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Read Ebook: Istoria civile del Regno di Napoli v. 1 by Giannone Pietro

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Ebook has 1247 lines and 128479 words, and 25 pages

Non, come ora, tutte le bellezze, tutte le magnificenze e le ricchezze, stavan congiunte in una citt? sola, che fosse capo e metropoli sopra l'altre: ciascuna regione avea molte citt? magnifiche ed illustri per se medesime, Capua solamente un tempo innalz? il suo capo sopra tutte le altre: gi? cos? chiara ed illustre, Lucio Floro attesta essere stata anticamente paragonata a Roma ed a Cartagine, le pi? famose e stupende del Mondo: citt? cos? numerosa di gente e di traffico, ch'era riputata l'emporio d'Italia; in guisa, che i nostri Giurisconsulti l'agguagliavan sempre ad Efeso, e quasi tutti gli esempj, che recano, o di casi seguiti per contrattazioni, o di rimesse di pagamenti promessi farsi in Capua da luoghi remotissimi, o di traffichi tra famosi mercadanti, non altronde sono tolti, che da Capua, e da Efeso.

E chi potrebbe annoverare i tanti chiari e nobili spiriti, che in s? illustri citt? ebbero i natali, i Filosofi, i Matematici, gli Oratori, e sopra tutto i tanti illustri e rinomati Poeti? In breve. Quanto degli antichi oggi abbiamo di pi? rado e di pi? nobile nella filosofia e nelle matematiche, nell'arte oratoria, e sopra tutto nella poesia, tutto lo debbiamo a quegl'ingegni, che o furono prodotti da questo terreno, o che nati altrove in esso vissero, e quivi coltivaron i loro studj.

Mut? anche la politia ed i Magistrati, poich? institu? quattro consolari, a' quali fu commesso il governo delle maggiori province d'Italia, e l'altre secondo la lor varia condizione si commisero poi a' Correttori, ed altre a' presidi che furon nomi di magistrati di dignit? disuguale.

Diede alle province fuori d'Italia altra forma e disposizione.

La Spagna la divise in sei province, delle quali altre sortirono la condizione di presidiali, altre di consolari. Divise la Gallia, e la Britannia in diciotto province. L'Illirico in diciassette. La Tracia in sei. L'Affrica similmente in sei: e cos? parimente fece dell'Asia, e dell'altre province, delle quali non ? uopo qui farne pi? lungo catalogo.

Nuovo apparve il governo e pi? assoluto togliendosi alle citt? molte di quelle prerogative, che o la condizione di Municipio, o di Colonia, di Citt? Federata loro arrecava: molto perdette Napoli della sua antica libert?: molto l'altre Citt? Federate, e le Colonie. L'autorit? e giurisdizione de' Consolari, de' Correttori, e de' Presidi era pur grande e maggior accrescimento acquist?, quando Costantino M. traslatando l'Imperial seggio in Oriente, commise interamente a coloro il governo di queste nostre province che fu dar l'ultima mano alla rovina d'Italia, introducendosi in quella nuova forma e disposizione, che sar? pi? distesamente narrata nel secondo libro di quest'Istoria.

Non bastava aver s? bene distribuite le province e le regioni se di buone leggi ed instituti insieme non si fosse a quelle proveduto. Nel che non minore mostrossi la saviezza e prudenza de' Romani, poich? se si riguarda l'origine delle loro leggi, e con quanta maturit? e sapienza furono stabilite, con quanta prudenza da poi esposte, ed alla moltitudine e variet? degli affari adattate, a niuno la loro perpetuit? parr? strana, o maravigliosa.

Si vide ancora la giurisprudenza romana per li favori de' Principi ne' medesimi tempi al colmo della sua grandezza e dell'onore; poich? i Principi stessi, a' quali oggi solamente si commendan le discipline matematiche, non altro studio maggiormente avevan a cuore, che quello delle leggi: n? altri che i Giureconsulti negli affari pi? ardui e gravi si chiamavan a consiglio. Cos? leggiamo d'Augusto prudentissimo Principe, che volendo a' codicilli dar quella forza ed autorit?, che poi diede, dice il nostro Giustiniano che convoc? a se uomini sapientissimi, tra i quali fu Trebazio, del cui consiglio soleva sempre mai valersi nelle deliberazioni pi? serie e gravi. Cos? parimente appresso gl'Istorici di que' tempi osserviamo, che Trajano avesse in sommo onore Nerazio Prisco e Celso padre: Adriano si servisse del consiglio di Celso figliuolo di Salvio Giuliano, e d'altri insigni Giureconsulti. Piacque ad Antonino Pio l'opera di Volusio Meziano, d'Ulpio Marcello e d'altri. Marco Antonino Filosofo, nelle deliberazioni e nello stabilir le leggi voleva sempre per collega Cerbidio Scevola gravissimo Giureconsulto, al quale si d? il pregio d'avere avuti per discepoli molti celebri Giureconsulti, e fra gli altri Paolo, Trifonino, ed il grande e l'incomparabile Papiniano: Alessandro Severo adoperava i consigli d'Ulpiano, n? da lui stabilivasi costituzione senza il parere di venti Giureconsulti: Massimino il Giovane si serviva di Modestino. N? per ultimo gli stessi Imperadori nelle loro constituzioni medesime, vollero fraudare quei grand'uomini del meritato onore; poich? in esse con sommi encomj si valevano della coloro autorit? come fecero Caro, Carino, e Numeriano di Papiniano, e come fece Diocleziano, che con elogi si vale dell'autorit? di Scevola, e fecero altri Imperadori degli altri Giureconsulti.

N? minore alla prudenza e diligenza de' medesimi fu la dignit? e l'eleganza dell'orazione. Egli ? veramente cosa degna d'ammirazione, che l'eleganza del dire sia in tutti cos? uguale e perfetta, ancorch? non fiorissero in un tempo medesimo, ma distanti per secoli interi che niente si possa aggiungere o desiderare; e se vuole porsi mente al loro stile ed al carattere, non saprebbesi distinguere di leggieri a qual di loro dovesse darsi il primo luogo: ed ? degno ancora da notarsi, ciocch? Lorenzo Valla e Guglielmo Budeo di questa ugualit? e nettezza di parole e di sentenze de' loro libri parlando, lasciaron scritto, che se ad essi fu di maraviglia l'ugualit? che nell'epistole di Cicerone s'osservava, quasi che non da molti, ma da un solo Cicerone fossero state scritte; maggiore senz'alcun dubbio era quella, che dall'opere di questi Giureconsulti raccolte nelle Pandette prendevano; siccome quelli i quali non in un istesso tempo, ma in tempi lontanissimi e per secoli distanti ebbero vita: poich? incominciando da Augusto infin a' tempi di Costantino M. sotto di cui pur furon in pregio Ermogeniano, Arcadio Carisio Aurelio e Giulio Aquila corsero ben tre secoli, ne' quali, se appresso gl'Istorici Oratori e Poeti, e negli altri Scrittori osserviamo lunga differenza di stile, in questi Giureconsulti per? fu sempre uguale e costante.

Non dovr? adunque sembrar cosa strana, se in decorso di tempo, acquistassero tanta autorit? e forza le sentenze e l'opinioni di questi Giureconsulti, che dice Giustiniano essere stato finalmente deliberato, che i Giudici non potessero nel giudicare allontanarsi da' loro Responsi.

Se tanta autorit? dunque aveansi usurpata i primi Imperadori, allorch? nella languente Repubblica conservavansi ancora reliquie d'antica libert?: essendo poi di questa a poco a poco ogni immagine affatto svanita, non si pu? dubitare che gl'Imperadori seguenti, di veri Monarchi, e di Sovrani Principi il carattere e l'assoluta potest? independentemente non esercitassero; e pi? quelli, che ritrovaronsi poscia in Oriente, paese di conquista.

Della compilazione del Codice Teodosiano, come quella, che si fece molti anni da poi ne' tempi di Teodosio il Giovane, avrem occasione di lungamente ragionare, quando de' fatti illustri di quel Principe ci toccher? favellare.

Alessandro Severo l'ampli?, e ridusse in forma pi? nobile. Stabil? il salario a' Retori, Medici, Grammatici, ed a tutti gli altri Professori. Institu? gli Auditori pubblici, ed assegn? ancora alcune rendite a' Studenti, figliuoli di poveri, pur che per? fossero ingenui. I Romani di queste genti di lettere non facevan ordine a parte, ma le lasciavano mescolate nel terzo stato, e non avean tante persone, quante noi, che prendesser le lettere per professione e vocazione loro speciale: da poi quelle poche ch'essi n'aveano, le ridussero in milizie, le quali eran uffici quasi perpetui, di maniera che facevan di loro pi? stima, che noi, e di grandissimi privilegi onoravangli, come si vede nel Codice di Teodosio.

Dell'Accademia di Costantinopoli non era qui luogo di favellare, come quella, che molto tempo da poi nell'anno 425. fu da Teodosio il Giovane instituita e ridotta nella sua forma; onde se ne dar? saggio nel libro seguente di quest'istoria.

Ecco in qual floridissimo stato erano queste nostre province ne' tempi, che a Costantino precedettero: quando ciascheduna citt? si studiava di comporre la sua politia e governo, ad imitazion di Roma, della quale vantavano essere piccioli simulacri ed immagini: quando secondo le sue leggi vivevano: e quando la giurisprudenza romana, ch'era la lor norma e regola, era giunta nel colmo e nella pi? alta stima, se si pon mente o a' favori de' Principi, o alla prudenza delle loro costituzioni, o alla sapienza de' Giureconsulti, o alla maest? dell'Accademie, e dottrina de' Professori, o alla probit? de' Magistrati. Non ? occulto, che alcuni pur troppo vaghi di novit?, volendo rendersi per qualche stravaganza rinomati, non si sono ritenuti di biasimar le leggi romane come troppo sottili e ricercate, e che sovente s'oppongono al buon senso, ed al comunale intendimento degli uomini. Si ? veduto ancora, chi ha voluto perci? prendersi briga d'andarle esaminando, con riprovarne alcune, come alla ragione ed all'equit? contrarie. Altri ne dettaron particolari trattati, che vengon rapportati da Giorgio Pasquio: e fra' nostri volle anche tentarlo il Cardinal di Luca, che ne distese pi? discorsi. Ma ben si sar? potuto conoscere quanto costoro siano traviati; i quali col debole e corto lume de' loro ingegni han preteso affrontare una verit? per tanti secoli conosciuta e professata da' maggiori uomini, che fiorirono quando il genere umano si vide in tant'elevamento ed eminenza, in quanta non fu mai per l'addietro, e che non sappiamo se mai potr? ritornare in quella sublimit?, in cui fu ammirato mentre dur? il roman Imperio. I Romani ci diedero le leggi savie e giuste, come per isperimento si conobbe ch'erano le pi? utili, conformi all'equit? naturale, e adattate per la societ? civile ed all'umano commercio: che se fosse ad ognuno lecito farsi giudice sopra le leggi, ed a suo giudicio e capriccio dar regola a questa bisogna, vorrebbe ciascuno, fidando nel suo ingegno, sostenere al pari di chiunque altro la propria opinione; ed ecco i disordini e le confusioni, ed ecco alla per fine introdotto fra noi un deplorabile scetticismo. Solone perci? dimandato s'egli aveva date agli Ateniesi le pi? giuste e le pi? savie leggi, rispose, le migliori che si confacessero a' loro costumi, e le pi? acconce a' loro profitti; imperocch? la giustizia e la sapienza delle leggi non dipende da ragioni astratte e metafisiche, ma dall'utilit? che recan a' popoli, al commercio ed alla vita civile: di che per pi? secoli ne diedero bastanti riprove le romane: onde avvenne che ruinato l'Imperio, non per questo ne' nuovi dominj in Europa stabiliti, cess? la maest? e l'uso delle medesime. L'utilit? e l'onest? sono la norma delle leggi, e quelle saranno sempre le giuste, che riescono a' popoli utili ed oneste: ci? che meriterebbe un trattato a parte, non essendo del nostro instituto.

Egli ? pur vero, che alla corruttela de' costumi non si rimedia abbastanza colle leggi; ed in ci? non si pu? non commendare quel gravissimo ammaestramento di Bacone di Verulamio, che dovrebbon i Principi aver sempre innanzi agli occhi, dicendo egli che la maggiore lor cura e pensiero dovrebbe essere non tanto, come fanno, di rimediar agli abusi ed alle corruttele colle leggi, quanto d'invigilare su l'educazione de' giovani. Sopra il buono allevamento de' medesimi dovrebbon impiegare per mezzo delle leggi tutto il lor rigore; poich? in questa maniera in gran parte si scemerebbe il numero de' vizj e per conseguenza il numero delle leggi. Star tutt'intesi a ben ristabilire, e fornir di buoni instituti e di Professori l'Accademie e l'Universit? de' studj, ed in ci? porre ogni lor cura. Erasi negli ultimi nostri tempi cominciato a veder qualche riparo da' Collegj instituiti per la giovent?, nel che furon eminenti i Gesuiti. Ma par ora che scaduta gi? in quelli la prima disciplina, veggasi ancora andare scemando quell'antico fervore, e corrompersi sempre pi? ogni buon instituto. Richiederebbero veramente queste cose pi? tosto un Censore, che un Istorico, onde potendo fin qui bastare ci? che se n'? divisato come per un apparato delle cose che avranno a seguire, farem passaggio, dopo aver narrata la politia ecclesiastica di quest'et?, a' tempi di Costantino, donde quest'istoria prende suo principio.

La nuova religione cristiana, che da Cristo Signor nostro cominci? ne' tempi di Tiberio a disseminarsi fra gli uomini, ci fece conoscere due potenze in questo Mondo, per le quali e' bisognava che si governasse, la spirituale, e la temporale, riconoscenti un medesimo principio, ch'? Iddio solo. La spirituale nel Sacerdozio, o stato ecclesiastico, che amministra le cose divine e sacrate: la temporale nell'Imperio, o Monarchia, o vero stato politico, che governa le cose umane e profane: ciascuna di loro avente il suo oggetto separato: i Principi perch? soprantendano alle cause del secolo: i Sacerdoti alle cause di Dio. Ciascuna ancora ha suo potere diverso e distinto; de' Principi il punire, o premiare con corporale pena, o premio: de' Sacerdoti con spirituale. In breve, a ciascuna fu dato il suo potere a parte: laonde siccome non senza cagione il Magistrato porta la spada, cos? ancora i Sacerdoti le chiavi del Regno de' Cieli.

Appresso gli antichi Greci questo medesimo costume veggiamo, che ci rappresenta Omero, dove gli Eroi, cio? i Principi, eran quelli che facevan i sacrifizj: degli Ateniesi e di molte altre citt? della Grecia lo stesso narra Platone: appresso gli Etiopi, scrive Diodoro, che i Re eran i Sacerdoti: siccome ancora appresso gli Egizj narra Plutarco; ed appresso gli Spartani Erodoto.

Ma presso a' Cristiani la religione non ? indirizzata alla conservazione dello Stato, ed al riposo di questo Mondo, ma ad un pi? alto fine, che riguarda la vita eterna, e che ha il suo rispetto a Dio, non agli uomini: e quindi presso di noi il Sacerdozio ? riputato tanto pi? alto e nobile dell'Imperio, quanto le cose divine sono superiori all'umane, e quanto l'anima ? pi? nobile del corpo e de' beni temporali. Ma dall'altra parte, essendo stata data da Dio la spada all'Imperio per governar le cose mondane, vien ad essere questa potenza pi? forte in se medesima, cio? a dire in questo Mondo, che non ? la potenza spirituale data da Dio al Sacerdozio, al quale proib? l'uso della spada materiale; poscia che ha solamente per oggetto le cose spirituali, che non sono sensibili; ed il principale effetto della sua forza ? riserbato al Cielo; come ce ne fece testimonianza l'istesso nostro buon Redentore, dicendo, il suo Reame non esser di questo Mondo, e che se ci? fosse, le sue genti combatterebbono per lui.

Riconosciute fra noi queste due potenze procedenti da un medesimo principio ch'? Iddio, da cui deriva ogni potest?, e terminanti ad un medesimo fine, ch'? la beatitudine, vero fine dell'uomo; ? stato necessario, si proccurasse, che queste due potenze avessero una corrispondenza insieme, ed una sinfonia, cio? a dire un'armonia ed accordo composto di cose differenti, per comunicarsi vicendevolmente la loro virt? ed energia, dimanierach? se l'Imperio soccorre colle sue forze al Sacerdozio, per mantenere l'onor di Dio; ed il Sacerdozio scambievolmente stringe ed unisce l'affezion de' Popoli all'ubbidienza del Principe, tutto lo Stato sar? felice e florido: per contrario, se queste due potenze sono discordanti fra loro, come se il Sacerdozio abusandosi della divozion de' Popoli intraprendesse sopra l'Imperio, o governamento politico e temporale, ovvero se l'Imperio voltando contra Dio quella forza, che gli ha posta fra le mani, attentasse sopra il Sacerdozio, tutto va in disordine, in confusione ed in ruina.

Egli ? Iddio, che ha messo quasi da per tutto queste due potenze in diverse mani, e l'ha fatte amendue sovrane in loro spezie, affinch? l'una servisse di contrappeso all'altra, per timore che la loro sovranit? infinita non degenerasse in disregolamento, o tirannia. Cos? vedesi, che quando la sovranit? temporale vuole emanciparsi contra le leggi di Dio, la spirituale le si oppone incontanente; e medesimamente la temporale alla spirituale: la qual cosa ? gratissima a Dio, quando si fa per via legittima, e sopra tutto quando si fa direttamente e puramente per suo servigio, e per lo ben pubblico, non gi? per l'interesse particolare e per intraprender l'una sopra l'altra.

Ed in verit? la potenza ecclesiastica essendo diretta sopra le cose spirituali e divine, che non sono propriamente di questo Mondo, non pu? appartenere a gli uomini in propriet?, n? per diritto di signoria, come le cose mondane, ma solamente per esercizio ed amministrazione, fin a tanto che Iddio commette loro questa potenza soprannaturale, e per esercitarla visibilmente in questo Mondo sotto suo nome, ed autorit?, come suoi Vicarj e Luogotenenti, ciascuno per? secondo il suo grado gerarchico, appunto come nella politia civile pi? Ufficiali, essendo gli uni sotto gli altri, esercitano la potenza del Sovrano Signore.

Ecco la distinzione della potenza spirituale e della temporale, che ben dimostra, che l'una non include e non produce l'altra, medesimamente non ? superiore all'altra; ma che amendue sono o sovrane, o subalterne in diritto loro, e in loro spezie.

Ma nientedimeno questa distinzione non impedisce, che l'una e l'altra non possano risiedere in una istessa persona, e talora, ch'? pi?, a cagion d'una medesima dignit?. Tuttavolta bisogna prender cura, che quando esse risiedono nella medesima dignit?, fa mestiere, che ci? sia una dignit? ecclesiastica, e non gi? una signoria, o ufficio temporale; poich? la potenza spirituale essendo pi? nobile della temporale, non pu? dipendere, n? essere accessoria a quella, siccome non pu? appartenere agli uomini laici, a' quali appartengono ordinariamente le potenze temporali, e sopra tutto la potenza spirituale non pu? tenersi per diritto di signoria, n? deferirsi per successione, n? possedersi ereditariamente, come le signorie temporali.

Ecco il rincontro di queste due potenze in sovranit? independenti l'una dall'altra, e riconoscenti un sol principio, ch'? Iddio, distinte con ben fermi limiti per propria bocca del nostro Salvatore, in guisa che l'una non ha che impacciarsi coll'altra.

Riconoscendo noi adunque per la religione cristiana nel Mondo queste due potenze, bisogner? che si narri ora, come la spirituale fosse cominciata ad amministrarsi fra gli uomini, e come perci? tratto tratto nell'Imperio, ed in queste nostre province si fosse stabilita la politia, e lo stato ecclesiastico, che ne' secoli seguenti port? uno de' maggiori cambiamenti dello stato politico, e temporale di questo Reame.

In que' tre primi secoli dell'umana redenzione, prima che da Costantino Magno si fosse abbracciata la cristiana religione, non potr? con fermezza ravvisarsi nell'Imperio alcuna esterior politia ecclesiastica. Gli Apostoli ed i loro successori intenti alla sola predicazione del Vangelo, non molto badarono a stabilirla; e ne furon impediti ancora dalle persecuzioni, che gli costringevano in privato e di soppiatto a mantenere l'esercizio della loro religione fra' Fedeli.

Il nostro buon Redentore adunque, dovendo ritornar al Padre, che lo mand? in questo Mondo per mostrarci una pi? sicura via di nostra salute, volle, dopo averci dati tanti buoni regolamenti, lasciare in terra suoi Luogotenenti, a' quali questo potere spirituale comunic?, perch? come suoi Vicarj mantenessero e promulgassero da per tutto la sua religione. E volle valersi, non gi? del ministero degli Angioli, ma piacendogli innalzare il genere umano, volle eleggere per pi? profondi misteri non i pi? potenti uomini della terra, ma i pi? vili ed abbietti; volendo con ci? darci un'altra nota di distinzione tra queste due potenze, che l'una non riguarda n? stirpe, n? altri pregi, che il Mondo stima, ma solamente lo spirito, non il sangue e gli altri umani rispetti. Lasci? per tanto questa potenza agli Apostoli suoi cari discepoli, i quali, mentre egli convers? fra noi in terra, lo seguirono; a' medesimi diede incumbenza d'insegnare e predicare la sua legge per tutto il Mondo; e di? loro il potere di legare e sciorre, come ad essi pareva, impegnando la sua parola, che sarebbe sciolto in Cielo, quel ch'essi prosciogliessero in terra, e legato quel che legassero.

N? dovr? sembrar cosa strana, per dir ci? di passaggio, che gli Evangelisti, il cui impiego era d'andar girando per le province dell'Imperio, e predicare il Vangelo, avessero potuto essere Vescovi d'alcune citt?; poich?, come ben avvisa Ugon Grozio, essi avean anche per costume di fermarsi in qualche luogo ove scorgevano, che la loro pi? lunga dimora potesse essere di maggior profitto: e fermati adempievano tutte le parti d'un buon Vescovo, presedendo al Presbiterio. E per questa cagione noi leggiamo, che gl'istessi Apostoli furono Vescovi d'alcune citt?, perch? in quelle lungamente dimorati aveano governate le loro Chiese, come tutti gli altri Vescovi, da essi in altre citt? instituiti, facevano.

Tale fu la politia in questi primi secoli dello stato ecclesiastico, n? altra gerarchia si ravvis?, n? altri gradi distinti, se non di Vescovi, Preti e Diaconi, i quali come loro Ministri teneano anche cura dell'oblazioni, e di ci? che al sacro ministero era necessario. Questi componevano un sol Corpo, di cui il Vescovo era Capo, e gli altri Ministri, o meno o pi? principali erano i membri, ed era come un Consiglio o Senato del Vescovo, che insieme con lui governava la Chiesa. Quindi S. Girolamo ragionando de' Vescovi, dicea che anche quelli aveano il lor Senato, cio? il ceto de' Preti; siccome anche dicea San Basilio; ed Ignazio scrivendo a' Tralliani affermava, che i Preti fossero i Consiglieri del Vescovo, gli Assessori di quello, e che dovessero riguardarsi come succeduti in luogo del Senato Apostolico: quindi era che S. Cipriano non soleva trattar cos'alcuna di momento senza l'intervento o consiglio de' suoi Preti e Diaconi, come si raccoglie dalle sue epistole.

Ma quantunque fosse ci? probabile, e che a loro imitazione si fosse instituito tal ordine, nulladimanco dovr? sembrare a ciascuno pi? verisimile ci? che Grozio suspica, essersi questa politia introdotta ad esempio delle Sinagoghe degli Ebrei, delle quali par ch? le Chiese fondate dagli Apostoli fossero simulacri ed immagini: ed in fatti osserviamo, che in molti luoghi le Sinagoghe erano senz'imperio, siccome la Chiesa da se non ha imperio alcuno, e tutta la sua potenza ? spirituale; si vede ancora, che gli Apostoli predicando per la Palestina e per le province d'intorno il Vangelo, trovavano in que' tempi molte Sinagoghe ben instituite fin da' tempi della dispersione babilonica: e ricevendo queste per la predicazione degli Apostoli la fede di Cristo, giacch? ad esse prima d'ogn'altro fu predicato l'Evangelo, non vi era cagione, perch? dovessero mutar politia, ed allontanarsi da quella, che l'esperienza di molti secoli aveva approvata e commendata per buona; si aggiungeva ancora, che riusciva agli Apostoli pi? acconcia al loro fine, perch? in cotal guisa, dovendo disseminar una nuova religione nell'Imperio gentile, si rendeva la novit? meno strepitosa, n? dava tanto su gli occhi agli Ufficiali dell'Imperio, a' quali poco importava, che niente mutandosi della lor esteriore politia, le Sinagoghe divenissero Chiese; e fondandosi altrove altre Chiese, perch? all'intutto conformi agl'instituti giudaici, a' quali gi? essi s'erano accomodati, picciola novit? loro s'arrecava n? tanta che potesse turbar lo stato civile dell'Imperio. Cos? in ogni Sinagoga essendovi uno, il qual soprastava agli altri, che chiamavan il Principe, in suo luogo sostituirono il Vescovo: erano in quelle i Pastori, ed a costoro succedettero i Preti: v'eran ancora gli Elemosinieri, i quali avean in gran parte corrispondenza co' Diaconi.

Sparsa intanto per le province d'Oriente questa nuova religione, ed avendo in quelle parti avuto mirabili progressi, si procur? anche stabilirla nell'Occidente. Alcuni degli Apostoli, e molti loro discepoli s'incamminaron perci? verso queste nostre regioni. Narrasi che S. Pietro stesso lor Capo, lasciando la Cattedra d'Antiochia, avendo instituito Vescovo in quella Chiesa Evodio, navigasse con molti suoi discepoli verso Italia per passare in Roma: che prima approdasse in Brindisi, quindi ad Otranto, e di l? a Taranto, nella qual citt? vi predicasse la fede di Cristo, con ridurre molti di que' cittadini alla nuova credenza, e vi lasciasse Amasiano per Vescovo. Alcuni anche han voluto, che visitasse eziandio Trani, Oria, Andria, e per l'Adriatico navigasse infino a Siponto; indi voltando le prore indietro, costeggiando i nostri lidi capitasse a Reggio, nelle quali citt? piantasse la religione cristiana: poi da Reggio partitosi con suoi compagni, navigando il mar Tirreno, e giunto nel nostro mare, riguardando l'amenissimo sito della citt? di Napoli, determinossi di sbarcarvi per ridurla alla vera credenza: e qui vogliono, che incontratosi nella porta della citt? con una donna chiamata Candida, molti prodigi con lei e con suo fratello Aspreno adoperasse, di che mossi i Napoletani, riceverono da lui il battesimo, e prima di partirsi per Roma, instituisse Vescovo di questa citt? Aspreno, che fu il primo. Narrasi ancora, che in questo passaggio medesimo S. Pietro s'innoltrasse insino a Capua, e che dopo aver ridotta questa citt?, vi lasciasse per Vescovo Prisco, uno degli antichi discepoli di Cristo nella cui casa fece apparecchiar la Pasqua, e nel Cenacolo cibossi co' suoi discepoli. Che in oltre essendosi portato fin ad Atina, citt? ora distrutta, v'avesse istituito Marco per Vescovo: e finalmente prendendo il cammino per Roma nel passar per Terracina, avesse quivi ordinato Vescovo Epafrodito. I Baresi similmente pretendono, che S. Pietro in questo passaggio, non meno che a Taranto ed Otranto, fosse capitato anche in Bari. I Beneventani che pure ad essi avesse lasciato il primo Vescovo Fotino. Que' di Sessa pretendono il medesimo, e che avesse lor dato Simisio per Vescovo. In brieve, se si vuol attendere a s? fatte novelle, non vi riman citt? in queste nostre regioni, che non pretenda avere i suoi Vescovi instituiti, o da S. Pietro o dall'Apostolo Paolo, come vanta Reggio del suo primo Vescovo Stefano, o da gli settantadue discepoli di Cristo nostro Signore, o finalmente dai discepoli degli Apostoli. In fatti Pozzuoli tiene il suo primo Vescovo essere stato Patroba de' 72 discepoli, e discepolo di S. Paolo, del quale egli fa menzione nell'epistola a' Romani, e che ordinato Vescovo da S. Pietro, capitato in Pozzuoli, vi seminasse la fede cristiana.

Narrasi ancora, che questa prima volta giunto S. Pietro in Roma, bisogn? che tosto scappasse via, a cagion de' rigorosi editti, ch'avea allora pubblicati l'Imperador Claudio contra gli Ebrei, volendo che tutti uscissero di Roma. Che ritornato perci? in Gerusalemme, dopo avere ordinati molt'altri Vescovi nelle citt? d'Oriente, se ne venisse di nuovo in Italia per passare la seconda volta in Roma; e che in questo secondo passaggio capitando nella Villa di Resina presso a Napoli, e quivi colle sue predicazioni convertendo e battezzando quella gente, vi lasciasse Ampellone per meglio instruirli nella fede di Cristo: donde ritornato poscia in Napoli, fu da Aspreno e da' Cristiani napoletani ricevuto con infiniti segni di stima e di giubilo, fondandovi una Chiesa: e che in questo secondo passaggio scorresse per molte altre citt? della Puglia. Indi passato in Roma, stabilisse in quella citt? la sua Sede, ordinandovi Vescovo Lino, il quale dopo patito il martirio, ebbe per successore Clemente, indi Cleto, ed Anacleto, e gli altri Vescovi, secondo il catalogo, ch'abbiamo de' Vescovi di Roma.

Altri all'incontro con un sol fiato han preteso mandar a terra tutti questi racconti, e rendergli favolosi: poich? si sono impegnati con pari temerit?, che pertinacia, a sostenere che S. Pietro non solamente non fosse capitato in queste nostre parti, ma sfacciatamente han ardito d'affermare, che nemmen fosse stato in Roma giammai. Il pi? impegnato per questa parte, si vede esser Salmasio, il quale contra ci? che credettero i Padri antichi della Chiesa, e ci? che a noi per antica tradizione fu tramandato da' nostri maggiori, vuol egli per ogni verso che S. Pietro non fosse mai stato a Roma; ponendo in disputa quel, che con fermezza ha tenuto sempre e costantemente tiene la Chiesa: il che diede motivo a Giovanni Ovveno di credere falsamente, che rimanesse questo punto ancor indeciso.

Ma che che sia di questa disputa, la quale tutta intera bisogna lasciarla agli Scrittori ecclesiastici, che ben a lungo hanno confutato quest'errore: a noi, per quello che richiede il nostro instituto, baster?, che sia incontrastabile, che o da S. Pietro stesso, o da gli Apostoli, ovvero da' loro discepoli, o da altri lor successori, fosse stata in molte citt? di queste nostre regioni introdotta la religione cristiana, e fondate molte Chiese, o sien unioni di Fedeli, ed instituiti perci? molti Vescovi, assai prima che da Costantino M. si fosse abbracciata la religione nostra, cio? ne' tre primi secoli dell'umana Redenzione. Si rende tutto ci? manifesto, non pure da' frequenti e spessi martirj, che seguiron in queste nostre regioni, ma da' cataloghi antichi, che ancor ci restano de' Vescovi di molte citt?. Napoli prima di Costantino M. ne conta moltissimi: Aspreno, Epatimito, Mauro, Probo, Paolo, Agrippino, Eustazio, Eusebio, Marciano, Cosma, ed altri. Capua novera ancora i suoi, Prisco, Sinoto, Rufo, Agostino, Aristeio, Proterio e Proto. Nola, Felice, Calionio, Aureliano e Massimo. Pozzuoli, Patroba, Celso e Giovanni. Cuma, Mazentio. Benevento anche ha i suoi, fra i quali il famoso Gennaro, che sotto Diocleziano sostenne il martirio. Atina vanta fin da' tempi degli Apostoli, Marco, da poi Fulgenzio ed Ilario. Siponto novera parimente i suoi. Bari, Otranto, Taranto, Reggio, Salerno, ed altre citt? di queste nostre province prima di Costantino, ebbero i loro Vescovi, de' quali lungo catalogo ne fu tessuto da Ferdinando Ughello in quella laboriosa opera dell'Italia Sacra.

Per queste cagioni gli Imperadori cominciarono a perseguitargli: e terribile sopra ogni altra fu la persecuzione di Nerone, che con severi editti gli condann?, come pubblici inimici dello Stato e del genere umano, a pena di morte. Domiziano seguit? le sue orme. Trajano non fu contro d'essi cotanto crudele, poich?, rescrivendo a Plinio, Proconsole allora in Ponto ed in Bitinia, che lo richiedeva, come dovesse punirgli, atterrito dal numero grande, che alla giornata vedeva crescere in quelle province, gli ordin? che accusati e convinti, contro di loro severamente procedesse, ma non accusati, non dovesse farne altra inquisizione, usando pi? tosto connivenza. Nel che, come nota Vossio, fu maggiore la clemenza di Trajano gentile contra i Cristiani, che degli stessi nostri Cristiani, non pur contra i Maomettani, ma contra i Cristiani medesimi imputati d'eresia, contro a' quali l'Inquisizione, Tribunale nuovamente introdotto, procede con molto rigore, per inquisizione e senz'accusa: del quale Tribunale altrove ci torner? occasione di lungamente ragionare. Crudelissimi nemici del nome cristiano ancora furon Adriano e gli Antonini: Severo, Massimino, Decio, Valeriano, Diocleziano, Massimiano, Galerio e finalmente Massenzio; e se cotali persecuzioni furono nell'altre province dell'Imperio feroci, assai pi? terribili si patirono senza dubbio nella nostra Campagna, e nell'altre province, delle quali ora si compone questo Reame, come pi? a Roma vicine. Gli Ufficiali, da' quali venivan governate, per aderire al genio de' Principi, e per farsi conoscere zelanti del lor servigio, essendo pi? da presso osservati, eseguivan con rigore e prontezza i loro editti: quindi ? che dalla Campagna e da queste nostre province a ragione si vantino tanti Martiri, e che quasi tutti que' primi Vescovi delle loro citt? s'adorino oggi per Santi, siccome quelli, che in mezzo a s? fiere tempeste costantemente confessarono la fede di Cristo, ed intrepidi non curarono n? stragi, n? morti. Sono ancor oggi a noi rimasi i vestigi del Cimiterio Nolano: le memorie de' martirj praticati in Pozzuoli ne' tempi di Diocleziano: e tanti altri Cimiterj de' Martiri nell'altre province, che da poi, data la pace di Costantino alla Chiesa, furon da' Fedeli scoverti e manifestati; onde ? che concorrendo alle tombe de' Martiri per devozione i Popoli delle citt? convicine, si fossero in appresso que' luoghi frequentati e renduti pieni d'abitatori, e costruttevi nuove terre e castelli: e quindi ? nato, che prendessero il nome di quel Santo, e che oggi nel nostro Reame, le nuove terre non altronde s'appellino, che da qualche Santo lor tutelare.

In questi tempi cotanto turbati, niuna esterior politia ecclesiastica poteva certamente ravvisarsi in queste nostre province: i Fedeli per lo pi? nascosi e fuggitivi, e con tante turbolenze, se non di soppiatto potevan attendere a gli esercizj della lor novella religione. I Vescovi badavano con molto lor pericolo alle sole conversioni, e praticando in citt? tutte gentili, secondo che la necessit? gli astringeva, scorrevan or in una, or in altra citt?; tanto era lontano, che potessero pensare al governo politico delle lor Chiese.

Per queste cagioni niuna mutazione o cambiamento pot? recarsi nella politia dell'Imperio, e tanto meno in queste nostre province a tali tempi, per la nuova religione cristiana. Le citt? eran tutte gentili, gentile era la religione, che pubblicamente si professava, i Magistrati, le leggi, i costumi, i riti tutti. I Cristiani erano riputati come pubblici inimici, perturbatori dello Stato, e come tali fuori della Repubblica: le loro adunanze severamente proibite, non potevan aver Collegi separati, non potevan le lor Chiese posseder cos'alcuna. Tutte le citt? di queste nostre province, ancorch? nelle medesime molti Cristiani vivessero di nascosto, e tuttavia il numero de' Fedeli crescesse, eran gentili, ed il Gentilesmo era pubblicamente professato. Ciascuna citt? governandosi ad esempio di Roma, e molte da' Magistrati romani, si studiava anche nella religione imitare il suo Capo: e ci? non pur facevano i Municipj, le Colonie, e le Prefetture: ma anche le Citt? Federate, che maggior libert? avevano.

Nell'altre province, e pi? in quelle d'Oriente poteva un poco meglio ravvisarsi la politia ecclesiastica, e professarsi con pi? libert? la cristiana religione, come quelle, dove le persecuzioni non furon cotanto rabbiose e feroci; ma non per tutto ci? recossi alterazione alcuna allo Stato civile, o altro cambiamento: imperocch? come perseguitata e sbandita dall'Imperio, non poteva pubblicamente ritenersi, e molto meno professarsi.

Quando lor veniva fatto, e le persecuzioni davan qualche tregua, sicch? avesser potuto da varie citt? unirsi insieme in una, raunavansi essi ne' Sinodi, per far delle decisioni sopra la vera fede, per regolar la politia e' costumi de' Cristiani, ovvero per punire i colpevoli, e deliberavano ci? che altro occorreva: seguitando in ci? l'orme degli Apostoli, e di S. Pietro lor Capo, il quale in Gerusalemme ragunati i Fedeli, tenne Concilio, che fu il primo, detto perci? Gerosolimitano, e che negli atti degli Apostoli fu da S. Luca inserito.

Nel secondo secolo, quando erasi pi? disseminata la religione, cos? nelle province d'Oriente, come d'Occidente si tennero altri Sinodi. I primi furono nell'Asia, nella Siria e nella Palestina. In Occidente ancora cominciaron in questo secolo, essendosene in Roma e nella Gallia tenuti contra l'eresie di Montano, de' Catafrigi, e per la controversia Pascale.

Nel terzo secolo si fecero pi? spessi in Roma contro Novato e suoi seguaci, ma pi? nell'Asia e nell'Affrica.

Non ebbe la Chiesa ne' primi tempi altri regolamenti, se non quelli, ch'erano della Scrittura Santa, n? altri libri erano conosciuti: da poi per l'occasione de' Concilj tenutisi, furon alcuni altri regolamenti in quelli stabiliti, onde erano le Chiese di quelle province governate.

In questi primi secoli per? niuna alterazione recaron alla politia dell'Imperio tali regolamenti: essi eran solamente ristretti per le differenze della religione, ed a ci? che concerneva il governo delle Chiese, e la lor disciplina: n? delle cose civili e dell'Imperio s'impacciavano, lasciando tutto intero a' Principi il governo della Repubblica, come prima.

Ebbe ancora la Chiesa in questi tempi, come cosa attenente alla sua disciplina, la censura, e correzion de' costumi fra Cristiani. Se qualche Fedele deviando dal diritto cammino, inciampava in qualche eresia, ovvero per qualche pubblico e notorio peccato, scandalizzava gli altri, era prima secretamente ripreso, perch? si ravvedesse: se non s'emendava, denunciavasi alla Chiesa, cio? al Vescovo e Presbiterio co' Fedeli, dalla quale era la seconda volta ripreso, e se per fine ci? non ostante s'ostinava nell'errore e nella libert? del vivere, era scacciato dalla loro Comunione, ed avuto come tutti gli altri Gentili e Pubblicani, privandolo di tutto ci?, che dava la Chiesa a' suoi Fedeli, e 'l lasciavan nella societ? civile con gli altri Gentili; n?, se non dopo un vero pentimento ed una rigorosa penitenza, veniva di nuovo ammesso nella loro Comunione.

Era ancor cosa appartenente alla disciplina della Chiesa di fornirla de' suoi Ministri: e Dupino scrisse, essere stata da Cristo conceduta anche questa potest? a gli Apostoli di sostituire nelle Chiese i loro successori, cio? i Vescovi, i Preti ed altri Ministri. Ed in vero gli Apostoli, come si raccoglie dall'Istorie Sacre, in molti luoghi ordinaron i Vescovi e gli lasciaron al governo delle Chiese, ch'essi aveano fondate: ma da poi mancati gli Apostoli, quando per la morte d'alcun Vescovo rimaneva la Chiesa vacante, si procedeva all'elezione del successore; ed allora si chiamavan i Vescovi pi? vicini della medesima provincia, almeno al numero di due, o di tre; ch'era difficile in questi tempi il tener Concilj numerosi, se non negl'intervalli delle persecuzioni: ed alle volte le sedi delle Chiese restavano gran tempo vacanti; e quelli unendosi insieme col Presbiterio e col Popolo fedele della citt?, procedevan all'elezione. Il Popolo proponeva le persone che desiderava s'eleggessero, e rendeva testimonianza della vita e costume di ciascuno, finalmente unito col Clero, e i Vescovi presenti, acconsentiva all'elezione, onde tosto il nuovo eletto era da' Vescovi consecrato. Alcune volte il Clero ed il Popolo avean nell'elezioni maggiore o minor parte, poich? in alcune esponeva solamente i suoi desiderj, e rendeva le testimonianze della vita e costumi: in altre s'avanzava ad eleggere, come accadde nell'elezione di S. Fabiano Vescovo di Roma, che al riferir d'Eusebio fu eletto a viva voce di Popolo, il quale aveagli veduta sul capo fermarsi una colomba: il che quando accadeva, ed i Vescovi lo stimavan conveniente, era da essi l'elezione approvata, ed ordinato l'eletto: e nell'istesso tempo si faceva l'elezione e la consecrazione, ed i medesimi Vescovi erano gli elettori e gli ordinatori. N? vi si ricercava altro; imperciocch? in questi tre primi secoli non era stata ancor dichiarata da' canoni la ragion de' Metropolitani sopra l'ordinazioni de' Vescovi della loro provincia, come fu fatto da poi nel quarto secolo; di che tratteremo nel libro seguente, quando dell'esterior politia ecclesiastica del quarto e quinto secolo ci torner? occasione di favellare.

Questa in brieve fu la disciplina ecclesiastica intorno all'elezioni de' Vescovi di questi tre primi secoli, secondo si ravvisa dall'Epistole di S. Clemente Papa, e di S. Cipriano Scrittore del terzo secolo. L'elezione de' Preti e de' Diaconi s'apparteneva al Vescovo, al qual unicamente toccava l'ordinazione, ancorch? nell'elezione il Clero ed il Popolo v'avessero la lor parte.

Non furon nella Chiesa in questi primi tempi tante facolt? e beni, sicch? dovesse molto badare all'amministrazione e distribuzione de' medesimi, e stabilire anche sopra ci? suoi regolamenti. Ne' suoi principj non ebbe stabili, n? peranche decime certe e necessarie: i beni comuni delle Chiese non consistevano quasi che in mobili, in provigioni da bocca, ed in vestimenti, ed in danajo contante, che offerivano i Fedeli in tutte le settimane, in tutti i mesi, o quando volevano, atteso che non vi era cos'alcuna di regolato, n? di forzato in quelle offerte. Quanto agl'immobili, le persecuzioni non permettevano di acquistarne, o vero di lungo tempo conservargli. I Fedeli volontariamente davan oblazioni e primizie, per le quali fu destinata persona, che le conservasse, e ne' tempi di Cristo Salvator nostro ne fu Giuda il conservatore; ma non v'era altro uso delle medesime, se non che di servirsene per loro bisogni d'abiti e per vivere, e tutto il di pi? che sopravanzava, distribuivasi a' poveri della citt?.

Quest'istesso costume, dopo la morte del nostro Redentore, serbarono gli Apostoli, i quali tutto ci? che raccoglievan da' Fedeli, che per seguirgli si vendevan le case ed i poderi, offerendone ad essi il prezzo, riponevan in comune: e non ad altr'uso, come s'? detto del denaro si servivano, se non per somministrare il bisognevole a loro medesimi, ed a coloro che destinavano per la predicazione del Vangelo, e per sostenere i poveri e bisognosi de' luoghi dove scorrevano. E crescendo tuttavia il numero de' Fedeli, crescevano per conseguenza l'oblazioni, e quando essi le vedevano cos? soprabbondanti, che non solamente bastavan a' bisogni della Chiesa d'una citt?, ma sopravanzavano ancora: solevan anche distribuirle nell'altre Chiese delle medesime province, e sovente mandarle in province pi? remote, secondo l'indigenza di quelle ricercava: cos? osserviamo nella scrittura, che S. Paolo, dopo aver fatte molte raccolte in Macedonia, in Acaja, Galazia e Corinto, soleva mandarne gran parte alle Chiese di Gerusalemme. E dopo la morte degli Apostoli, il medesimo costume fu osservato da' Vescovi loro sucessori. Da poi fu riputato pi? utile ed espediente, che i Fedeli non vendessero le loro possessioni, con darne il prezzo alle Chiese: ma che dovessero ritenersi dalle Chiese stesse, acciocch? da' frutti di quelle e dall'altre oblazioni si potesse sovvenire a' poveri ed a' bisogni delle medesime: ed avvenga che l'amministrazione appartenesse a' soli Vescovi, nulla di manco costoro intenti ad opere pi? alte, alla predicazione del Vangelo e conversion de' Gentili, lasciavan il pensiero di dispensar li danai a' Diaconi: ma non per ci? fu mutato il modo di distribuirgli; poich? una porzione si dispensava a' Sacerdoti e ad altri Ministri della Chiesa, i quali per lo pi? vivean tutti insieme ed in comunit?, e l'altra parte si consumava per gli poveri del luogo.

In decorso di tempo nel Pontificato di Papa Simplicio intorno all'anno 467, essendosi scoverta qualche frode de' Ministri nella distribuzione di queste rendite, fu introdotto, che di tutto ci?, che si raccoglieva dalle rendite e dall'oblazioni, se ne facessero quattro parti, l'una delle quali si serbasse per li poveri, l'altra servisse per li Sacerdoti ed altri Ministri della Chiesa, la terza si serbasse al Vescovo per lui e per li peregrini che soleva ospiziare, e la quarta, cominciandosi gi? ne' tempi di Costantino M. a costruire pubblici templi, e farsi delle fabbriche pi? sontuose, e ad accrescersi il numero degli ornamenti e vasi sacri, si spendesse per la restaurazione e bisogni dei medesimi. N? questa distribuzione fu in tutto uguale; poich? se li poveri erano numerosi in qualche citt?, la lor porzione era maggiore dell'altre; e se i Tempj non avean bisogno di molta reparazione, era la lor parte minore.

Ecco in breve qual fosse la politia ecclesiastica in questi tre primi secoli della Chiesa, che in se sola ristretta, niente alter? la politia dell'Imperio, e molto meno lo stato di queste nostre province, nelle quali per le feroci persecuzioni a pena era ravvisata: in diverso sembiante la riguarderemo ne' secoli seguenti, da poi che Costantino le diede pace: ma assai mostruosa e con pi? strane forme sar? mirata nell'et? men a noi lontane, quando non bastandole d'aver in tante guise trasformato lo stato civile e temporale de' Principi, tent? anche di sottoporre interamente l'Imperio al Sacerdozio.

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