Read Ebook: Istoria civile del Regno di Napoli v. 2 by Giannone Pietro
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ISTORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI
DI PIETRO GIANNONE
VOLUME PRIMO
STORIA CIVILE DEL REGNO DI NAPOLI
LIBRO QUARTO
So che alcuni moderni Scrittori, non contenti di quel che s? antichi e gravi Autori rapportano, hanno voluto ricercare in altri paesi l'origine di questi Popoli, ed il nome de' Longobardi non dalla lunghezza delle loro barbe, ma, come credette l'Abate della Noce, dalla lunghezza delle loro alabarde, ed altri altronde, esser derivato.
Alcuni niegano essere dalla Scandinavia usciti, ma dalla interior Germania; dicono che molto prima di quel che narrasi della loro uscita da quella penisola, de' Longobardi fecero menzione Strabone, Tacito, Tolomeo e Patercolo, come di Popoli, che nella interior Germania viveano, onde il nome loro essendo pi? antico, non dalla barba lunga, come dice Paolo Varnefrido, ma altronde uopo ? che derivi. Il nodo con molta facilit? fu sciolto dall'incomparabile Ugon Grozio; poich? questo nome non significa altro, che uomini di barba lunga, come lo riconobbero tutti i Germani, e Varnefrido istesso: ora i nomi di questa sorte, che derivano da' varj abiti ed aspetti, sogliono ora appresso un Popolo, ora presso ad un altro in varj luoghi, ed anche in varj tempi distantissimi, secondo che appare la novit? e stranezza, nascere e spandersi tra quella gente, la quale della novit? si maraviglia. Presso a' Germani, come narra Tacito, era cosa usitatissima farsi crescere i capelli e la barba, n? solevan quelli tosarsi, se non dopo sconfitta l'oste nemica; ma qualora avveniva, che un grande stuolo d'uomini compariva in altra regione con un aspetto assai nuovo e strano, certamente che presso a coloro eran denominati per quel nuovo e strano aspetto, onde eran sorpresi; e quindi non ? maraviglia, se quella novit?, ora in un luogo, ora in un altro avesse prestata occasione al nuovo nome: che fuvvi di comune tra Domizio Enobarbo, Federico Barbarossa, ed alcuni famosi Corsari di questo nome? Niente, se non che, essendo simili d'aspetto, fu anche a lor comune il nome. Ogni ragion vuole adunque, che in s? fatte cose crediamo a' vecchi Scrittori, e delle cose de' Longobardi precisamente a Paolo Varnefrido, che ancorch? nato in Italia, fu d'origine Longobardo, il quale ? l'unico, ed il proprio Scrittore de' fatti loro. Ove manca questo Scrittore, possiam ricorrere ad Erchemperto, e dopo costui agli altri Scrittori contemporanei, che non ne mancano; onde saviamente n'ammonisce Grozio, che dobbiam credere a' vecchi, quando questi nuovi Scrittori nulla ci recan di pi? credibile e di pi? certo; e tenere co' primi, che i Vandali, gli Ostrogoti e Vestrogoti, i Gepidi ed i Longobardi, tutti alla Scandinavia debbiano la loro origine.
Tolta da Alboino questa provincia a' Greci, pass? nel seguente anno 569 ad occupar Trivigi ed Oderzo; indi, lasciatosi addietro Padova, Monte Selice, Mantova e Cremona, sorprende Vicenza, Verona e Trento, e l'altre Terre di quella provincia; e secondo che queste citt? venivan in suo potere, cos? a ciascuna di esse, oltre a lasciargli un valido presidio de' Longobardi, vi creava un Duca, che la reggesse. Questi Duchi nel lor principio, a somiglianza de' Duchi di Francia, che ci descrive Paolo Emilio, non furono, che semplici Uffiziali o Governadori di citt?, e la lor durata pendea dall'arbitrio del Principe, che gli creava.
CAPITOLO I
Alboino per gli tanti e s? veloci acquisti, credendo aver gi? ridotta l'Italia sotto la sua signoria, portatosi a Verona, volle celebrarvi un solenne convito. Teneva questo Principe per moglie Rosmonda figliuola di Comundo Re de' Gepidi, al quale, in una battaglia, colla vita aveva tolta anche la Pannonia, e spinto dalla sua fiera natura, fece del teschio di Comundo fare una tazza, nella quale, in memoria di quella vittoria, solea bere: essendo dunque Alboino in questo convito divenuto allegro, avendo il teschio di Comundo pieno di vino, lo fece presentare a Rosmonda Regina, la quale dirimpetto a lui sedeva, dicendo a voce alta, che voleva in tanta allegrezza avesse ella bevuto con suo padre; la qual voce fu come una ferita nel petto della donna; onde deliberata di vendicarsi, sapendo, che Almachilde, Nobile longobardo, e giovane feroce, amava una sua damigella, tratt? con costei, che celatamente desse opera, che Almachilde in suo cambio dormisse con lei: ed essendo Almachilde, secondo l'ordine della damigella, venuto a ritrovarla in luogo oscuro, giacque, non sapendolo, con Rosmonda, la quale dopo il fatto se gli scoperse, e dissegli, ch'era in suo arbitrio, o ammazzare Alboino e godersi sempre di lei e del Regno, o esser morto dal Re, come stupratore della moglie. Consent? Almachilde di ammazzare Alboino; ma dapoi che eglino l'ebbero ucciso, veggendo, come non riusciva loro di occupare il Regno, anzi dubitando di non esser morti da' Longobardi, per l'amore che ad Alboino portavano, con tutto il tesoro regio se ne fuggirono in Ravenna a Longino, dal quale furono onorevolmente ricevuti. Ma Longino, riputando essere allora il tempo comodo a poter diventare, mediante Rosmonda ed il suo tesoro, Re de' Longobardi e di tutta Italia, confer? con lei questo suo disegno, e la persuase ad ammazzare Almachilde e pigliar lui per marito: il che da lei accettato, ordin? una coppa di vino avvelenato, e di sua mano la porse ad Almachilde, che assetato usciva del bagno, il quale come l'ebbe bevuta mezza, sentendosi commovere le viscere, ed accorgendosi di quel ch'era, sforz? Rosmonda a bere il resto; e cos? in poche ore l'uno e l'altro di loro morirono, e Longino rest? privo della speranza di diventare Re.
I Longobardi intanto, morto Alboino che regn? tre anni e sei mesi, dopo averlo amaramente pianto, raunatisi in Pavia principal sede del suo Regno, fecero Clefi loro Re; uomo quanto nobile, altrettanto di spiriti altieri, e crudele, il quale appresso Ravenna riedific? Imola stata rovinata da Narsete, occup? Rimini, e quasi infino a Roma, ogni altro luogo; ma nel corso delle sue vittorie mor? per mano d'un suo famigliare, non avendo regnato, che diciotto mesi. Fu Clefi in modo crudele, non solamente contra gli stranieri, ma eziandio contra i suoi Longobardi, che questi sbigottiti della potest? regia, punto non curarono d'eleggersi subito altro Re; ma per dieci anni continui vollero pi? tosto a' Duchi ubbidire; ciascun dei quali ritenne il governo della sua citt? e del suo Ducato con piena facolt? e dominio, non riconoscendo come prima l'autorit? Reale, o altro supremo dominio. Questo consiglio fu cagione, che i Longobardi non occuparono allora tutta l'Italia, e che Roma, Ravenna, Cremona, Mantova, Padova, Monselice, Parma, Bologna, Faenza, Forl? e Cesena, parte si difesero un tempo, parte non furon mai da loro conquistate; imperocch? il non avere Re, gli fece men pronti alla difesa; e poich? di nuovo il crearono, divennero meno ubbidienti e pi? facili alle discordie fra loro. La qual cosa, prima ritard? le loro conquiste, e da poi in ultimo fu cagione, che fossero d'Italia cacciati.
Giunto Smaragdo in Ravenna, non tard? guari a porre in opera i suoi disegni: fece egli, che Doctrulfo, uomo in guerra espertissimo, si ribellasse da' Longobardi, e passasse alla sua parte: e non molto da poi prese Brissello, ed all'imperio de' Greci lo sottopose. E mentre Smaragdo faceva questi progressi in Italia, non cessava intanto Maurizio di prender altri mezzi, per discacciar da questa provincia i Longobardi: procurava egli con ogni studio tirar alla sua parte i Franzesi, e finalmente gli venne fatto per via di denaro, d'indurre Childeberto Re di Francia a mover guerra a' Longobardi, i quali temendo allora ragionevolmente del gran danno, che per questo apparecchio e confederazione poteva lor venire di l? dell'Alpi, e considerando, che non d'altra maniera potevasi a tanti mali riparare, e resistere agli sforzi de' Franzesi e de' Romani, se non col rimettersi sotto il dominio di un solo: subito radunati, crearono di comun consentimento per loro Re Autari figliuolo di Clefi nell'anno 585.
Ecco donde trassero in Italia origine i Feudi, i quali a somiglianza del Nilo, par che tenessero tanto nascosto il lor capo, e cos? occulta la loro origine, che presso a' Scrittori de' passati secoli riputossi la ricerca tanto difficile e disperata, che ciascheduno sforzandosi a tutto potere di rinvenirla, le diedero cos? strani e differenti principj, che pi? tosto ci aggiunsero maggiori tenebre ed oscurit?, che chiarezza. Non ? per? con tutto questo da avanzarsi tanto, e dire che i Longobardi fossero stati i primi ad introdurgli e che ad imitazione di essi le altre Nazioni gli avessero poi ne' loro dominj ricevuti poich? nell'istorie di Francia, secondo che rapporta il Papiniano franzese Carlo Molineo, de' Feudi si trova memoria sin da' tempi del Re Childeberto I, e ne' loro annali, e presso Aimoino e Gregorio di Tours pur si legge il medesimo. Si legge ancora, che intorno a questi stessi tempi del Re Autari, anzi undici anni prima, nel Regno di Childerico I, e propriamente nell'anno 574, Guntranno Re priv? Erpone del suo Ducato, dandogli il successore; e Paolo Emilio, e Giacomo Cujacio ne accertano, che avevano pure i Re di Francia questo stesso costume di crear nelle citt? i Duchi ed i Conti; e siccome da principio, quando ci? s'introdusse, era in arbitrio de' Re di cacciarnegli, quando pi? loro piaceva, s'introdusse poi una consuetudine, che non si potessero privare dello Stato, se non si provava d'aver commessa qualche gran fellonia. E finalmente gli stessi Re con giuramento confermavangli in quelli Stati, de' quali per loro cortesia gli avean fatti Signori. Egli ? vero che nel principio, come s'? detto, questi Duchi, e Conti non erano, che Governadori di citt?, ma poi si diedero non in Uficio, ma in Signoria.
Quel che non potr? porsi in dubbio si ?, che quasi ne' medesimi tempi le Genti settentrionali, i Franzesi nella Gallia, ed i Longobardi nell'Italia, introdussero i Feudi, seguendo forse queste due Nazioni l'esempio de' Goti, che come vuole il nostro Orazio Montano, furono i primi a gettarvi i fondamenti. Carlo Molineo vuole, che i Franzesi fossero stati i primi ad introdurgli nella Gallia, da' quali l'appresero i Longobardi, che l'introdussero poi in Italia, e propriamente in Lombardia, donde poi si sparsero in Sicilia, e nella nostra Puglia; e crede, che in queste nostre regioni i primi ad introdurgli fossero stati i Normanni venutici dalla Neustria, che ora diciamo Normannia; ma i nostri maggiori molto prima della venuta dei Normanni conobbero i Feudi; ed i primi che gl'introdussero nella provincia del Sannio, e nella Campagna furono i Longobardi: province, che furono le prime ad essere conquistate da' Longobardi; e la Puglia e la Calabria gli riceverono pi? tardi da' Normanni, come quelli, che ne discacciarono interamente i Greci, presso a' quali l'uso de' Feudi non era conosciuto, come vedrassi con maggior distinzione nel progresso della predente istoria.
Egli ? per? ancor vero, che tutto il loro accrescimento, e tutte le consuetudini e leggi, che da poi intorno ad essi furono introdotte e promulgate, si debbono a' Longobardi, che in Italia gli stabilirono, e lor diedero certa e pi? costante forma; onde perci? s'innalzaron tanto, che in appresso tutte l'altre Nazioni, non con altre leggi e costumi, che con quelli de' Longobardi, vollero regolare le loro successioni, gli acquisti, le investiture, e tutte l'altre cose a' Feudi attenenti; donde ne sorse un nuovo corpo di leggi, che feudali appelliamo: ma di ci? a pi? opportuno luogo favelleremo, quando de' libri loro, che oggi nel nostro Regno formano una delle principali parti della nostra giurisprudenza, ci torner? occasione di pi? diffusamente ragionare.
Dopo avere Autari in s? fatta guisa soddisfatti i suoi Duchi, non tralasci? di provedere a' bisogni del suo Regno, e sopra tutto a far, che in quello la giustizia e la religione avesse il dovuto luogo. Volle che i furti, le rapine, gli omicidj, gli adulterj, e tutti gli altri delitti fossero severamente puniti. Si spogli? e depose il Gentilesimo, ed abbracci? la religione cristiana da' Longobardi non prima ricevuta, i quali ad esempio del loro Re passarono per la maggior parte nella nuova religione del loro Principe. Ma la condizione di que' tempi, e l'esempio assai fresco de' Goti fece che non la ricevessero pura ed incorrotta, ma parimente contaminata dall'Arrianesimo: il che cagion? che essendo i loro Vescovi arriani, molti disordini e discordie insorsero fra essi ed i Vescovi cattolici, che erano nelle citt? a lor soggette.
Non minori furono i progressi d'Autari nel valore militare, che nella prudenza civile; ricuper? ben tosto Brissello, e perch? nell'avvenire pi? non potesse esser ricetto de' suoi nemici, gitt? a terra e demol? le forti mura, che lo cingevano. Ma sopra tutto la sua prudenza e valore si dimostr?, allorch?, avendo gi? Childeberto Re di Francia passate l'Alpi con potente esercito, egli conoscendosi inferior di forze, e che non poteva ostargli in campagna, ordin? a' suoi Duchi, che munissero le loro citt? con forti presidj, e senza uscir da' loro recinti, aspettassero sopra le mura il nemico; la qual condotta ebbe s? prospero avvenimento, che Childeberto considerando, che impresa molto lunga e difficile era di porre l'assedio a tante citt?, tosto si pieg? alle lusinghe d'Autari, il quale aveagli mandati Ambasciadori con ricchissimi doni, per rimoverlo da quell'impresa, ed a mandargli la pace, siccome in fatti l'ebbe; onde poi nacquero le forti doglianze di Maurizio Imperadore, il quale altamente dolendosi di questa mancanza di Childeberto, non lasci? di continuamente sollecitarlo, o che gli restituisse l'immense somme di denaro, che aveasi preso per far la guerra a' Longobardi, ovvero osservasse la promessa di tornar di nuovo in Italia a combattergli; e furono cos? continue, e spesse queste querele di Maurizio, e questi rimproveri, che alla fine mosso Childeberto dagli stimoli d'onore, deliber? di ritornare in Italia con esercito pi? potente di quello di prima. Allora fu che Autari diede l'ultime prove del suo valore, perch? seriamente considerando, che doveansi impiegar tutte le forze, e far gli ultimi sforzi per abbattere questo potente inimico, affinch? nell'avvenire non venisse pi? inquietato il suo Regno da' Franzesi, e per lo costoro esempio se ne ritenessero ancora l'altre Nazioni: deliber? di disporre la milizia in altra guisa di ci?, che aveva prima fatto. Volle dunque prevenirlo, ed andargl'incontro in campagna aperta, ed avendo raunato da tutto il Regno i suoi eserciti, animogli ad impresa, quanto dura e difficile, altrettanto gloriosa, e che sarebbe cagione, se riusciva, di dare una perpetua pace e tranquillit? al suo Regno: incoraggiava i suoi Longobardi a dar l'ultime pruove del lor valore: ricordava le tante vittorie riportate sopra i Gepidi nella Pannonia, avere essi per la fortezza de' loro animi soggiogata l'Italia: e finalmente che non trattavasi ora, come prima, di guerreggiar per l'Imperio, o per l'ingrandimento di quello, ma per la libert? propria, e per la salute di loro medesimi. Furono queste parole di tanto stimolo a' Longobardi, che toccati nel pi? vivo del cuore, datosi il segno della battaglia, ne' primi attacchi si portarono con tanto valore ed intrepidezza, che si vide tosto inclinar l'ala nemica; onde prendendo maggior animo per cos? prospero cominciamento, l'incalzarono con tanta ferocia e valore, che ridussero i Franzesi ad abbandonare il campo, e a cercare nella fuga lo scampo. Fugati dunque e dispersi i nemici, molti restarono presi ed uccisi, moltissimi, che fuggendo la loro ira si nascosero, di fame e di freddo perirono. Per cos? celebre e rinomata vittoria, il nome di Autari si rend? illustre e luminoso per tutta l'Europa, e vedutosi gi? libero dalle incursioni di straniere genti, pens? a soggiogare il resto d'Italia, ch'ancor era in mano de' Greci.
CAPITOLO II
Aveva Autari, ci?, che non fecero i suoi maggiori, soggiogata quasi tutta l'Italia citeriore; toltone il Ducato romano e l'Esarcato di Ravenna, che allora veniva governato da Romano, avendone poco prima l'Imperador Maurizio levato Smaragdo, tutto il resto era in sua mano; ma restavagli ancora da conquistare la pi? bella e preclara parte d'Italia, cio? quella parte e quelle province, che oggi compongono questo Regno di Napoli. Infino a questi tempi eransi queste province mantenute sotto l'Imperio degl'Imperadori orientali, che le governavano secondo quella forma, che da Longino v'era stata introdotta: avevan quasi tutte le citt? pi? principali il lor Duca: Napoli aveva il suo, Sorrento, Amalfi, Taranto, Gaeta e cos? di mano in mano l'altre, tanto che quello, che ora ? Regno, intorno all'amministrazione, in pi? Ducati era distinto, tutti per? immediatamente sottoposti all'Esarca di Ravenna, e dopo costui agl'Imperadori d'Oriente; e se bene nella forma del governo tenessero apparenza di Repubblica, nulladimeno ? somma sciocchezza il credere, che fossero cos? liberi, che non riconoscessero l'Imperadore d'Oriente per loro Sovrano, sotto la cui dominazione vivevano: quantunque per la debolezza degli Esarchi di Ravenna, e per la lontananza della sede imperiale, il governo de' Duchi si rendesse un poco pi? libero e pieno, tanto che sovente arrivavano infino a manifeste fellonie, con ribellarsi dal loro Principe, la qual cosa pi? volte tentaron di fare i Duchi di Napoli, come pi? innanzi nel suo luogo diremo.
Narrasi ancora, che ritornato a Benevento, riducesse quella provincia in forma di Ducato, e che ne creasse Duca Zotone, ed a' due celebri Ducati di Friuli e Spoleti v'aggiungesse il terzo, il quale col correre degli anni si rend? tanto superiore agli altri due primi, quanto questi sopravanzavan gli altri Ducati minori d'Italia.
Ma poich? del principio ed instituzione del Ducato beneventano non ? di tutti conforme il parere, e questo Ducato dee occupare una gran parte della nostra Istoria, per lo spazio di 500 e pi? anni, siccome quello, il quale non solamente per la durata, ma per la sua ampiezza, si stese tanto che abbracci? quasi tutto quel ch'? ora Regno di Napoli, non rincrescevol cosa dover? perci? essere, che di esso pi? partitamente si ragioni.
Ma non finisce qui la variet? de' pareri, n? si contentano i pi? diligenti investigatori di questo principio, ma un altro pi? remoto, ed in tempi pi? lontani se ne cerca: questo viene addittato da Lione Ostiense medesimo nella sua Cronaca, nella quale se bene, giusta l'edizione napoletana, si legga, che corsero trecento venti anni, da che fu creato Zotone Duca infino all'anno 891, che fu da' Greci riacquistato Benevento; nulladimanco il suo originale, che si conserva nell'Archivio cassinese, ? molto discorde dall'edizione napoletana; poich? ivi si legge, che da Zotone insino all'anno 891, non 320 ovvero 318, ma ben 330 anni passarono: conformi a questa lezione sono l'edizioni di Venezia, quella di Parigi, e l'ultima data fuori dall'Abate della Noce: l'una e l'altra molto pi? appurate, che quella di Napoli intorno al numero degli anni, in guisa che secondo questo conto, bisogner? confessare, che il Ducato di Benevento avesse il suo principio da Zotone nell'anno 561. Ma sembrer? senza alcun dubbio cosa molto strana e assai nuova, che in questo anno si dovesse dire di essersi instituito quel Ducato, quando verrebbe ad aver il suo principio sette anni prima, che i Longobardi usciron dalla Pannonia per l'impresa d'Italia; e quando i Greci dominavano con vigore tutte le province della medesima.
Il Ducato adunque di Benevento da s? bassi e tenui principj ebbe il suo nascimento: qual narrasi, che sortirono ancora le pi? celebri Repubbliche, ed i pi? famosi Principati del Mondo: col correr poi degli anni, non pur agguagli? quello di Spoleti e di Friuli, ma di gran lunga superogli, e lo vedremo un tempo occupare quasi tutta l'Italia Cistiberina, anzi verso Settentrione stendere i suoi confini, pi? di quel che presentemente verso quella parte si stende il nostro Regno. Incominci? da que' pochi Longobardi, che sotto Narsete in Benevento si fermarono; e sopra s? deboli fondamenti pian piano venne da poi ad introdurvisi quella politia e quella forma di governo, che sotto i Duchi successori di Zotone per pi? secoli si mantenne. Autari fu il primo, che gli diede pi? stabile e certa forma, e che cominci? a dilatare i suoi confini; imperocch? tutta la provincia del Sannio sottopose egli a questo Ducato; e come vedremo, gli altri Re longobardi suoi successori per mezzo de' Duchi maravigliosamente l'accrebbero. Benevento ebbe la fortuna d'esser capo e metropoli di un tanto Ducato, non per elezione, n? perch? forse nel Regno d'Autari questa citt? s'innalzasse tanto sopra tutte le altre citt? di quelle province, che poi domin?, onde forse per questa sua eminenza avesse avuto d'anteporsi a tante altre: vi erano nel Sannio altre citt? non meno celebri ed antiche, come Isernia, Boiano ed altre; ed assai pi? ragguardevoli ve n'erano nella Campagna; all'incontro Benevento quantunque a tempo de' Romani fosse stata una delle pi? celebri Colonie, che avesse quella Repubblica; nulladimeno per le invasioni dei Goti pat? sovente di quelle calamit?, che soglion nascere da s? strani ravvolgimenti, n? in tempo di costoro riteneva pi? quella sua antica dignit?, anzi sotto il Regno di Totila per aver fatto demolire questo Principe le sue mura, si ridusse in istato pur troppo lagrimevole. Fu dunque per certo fato, e per sua prospera fortuna, che Benevento, costituita sede di questo Ducato, si rendesse da poi capo e metropoli delle province a se vicine; ma questo pregio lo venne ad acquistar molto da poi. Ben ne' tempi, nei quali scrisse Varnefrido, avea questa citt? innalzata la fronte sopra tutte l'altre; ma questo fu due secoli dopo il Regno d'Autari. Per la qual cosa, quando questo Autore, descrivendo le diciassette province di Italia, e collocando nel Sannio Benevento, nom? questa citt? capo delle province circonvicine, ci? disse avendo riguardo a' tempi, che scriveva, ne' quali la sede di questo Ducato s'era resa amplissima e ricchissima, e Benevento fu innalzato ad esser capo non pur d'una, ma di molte province, come del Sannio, della Campania, della Puglia, della Lucania e de' Bruzj, o in tutto, ovvero in parte, come appresso diremo. Siccome tutto a rovescio, quando questo Scrittore colloc? Benevento nel Sannio, ci? non fece riguardando i tempi, ne' quali dominarono i Longobardi, ma tenne presente la vecchia descrizione d'Italia de' tempi degli antichi Sanniti, poich? secondo l'altra pi? recente di Augusto, come ce n'assicura Plinio, Benevento non nel Sannio, ma nella Puglia era collocato; e nelle altre descrizioni seguite appresso, si vide questa citt? posta dentro a' confini della Campania; ond'? che negli atti di Gennaro, quel Santo Vescovo di Benevento, oggi primo tutelare di Napoli, osserviamo, che patendo egli il martirio sotto Diocleziano, fu al Preside della Campania, cui appartenevasi, commesso quell'affare. E ritroviamo ancora, che Ausonio favoleggiando di coloro, che mutarono sesso, e narrando che in Benevento non avea molto tempo, che un giovanetto divenne femmina, chiam? Benevento citt? Campana.
Non altrimente fece Varnefrido, quando ci descrisse le diciassette province d'Italia, rappresentandole siccome le ritrov? nella notizia dell'uno e dell'altro Imperio, fatta sotto Teodosio il Giovane intorno l'anno del Signore 440, poich? ne' suoi tempi le province di Italia, ancorch? ritenessero i medesimi nomi presso agli Scrittori, come anche facciamo oggi, che per ostentar erudizione nello scrivere, non pur ricorriamo a' tempi di Teodosio, ma a pi? alto principio volgendoci, diamo i nomi a ciascuna delle dodici nostre province, che oggi compongono il Regno, secondo erano ne' tempi della libera Repubblica, con nomare i loro Popoli, Sanniti, Lucani, Hirpini, Salentini e simili; nulladimeno era variata in tutto la loro amministrazione, e fu divisa l'Italia in pi? Ducati, che non furono prima province; onde avvenne, che di quello, che ora ? Regno, e che prima non era diviso, che in quattro province, se ne fossero da poi formate dodici, che acquistarono altri nomi ed altri confini, come nel proseguimento di questa Istoria vedremo.
Or ritornando in cammino, l'istituzione di questo Ducato, se si riguardano i suoi bassi principj, fu a caso, non ad arte, in Benevento stabilita, siccome furono non solo tutti gli altri Ducati minori da' Longobardi in diverse citt? istituiti, ma quel di Friuli ancora, e l'altro di Spoleti; e siccome sogliono essere tutte le altre cose di questo Mondo: che se si riguarda la lor origine, sorte a caso da tenuissimi principj si innalzano al sommo, ove poi giunte, uopo ? che retrocedano, ed allo stato di prima ritornino, come portano le leggi delle mondane cose; leggi indispensabili, alle quali l'umana sapienza non vale ad opporsi, n? a darvi riparo. Non ? per?, che stabilite col correre degli anni le fortune de' Longobardi in Italia, avendo i loro Re scorto, che il perpetuare con lunga serie tanti Ducati, sarebbe tener troppo diviso il loro Regno, non pensassero da poi d'estinguerne moltissimi, e ritener quelli solamente, che potevano pi? giovare alla conservazione dello Stato. In fatti Varnefrido istesso ne accerta, che a' suoi tempi molti erano estinti, non facendo questo Scrittore ne' seguenti anni della sua istoria menzione d'altri Ducati, se non di quello di Trento, di Turino, di Bergamo, di Brescia e di questi altri tre, che sopra tutti s'estolsero, cio? di Spoleti, di Friuli e questo di Benevento.
N? egli ? fuor di ragione il credere, che questi ultimi tre sopra tutti gli altri si fosse procurato avanzargli, perch? stando cos? distribuiti, veniva il Regno a conservarsi con pi? sicurt?, ed a poter estendere assai pi? oltre i suoi confini: imperocch? essendo situato il Ducato del Friuli all'ingresso dell'Italia, si potesse quindi con maggior prontezza resistere alle incursioni di straniere genti, che tentassero invaderla: dall'altro di Spoleti, collocato in mezzo l'Italia, si potesse con pi? facilit? contrastare a' moti de' Romani e de' Greci, da' quali in Ravenna e in Roma fortificati, venivan sovente con varie scorrerie molestati: ed il terzo di Benevento era posto a reggere l'inferior parte d'Italia, donde si potesse fare argine a' Greci stessi, ed a' Romani, da' quali spesso per questi lati marittimi erano assaliti, ed in continue guerre esercitati. Per la qual cosa Matteo Palmerio accuratamente ci rappresent? la politia e forma del governo de' Re longobardi, quando disse, che avendo costituita la loro Reggia in Pavia, avevano varj Principati per Italia distribuiti, a' quali preponevano i Duchi; fra' quali i pi? cospicui, e per successione osservati, erano quel di Friuli nell'ingresso dell'Italia, l'altro di Spoleti posto quasi nell'umbilico di quella, ed il terzo di Benevento per regger l'inferior parte della medesima; dappoich? questi tre Ducati furono sempre a' Re sottoposti, e con uno spirito e colle medesime leggi si governavano, formando una sola Repubblica, ed in questa maniera stabiliti si renderon pi? celebri, e pian piano stendendo i lor confini poterono lungamente conservare in Italia il dominio de' Longobardi.
Nel registrare i fatti de' Duchi di Benevento noi seguiremo l'ordine de' tempi, e degli anni tenuto dal diligentissimo Pellegrini, come quegli ch'? pi? accurato di tutti gli altri, eziandio dello stesso Varnefrido; e ponendo noi il principio del Ducato di Zotone nell'anno del Signore 571 non nell'anno 585, come fece Varnefrido, il quale per? confessa ancor egli, che il di lui dominio dur? anni venti, tempo certamente che ? il pi? sicuro: verremo perci? a mettere il suo fine nell'anno 591 non nel 605 o nel 598 come fa il Sigonio. Laonde quel che questo Scrittore narra del sacco, e della preda di Crotone, che indubitatamente sort? nell'anno 596, non sotto Zotone, ma sotto Arechi suo successore avvenne; donde manifestamente si veggono gli abbagli, che nascono, e de' quali non si avvide l'istesso Sigonio, se si voglia fissare il principio del Ducato di Zotone, com'ei fece, nell'an. 589 poich? il fine del suo Ducato, e la sua morte avrebbe egli dovuto porre nell'anno 609 dopo scorsi li 20 anni, non come fece, nel 598, nel qual anno non ne sarebbon passati pi? che nove del suo Ducato.
I fatti di Zotone primo Duca di Benevento non meritano commendazione; poich? appena ritornato Autari in Verona, dopo aver sottoposto il Sannio al suo Ducato, e lasciatone a Zotone il governo, ci diede saggi ben chiari della sua rapacit?, ed ancora della poca sua religione, per quanto dal seguente fatto si pu? comprendere. Il monasterio Cassinese, 60 anni prima edificato da S. Benedetto, cos? per la fama del suo fondatore, come per la santit? e dignit? de' Monaci, assai celebre al Mondo, aveva tirato a se la munificenza di vari Principi, che con donazioni grandissime avevanlo meravigliosamente arricchito: Zotone uomo avarissimo, co' suoi Longobardi, avido di queste ricchezze, improvvisamente di notte l'assal?, e non contento della preda, e d'averne tolto tutto ci?, che pi? di pregevole v'era, devasta e getta a terra l'edificio; e mentre i Longobardi sono tutti intenti alla preda, ebbe campo Bonito, che n'era allora Abate, di fuggir con i suoi Monaci in Roma, ove accolti con molta benignit? da Pelagio Papa, ed assegnate loro alcune stanze vicino Laterano, quivi si fabbricarono essi un monastero, dove per cento trenta anni si formarono, e rimase intanto quel monastero di Cassino abbandonato per tutto questo tempo, infinoch? Petronace ai conforti di Gregorio II, ne prese cura. Costui avendovi ridotti molti Monaci e Nobili, che l'elessero Abate, rifece l'abitazione, e lo restitu? alla pristina dignit?.
Il sacco di questo monastero non pu? porsi in dubbio, che da Zotone fu commesso non molto tempo prima della sua morte, verso la fine di quest'anno 589 come quello, che accadde sotto Pelagio Papa, il qual mor? nell'anno 590, non molto innanzi che S. Gregorio M. scrivesse i suoi Dialoghi, ne' quali, facendo menzione di questo sacco, lo narra come d'un successo di fresco accaduto; ed ? costantissimo, come accuratamente osserv? il Baronio, che S. Gregorio scrisse i suoi Dialoghi nell'anno 593, onde si vede apertamente l'errore di Varnefrido, che pone questo fatto nell'anno 605, e l'altro di Sigiberto, che questa devastazione vuol che sia seguita nell'anno 596, non avvertendo il testimonio certissimo di S. Gregorio, e quel che si raccoglie dalla Cronica di Lione Ostiense; ci? che meriterebbe un pi? lungo discorso, ma supplir? quello dell'Abate della Noce, che esamin? con molta diligenza questo punto.
Fra le molte e pregiate doti di Teodolinda, non fu riputata la minore in questi tempi, essere stata ella zelantissima della religion cattolica, nella quale era allevata e nudrita, onde ne divenne carissima a S. Gregorio M. il quale le mand? i quattro libri delle Vite de' Santi, che avea composto, siccome quegli, che la conosceva affezionata alla fede di Cristo, non meno che costumatissima ed eccellente in tutte le buone arti; e ancorch? fossero riusciti vani tutti i di lei sforzi per ridurre Autari, suo primo marito, a rinunziare l'Arrianesimo; nulladimeno cred? non dover ritrovare in Agilulfo la stessa durezza, non solamente per le sue pieghevoli e dolci maniere, ma molto pi? per la gratitudine d'averlo al Trono innalzato: abbraccia per tanto Agilulfo la religion cattolica, e seguitando i Longobardi l'esempio del loro Principe, moltissimi di loro detestarono, chi il Gentilesimo, altri l'Arrianesimo, de' quali eran infetti, e renderonsi cattolici; e pot? tanto in Agilulfo il zelo di questa religione, che a' conforti di Teodolinda rifece molti monasterj, e molte chiese ristor?, le quali per le passate guerre eran poco men, che distrutte, e don? a quelle molte possessioni, restituendo l'onore e la riputazione a' Vescovi, i quali, quando i Longobardi erano nell'errore del Paganesimo furono in depressione, ed abbietti.
Nel Regno di Agilulfo, conforme al conto del Pellegrini, in quest'anno 591 accadde la morte di Zotone Duca di Benevento, celebre pi? per la sua rapacit? e per lo memorabil sacco del monastero Cassinese, che per altro; onde per la costui morte fu dal Re Agilulfo nel Ducato di Benevento eletto Arechi congiunto per consanguinit? a Gilulfo Duca del Friuli. Secondo la politia introdotta da Autari nel Regno de' Longobardi in Italia, non solevan questi Duchi levarsi, se non o per fellonia, o per morte; e dopo la morte venne anche ad introdursi, di anteporre a qualunque altro i figliuoli del morto, se il Re gli reputava abili: cos? veggiamo, che dopo il lungo Ducato di questo Arechi, che dur? cinquant'anni, succed? nello stesso Ajone suo figliuolo; e accadendo di morire il Duca senza figliuoli, il Re, o eleggeva altri in luogo suo, ovvero estingueva il Ducato, senza surrogarvi successore. Il che s'osserva essersi cominciato a praticare negli ultimi anni del Regno di questo Principe: ciocch? facevano essi per ragion di Stato, fomentata dall'ambizione de' Duchi, i quali bene spesso tentavan di scuotere il giogo della dipendenza, e rendersi assoluti; onde furon obbligati a pensare di sopprimere, quando potevano, molti di questi Ducati, tanto che pian piano gli ridussero a ben pochi, ritenendo solamente quelli, che potevano, come s'? di sopra osservato, giovare alla maggiore sicurit? e custodia del Regno. Tanto maggiormente, che i Re longobardi non meno per le guerre esterne di straniere Nazioni, quanto per quelle, che venivan mosse dai loro proprj Duchi, erano in continue sollecitudini ed angustie, come si ? veduto nel Regno d'Autari, e potr? osservarsi in questo d'Agilulfo, il quale dopo avere nell'anno 600 di nostra salute, fatta la pace co' Romani, e dopo avere ristabilita la lega con Teodiberto nuovo Re di Francia, ebbe a combattere coi suoi Duchi, ch'eransegli ribellati, e con memorando esempio sconfitti che gli ebbe, senza che potessero trovar perdono, priv? di vita tre di loro, Zangrulfo in Verona, Gandolfo in Bergamo, e Varnecauso in Pavia.
Per questa ragione, mancando per morte o per fellonia alcuno di essi, o procuravan surrogarvi altri, della cui fedelt? ed amore eran ben certi, come fece Agilulfo, quando morto Eoino Duca di Trento, surrog? in quel Ducato Gondoaldo uomo cattolico, ed insigne per la sua piet?: ovvero non curavan darvi successore, siccome avvenne al Ducato di Crema, al quale, morto Cremete senza figliuoli, non se gli di? successore.
Il Ducato beneventano sotto il governo d'Arechi, che fu il pi? lungo di quanti mai ne furono, durando cinquant'anni, dal 591 infino al 641 stese molto i suoi confini, tantoch? secondo Paolo Emilio, ed altri Scrittori, i suoi termini da un lato s'estesero insino a Napoli, e dall'altro sino a Siponto, la qual citt? dopo il Ponteficato di Gregorio M. si rend? anche a' Longobardi, ed al Ducato beneventano fu aggiunta. N? infino a questi tempi allarg? egli tant'oltre i suoi confini, quanto fortunatamente gli distese poi negli anni seguenti, allorch? abbracciaron quasi tutto quello, ch'? ora Regno di Napoli. N? perch? i Longobardi sotto questo Duca di Benevento, che secondo l'Epoca del Pellegrino non pot? esser certamente Zotone, ma Arechi, avesser presa e saccheggiata la citt? di Crotone, e fatti quivi molti prigionieri, dovr? dirsi, che fin da questi tempi i suoi confini verso Oriente si fossero stesi sino a Crotone; poich? il costume dei Longobardi era, quando loro non riusciva di conquistar Piazze, nelle quali potessero mantenervisi, e lasciarvi presidio, di scorrere a guisa di predoni il paese e saccheggiarlo, con portarsi seco i paesani, che riducevano in cattivit?, e n'esigevan grosse somme per gli riscatti: come appunto avvenne a' Crotonesi, che per ricomprarsi fu d'uopo sborsar gran denaro; e da una epistola di S. Gregorio M., ove, deplorandosi la cattivit? de' medesimi, si leggono gli sforzi, che da questo Pontefice si facevan per riscattargli, si conosce chiaramente, che presa ch'ebbero questa citt?, dopo averla saccheggiata, carichi della preda, si condussero con esso loro molti nobili, non perdonando, n? ad et? n? a sesso, e la lasciarono, n? vi posero presidio, essendo allora molto lontana da' confini del loro Ducato, ed in mezzo all'altre citt? de' Greci loro inimici. Fu questo un costume praticato anche fra' Cattolici, i quali ancorch? non riducessero in servit? i presi, solevano nondimeno custodirgli infino che non fossero con denaro riscossi: di che rendono a noi testimonianza gravissimi Autori. Non dee perci? riputarsi acerbit? o furor de' soli Longobardi, i quali, parte Gentili, ed altri Arriani, praticassero lo stesso co' loro nemici. Cos? anche sotto Zotone, non perch? dessero il sacco al monastero Cassinese, s'allarg? in quel tempo questo Ducato tanto verso quella parte, come si stese da poi: e per questa ragione ancora pi? sconcio error sarebbe, se fin da' tempi d'Autari Re volessimo dire che il Ducato beneventano si fosse disteso sino a Reggio, perch? Autari infino a quest'ultima parte facesse correre il suo stendardo; poich? da questo stesso e da ci? che narrasi aver detto questo Principe quando coll'asta percosse quella colonna, che fin quivi dovea egli stendere i confini del suo Regno, si conosce manifestamente, che allora tutti que' luoghi erano, come furono per molto tempo da poi, sotto la dominazione degl'Imperadori d'Oriente.
Ecco come quello, che ora ? Regno di Napoli, in questi tempi non riconosceva, come prima un sol Signore ed un sol Principe, ma ben due. Il Ducato beneventano ubbidiva al suo Duca immediatamente, e per lui al Re de' Longobardi. La Puglia e la Calabria; la Lucania ed i Bruzj; il Ducato napolitano; quelli di Gaeta, di Sorrento, di Amalfi, e gli altri Ducati minori, a' loro Duchi immediatamente, e per essi all'Esarca di Ravenna, e agl'Imperadori di Oriente.
Poich? nel Ducato napoletano abbiamo de' Duchi, che lo ressero, una continuata serie, e fu quello, che solo rest? esente dalla dominazione de' Longobardi, e che poi, estinti gli altri Ducati minori, abbracci? molte citt? ch'eran in quelli comprese, onde perci? si rend? anche pi? cospicuo, non sar? fuor di proposito, che parlando de' Duchi di Benevento, nel tempo stesso si parli di quelli di Napoli; perch? si conoscano in ci? le vicende delle mondane cose, come per le continue guerre, ch'ebbero questi popoli, i Beneventani co' Napoletani, avanzandosi sempre pi? il Ducato di Benevento, quel di Napoli all'incontro, e la dominazione de' Greci in tutto il resto dell'altre province venisse ad estenuarsi: e come da poi siasi veduto, che del Ducato di Benevento appena siane a noi rimaso vestigio, ed all'incontro Napoli si fosse innalzata tanto, sino ad esser non pur Capo di un picciol Ducato, quale era, ma Capo e metropoli d'un vastissimo e floridissimo Regno, qual oggi con ammirazione e stupore di tutti si ravvisa.
Non pot? stendere pi? oltre i suoi confini verso Occidente, Settentrione, o Oriente; poich? il Ducato beneventano gi? verso quelle parti stendeva, fatto potente, le sue forti braccia: Capua col suo territorio infino a Cuma, ed a' lidi, che non han porto, di Minturno, Ulturno, e Patria, detta anticamente Linterno, era gi? passata sotto la dominazione de' Longobardi. Non molto da poi stesero i Longobardi i confini del Ducato beneventano infino a Salerno; e molte altre citt? verso Oriente insino a Cosenza, con tutte l'altre terre mediterranee furono a' Greci tolte; ed anche questo Ducato napoletano sarebbe passato sotto il dominio de' Longobardi, come passarono nel correr degli anni tutte l'altre citt? mediterranee del Regno, e da poi le marittime ancora, toltone Gaeta, Amalfi, Sorrento, Otranto, Gallipoli, e Rossano, se due cagioni non l'avessero impedito; ci? sono il non essere i Longobardi forniti di armate di mare, n? molto esperti agli assedj di Piazze marittime; e per aver i Napoletani, per ragion anche de' loro siti, ben fortificata Napoli, e l'altre piazze marittime a loro soggette. Tanto che potr? meritamente vantarsi Napoli col suo picciolo Ducato, che nonostante d'esser passate sotto la dominazione de' Longobardi quasi tutte le citt? del Regno, toltone quelle poche dianzi rammemorate, e d'essersi renduti i Longobardi signori di quasi tutto ci?, che ora ? Regno, non poterono per? mai soggiogar affatto i Napoletani, ancorch? da poi negli ultimi anni a' Principi di Benevento fossero fatti tributarj, come nel progresso di questa Istoria diremo: in guisa che non ? condonabile l'error del Biondo, che scrisse, i Longobardi non molto tempo dopo il governo de' 36 Duchi avere soggettata Napoli.
Al Ducato napoletano solevansi mandare i Duchi per reggerlo, o da Costantinopoli a dirittura dagl'Imperadori d'Oriente, o pure, quando il bisogno non permetteva d'aspettar molto tempo, che venisse da parti s? remote, l'Esarca di Ravenna, ch'era allora in Italia il primo Magistrato degl'Imperadori greci, soleva egli mandarvelo.
Ne' tempi, ne' quali siamo sotto il Ducato di Arechi, imperando in Oriente Maurizio, essendo Napoli senza Duca, e meditando Arechi insieme con Arnulfo Duca di Spoleti assalirla, S. Gregorio M. a cui molto importava la sua difesa, e che invigilava per gl'interessi dell'Imperadore contro a' Longobardi, dubitando che costoro conquistando il resto d'Italia, ch'era in poter de' Greci, finalmente non soggiogassero Roma ancora, scrisse nel 592 con molta sollecitudine a Giovanni Vescovo di Ravenna, perch? affrettasse l'Esarca a mandar prestamente in Napoli il Duca per difenderla dall'insidie d'Arechi, poich? altrimente egli senza dubbio la vedeva perduta.
Questo successo divise i Longobardi in due fazioni: Ariovaldo era sostenuto da que' Nobili, che tumultuarono, a' quali s'erano aggiunti tutti i Vescovi delle citt? di l? del P?, che a tutto potere studiavansi con altri d'ingrossare il lor partito. Adalualdo dall'altra parte era aiutato da Onorio Pontefice romano, il quale aveva forte cagione di sostenerlo, cos? per riguardo di Teodolinda, alla cui piet? doveva molto la Religione cattolica, come anche perch? Ariovaldo era da' Cattolici abborrito per l'eresia arriana, in cui era nato e cresciuto; e fu tanta l'opera d'Onorio, che tir? a se anche Isacio allor Esarca in Italia, ed obbligollo a restituir nel Trono Adalualdo con potente esercito. Proccur? anche toglier dal partito di Ariovaldo quei Vescovi, che lo favorivano, minacciandogli, che non lascerebbe impunita tanta loro scelleratezza; ma non veggendosi ridotta a compiuto fine l'opera d'Isacio, e morto opportunamente Adalualdo di veleno, ottenne finalmente Ariovaldo il Regno, ed essendo egli infesto a' Cattolici, cagion? in Italia non leggieri disturbi.
Nel Regno di costui, non passarono molti anni, che Teodolinda vedendosi cos? abbietta e priva d'ogni speranza di ricuperar la pristina dignit? regale, piena di mestizia, d'estremo dolore venne a morte nell'anno 627: Principessa, e per le eccelse doti del suo animo, e per la sua rada piet?, degnissima di lode, e da annoverarsi fra le donne pi? illustri del Mondo, la quale non meritava esser posta in novella da Giovanni Boccacci nel suo Decamerone.
Ariovaldo regn? altri nove anni dopo la morte di Teodolinda, e mor?, senza lasciar di se stirpe maschile, nell'anno 636. Per la qual cosa i Longobardi, convocati i Duchi, pensarono di crear un nuovo Re, n? vedendo chi dovesse innalzarsi al Trono, diedero a Gundeberga, come avevan prima fatto a Teodolinda, il poter ella creare per Re colui, che si eleggesse per marito. Gundeberga, come donna prudentissima e molto savia, elesse per suo marito e Re, Rotari Duca di Brescia, in questo stesso anno 636, secondo il computo del Pellegrini.
Rotari fu un Principe, in cui del pari eran congiunti un estremo valore ed una somma prudenza; ma sopra tutto fu grande amatore della giustizia; e se alcuna ombra di colpa rend? non chiari i suoi pregi, fu l'essere macchiato dell'eresia arriana; onde avvenne, che a' suoi tempi in molte citt? d'Italia erano due Vescovi, l'un cattolico e l'altro arriano.
Questo Principe fu il primo, che diede le leggi scritte a' suoi Longobardi, dal cui esempio mossi gli altri Re suoi successori, surse, col correr degli anni, in Italia un nuovo volume di leggi, longobarde chiamate, le quali nel Regno nostro ebbero un tempo tal vigore e dignit?, onde fu forza, che le leggi romane retrocedessero. Ma prima che delle leggi longobarde facciam parola, convenevol cosa ?, che si vegga lo stato, nel quale a' tempi di questo Principe, e de' Re suoi successori si era ridotta la giurisprudenza romana in Italia, e nelle province che oggi compongono il nostro Regno, ed in quali libri era compresa.
Giustiniano Imperadore, ancorch? avesse proccurato sparger per Italia i suoi volumi, e strettamente avesse comandato, che aboliti tutti gli altri, quelli solamente per Italia si ricevessero insieme colle sue costituzioni Novelle; nulladimeno l'autorit? de' medesimi quasi si estinse insieme con lui; poich? egli morto, e succeduto Giustino, inettissimo Principe, ricadde Italia di bel nuovo in mano di straniere genti; e toltone l'Esarcato di Ravenna, il Ducato di Roma, que' piccioli di Napoli, Gaeta, d'Amalfi, ed alcune altre citt? marittime di Puglia, di Calabria e di Lucania, i Longobardi dominavano in tutte l'altre sue province, senza che gli altri Imperadori, che a Giustino succederono, molta cura si prendessero di ricuperarle, e tanto meno delle leggi di Giustiniano; anzi non vi mancarono di coloro, come si dir? a suo luogo, che o per invidia, o per emulazione cercarono anche nell'Oriente d'estinguerle affatto. S'aggiungevano in oltre, che presso a' Longobardi, per le continue guerre ira di essi accese, il nome de' Greci era abbominatissimo, e tutto ci?, che da loro procedeva, con somma avversione era rifiutato e scacciato. Quindi nacque, che se bene a' provinciali permettessero l'uso delle leggi romane, ed a' Romani di poter sotto le medesime vivere, con tutto ci? vollero, che quelle apprendessero dal Codice di Teodosio: onde presso i Longobardi fu in pi? stima e riputazione il Codice Teodosiano, che quello di Giustiniano.
Al che s'aggiungeva l'esempio de' Vestrogoti, che signoreggiavano allora la Spagna, i quali contenti del Codice fatto per ordine d'Alarico, e del Novello compilato dalle leggi de' Vestrogoti ad imitazion di quello di Giustiniano, non riconoscevan i costui libri.
Ma i Longobardi per le ostinate e crudeli guerre, ch'ebbero co' Greci, se bene ad esempio de' Goti lasciassero vivere i provinciali colle leggi romane, non da altri libri, se non dal Codice di Teodosio, e dal Breviario d'Alarico, vollero, che quelle s'apprendessero, ed avessero forza e vigor di legge, imitando anche in questo la pratica de' Goti; n? infino ad ora per sessantasei anni, da che vennero in Italia, ebbero essi per loro legge alcuna scritta, ma governavansi solamente secondo i loro costumi, e secondo quegli istituti, che tramandati, come per tradizione da' loro maggiori, con molta osservanza e religione mantenevano.
Rotari adunque fu il primo, che assunto al Trono, dopo avere ingrandito il suo Reame coll'acquisto delle Alpi Cozzie e di Oderzo, pens? a dare anche le leggi scritte a' suoi Longobardi.
L'esempio di Rotari fu imitato da poi dagli altri Re longobardi suoi successori, come da Grimoaldo, Luitprando, Rachi ed Astolfo: ma di tutte questi Re niuno lasci? tante leggi, quante Rotari, essendo, come s'? detto, il lor numero arrivato insino a 386. Fece egli pubblicare il suo editto in questo anno 644 che fu l'ottavo del suo Regno, per tutte le province, che erano sotto la sua signoria, e sopra tutto nel Ducato beneventano, che avendo allora stesi assai pi? i suoi confini, era riputato la pi? ampia e nobil parte del Regno d'Italia.
Il Ducato di Benevento, per la morte accaduta nell'anno 641 d'Arechi, che cinque mesi prima di morire avea associato al Ducato Ajone suo figliuolo, da costui era governato; ma conoscendolo il padre di poco senno, e men atto a sostenere questo peso, lo raccomand?, morendo, a Radoaldo e Grimoaldo figliuoli ambedue di Gisulfo gi? Duca del Friuli, i quali nella sua Corte erano stati allevati e ritenuti. Eran questi amati da Arechi, come propri figliuoli, e gli aveva anche sostituiti al Ducato in mancanza d'Ajone suo figliuolo. Tenendo adunque il Ducato di Benevento Ajone sotto la cura di questi due fratelli, cominciarono la prima volta a farsi sentire in queste nostre contrade gli Schiavoni.
Erano gli Schiavoni originarj della Sarmazia europea, di qua e di l? del Boristene; e seguendo l'esempio e le orme degli altri Popoli barbari, s'avanzarono fin alle rive del Danubio, e le valicarono sotto l'Imperio di Giustiniano. Gettatisi poi nell'Illiria, ne occuparono finalmente una gran parte, particolarmente quella, che sta tra la Drava e la Sava, tirando verso l'Occidente, chiamata ancor oggid? dal loro nome Schiavonia.
Questi calando dalla Dalmazia, che gi? avevano occupata, sbarcati a Siponto, cominciarono a depredare la nostra Puglia. Ajone intesa l'irruzione degli Sclavi nella Puglia, la quale era stata in gran parte al Ducato beneventano aggiunta, unite al meglio che pot? alquante truppe, and? in assenza di Radoaldo prestamente per combattergli; ma venuto presso al fiume Ofanto all'armi, cadde in un fosso, dove sopraggiungendo gli Schiavoni lo ammazzarono. Non tenne Ajone pi? il Ducato di Benevento, toltone i cinque mesi, che regn? insieme col padre, che un solo anno; ma lui morto, trionfando gli Sclavi della vittoria riportata sopra il medesimo, sopraggiunse opportunamente con valide forze Radoaldo, il quale investitigli con incredibil valore gli sconfisse e disperse; e dopo aver s? fortemente vendicata la morte d'Ajone, al Ducato di Benevento fu assunto con Grimoaldo suo fratello, conforme all'istituzione d'Arechi, il quale ed a se ed al figliuolo avea provveduto di successore.
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