di ci?, che l'arti meccaniche maravigliosamente vi operarono: altri quest'ufficio ha fornito; e forse se ne truova dato alla luce vie pi? assai, che non si converrebbe. Sar? quest'Istoria tutta civile; e perci?, se io non sono errato, tutta nuova, ove della politia di s? nobil Reame, delle sue leggi e costumi partitamente tratterassi: parte, la quale veniva disiderata per intero ornamento di questa s? illustre e preclara region d'Italia. Conter?, nel corso poco men di quindici secoli, i varj stati, ed i cambiamenti del suo governo civile sotto tanti Principi, che lo dominarono; e per quanti gradi giugnesse in fine a quello stato, in cui oggi 'l veggiamo: come variossi per la politia ecclesiastica in esso introdotta, e per li suoi regolamenti: qual uso ed autorit? ebbonvi le leggi romane, durante l'Imperio, e come poi dichinassero; le loro obblivioni, i ristoramenti, e la varia fortuna delle tant'altre leggi introdotte da poi da varie nazioni: l'accademie, i Tribunali, i Magistrati, i Giureconsulti, le Signorie, gli Ufficj, gli Ordini, in brieve, tutto ci?, che alla forma del suo governo, cos? politico e temporale, come ecclesiastico e spiritual s'appartiene.
Se questo Reame fosse sorto, come un'isola in mezzo all'Oceano, spiccato e diviso da tutto il resto del Mondo, non s'avrebbe avuta gran pena a sostenere, per compor di sua civile istoria molti libri: imperciocch? sarebbe bastato aver ragione de' Principi, che lo dominarono, e delle sue proprie leggi ed istituti, co' quali fu governato. Ma poich? fu egli quasi sempre soggetto, e parte, o d'un grand'Imperio, come fu il romano, e da poi il greco, o d'un gran Regno, come fu quello d'Italia sotto i Longobardi, o finalmente ad altri Principi sottoposto, che tenendo collocata altrove la regia lor sede, quindi per mezzo de' loro Ministri 'l reggevano; non dovr? imputarsi, se non a dura necessit?, che per ben intendere la sua spezial politia, si dia un saggio della forma e disposizione dell'Imperio romano, e come si reggessero le sue province, fra le quali le pi? degne, ch'ebbe in Italia, furon certamente queste, che compongono oggi il nostro Regno. Non ben potrebbe comprenders'il loro cambiamento, se insieme non si manifestassero le cagioni pi? generali, onde variandosi il tutto, venisse anche questa parte a mutarsi; e poich? queste regioni, per le loro nobili prerogative invitarono molti Principi d'Europa a conquistarle, furon perci? lungamente combattute, ciascheduno pretendendo avervi diritto, e chi come tributarie, chi in protezione, e qual finalmente come feudatarie le pretese: si ? riputato perci? pregio dell'opera, che i fonti di tutte queste pretensioni si scovrissero; n? potevano altramente mostrarsi, se non col dare una general'idea, e contezza dello stato d'Italia in varj tempi, e sovente degli altri principati pi? remoti, e de' trasportamenti de' reami di gente in gente, onde sursero le tante pretensioni, che dieron moto all'imprese, e fomento.
L'istoria civile, secondo il presente sistema del Mondo cattolico, non pu? certamente andar disgiunta dall'istoria ecclesiastica. Lo stato ecclesiastico, gareggiando il politico e temporale de' Principi, si ?, per mezzo dei suoi regolamenti, cos? forte stabilito nell'imperio, e cotanto in quello radicato, e congiunto, che ora non possono perfettamente ravvisarsi li cambiamenti dell'uno, senza la cognizione dell'altro. Quindi era necessario vedere, come, e quando si fosse l'ecclesiastico introdotto nell'Imperio, e che di nuovo arrecasse in questo Reame: il che di vero fu una delle pi? grandi occasioni del cambiamento del suo stato politico e temporale; e quindi non senza stupore scorgerassi, come, contro a tutte le leggi del governo, abbia potuto un Imperio nell'altro stabilirsi, e come sovente il sacerdozio abusando la divozion de' Popoli, e 'l suo potere spirituale, intraprendesse sopra il governo temporale di questo Reame, che fu rampollo delle tante controversie giurisdizionali, delle quali sar? sempre piena la repubblica cristiana, e questo nostro Regno pi? che ogni altro; onde preser motivo alcuni valentuomini di travagliarsi per riducere queste due potenze ad una perfetta armonia e corrispondenza, e comunicarsi vicendevolmente la loro virt? ed energia; essendosi per lunga sperienza conosciuto, che se l'imperio soccorre con le sue forze al sacerdozio, per mantenere l'onor di Dio ed il sacerdozio scambievolmente stringe ed unisce l'affezion del Popolo all'ubbidienza del Principe, tutto lo Stato sar? florido e felice; ma per contrario, se queste due potenze sono discordanti fra loro, come se il sacerdozio, oltrepassando i confini del suo potere spirituale, intraprendesse sopra l'Imperio e governo politico, ovvero se l'Imperio rivolgendo contro Dio quella forza, che gli ha messa tra le mani, volesse attentare sopra il sacerdozio, tutto va in confusione ed in ruina; di che potranno esser gran documento i molti disordini, che si sentiranno perci? in questo istesso nostro Reame accaduti.
Nel trattar dell'uso e dell'autorit?, ch'ebbero in queste nostre province, cos? le leggi romane, come i regolamenti ecclesiastici, e le leggi dell'altre nazioni, non si ? risparmiato n? fatica n? travaglio: e forse il veder l'opera in questa parte abbondare, far? scoprir la mia professione, palesandomi al Mondo pi? Giureconsulto, che Politico. Veracemente meritava questa parte, che fosse fra noi ben illustrata; poich? non in tutti luoghi, n? in tutti tempi fu cotal uso ed autorit? delle romane leggi sempre uniforme: onde avendo i nostri Giureconsulti trascurata questa considerabilissima parte, siccome altres? quella dell'origine ed uso dell'altre leggi, che da poi nello stesso nostro Regno da straniere Nazioni s'introdussero; ? stata potissima cagione, ch'abbian costoro riempiuti i lor volumi di gravi e sconci errori; da' quali con chiaro documento siamo ancora ammaestrati, quanto a ciaschedun sia meglio affaticarsi per andar rintracciando in sua contrada le varie fortune ed i varj casi delle leggi romane, e delle proprie, che con dubbio, e poco accertamento andar vagando per le province altrui. Imperocch? quantunque si possa, per un solo, tesser esatta istoria dell'origine e progressi delle lettere nell'altre professioni, e della varia lor fortuna per tutte le parti d'Europa, siccome veggiamo esser ad alcuni talora riuscito; nientedimeno quanto ? alla Giurisprudenza, la quale spesso varia aspetto al variar de' Principi e delle Nazioni, egli non ? carico, che possa gi? per un solo sostenersi, ma dee in pi? esser ripartito, ciascun de' quali abbia a raggirarsi nell'uso, nell'autorit? e nelle varie mutazion, che trover? nella propria regione essere accadute. Cos? scorgiamo essersi della Giurisprudenza romana per alcuni eccellenti Scrittori compilata qualche istoria; per? quasi si son affaticati a renderla chiara ed illustre, in narrando la sua origine ed i progressi ne' tempi, che l'Imperio romano nacque, crebbe, e si stese alla sua maggior grandezza; ma i varj casi di quella, quando l'Imperio cominci? poi a cader dal suo splendore, la sua dichinazione, obblivione e ristoramento, l'uso e l'autorit?, che le fu data ne' nuovi Dominj, dopo l'inondazione di tante nazioni in Europa stabilite; quando per le nuove leggi rimanesse presso che spenta, e quando ristabilita quelle oscurasse; non potranno certamente in tutte le parti d'Europa da un solo esattamente descriversi. Perci? ben si consigliarono alcuni nobili spiriti, dopo aver dato un saggio delle cose generali nel proprio Regno o provincia, prefiggersi i confini, oltre a' quali di rado, o non mai trapassarono.
Nel nostro Regno solamente, ci? che gli altri, tratti dall'amor della gloria della loro Nazione, fecero, ? stato sempre trascurato. N? per certo dovrebb'essere maggior l'aspettazione e 'l desiderio, che vi si provedesse, della maraviglia, come in un Regno cos? ampio e fecondo di tanti valorosi ingegni che con le loro opere han dato saggio al Mondo, null'altro studio esser loro pi? a cuore, che quello delle leggi, abbian poi tralasciato argomento s? nobile ed illustre. Imperciocch? una Storia esatta dell'uso ed autorit?, che nel nostro Regno ebbero le leggi romane, e de' varj accidenti dell'altre leggi, che di tempo in tempo furon per diverse nazioni in esso introdotte, onde ne vennero le prime oscurate, e come poi risorte avessero racquistato il loro antico splendore ed autorit?, e siansi nello stato, in cui oggi veggiamo, restituite; dovrebbe in vero essere una delle cose appresso noi pi? considerabili, non per leggieri e vane, ma per gravi ed importantissime cagioni. Non perch? per troppa curiosit?, e forse inutile, si dovesse esser ansioso di spiar le varie vicende di quelle; non perch? ne ricevano esse maggior pompa e lustro, n? per ostentazione di peregrina e non volgar'erudizione; ma per pi? alte cagioni: queste sono, perch? da un esatta notizia di tutto ci?, che abbiam proposto oltre all'accrescimento della prudenza, per l'uso delle leggi, e per un diritto discernimento, ciascuno potr? ritrarne l'idea d'un ottimo Governo; poich? notandosi nell'Istoria le perturbazioni ed i moti delle cose civili, i vizj e le virt?, e le varie vicende di esse, sapr? molto ben discernere, quale sia il vero, ed al migliore appigliarsi.
Grave dunque, e per avventura superiore alle mie poche forze, sar? il peso, ond'io ho voluto caricarmi: e tanto pi? grave, ch'avendo riputato, che non ben sarebbe trattata l'Istoria legale, senza accoppiarvi insieme l'Istoria civile, ho voluto congiungere in uno la politia di questo Reame con le sue leggi, l'Istoria delle quali non avrebbe potuto esattamente intendersi, se insieme, onde sursero, e qual disposizione e forma avessero queste province, che con quelle eran governate, non si mostrasse. E quindi ? avvenuto, che attribuendosi il lor cambiamento a' regolamenti dello Stato ecclesiastico, che poi leggi canoniche furono appellate, siasi veduta avvolgersi questa mia fatica in pi? alte imprese, ed in pi? viluppi essermi intrigato, da non poter cos? speditamente sciormene: perci? fui pi? volte tentato d'abbandonarla, imperocch?, pensando tra me medesimo alla malagevolezza dell'impresa, a' romori del Foro, che me ne distoglievano, e molto pi? conoscendo la debolezza delle mie forze, ebbi credenza, che non solamente ogni mio sforzo vano sarebbe per riuscire, ma che ancora di soverchia audacia potrebbe essere incolpato; onde talora fu, che, atterrito da tante difficolt?, rimossi dall'animo mio ogni pensiero di proseguirla, riserbando a tempo migliore, ed a maggior ozio queste cure.
Ma per conforto, che me ne davano alcuni elevati spiriti, non tralasciai intanto di proseguire il lavoro, con intendimento, che per me solo avesse avuto a servire, e per coloro, che se ne mostravan vaghi; fra' quali non manc? chi, oltre d'approvare il fatto, e di spingermi al proseguimento con acuti stimoli, di soverchia vilt? accagionandomi, pi? audace perci? mi rendesse. Considerava ancora, che queste fatiche, quali elle si fossero, non doveano esporsi agli occhi di tutti: esse non dovean trapassare i confini di questo Reame; poich? a' curiosi solamente delle nostre cose erano indirizzate; e che se mai dovessero apportar qualche utilit?, a noi medesimi fossero per recarla, e spezialmente, a coloro, che ne' Magistrati, e nell'Avvocazione sono impiegati, l'umanit? de' quali essendo a me per lunga sperienza manifesta, m'assicurava, non dover essere questo mio sforzo riputato per audace, e che appo loro qualunque difetto avrebbe trovato pi? volentieri scusa e compatimento, che biasimo o disprezzo.
Essendomi pertanto liberato da questo timore, posso ora imprometter con franchezza a coloro, che vorranno sostenere il travaglio di legger quest'Istoria, d'offerirne loro una tutta nuova, e da altri non ancor tentata.
Mi sono studiato in oltre, tutte quelle cose, che da me si narrano, di fortificarle coll'autorit? d'uomini degnissimi di fede, e che furono, o contemporanei a' successi, che si scrivono, o i pi? diligenti investigatori delle nostre memorie. Il mio stile sar? tutto schietto e semplicissimo, avendo voluto, che le mie forze, come poche e deboli, s'impiegassero tutte nelle cose, pi? che nelle parole, con indirizzarle alla sola traccia della verit?; ed ho voluto ancora, che la sua chiarezza dipendesse assai pi? da un diritto congiungimento de' successi colle loro cagioni, che dalla locuzione, o dalla commessura delle parole. Non ho voluto nemmeno arrogarmi tanto d'autorit?, che si dovesse credere alla sola mia narrazione; ho perci? procurato additar gli Autori nel margine, i pi? contemporanei agli avvenimenti, che si narrano, o almeno de' pi? esatti, e diligenti; e tutto ci?, che non s'appoggiava a documenti legittimi, o come favoloso l'ho ricusato, o come incerto l'ho tralasciato.
Io non son cotanto ignaro delle leggi dell'istoria, che non m'avvegga, alcune volte non averle molto attentamente osservate; e che forse l'aver voluto con troppa diligenza andar ricercando molte minuzie, abbia talor potuto scemarle la dignit?; e che sovente, tirando le cose da' pi? remoti principj, siami soverchio dilungato dall'istituto dell'opera. Ma so ancora, che non ogni materia pu? adattarsi alle medesime forme, e che il mio suggello, raggirandosi intorno alla politia e stato civile di questo Reame, ed intorno alle sue leggi, siccome la materia era tutt'altra, cos? ancora doveasi a quella adattare altra forma; e pretendendo io, che qualche utilit? debba ricavarsene, anche per le cose nostre del Foro, non mi s'imputer? a vizio, se discendendo a cose pi? minute, venga forse in alcuna parte a scemarsene la gravit?, perch? finalmente non dovranno senza qualche lor frutto leggerla i nostri Professori, a' quali per la sua maggior parte, e massimamente in ci?, che s'attiene all'Istoria legale, ? indirizzata; anzi alcune cose avrebbero per avventura richiesto pi? pesato e sottile esaminamento; ma non potendomi molto giovar del tempo, sarebbe stato lo stesso, che non venirne mai a capo. E l'essermi io talora dilungato ne' principj delle cose, fu perch? non altronde poteano con maggior chiarezza congiungersi gli avvenimenti alle cagioni; il che, oltre alla notizia, mena seco anche la chiarezza, come si scorger? nel corso di quest'Istoria.
STORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI
LIBRO PRIMO
Quest'ampia e possente parte d'Italia, che Regno di Napoli oggi s'appella, il qual circondato dall'uno e dall'altro mare, superiore ed inferiore, non ha altro confine mediterraneo, che lo Stato della chiesa di Roma, quando per le vittoriose armi del Popolo romano fu avventurosamente aggiunta al suo Imperio, ebbe forma di governo pur troppo diversa da quella, che sort? da poi ne' tempi degli stessi romani Imperadori. Nuova politia speriment? quando sotto la dominazione de' Re d'Italia pervenne. Altri cambiamenti vide sotto gl'Imperadori d'oriente. E vie pi? strane alterazioni sofferse, quando per varj casi trapassata di gente in gente, finalmente sotto l'Augustissima Famiglia Austriaca pervenne.
Ben egli ? vero, che a chiunque riguarda la felicit? dell'armi del P. R. parr? cosa stupenda, come in cos? breve tempo avesse potuto stendere il suo imperio sopra tante province, e s? lontane. N? potr? senza sorprendersi, sentire, come nella sua infanzia, quasi lottando co' vicini, tosto gli vincesse; che soggiogata indi a poco l'Italia, adulto appena, stendesse le sue braccia in pi? remoti paesi. Prendesse la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, e s'inoltrasse poi nell'ampie regioni della Spagna; e renduto gi? virile e possente, soggiogasse da poi la Macedonia, la Grecia, la Siria, la Gallia, l'Asia, l'Africa, la Bretagna, l'Egitto, la Dacia, l'Armenia, l'Arabia, e l'ultime province dell'oriente; tanto che alla perfine oppresso dal grave peso di tanta, e s? sterminata mole, bisogn? che cedesse sotto il suo incarico medesimo.
Ma forse cosa pi? ammirabile e degna di maggior commendazione dovrebbe sembrare l'istituto e la moderazione, che pratic? colle genti vinte e debellate. E non seguendo l'esempio degli Ateniesi, e de' Lacedemoni, da' quali tutte come straniere venivan trattate prendendo di loro troppo aspro governo: quelle condizioni, o dure o piacevoli lor concedeva, che s'avesse meritato, o la loro fedelt? ed amicizia, ovvero l'ostinazione e protervia. Alcuni Popoli, dice Flacco, pertinacemente contra i Romani guerreggiarono. Altri conosciuta la virt? loro serbaron a' medesimi una costante pace. Alcuni altri sperimentando la loro fedelt? e giustizia, spontaneamente a color si rendettono ed unirono, e frequentemente portaron le armi contra loro nemici; onde era di dovere, che secondo il merito di ciascuna Nazione ricevessero le leggi e le condizioni; imperciocch? non sarebbe stata cosa giusta, che con eguali condizioni s'avessero avuto a trattare i Popoli fedeli, e coloro che tante volte violando la fede ed i giuramenti dati, ruppero la pace, e portarono guerra a' Romani. Per questa cagione fu da essi con diverse condizioni governata l'Italia dall'altre province dell'Imperio. Quindi avvenne, che nelle citt? istesse d'Italia fossero stati introdotti que' varj gradi, e quelle varie ragioni di cittadinanza Romana, di Municipj, di Colonie, di Latinit?, di Prefetture, e di Cittadi Federate; e quindi avvenne ancora, che rendutisi Signori di tante, e s? remote province, con prudente consiglio si fosse istituito, che altre fossero Vettigali, altre Stipendiarie, o Tributarie: altre Proconsolari, ed altre Presidiali.
Questi erano i pi? ragguardevoli privilegi de' cittadini romani, cio? di coloro che in Roma, o ne' luoghi a se vicini ebbero la fortuna di nascere: e secondo, che alcuni di essi erano conceduti per ispezial grazia, e favore agli altri luoghi d'Italia, vennero quindi a formarsi quelle varie condizioni di Municipj, di Colonie, di Citt? federate e di Prefetture.
Fu tempo, che il numero delle citt? federate in Italia era maggiore delle Colonie, de' Municipj e delle Prefetture: ma da poi si videro varie mutazioni, passando l'una Citt? nella condizione dell'altra, e questa in quella. Cos? Capua da Citt? Federata pass? in Prefettura, indi nel Consolato di C. Cesare in Colonia: Cuma, Acerra, Suessula, Atella, Formia, Piperno ed Anagni prima Municipj, indi Colonie, e talora anche Prefetture. Fondi, Ceri ed Arpino in alcun tempo furono Municipj: Casilino, Vulturno, Linterno, Pozzuoli e Saturnia, Colonie: e Calatia, Venafro, Alife, Frusilone, Rieti e Nursia, mentre dur? la libert? del P. R. furono sempre Prefetture.
Ma non dobbiamo tralasciar di notare, che questi varj gradi, e varie condizioni delle citt? d'Italia ebbero tutta la lor fermezza, mentre dur? la libert? del P. R. poich? dopo, tralasciando che Augusto priv? della libert? molte Citt? Federate, le quali licenziosamente troppo di quella abusavano: essendosi per la legge Giulia adeguati i suffragi di tutti, e conceduta parimente la cittadinanza a tutta l'Italia, siccome da poi da Antonino Pio fu conceduta alle province: le ragioni de' Municipj, delle Colonie e delle Prefetture furono abolite, e cominciarono questi nomi a confondersi, in guisa che alle volte la Colonia veniva presa per Municipio, il Municipio per Colonia, ed anche per Prefettura: onde dopo la legge Giulia tutte le citt? d'Italia, alle quali fu conceduto il Jus de' suffragi, potevan Municipj nomarsi; e da poi Antonino Pio fece una la condizione non pur delle citt? d'Italia, ma di tutte le genti, e Roma fu comun patria di tutti coloro, che al suo imperio eran soggetti.
Queste furon le varie condizioni delle citt? d'Italia. Non dissimil avrem ora da narrar quelle, che il Popolo romano concedette alle province fuori di quella.
Le terre delle province non lasciarono d'esser nella signoria pubblica dell'Imperio romano, e d'essere tributarie, come prima. I Romani, avendo nel corso di cinquecento anni soggiogata l'Italia, portando le vittoriose loro armi fuori di essa, sottoposero al loro imperio molti vasti ed immensi paesi, che divisero non in regioni, ma in forma di province. Le prime furon la Sicilia, la Sardegna, la Corsica, le due province della Spagna, l'Asia, l'Etolia, la Macedonia, l'Illirico, la Dalmazia, l'Affrica, l'Acaja, la Grecia, la Gallia Narbonese, l'Isole Baleari, la Tracia, la Numidia, Cirene, Cilicia, Bitinia, Creta, Ponto, la Siria, Cipro e la Gallia transalpina. Alle quali da poi da' Cesari s'aggiunsero la Mauritania, la Pannonia, la Mesia, l'Egitto, la Cappadocia, la Bretagna, la Dacia, l'Armenia, la Mesopotamia, l'Assiria e l'Arabia.
Tali, e cos? varie furono le condizioni delle citt? d'Italia, e delle province dell'Imperio romano; ma qual forma di politia, e quante divisioni ricevesse l'Imperio infino a' tempi di Costantino il Grande, uopo ? qui, per la maggior chiarezza delle cose da dirsi, che brevemente trattiamo.
Quattro divisioni, per comun consentimento degli Scrittori, le quali altrettanti Autori riconoscono, e quattro aspetti e forme di Repubbliche ebbe l'Imperio Romano fino alla sua decadenza. Della prima, di cui Romolo fu l'autore, troppo a noi remota, e che niente conduce all'istoria presente, non farem parola: ma della seconda stabilita da Augusto, e della terza, che riconosce per suo autore Adriano, egli ? di mestieri, che qui ristrettamente se ne ragioni, senza la cui notizia non cos? bene s'intenderebbe la quarta, che introdotta da Costantino M. fu poi da Teodosio il Giovane ristabilita, della quale nel secondo libro, come in suo luogo, ragioneremo.
Tutte quelle regioni, che nel corso di 500. anni furono soggiogate dal P. R. non con altro general nome, che sotto quello d'Italia furon appellate. Ma questa ebbe varj distendimenti, e varj confini; poich? prima i suoi termini erano il fiume Eso dal mar superiore, e il fiume Macro dal mar inferiore; ma dopo vinti, e debellati i Galli Senoni si distese infin al Rubicone; e finalmente essendosi a lei aggiunta anche tutta la Gallia Cisalpina, allarg? i suoi confini infin alle radici dell'Alpi; onde furono i di lei termini, verso il mare superiore, l'Istria, il Castello di Pola, ed il fiume Arsia; nel mar inferiore, il fiume Varo, che da' Liguri divide la Gallia Narbonense; e per confine mediterraneo ebbe le radici dell'Alpi.
In province furon divisi que' luoghi e quegli ampi paesi, che soggiogata l'Italia, coll'ajuto di lei conquist? da poi il P. R. Le prime furono la Sicilia, la Sardegna e la Corsica: quindi avvenne che la Sicilia, secondo questa descrizione dell'Imperio, fosse riputata provincia fuori d'Italia; onde Dione lasci? scritto, che avendo Augusto fatto un Editto, che i Senatori non dovessero andar senza licenza di Cesare fuori d'Italia, eccettoch? nella Sicilia, e nella provincia Narbonense, bisogn? che espressamente eccettuasse dall'Editto queste due province, perch? altrimente vi sarebbero state comprese. Furono poi aggiunte le Spagne e l'Asia, l'Etolia, la Macedonia, l'Illirico, la Dalmazia, l'Affrica, l'Acaja, la Grecia, la Gallia Narbonense, l'Isole Baleari, la Tracia, Numidia, Cirenaica, Cilicia, Bitinia, Creta, Ponto, l'Assiria, Cipro, e la Gallia Transalpina.
Furon da poi da' Cesari aggiunte altre province all'Imperio romano, ci? sono, la Mauritania, la Pannonia, la Mesia, l'Affrica, le province orientali, la Cappadocia, Britania, Armenia, Mesopotamia, Assiria, Arabia ed altre; le quali province da Augusto, altre in Proconsolari partite furon, altre in Presidiali. Le province pi? pacifiche e quiete, le quali senz'arme, ma col solo comandamento potevan governarsi, le diede egli in guardia e le commise alla cura del Senato, il quale vi mandava i Proconsoli. Le pi? feroci e le pi? torbide, che senza militar presidio non potevan reggersi, riserb? a se, ed in queste mandava egli il Preside. Ecco in brieve qual fosse la disposizion dell'Imperio romano sotto Augusto.
E Minturno pure ad un tal Flavio eresse quell'altro.
M . FLAVIO . POSTU C . V . PATR . COL ORDO . ET POPV MINTVRNEN
La condizione di queste Prefetture, come s'? detto, era la pi? dura; non potevano aver proprie leggi, come i Municipj: non potevan dal Corpo delle loro citt? creare i Magistrati, come le Colonie: ma si mandavan da Roma per reggerle. Sotto le leggi de' Romani vivevano, e sotto quelle condizioni, che a' Magistrati romani loro piaceva d'imporre.
Queste Fratrie, o sian Curie non eran altro che confratanze, o vero corpi, ne' quali si scrivevano e univano non gi? soli i congiunti o fratelli d'un'istessa famiglia, ma molt'insieme della medesima contrada; e per lo pi? la Fratria si componeva di trenta famiglie. Il luogo ove univansi era un edificio, nel quale oltre a' portici ed alle loro stanze, v'ergevano un privato tempio, che dedicavano a qualche loro particolar Dio, o Eroe; e da quel Nume, a cui essi dedicavan la Confratanza, si distingueva l'una dall'altra Fratria. In questo luogo celebravano i loro privati sacrificj, i conviti, l'epule, e l'altre cose sacre, secondo i loro riti e cerimonie distinte e particolari e convenienti a quel Dio, o Eroe, a cui era il tempio dedicato. Eranvi i Sacerdoti, i quali a sorte dovean eleggersi da questa, o da quella famiglia; e poich? regolarmente le Fratrie si componevano di trenta famiglie, da ciascheduna s'eleggevano a sorte i Sacerdoti. Convenivano quivi costoro, ed i primi della contrada; e non solamente univansi per trattar le cose sacre, i sacrificj e l'epule, ma anche trattavano delle cose pubbliche della citt?, onde presero anche nome di Collegj.
Egli ? per? vero, che tratto tratto questa citt? andava dismettendo questi usi proprj de' Greci, ed essendo stata lungamente Citt? Federata de' Romani, e da poi ridotta in forma di Colonia, divenendo sempre pi? soggetta a Romani, cominci? a lasciare i nomi de' suoi antichi Magistrati, come degli Arconti e dei Demarchi, de' quali par che si valesse infino a' tempi d'Adriano, giacch? Sparziano rapporta, parlando di questo Imperadore, che fu Demarco in Napoli; poich? era costume d'alcuni Imperadori romani volendo favorire qualche citt? amica, d'accettare, quando si trovavan in quella, i titoli e gli onori de' Magistrati municipali. Ma da poi divvezzandosi col correr degli anni dagl'istituti greci, e divenuta Colonia de' Romani, segu? in tutto l'orme di Roma, con valersi de' nomi di Senato, di Popolo, e di Repubblica, e de' Magistrati minori a somiglianza degli Edili, Questori, ed altri Ufficiali di quella citt?, non altrimenti che usavan tutte l'altre Colonie romane, come di qui a poco diremo.
Riguardando adunque ora questa citt?, come federata a' Romani, non pu? negarsi, che innanzi e dopo Augusto toltone il tributo, che pagava a' Romani, fu da essi trattata con tutta piacevolezza, e lasciata nella sua libert?, con ritener forma di Repubblica, e riputata pi? tosto amica, che soggetta. Chiarissimo argomento della sua libert? ? quello, che ci somministra Cicerone; poich'e' narra, ch'essendo stata per la legge Giulia conceduta la cittadinanza romana all'Italia, fuvvi fra que' d'Eraclea, e nostri Napoletani gran contrasto e grandissimi dispareri, se dovessero accettare, o rifiutare quel favore da tutti gli altri popoli d'Italia molto avidamente bramato; e reputando alla perfine esser loro pi? profittevole rimanere nella lor antica libert?, che soggettarsi, per quest'onore della cittadinanza, a' Romani, anteposero la libert? propria alla romana cittadinanza. In brieve, toltone il tributo, che in segno della sua subordinazione pagava a' Romani, nel resto era tutta libera, siccome eran ancora tutte l'altre Citt? Federate, e si reputavano come fuori dell'Imperio romano; tantoch? come s'? veduto, gli esuli de' Romani potevan in quelle soddisfar la pena dell'imposto esilio.
I Capuani, secondo che suspica l'accuratissimo Pellegrino, quando la loro citt? era a' Romani federata, non dovettero pagar tributo di navi, ma d'eserciti terrestri; perciocch? dominando eglino una fecondissima regione, dovevan i loro eserciti militari esser di fanteria, e di cavalleria; ed ? ben noto, che i Capuani militarono in gran numero negli eserciti terrestri de' Romani. Ma siccome l'infedelt? de' Capuani verso i Romani port? la ruina della loro citt?, poich? ridotta in Prefettura, rimase senza Senato, senza Popolo, senza Magistrati, ed in pi? dura condizione, e servit?; cos? all'incontro Napoli perseverando con molta costanza nella medesima amicizia co' Romani in ogni loro prospera e contraria fortuna, e singolarmente nel tempo della seconda guerra Cartaginese, quando le frequenti vittorie, che di coloro ottenne Annibale, avean riempiuta tutta l'Italia e la medesima Roma di confusione e di terrore, fu loro sempre fedele, e costante. Fu ancora questa citt? gratissima a' Romani per gli piacevoli costumi ed esercizj dei suoi Greci, e per l'amenit? del suo clima, ond'i Romani d'ogni grado e d'ogni et?, non che i men robusti ed i consumati dalle fatiche e dagli anni quivi solevansi condurre a diporto. Meritarono perci? i Napoletani, che nella lor citt? non si mandasse alcun presidio, siccome all'incontro per la loro infedelt? meritaron i Capuani, che nella loro Citt? continuamente dimorasse presidio di soldati Romani, eziandio cessato il timore delle guerre co' prossimi Sanniti, giacch? la sua incostanza cos? richiedeva. Ma in Napoli non fu mandato tal presidio, n? men in quel pericoloso tempo della sudetta guerra Cartaginese, fuorch? a richiesta de' medesimi Napoletani.
Cos? ancora per la loro intera fede meritarono, che niente si fosse scemato dell'altra condizione della loro confederazione, per la quale agli esuli Romani era permesso di potersi ricovrare in Napoli, e dimorarvi senza timore; dove condurre volevasi a questo fine lo scelerato Q. Pleminio, quando fra via fu fatto prigione da Q. Metello. N? ? leggiero argomento, ch'una tal franchigia non fosse giammai violata, l'essersi anche in Napoli salvato Tiberio Nerone allorch? nell'Imperio romano per le lunghe guerre civili e per le fazioni, n? le pubbliche leggi, n? altra cosa eran pi? rimase salve. In questa guisa adunque fu da' Romani premiata la fedelt? napoletana; e finch? si mantennero nella medesima citt? i suoi antichi usi, e costumi greci; ella quasi sola di tutte l'altre citt? di queste regioni non prov? mutazione; avendo solamente avute per compagne, Reggio, Taranto e Locri.
Essendo tale il costume e tanta la generosit? dei Romani, pot? credere con fondamento quel diligentissimo investigatore delle nostre antichit? Camillo Pellegrino che i Romani in decorso di tempo avesser anche fatti liberi i Napoletani non solamente dall'obbligo delle navi, ma anche d'ubbidire a qualunque lor Magistrato, s? per gli meriti della loro costante fedelt?, come per gli piacevoli diporti, che in Napoli prender solevano: onde, ei dice, che non sarebbe da riputarsi cosa strana, che questa citt? cotanto lor cara fosse stata da essi renduta franca del tributo delle navi nella universal pace del Mondo, imperando Augusto, e che l'avesser anche sottratta da ogni potest? di qualunque lor Magistrato. Cesare ben alcun tempo ebbe a sdegno i Napoletani, come scrisse Cicerone; forse perch'essendosi in Napoli gravemente infermato Pompeo nel principio della lor gara, i Napoletani per la sua salute offerirono molti sacrificj, e col lor esempio mossero l'altre citt? d'Italia, e grandi e piccole a far perci? molti giorni feriati. Ma Augusto all'incontro gli ebbe molto cari; e che d'alcun segnalato privilegio avesse lor fatto nobil dono, pu? esserne manifesto argomento, ch'essi in onor suo dedicaron e celebrarono un nobil giuoco d'Atleti, in cui egli stesso bram? d'esser presente. La sua Livia, la quale condottavi dal suo primo marito Tiberio ne' loro maggiori perigli, vi si era ricoverata; il suo Virgilio, cui piacquer tanto gli ozj napoletani; tutte queste cose dovettero essere stati soavi mantici d'un tant'amore; ond'? che non senza ragione s'attribuisca ad Augusto d'aver accresciuta questa citt? d'altre nuove prerogative, e d'averla prosciolta dall'obbligo delle navi, e sottratta dalla potest? di qualunque romano Magistrato. E per questa ragione alcuni, su la falsa credenza, che Napoli fosse interamente divenuta cristiana, sin dal primo giorno della predicazione, che si narra essersi quivi fatta da S. Pietro Apostolo, allorch? da Antiochia venendo a Roma, vi ordin? il primo Vescovo Aspreno: tennero fermamente, che in Napoli non vi fossero stati martirj di Cristiani; siccome quella, che non soggetta a' Principi gentili, n? ad alcun altro lor Magistrato, non permise quel macello in sua casa. Ma quanto ci? sia dal ver lontano, ben fu avvertito da Pietro Lasena e ben a lungo fu dimostrato dal P. Caracciolo, e da noi sar? esaminato, quando della politia ecclesiastica di queste regioni farem parola.
Duraron in Napoli lungo tempo sotto i successori d'Augusto queste belle prerogative e queste piacevoli condizioni. Ma dappoich? i Napoletani cominciaron pian piano a svezzarsi da' costumi natii, e dagli usi de' Greci, e a quelli de' Romani accomodarsi, e finalmente ad imitare in tutto i costoro andamenti: prese la lor citt? nuovo aspetto e nuova forma di Repubblica. Fulvio Ursino credette, che Napoli da Augusto fosse stata renduta Colonia insieme coll'altre, che dedusse in Italia; ma da quanto si ? finora detto e da ci? che ne scrive il P. Caracciolo, riprovando l'opinione di quest'Autore, si conosce chiaro, che non da Augusto, ma in tempi posteriori o di Tito, o di Vespasiano Napoli fu renduta Colonia. Che che ne sia, n? perch? passasse nella condizione di Colonia, perd? quella libert? e quella politia intorno a' Magistrati, che prima avea: non essendo a lei intervenuto, come a Capua, che da Citt? Federata pass? in Prefettura. Ella come Colonia latina ritenne quel medesimo istituto di poter dal suo corpo eleggere i magistrati: non si mandavan da Roma i Prefetti per governarla: ritenne ancora il Senato, il Popolo: ebbe i Censori, gli Edili, ed altri Magistrati a somiglianza di Roma. Se le permise valersi de' nomi di Senato e di Popolo e di Repubblica: e molti marmi perci? leggiamo co' nomi di S. P. Q. N. e fra gli altri quei trascritti da Grutero, che i Napoletani ad un tal Galba Bebio Censore della Repubblica dirizzarono.
S . P . Q . NEAPOLITANVS D . D . L . ABRVNTIO . L . F . GAL ? BAEB ? CENSORI ? REIPV . NEAP .
e quell'altro,
S . P . Q . NEAPOLITANVS L . BAEBIO . L . F . GAL . COMINIO PATRONO COLONIAE .
N? fu detta Colonia, perch? da Roma, o altronde fossero stati in lei mandati nuovi abitatori, ma rimanendo gli antichi, se le concedettono le ragioni del Lazio, siccome a tutte l'altre Colonie latine, le quali e della Cittadinanza e di molte altre prerogative erano fregiate; e per questa cagione pot? ritenere, a differenza dall'altre Colonie, le leggi patrie e municipali, senza avere in tutto a dipendere e a reggersi colle sole leggi romane, siccome in fatti molte patrie leggi e molti riti grecanici ritenne, i quali mai non perdette, e d'alcuni d'essi tuttavia ne serba oggi vestigio.
Grave adunque ? l'error di coloro, che riputaron Napoli Repubblica totalmente libera ed indipendente dall'Imperio romano, solamente perch? si legge il nome della napoletana Repubblica in pi? d'una antica inscrizione, ed in pi? d'un antico Autore. Non avendo avvertito, che ne' tempi d'Adriano, e molto pi? di Costantino M. e degli altri Imperadori suoi successori fu citt?, come tutte l'altre, al Consolare di Campagna sottoposta, siccome appresso mostreremo.
Ecco in brieve l'aspetto e la politia che avevan nell'et?, di cui si tratta, quelle regioni, che oggi compongon il Regno. Non era allora diviso in province, come fu fatto da poi, ma in regioni: ciascheduna delle quali aveva citt?, che secondo le loro condizioni, o di Municipio, o di Colonia, o di Prefettura, o di Citt? Federata, si governavano. Si viveva generalmente colle leggi de' Romani, siccome quelle, che per la loro eccellenza eran venerate da tutte le genti, come le pi? giuste, le pi? sagge, e le pi? utili all'umana societ?. Solamente si permise, che i Municipj, e le Citt? Federate potessero ritener le proprie e le municipali, ma queste mancando, si ricorreva a quelle, come a' fonti d'ogni divina ed umana ragione. Eran i governi secondo le condizioni di ciascheduna citt?: molte venivan rette da Prefetti mandati da Roma, moltissime da' Magistrati, che dal proprio seno era lor permesso d'eleggere, e quasi tutte si studiavano d'imitare il governo di Roma lor capo, della quale erano piccoli simulacri ed immagini.
Non, come ora, tutte le bellezze, tutte le magnificenze e le ricchezze, stavan congiunte in una citt? sola, che fosse capo e metropoli sopra l'altre: ciascuna regione avea molte citt? magnifiche ed illustri per se medesime, Capua solamente un tempo innalz? il suo capo sopra tutte le altre: gi? cos? chiara ed illustre, Lucio Floro attesta essere stata anticamente paragonata a Roma ed a Cartagine, le pi? famose e stupende del Mondo: citt? cos? numerosa di gente e di traffico, ch'era riputata l'emporio d'Italia; in guisa, che i nostri Giurisconsulti l'agguagliavan sempre ad Efeso, e quasi tutti gli esempj, che recano, o di casi seguiti per contrattazioni, o di rimesse di pagamenti promessi farsi in Capua da luoghi remotissimi, o di traffichi tra famosi mercadanti, non altronde sono tolti, che da Capua, e da Efeso.
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