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Read Ebook: Istoria civile del Regno di Napoli v. 2 by Giannone Pietro

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Ebook has 887 lines and 122861 words, and 18 pages

Questi calando dalla Dalmazia, che gi? avevano occupata, sbarcati a Siponto, cominciarono a depredare la nostra Puglia. Ajone intesa l'irruzione degli Sclavi nella Puglia, la quale era stata in gran parte al Ducato beneventano aggiunta, unite al meglio che pot? alquante truppe, and? in assenza di Radoaldo prestamente per combattergli; ma venuto presso al fiume Ofanto all'armi, cadde in un fosso, dove sopraggiungendo gli Schiavoni lo ammazzarono. Non tenne Ajone pi? il Ducato di Benevento, toltone i cinque mesi, che regn? insieme col padre, che un solo anno; ma lui morto, trionfando gli Sclavi della vittoria riportata sopra il medesimo, sopraggiunse opportunamente con valide forze Radoaldo, il quale investitigli con incredibil valore gli sconfisse e disperse; e dopo aver s? fortemente vendicata la morte d'Ajone, al Ducato di Benevento fu assunto con Grimoaldo suo fratello, conforme all'istituzione d'Arechi, il quale ed a se ed al figliuolo avea provveduto di successore.

Resse questo Principe il Ducato beneventano insieme con Grimoaldo suo fratello cinque anni. Invase costui altre regioni de' Greci, e presso Sorrento port? le sue armi: assedi? questa citt?, sforzandosi di prenderla per assalto; ma i Sorrentini respinsero le sue truppe, incoraggiti anche da Agapito loro Vescovo; onde Radoaldo sciolse l'assedio, e Sorrento fu liberata.

Governando costoro il Ducato di Benevento, s'intesero la prima volta di queste province, che ora compongono il nostro Regno, le nuove leggi scritte dei Longobardi, pubblicate da Rotari col riferito suo editto: quindi le citt? del nostro Regno, che in quel Ducato eran comprese, ed i nostri provinciali, ancorch? quelle per li soli Longobardi fossero state fatte, cominciarono pian piano ad apprenderle e rendersele famigliari tanto, che ne' tempi seguenti bisogn?, che le romane cedessero e si conservassero solo come antiche usanze presso alla plebe, la quale ? l'ultima a deporre le leggi ed i costumi de' suoi maggiori; siccome pi? innanzi vedremo.

Morto Radoaldo in Benevento nell'anno 647, restando al governo solo Grimoaldo di lui fratello, tenne costui il Ducato anni sedici, senza per? comprendervi gli altri anni cinque, che avea regnato col fratello.

Mentre fu egli Duca di Benevento, ebbe sovente a combatter co' Napoletani; ed in questi tempi si narra esser accaduto ci?, che Paolo Varnefrido rapporta, di aver egli impedito a' Greci il sacco della Basilica di S. Michele posta nel monte Gargano, e d'avergli interamente sconfitti. Vien riferito ancora, che quindici anni da poi, asceso gi? al regal Trono in Pavia, avesse un'altra volta sconfitti i Napoletani, e che questi per tale avversit?, tocchi nel cuore, avessero mutata religione, e da' Gentili ch'erano, avessero abbracciata la Religione cristiana, siccome narrano l'Autore degli Atti dell'Apparizione Angelica, e l'ignoto Monaco Cassinese.

Ma poich? questi successi variamente dagli Scrittori si narrano, alcuni a' Saraceni imputando ci?, che Paolo ascrive a' Greci; altri, con manifesto anacronismo, pi? indietro portando questi successi, gli fingono a' tempi di Teodorico e d'Odoacre, quando i Longobardi non erano ancora in Italia conosciuti; ed altri con maggior verit? l'attribuiscono a' medesimi Longobardi; perci? sar? a proposito pi? distesamente mostrare, che non i Greci, o i Napoletani, ovvero i Saraceni, ma i Longobardi diedero il sacco a quel santuario, e che la conversione dal Gentilesimo al Cattolichismo, la quale a' Napoletani s'imputa, dee a' Longobardi beneventani, non gi? agli altri attribuirsi.

All'incontro ? certissimo, che quando i Longobardi ritolsero a' Greci l'Italia, non altra religione professavano, se non quella de' Pagani, e molti l'Arrianesmo, e quantunque nel Regno d'Agilulfo, seguendo i Longobardi l'esempio del loro Principe, avessero molti di essi lasciato l'Arrianesmo e l'Idolatria; nientedimeno perseverando gli altri Re suoi successori nell'Arrianesmo, fu cagione, che i Longobardi, e particolarmente que' di Benevento tornaron di nuovo nei primi errori, de' quali non finiron d'interamente spogliarsi fino all'anno 663, quando, fugato Costanzo Imperadore per opera di S. Barbato Vescovo di Benevento, alla religion cattolica furon convertiti, come quindi a poco diremo.

? altres? notissimo a chi attentamente considerer? l'istoria de' Longobardi di Paolo Varnefrido, che questo Scrittore, siccome furono tutti gli altri di tal Nazione, per esser longobardo, si ? studiato a tutto potere di scusare i suoi da questa nota d'infedelt?, e dagli errori d'Arrio; anzi in tutto il corso della sua istoria non favell? mai della religione, che tennero questi Popoli, tanto che nemmeno della loro conversione per opera di S. Barbato alla cattolica credenza ne dice parola, per fuggire di non esser costretto a far menzione degli antichi errori, come accuratamente not? il diligentissimo Pellegrino.

Ma il Duca di Torino tutto altro espose a Grimoaldo, e tradendo il suo Signore, lo persuase a non dover trascurare d'approfittarsi di questa discordia, che poteva porgli in mano il Regno; n? dur? molta fatica a persuaderlo: onde preso dall'avidit? di regnare un?, come pot? il meglio, alquante truppe, e lasciato in Benevento per Duca Romualdo suo figliuolo, verso Pavia incamminossi. Giunto a Piacenza sped? a Gundeberto coll'avviso della di lui venuta Garibaldo, il quale fatta l'imbasciata, volle in oltre persuaderlo a dovergli andare incontro; e se pure avesse di qualche cosa sospettato, poteva sotto le regali vesti armarsi di corazza; dall'altro canto con inaudita perfidia avvert? Grimoaldo, che si guardasse bene di Gundeberto, poich? armato veniva ad incontrarlo. Credette Grimoaldo al traditore; e tanto pi? stim? vero il sospetto, che essendosi poi incontrati, tra i saluti e gli abbracciamenti, tocc? veramente esser Gundeberto di corazza armato, onde punto non dubit? che tutto si fosse apparecchiato per ucciderlo, nel quale impeto sfoderando la spada lo trafisse, e morto lo distese a terra, ed in un subito occup? il Regno, facendosene signore. Aveva allora Gundeberto un picciol figliuolo chiamato Ramberto, il quale secretamente fu trafugato da' suoi fidati, e fatto diligentemente allevare: n? Grimoaldo si cur? molto di averlo in mano, perciocch? era ancora bambino.

Non cos? tosto ebbe di questo successo avviso Partarite, che pien di paura, con celerit? grande lasciando in abbandono lo Stato, Rodolinda sua moglie, e Cuniperto picciolo suo figliuolo, se ne fugg?, e sotto Cacano Re degli Avari ricovrossi. Grimoaldo preso ch'ebbe Milano, confin? in Benevento Rodolinda e Cuniperto, e passato da poi in Pavia, fu proclamato Re dagli stessi Longobardi nel fine di questo anno 662, ed avendosi sposata la sorella di Gundeberto con estrema allegrezza di tutti, rimand? carico di doni l'esercito in Benevento, e seco ritenne solo alcuni suoi pi? fidati, che innalz? poi a' primi onori del Regno.

Alcuni credettero, che avendo egli scelleratissimamente ammazzato Teodoro suo fratello, il quale sovente con immagini tetre e formidabili lo spaventava, agitato da s? funeste larve, proccurasse allontanarsi da quella citt?, e da que' luoghi a lui gi? fatti odiosi e funesti. Altri attribuivano questa sua mossa all'odio, che i Costantinopolitani portavangli per aver egli abbracciata l'eresia de' Monoteliti, e che perci? proccurasse trasferir la sede dell'Imperio in Roma. Ma i pi? sensati Autori, fra i quali sono Anastasio Bibliotecario e Varnefrido, dicono che non per altro si fu mosso, se non per la cupidit? di ricuperare l'Italia, e per la speranza di potere con le sue forze discacciare da questi luoghi i Longobardi. Perci? nella primavera di questo anno 663, apprestata una grande armata di mare, da Costantinopoli partissi, e verso Taranto dirizz? il cammino. Molte citt? di queste province, che ora formano il nostro Regno, tenevansi tuttavia ne' tempi di Costanzo sotto la Signoria dei Greci, i quali oltre al Ducato napoletano, e agli altri Ducati minori, vi avevano parimente molte altre citt? marittime della Calabria, siccome Taranto altres?, non ancora da' Longobardi beneventani occupata. Giunto Costanzo in questa citt?, e sbarcatevi le sue truppe, alle quali unironsi poi i Napoletani, verso Benevento dirizzossi. Questa non aspettata comparsa de' Greci pose da principio in tanta costernazione e spavento i Beneventani, che molte citt? della Puglia furon da essi abbandonate: onde con leggier contrasto pot? Costanzo prender e devastar Lucera, citt? da Siponto non molto lontana: ma non pot? gi? far lo stesso di Acerenza per esser posta in fortissimo luogo: e non volendovi consumare pi? lungo tempo, andossene prestamente a campo sotto Benevento, e di stretto assedio la cinse.

Temendo perci? l'Imperadore della venuta di Grimoaldo, sciolse l'assedio, e mentre verso Napoli, sua citt?, frettoloso si avvia, il Conte Mitula di Capua nel cammino diede al suo esercito una grande rotta al fiume Calore, che non poco l'afflisse: e giunto finalmente in Napoli con animo di voler quindi passare in Roma, essendosi esibito Saburro, che gli dava il cuore, se l'Imperadore lasciasse sotto al suo comando ventimila soldati, di debellar tutti i Longobardi, e riportarne certa vittoria; Costanzo glieli concedette, e lasciollo sul passo di Formia, che ora dicono esser Castellone, o Mola di Gaeta, almeno perch? gli servissero per tener a freno il nemico, che andando egli in Roma, lasciavasi indietro. L'esercito di Saburro era misto di Greci e di Napolitani, Popoli che furon sempre rivali ed implacabili nemici de' Beneventani, e co' quali ebbero sempre crudeli ed ostinate guerre. Era Grimoaldo giunto in Benevento, quando intese i vanti di Saburro, ed i disegni de' Greci, e fu per andarvi egli di persona per combattergli; ma pregato da Romualdo suo figliuolo, che a lui commettesse questa impresa, bastandogli il cuore di vincergli, egli ne fu contento, e gli diede una parte del suo esercito. Con intrepidezza incomparabile affront? Romualdo l'esercito nemico, e mentre fieramente si combatte, ed era ancor dubbia la pugna, ecco che un Longobardo, Amelongo nomato, ch'era solito di portar la lancia innanzi al Re, con animo forte, coll'istessa lancia percosse un Cavalier greco con tanta forza ed empito, che levatolo da sella l'alz? all'aria in alto, e per sopra il suo capo lo fece precipitare in terra. Per cos? valoroso fatto tanto terrore e spavento entr? ne' Greci che vilmente abbandonando il Campo, dieronsi a fuggire, ed i Longobardi seguitandogli fecero di loro strage crudelissima, e piena vittoria ne riportarono. Romualdo pien di gioja, trionfando, in Benevento tornossene, ove accolto dal padre e da' Beneventani con applauso grande, da tutti, come liberator della Patria e dello Stato, fu onorato e commendato. Intanto l'Imperador Costanzo quando vide vana ogni sua opera, parendogli essere fuori di ogni speranza di superare i Longobardi, perch? all'intutto non paresse inutile la sua venuta in Italia, pens?, pieno di cruccio andare in Roma ove, ancorch? fosse stato accolto con molti segni di stima e di venerazione da Vitaliano romano Pontefice, in dodici giorni, che vi dimor?, non attese ad altro, che a spogliarla de' pi? ricchi ornamenti, che vi ritrov?, e toltone quanto eravi di pi? rado, d'oro, d'argento, di bronzo, e di marmo, e fattolo imbarcar ne' suoi legni per condurlo in Costantinopoli, egli per cammin terrestre tornossene a Napoli, e quindi a Reggio, ove la terza volta furono le sue truppe da' Beneventani battute: indi a Sicilia portossi; quivi essendo egli dimorato qualche tempo, fu in Siracusa, mentre si lavava nel bagno, nell'anno 668 da' suoi stessi miseramente ucciso; e le sue inestimabili prede e ricchezze, che da Roma e da altri luoghi aveva raccolte, capitate in mano de' Saraceni, non gi? in Costantinopoli, ma in Alessandria furon condotte.

Ecco qual fine, per se e per li Greci funesto, ebbe l'impresa di Costanzo, il qual promettendosi di restituire l'Italia al suo Imperio, rend? pi? prospere le fortune de' Longobardi: spedizione quanto infelice per li Greci, a' quali manc? poco, che non fossero interamente scacciati d'Italia, altrettanto avventurosa e prospera per li Longobardi, i quali maggiormente stabiliti ne' loro Stati, a niente altro da poi furono intenti, che a discacciare i Greci da quelle citt?, ch'essi ancor ritenevano. Per queste illustri vittorie Romualdo ampli? poi tanto il Ducato beneventano, che discacciati i Greci da Bari, Taranto, Brindisi, e da tutti que' luoghi della Calabria, che oggi Terra d'Otranto diciamo, gli ridusse al solo piccolo Ducato di Napoli e di Amalfi, ed Otranto. Gallipoli, Gaeta, e ad alcune altre citt? marittime de' Bruzj, che oggi Calabria ulteriore chiamiamo.

Queste furono le memorabili rotte, che gl'Istorici in questi tempi narrano essersi date da' Beneventani a' Napoletani, ne' quali per opera di S. Barbato i Longobardi beneventani abbandonarono interamente l'Idolatria e la superstizione: il culto della religione cattolica tenacemente abbracciando. La qual conversione, volendo a sommo studio tener nascosta Varnefrido e lo Scrittore degli atti dell'Apparizione Angelica nel monte Gargano, ambedue di nazione longobarda, perch? con ci? non si scovrisse, che sino a questi tempi i Longobardi avevan ritenuto il Gentilesimo, di ci?, ch'essi fecero, n'imputarono i Napoletani, i quali, come si ? veduto, e di quel santuario, e della fede cattolica erano riverenti e tenaci. N? maggior pruova di questo potr? aversi, se non dagli Atti di S. Barbato istesso, dati ora alla luce dal Bolando, e dall'Ughello, il quale Santo, dopo aver persuaso al Duca di Benevento ed a' Longobardi, per opera divina, e dell'Arcangelo Michele essere scampati da tante calamit?, questi, deposto ogni rito pagano, ed abbracciata la religion cattolica, lo elessero per Vescovo di quella citt?; ed avendogli il Duca profferto molti e ricchi doni, il santo Vescovo gli rifiut?, persuadendo a Romualdo, che que' doni offerisse alla Basilica del monte Gargano, la quale, a cagion del preceduto sacco, essendo rimasa incolta e men frequentata, proccurasse egli renderla pi? culta, e col suo esempio la venerazion di quel luogo a' suoi Longobardi instillasse; ed inoltre che tutto ci?, ch'era nel tenimento del Vescovato Sipontino alla sua sede beneventana sottoponesse, perch? que' luoghi allora incolti, posti sotto la sua cura, meglio da lui potessero custodirsi e governarsi; siccome da Grimoaldo fu fatto. Quindi nacque, che fin da questi tempi di Vitaliano, romano Pontefice, il Vescovato di Siponto, e la cura della Basilica garganica alla sede beneventana si appartenne; com'? pur manifesto da alcune epistole di Vitaliano Papa a Barbato istesso dirette, rapportate da Mario Vipera nel libro primo della sua Cronologia de' Vescovi ed Arcivescovi beneventani, onde da poi ne' tempi seguenti lungamente si ? veduta la Chiesa sipontina e la garganica a' Vescovi beneventani soggetta, insino che, ruinando gi? il Principato di Benevento, fu a Siponto dato il suo Arcivescovo, alla cui cura ritornarono assolutamente queste Chiese, come, quando della politia ecclesiastica di questi tempi ci torner? occasione di trattare, pi? distesamente diremo.

Ma ritornando al Re Grimoaldo da noi in Benevento lasciato, questo Principe, vedendo gi? tutte a terra le fortune de' Greci, da poi ch'ebbe premiato Mitula Conte di Capua, al quale oltre ad aver data per isposa una sua figliuola, per la morte di Zotone, lo fece anche Duca di Spoleti, a Pavia sua regal sede si restitu?. Mentre quivi ? tutto inteso a gastigar la fellonia di Lupo Duca del Friuli, ecco che viene a lui Alezeco Duca de' Bulgari, il quale abbandonando, n? si sa per qual cagione, i suoi proprj paesi, entrato pacificamente in Italia co' suoi Bulgari, offre a Grimoaldo il suo servigio, cercandogli di voler abitare co' suoi in qualche luogo, che gli destinasse del suo dominio. I Bulgari erano usciti da quella parte della Sarmazia asiatica, ch'? bagnata dal fiume Volga; e dopo avere traversati tutti que' vasti paesi, che si stendono da questo fiume fin alle bocche del Danubio, lo passarono per la prima volta al tempo dell'Imperador Anastasio, e diedero spesso grandissimi guasti alla Tracia ed all'Illirico, e stabilironsi finalmente lungo il Danubio, in quel tratto di paese, che comprende le due Misie con la picciola Scizia, che vien detta oggid? Bulgaria dal nome di questi Popoli.

Questa venne dagli Scrittori di questa et?, e delle seguenti ancora, detta anche Latina; poich? si usava comunemente da que' medesimi antichi provinciali, che Latini o Romani, per distinguergli o da' Greci, o dai Longobardi, o dall'altre Nazioni, che vennero in Italia, erano appellati, il linguaggio de' quali, prima della corruzione, era il prisco latino; onde ? che non solo Paolo Varnefrido, ma appo gli Scrittori molto a lui posteriori, il parlar latino comune e popolare, era lo stesso che il volgar italiano. Cos? Ottone frisingense loda i Longobardi de' suoi tempi gi? fatti Italiani, per l'eleganza del sermon latino, cio? dell'italiano, col quale parlavano cos? bene ed espeditamente. N? in questi tempi il nostro idioma italiano altro nome avea, che di volgar latino: tale fu appellato nella fine del primo capitolo di Ser Brunetto. Cos? anche latine loqui presso Dante Alighieri, Petrarca, e Giovanni Boccacci, sono detti coloro, i quali non del prisco latino, ma col sermon nostro italiano parlavano, come accuratamente osserv? anche il diligentissimo Pellegrino.

E da questa residenza, ch'ebbero varie Nazioni in molte parti del nostro Regno, ? nata quella tanta diversit? di linguaggi, ancorch? tutti parlassero italicamente, che oggi osserviamo nelle nostre province. Imperocch? fermati i Bulgari per pi? secoli in quelle citt?, ancorch? essi a lungo andare renduti gi? Italiani, deponessero il sermon proprio, ed il popolare linguaggio apprendessero, e l'antico cedesse al comune italiano; nientedimeno questa mescolanza di due Nazioni in un medesimo luogo port?, che l'italiano, se ben superiore, rimanesse alquanto contaminato; ed oltre alle nuove parole di quella straniera Nazione, quell'aria, o accento, o pur vocabolo dello straniero ritenesse. Cos? anche nell'altre parti del nostro Regno, come nel Sannio e negli Apruzzi, ove i Longobardi pi? lungamente si mantennero, lasciarono, oltre a' vocaboli, un'impressione diversa dalla comune italiana favella. Ed in quelle regioni, ove i Greci lungo tempo dominarono, come in alcune citt? della Calabria, ed in Napoli particolarmente, ancor oggi si ritiene molta aria di quel parlare, e si ritengono ancora molti vocaboli: n? ? mancato chi di essi abbia voluto tesserne lungo catalogo, come fece il Capaccio dei vocaboli greci ritenuti anche oggi da' Napoletani, e de' quali nel comun parlare si vagliono. E non essendo finita qui la novit? e variet? delle straniere genti, che invasero il Regno, ma succeduta una Nazione all'altra in varj tempi, ed anche in varie regioni di esso; quindi nacque il tanto vario e strano mescolamento, che oggi si vede.

Ma essendo poi a' Longobardi, a' Greci, a' Saraceni succeduti i Normanni, e dapoi i Svevi, i Franzesi, gli Spagnuoli, gli Albanesi, e chi n?? si venne per questo, ancorch? tutte le nostre province ritenessero la medesima italiana favella, a quella diversit? e mescolanza, che ora vediamo con tanta maggior maraviglia, quanto che non vi ? luogo, bench? picciolo, che fosse nel Regno, che o nell'aria o nell'accento, e sovente ne' vocaboli non differisca, e dall'altro non si distingua: ma di ci? sia detto a bastanza, e forse non mancher? occasione di ragionarne altrove ad altro proposito.

Dopo avere Grimoaldo cos? bene adempiute le parti d'un ottimo Principe, ecco che per un accidente stranissimo ? tolto a' mortali; poich? avendosi fatto salassare nel braccio, dopo nove giorni del salasso, mentre egli fa forza in caricando un arco, gli si apre la vena, n? con tutti gli argomenti possibili potendosi chiudere, esangue se ne mor? nel nono anno del suo Regno, che cadde nel 672 dell'umana Redenzione. Fu Grimoaldo fornito d'ogni rara virt?, e per la sua sagacit? e singolar accortezza meritamente fu al Trono portato: Principe, che volle anche per la sua piet? lasciar di se lodevole ed onorata memoria; poich? se bene nell'eresia d'Arrio fosse nato e cresciuto, a' conforti di Giovanni Vescovo di Bergamo, uomo di singolar bont? e dottrina, l'abbomin?, abbracciando la religion cattolica; n? contento di ci?, molte chiese rifece, ed altre di nuovo costrusse, fra le quali celebre fu quella dedicata ad Alessandro nell'isola di Dulcheria, e l'altra in Pavia al Santo Vescovo Ambrogio. E fu questo esempio cos? memorando, che gli altri Re suoi successori furon tutti cattolici, e si estinse in lui l'Arrianesmo appo tutti i Longobardi in Italia.

Intanto al Ducato di Benevento, essendo morto Romualdo nell'anno 677, era succeduto Grimoaldo II, suo figliuolo, al quale lasci? il Ducato molto pi? grande, avendolo accresciuto colle conquiste di Taranto, Brindisi, Bari e di tutta la regione d'intorno, che tolse egli all'Imperador d'Oriente. Ma si god? Grimoaldo poco il suo Ducato, poich? appena fin? tre anni, ne' quali insieme con Gisulfo suo fratello avea regnato, che sopraggiunto dalla morte lasci? suo fratello solo nel Ducato.

Gisulfo tenne il Ducato beneventano, noverandovi i tre anni che regn? con suo fratello Grimoaldo, anni diciassette; e cominci? solo a reggerlo nel fine dell'anno 680. Questi fu, che a tempo di Gio. V, Pontefice romano, intorno all'anno 685, secondo il computo del Pellegrino, devast? la Campagna romana.

Ma morto Gisulfo nell'anno 694 succedette al Ducato Romualdo II, suo figliuolo, e mentre egli reggeva Benevento, fu da Petronace restituito al suo antico lustro il monastero Cassinese. Il Ducato di Romualdo fu ben lungo, durando ventisei anni, e travagli? molto i Napoletani, togliendogli Cuma: ma i Napoletani istigati da Gregorio II, Pontefice romano, ben tosto, militando sotto il loro Duca Giovanni, glie lo ritolsero, e molta strage de' Longobardi fu fatta.

Proccur? ancora a questo fine mantenersi nella grazia degl'Imperadori d'Oriente, di cui egli si professava suddito, poich? Roma ubbidiva a que' Principi, e per rendersi a coloro benemerito, si oppose sempre a' sforzi de' Longobardi, vegghiando non pure alla difesa di quella citt?, ma di tutte le altre, e di Napoli particolarmente, perch? si fosse mantenuta in Italia la Signoria degl'Imperadori d'Oriente, per fare contrappeso alle forze de' Longobardi, che aspiravano alla universal Monarchia di tutta Italia, e discacciarne da quella affatto i Greci. Soccorreva perci? i popoli colle sue grandi liberalit?: e nel sacco che i Longobardi diedero a Crotone, ove ridussero que' cittadini in cattivit?, egli s'adoper? tanto con opere e con uficj, che ne furono riscattati. Attese perci? con vigilanza particolare alla cura delle chiese d'Italia e di Sicilia, e di tutte queste nostre province, le quali come prima non riconoscevano altro Patriarca, che lui, e gli altri romani Pontefici suoi successori. Cos? veggiamo, che per le ordinazioni de' Vescovi di Sicilia, di Napoli, di Capua, di Miseno, di Benevento, della Puglia, della Calabria, della Lucania e dell'Apruzzo, a lui si ricorreva, e le contese insorte per l'elezioni da lui si terminavano. Pose ancora tutta la sua applicazione agli affari della Chiesa universale, e s'affatic? non solo d'estinguere la divisione, ch'era nella Chiesa tra i Latini ed i Greci, ma eziandio per liberar l'Affrica dallo scisma de' Donatisti: e mand? il Monaco Agostino co' suoi compagni in Inghilterra per convertire que' Popoli. Pose ogni studio, perch? per mezzo di Teodolinda i Longobardi, deposta l'Idolatria e l'Arrianesmo, passassero nella fede cattolica. Viet? nondimeno di costringere gli Ebrei colla violenza a farsi Cristiani. E sopra tutto attese alla conservazione della disciplina ecclesiastica, e di fare osservare inviolabilmente i canoni in tutte le chiese, tenendo per fermo, che in ci? massimamente risplendesse la potest? e l'autorit?, che gli concedeva il Primato della sua sede.

Dall'altra parte i Longobardi, quantunque per la maggior parte idolatri, ed altri arriani, non turbarono la pace delle nostre chiese, e sotto la cura de' Pontefici romani, cos? come prima erano, le lasciarono. Il Re Autari verso l'anno 587 depose il Paganesimo, ed abbracci? la religione cristiana, ma, seguendo l'esempio de' Re goti, la ricevette imbrattata dell'eresia arriana. I Longobardi ad esempio del loro Re fecero il medesimo; quindi lasciandosi a' provinciali intatta la loro religione, si videro in alcune citt? d'Italia due Vescovi, l'uno arriano che presedeva a' Longobardi convertiti, l'altro cattolico che governava le Chiese cattoliche de' provinciali. Le nostre province per? non videro questa difformit?; poich? quelle che ancor rimanevano sotto l'ubbidienza degl'Imperadori d'Oriente erano tutte cattoliche: l'altre che passarono sotto la dominazione de' Longobardi, ritennero intatta quella medesima religione, che i Goti, e sopra tutto il gran Re Teodorico loro avea conservata; nella quale il Re Autari, e gli altri Re suoi successori, le mantenne. A tutto ci? s'aggiunse da poi la piet? della Regina Teodolinda, donna religiosissima e cattolica, la quale, ancor che col suo primo marito Autari non le fosse riuscito di far loro deporre l'Arrianesimo, con Agilulfo per? suo secondo marito pot? tanto, per le grandi obbligazioni, che a lei professava, che gli fece abbracciar la religione cattolica; ond'? che S. Gregorio M. cotanto si mostra obbligato a questa Principessa, alla quale dedic? i suoi quattro libri delle Vite dei Santi, e tante affettuose epistole di lui si leggono piene d'encomj, e di lodi dirette a questa Regina. Quindi avvenne, che molti Longobardi, seguendo l'esempio del loro Principe, si rendessero ancor essi, cattolici, e perci? molte chiese e monasterj nel Regno di Agilulfo fossero edificati: donate perci? molte possessioni a' medesimi, e che i Vescovi, che prima nelle citt? di Longobardia eran depressi, fossero stati sollevati, ed in sommo onore avuti. E quantunque nel Regno di Ariovaldo, perfido Arriano che ad Agilulfo succede, fossesi turbata quella pace, che Agilulfo gli avea data; nulladimanco succeduto poi al Trono Rotari, Principe, ancorch? arriano, di piacevoli costumi, e che lasci? in libert? di vivere, cos? i Longobardi, come i provinciali, con quella religione, che essi volessero, ritornarono le cose nella pristina quiete e tranquillit?, nella quale maggiormente si stabilirono sotto il Regno di Ariperto, molto propenso ed inclinato alla religion cattolica.

Ma poscia i nostri Cistiberini longobardi furono i primi a lasciare affatto l'Arrianesimo, merc? di due illustri Vescovi, Barbato di Benevento e Decoroso di Capua. Barbato dopo la sconfitta, che i Longobardi beneventani sotto il loro Duca Romualdo diedero ai Greci, purg? quella Nazione non men dell'Idolatria, che dell'Arrianesimo, e divennero tutti cattolici. Il simile avvenne de' Longobardi capuani per Decoroso loro Vescovo; tanto che in tutte quelle province, che eran passate sotto il loro dominio, l'Arrianesimo presso a' Longobardi istessi rest? affatto abolito. Le altre regioni, che ancor duravano sotto i Greci, ancorch? l'Oriente spesso partorisse dell'eresie e degli errori intorno a' dogmi: onde mal s'accordavano quelle chiese con queste nostre d'Occidente, e sopra tutto in questi tempi per quella de' Monoteliti; nientedimeno la vigilanza de' romani Pontefici, sotto la cui custodia e governo ancor duravano, fece s?, che non rimasero di quegli errori le nostre chiese contaminate.

Questi Principi longobardi, ad esempio di tutti gli altri Principi dell'Occidente e degl'Imperadori d'Oriente ancorch? fatti cattolici, mantennero per? nei loro dominj quelle medesime prerogative e preminenze, che i Re goti ritennero, per quel che s'attiene all'esterior politia ecclesiastica; ed avvegnach? i Pontefici romani facessero valere la loro autorit? in Occidente; nulladimanco i Principi, e spezialmente nella Francia e nella Spagna, vollero, fra l'altre cose, autorizzare colle loro leggi ed editti i Sinodi provinciali, che in questo secolo furono assai frequenti, e di lor ordine fatti convocare, per dar riparo agli abusi, ed alla corrotta disciplina e sregolatezza degli Ecclesiastici. Dall'altra parte gl'Imperadori d'Oriente non pur seguitavano le vestigia de' loro predecessori, ma presero molta parte negli affari della religione, non potendo i Pontefici romani farvi tutta quella resistenza, che avrebbono voluto. L'Imperador Maurizio, calcando le medesime pedate degli altri Imperadori suoi predecessori, promulg? legge proibente, che i soldati si ricevessero ne' monasterj: S. Gregorio si doleva della legge, ma non attaccava la potest? del Legislatore, e con molta riserva esagerava, che quella fosse ingiusta, e contra il servigio di Dio: quasi che volesse con ci? impedirsi agli uomini il cammino d'una maggior perfezione. Maurenzio nostro Duca di Napoli obbligava i Monaci a far le sentinelle per guardia della citt?, e ripartiva le truppe per l'alloggio in ogni quartiere, non perdonando n? anche a' monasterj di donne, di che parimente abbiamo le doglianze di questo Pontefice.

Non fu per tanto, cos? nelle province, ch'eran passate sotto la Signoria de' Longobardi, come in quelle ch'erano rimase sotto i Greci, variata la politia ecclesiastica; ma per ci? che s'attiene a questa parte, fu ritenuta quella stessa forma, che tennero sotto i Goti Re d'Italia, e sotto Giustiniano e Giustino Imperadori d'Oriente.

I Vescovi erano ancora eletti dal Clero e dal Popolo, ed ordinati dal Pontefice romano, come prima; ma i Principi, come se dal Popolo fosse a loro devoluta tal potest?, nell'elezione ne volevano la maggior parte; onde ne nacque, che facendo essi eleggere alcuni, che non avevano n? meriti, n? scienza, n? capacit?, erano le Chiese mal governate. Dal registro dell'epistole di S. Gregorio si legge, che il Pontefice romano, esercitando nelle nostre Chiese l'autorit? sua di Metropolitano insieme, e di Patriarca, non pur ordinava gli eletti dal Clero e dal Popolo ma regolava l'elezioni, diffiniva le contese, che forse insorgevano, e sovente spogliava i Vescovi delle loro sedi, quando gli conosceva immeritevoli. Cos? de' Vescovi di Napoli leggiamo, che tenendo nell'anno 590 la Cattedra di Napoli Demetrio, fu costui per li molti e gravi suoi delitti nel seguente anno scacciato da Gregorio, il quale dopo averlo deposto, scrisse al Clero e agli Ordini di questa citt?, cio? a' Nobili ed al Popolo, che in luogo di Demetrio n'eleggessero un altro; ed intanto egli vi mand? il Vescovo Paolo a regger quella Chiesa, insino che a quella non si fosse dato il successore. I Napoletani si trovavano cos? ben soddisfatti di Paolo, che scrissero al Pontefice, pregandolo, che l'avesse lor dato per Vescovo: Gregorio prese tempo per deliberare, ed intanto avendo Paolo nel Castello di Lucullo, che oggi chiamiamo dell'Uovo, ricevuto un affronto da alcuni servi d'una Dama napoletana chiamata Clemenzia, preg? Gregorio che lo facesse ritornar presto alla sua Chiesa; onde i Napoletani, non convenendo fra loro nella elezione d'un lor cittadino, e scorgendo che Paolo non l'avrebbe accettato, elessero Florenzio Sottodiacono del Papa, che allora si trovava in Napoli: ma questi tosto scapp? via, e fugg? in Roma rifiutando il carico; tanto che Gregorio scrisse a Scolastico Duca di Napoli, esortandolo a convocare i Nobili ed il Popolo della citt? per l'elezione d'altra persona; e, quella eletta, mandassero il decreto in Roma, perch? potesse ordinarla: dicendogli ancora, gi? che due volte aveano eletti uomini stranieri, che se non trovavan fra' cittadini persona idonea a tal carica, almeno eleggessero tre uomini savj e da bene, a' quali tutti gli Ordini dassero la lor facolt?, e gli mandassero in Roma, affinch?, facendo le veci della citt?, venuti in Roma, potessero insieme col Pontefice consultare, e far s? che finalmente trovassero persona irreprensibile, nella quale consentissero, e stante la loro elezione potesse il Papa ordinarla, e mandarla alla vedova Chiesa.

Consimile epistola scrisse Gregorio a Pietro Sottodiacono della Campagna, che reggeva il patrimonio di S. Pietro di questa provincia, al quale incaric?, che facesse convocare il Clero della Chiesa di Napoli, imponendogli, che parimente eleggessero due o tre di loro, a' quali dassero tutta la facult?, e gli mandassero in Roma, dove uniti con gli altri rappresentanti la Nobilt? e 'l Popolo, si potesse trattar dell'elezione ed ordinazione del nuovo Vescovo.

Morto Fortunato, per dargli successore insorsero nuovi contrasti; ed essendosi divisi i suffragi, due Vescovi dal Clero e dal Popolo furono eletti: un partito elesse Giovanni Diacono, l'altro Pietro parimente Diacono. Tosto si ebbe ricorso al Pontefice Gregorio perch? fra i due eletti, quello che reputasse il pi? degno confermasse ed ordinasse. Ma niun di essi piacque: Giovanni fu notato d'incontinenza, perch? teneva una figliuola, testimonio di sua debolezza: Pietro come usurajo e troppo semplice, fu riputato indegno ed inutile; onde fu rescritto a' Napoletani, che eleggessero altri, come poi fecero.

Questo medesimo costume vediamo praticato nell'elezioni de' Vescovi capuani, di Cuma, di Miseno, di Benevento, di Salerno, d'Apruzzi, e di tutte le altre Chiese di queste nostre province, che come suburbicarie, al Pontefice romano s'appartenevano: Palermo ancora, Messina, e l'altre Chiese di quell'isola, poich? la Sicilia fu anche Provincia suburbicaria, serbavano il medesimo istituto.

Per la morte di Liberio, Vescovo di Cuma, accaduta nell'anno 592, quest'istesso Pontefice mand? Benenato Vescovo di Miseno a governarla infino che non se gli dasse il successore. Discordavano i Cumani per l'elezione, intendendo alcuni elegger persona d'altra Chiesa; ma Gregorio fece sentire a Benenato, che non permettesse far eleggere persona straniera, se non nel caso, che a lui costasse non esservi fra' Cumani uomo alcuno meritevole d'essere innalzato a quella dignit?.

In tal maniera si facevano l'elezioni de' Vescovi, quando volevasi attendere l'antica disciplina della Chiesa, ed il prescritto de' sacri canoni. Cos? ancora avrebbe dovuto farsi l'elezione del Vescovo di Roma dal Clero e dal Popolo, n? aveano in ci? da impacciarsene gli Imperadori d'Oriente. Ma cominciavano gi? in questi tempi i Principi ad occupare le ragioni del Popolo e del Clero in queste elezioni: sia per timore, sia per compiacenza, sovente colui era eletto, che al Principe piaceva. Gl'Imperadori d'Oriente, come padroni di Roma, aveano gran parte nell'elezione dei Papi, ch'erano loro sudditi, e fu anche introdotto costume, che senza lor commessione niuno potesse esser ordinato: onde l'eletto dovea mandare in Costantinopoli a richiederne il consenso o la permissione dell'Imperadore. Scrive Paolo Varnefrido, che quando, dopo la morte di Benedetto Bonoso, fu nell'anno 577 innalzato a quella sede Pelagio II, perch? Roma in que' tempi era cinta di stretto assedio dai Longobardi, n? alcuno poteva uscire da quella citt?, non pot? Pelagio mandare in Costantinopoli all'Imperadore perch? v'assentisse, onde fu ordinato Pontefice senza commessione del Principe: levati poi gli impedimenti, solevano i Pontefici romani mandar lettere agl'Imperadori, nelle quali, allegando gl'impedimenti avuti, cercavano di scusarsi, e che alla fatta ordinazione consentissero. San Gregorio il Grande eletto Papa, ricusando d'esserci, scrisse all'Imperadore Maurizio, istantemente supplicandolo, che non prestasse il suo assenso all'elezione; ma l'Imperadore che tanto si compiacque dell'elezione, non volle farlo.

Nelle nostre province pure i nostri Principi nell'elezione de' Vescovi delle loro citt? vi vollero la lor parte. Cos? leggiamo alcuna volta esser accaduto nell'elezione de' Vescovi di Benevento, come fu l'elezione di Barbato nell'anno 663, seguita per opera del Duca Romualdo. De' Vescovi napoletani pur lo stesso si legge, e particolarmente del Vescovo Sergio, il quale dal Duca di Napoli Giovanni, fu, dopo la morte di Lorenzo, innalzato a quella sede: ma questi casi avvenivano fuori d'ordine. La disciplina era che l'elezione s'appartenesse al Clero ed al Popolo, siccome l'ordinazione al romano Pontefice.

La disposizione de' Vescovi in queste nostre province era la medesima de' secoli precedenti. E per quel che s'attiene alla loro autorit? e giurisdizione, la loro conoscenza era ristretta come prima nelle cause ecclesiastiche, dove procedevasi per via di censura: non avevano giustizia perfetta, non Tribunali, non Magistrati, e la loro cognizione non pi? si stese di quella che Giustiniano avea lor data in quella sua Novella. Intorno all'onore e potest? era l'istessa, e circoscritta da' medesimi confini. Erano nelle citt? Vescovi solamente, non avea alcun d'essi acquistato ancora autorit? di Metropolitano: n? alcuno sotto di se avea Vescovi suffraganei e dipendenti; ma ciascuno de' Vescovi reggeva la sua Chiesa ed il Popolo a se commesso. Non ancora i Patriarchi di Costantinopoli aveano invase le Chiese nostre, sicch? alcune ne avessero potuto render metropoli, ed innalzare i loro Vescovi a Metropolitani, con sottoporle al Trono di Costantinopoli, siccome fecero da poi nell'imperio di Lione Isaurico, e degli altri Imperadori d'Oriente suoi successori: solo, come si ? detto d'alcuni Vescovi delle citt? all'Imperio greco soggette, cominciavano, secondo il fasto de' Greci, ad esser decorati del nome di Arcivescovi, non senza sdegno per? de' romani Pontefici, i quali riprendevan acerbamente que' Vescovi, che lo prendevano.

Altri dalla disposizione, che presero queste nostre province nel Ponteficato di Gregorio, presero argomento, che fin da questi tempi si fosse Napoli fatta metropoli. Napoli, essi dicono, avea in questi tempi il suo Duca: l'altre citt? Conti e Governadori. Il Duca secondo la politia dell'Imperio presedeva a pi? citt? della provincia, che compongono il Ducato. Il Conte presedeva ad una citt? sola; ond'? che nelle leggi degli Vestrogoti si dice Duca di provincia, e Conte di citt?; e Fortunato al Conte Sigoaldo gli dice:

Egli per? ? altres? vero, che fin da questi tempi s'incominciarono a gittare i fondamenti della nuova politia cos? dell'Imperio, come del Sacerdozio. Cos? da questi tempi vediamo, che al Vescovo di Benevento s'unirono le chiese di Siponto, di Bovino, Ascoli e Larino. Al Vescovo di Napoli quelle di Cuma, Miseno e Baja s'appartenevano; non gi? che i Vescovi di queste citt? lo riconoscessero per Metropolitano, ma per onore della citt? ducale, e come loro metropoli, per quel che riguardava la politia dell'Imperio, gli accordavano i primi onori, poich? tra' Vescovi di quel Ducato era riputato il primo. Col corso degli anni, oltre al Ducato di Benevento e quello di Napoli, sursero ancora il Ducato di Capua e l'altro di Salerno, i quali con quello di Benevento s'innalzarono poi a' Principati. Amalfi ebbe in appresso anche il suo Duca, siccome Sorrento, e si eressero in Ducati. Bari poi ebbe anche il suo Duca. Alcune citt? della Puglia e della Calabria, de' Bruzj e Lucania, fatte parimente capi e metropoli di quelle regioni, si renderono pi? cospicue dell'altre; onde secondo la politia dell'Imperio, ricevettero poi i Metropolitani, ed i Vescovi delle citt? minori di quelle province rimasero lor suffraganei. Quindi avvenne, che quanto pi? si stendeva il lor Ducato o provincia, pi? suffraganei avessero: e per questa cagione, poich? il Ducato beneventano distese pi? di tutti gli altri i suoi confini, il suo Arcivescovo ebbe tanti Vescovi suffraganei, che sopra tutti gli altri Metropolitani oggi ne ritiene in gran numero. Quindi ancora ? avvenuto, che il Principato di Salerno, se non quanto quel di Benevento, avendo pure molto ampliato i suoi confini, il suo Arcivescovo ancor egli ritenesse molti suffraganei: e quel di Capua per la stessa ragione anche moltissimi. Ed all'incontro il Ducato di Napoli, quello di Sorrento e l'altro d'Amalfi, come che molto ristretti, non avessero cos? numeroso stuolo di Vescovi suffraganei, siccome gli altri Metropolitani delle altre citt? di queste nostre province; come osserveremo quando della lor politia ecclesiastica degli ultimi tempi ci sar? data occasione di trattare.

Ecco adunque qual fosse la disposizione e la Gerarchia ecclesiastica di queste nostre province in questa et?. Il romano Pontefice, come Metropolitano insieme e Patriarca: Vescovi, Preti, Diaconi, Sottodiaconi, i quali gi? in questi tempi eransi ligati al celibato, ed il lor ordine posto nel rango de' maggiori ordini: Acoliti, Esorcisti, Lettori ed Ostiarj.

Non meno le chiese che i monasterj renderonsi in questi tempi pi? spessi e magnifici, e i loro Monaci pi? numerosi. I Longobardi, come suole avvenire nei primi ardori delle novelle religioni, abbracciata che ebbero la religione cattolica romana, furono in queste nostre province assai pi? profusi colle chiese e monasterj, che i Greci, cristiani vecchi. Il Re Agilulfo, fatto cattolico, molti monasterj rifece per l'Italia, ed altri nuovi ne costrusse. Il Re Ariperto fu cos? profuso nel donare a' monasterj, alle chiese, e particolarmente alla romana, che per la restituzione degli ampj e grandi poderi, che le fece nell'Alpi Cozzie, onde tanto in quella provincia crebbe il patrimonio di S. Pietro, diede occasione ad alcuni di credere, che la provincia tutta dell'Alpi avesse Ariperto donato alla Chiesa romana.

I nostri Duchi di Benevento, ancorch? sotto Zotone I, Duca pagano e idolatra, il monastero Cassinese avesse patito quel miserando sacco; nulladimeno, abbracciato che poi ebbero per opera di Barbato il cattolichismo, favorirono le chiese ed i monasterj: tantoch?, rifatto il monastero nell'anno 690 da Petronace, i Duchi di Benevento lo arricchirono grandemente, e fra gli altri Gisulfo II d'immensi doni e di grandi poderi l'accrebbe. Que' luoghi e quelle terre poste nello Stato di S. Germano passarono in gran parte in dominio di quel monastero; tanto che poi col correr degli anni, accresciuto per altre ampie donazioni, si rend? cotanto ricco e possente, che i loro Abati, fatti Signori di pi? terre e vassalli, vennero in tale stato, che mantenevano a loro stipendj eserciti armati, come ne' seguenti secoli vedremo.

Nel Ducato napoletano, ed in tutte quelle citt?, che a' Greci ubbidivano, ancorch? molti altri di questo Ordine se ne fossero nuovamente costrutti, nulladimanco il numero de' monasterj cos? di uomini, come di donne posti sotto la regola di S. Basilio era maggiore: Napoli n'ebbe molti, come si ? veduto nel precedente libro: non erano meno frequenti in Otranto, Brindisi, Reggio, e cos? in tutte l'altre citt? della Calabria e de' Bruzj.

Fu per tanto lo Stato monastico non men che nella Francia e nell'Alemagna, ed in tutte l'altre parti di Occidente, steso ed arricchito in queste nostre province; tantoch? gi? gli Abati e monasterj cominciavano a pretendere di scuotere il giogo de' Vescovi, ed a dimandare de' privilegi e dell'esenzioni per rendersi in libert?. Se sono veri gli atti del Concilio, che si narra aver tenuto S. Gregorio in Roma nell'anno 601 in favore de' Monaci, fu in quello stabilito, che i Monaci dovessero avere la libert? di eleggere il loro Abate, e di scegliere un Monaco della lor comunit?, o d'un altro monastero: che i Vescovi non potessero trarre Monaci da un monastero per fargli Cherici, ovvero per impiegargli alla riforma d'un altro monastero senza il consenso dell'Abate: che i Vescovi non dovessero impacciarsi nel temporale de' monasterj; n? celebrare l'uficio solenne nella chiesa de' Monaci, n? esercitarvi alcuna giurisdizione. Per tutte queste cagioni lo stato monastico si rend? fin da questi tempi considerabile, e cominci? non poco ad alterare lo stato civile e temporale de' Principi, i quali in vece di fare argine a tanti acquisti, pi? tosto gli accrescevano colle loro immense donazioni.

I canoni che in varj Concilj furono stabiliti in questo settimo secolo in Occidente, e particolarmente in Toledo ed in Francia, ripararono in gran parte la sregolatezza della maggior parte de' Cristiani, e la disciplina degli Ecclesiastici, ch'era in declinazione. Furono ancora avvalorati dagli editti de' Sovrani; e S. Gregorio gran Pontefice ripar? in Italia la cadente disciplina delle nostre chiese: vegli? sopra la conservazione di quella, e s'applic? tutto a fare osservare inviolabilmente i canoni in tutte le chiese. Scrisse perci? una gran quantit? di lettere ne' quattordici anni del suo Pontificato, le quali contengono una grandissima copia di decisioni sopra il governo, e la disciplina della chiesa.

Se si voglia aver per vero ci? che scrisse il Baronio di Cresconio Vescovo d'Affrica, e ci? che i pi? gravi Autori dicono della collezione d'Isidoro Mercatore, niuna collezione di canoni fu fatta in questo settimo secolo. Il Baronio credette che il Vescovo Cresconio fiorisse intorno a' tempi di Giustiniano Imperadore, onde la sua ampia raccolta de' canoni fu per ci? da noi rapportata nel libro precedente. Se poi si voglia seguire l'opinione di Doujat, riputata vera da Pagi, ed abbracciata ultimamente da Burcardo Gotthelf Struvio, la collezione di Cresconio caderebbe in questo luogo, come quella, che secondo il sentimento di costoro si fece intorno l'anno 670 in questo settimo secolo. Quella di Isidoro Mercatore bisogner? certamente riportarla al libro seguente, poich? questo Scrittore fior? nell'ottavo secolo, l'anno 719.

I Vescovi di queste sedi maggiori, siccome anche dell'altre minori, per far rispettare maggiormente le possessioni delle loro Chiese, solevano dar loro il nome del Santo, che quella Chiesa avea in ispezial venerazione: cos? la Chiesa di Ravenna nominava le possessioni sue di S. Apollinare, e quella di Milano di S. Ambrogio, e la romana diceva il patrimonio di S. Pietro in Sicilia, in Affrica, in Francia, in Dalmazia, in Calabria, in Apruzzo, in Benevento, in Napoli ed altrove; non altrimenti che a Venezia le pubbliche entrate si chiamano di S. Marco. Cos? ancora le Chiese delle citt? minori, per fine di maggior rispetto, nomavano i loro patrimonj col nome del Santo, che esse avevano in pi? divozione, come Napoli il patrimonio di S. Aspremo, Benevento di S. Barbato, Brindisi di S. Leoci: e poi Amalfi di S. Andrea, Salerno di S. Matteo, e cos? di mano in mano tutte le altre.

Ma egli ? ben da notare, che questo nome di patrimonio, che la Chiesa di Roma avea in quelle province, non significava qualche dominio supremo, o qualche giurisdizione della Chiesa romana, o del Pontefice, ch'avesse sopra tali patrimonj: erano essi a riguardo de' Principi, nelle cui province stavan collocati, come tutti gli altri particolari patrimoni sottoposti alla giurisdizione, ed al dominio eminente di quel Principe, dentro al cui Stato quelli erano. Tentarono egli ? vero alcuni Ecclesiastici della Chiesa romana di farvi dell'intraprese, ma riusciron vani questi pensieri, ed i lor disegni. Poich? ne' patrimonj dei Principi, quando non erano assegnati a' soldati, era posto un Governadore con giurisdizione per le cause che intorno a quelle possessioni potevan nascere, per la pi? facile esazion delle lor rendite, e per lo costringimento de' debitori: queste istesse ragioni tentarono usurpare alcuni Ecclesiastici ne' patrimonj di quella Chiesa: volevano farsi ragione per se stessi, e farsi la giustizia colle mani proprie, e non ricorrere al pubblico giudizio de' Magistrati; ma S. Gregorio istesso prudentissimo e saggio Pontefice riprese questa introduzione, e comand? e proib? sotto pena di scomunica, che non si facesse: n? i Principi ne' loro dominj vollero in conto alcuno tollerarla.

Cotanto fu in questi tempi l'accrescimento de' beni temporali delle nostre Chiese, e sopra tutto della Chiesa di Roma loro maestra e condottiera: e, secondo la situazione dello stato presente, maggiori acquisti se ne vedranno ne' secoli avvenire.

Multiplicate le chiese ed i monasterj, vie pi? s'accrebbe il culto de' Santi, delle loro reliquie, e loro immagini. I santuarj, e sopra ogni altro quello del monte Gargano non men da' Greci, che da' Longobardi, erano pi? frequentati, ed arricchiti di preziosi doni. I miracoli vie pi? crescevano, ed oltre alle prediche ed a' sermoni, cominciavano gi? a tessersi di loro infiniti racconti, ed a raccogliersi in volumi, e S. Gregorio ne pubblic? molti ne' suoi quattro libri de' Dialoghi, che dedic? alla Regina Teodolinda. Si accrebbero nelle chiese le feste, l'ottava di Natale, quella dell'Epifania, l'altra della Purificazione, dell'Annunziazione della Vergine, della sua morte, della sua nativit?, e finalmente quella di tutti i Santi. A pari del culto e della divozione crebbero le ricchezze, promettendosi anche i Fedeli da' Santi, non pur conseguimento di beni spirituali, ma anche di temporali, di sanit?, di abbondanza, di ricchezza, buoni successi ne' traffichi e ne' negozj, nelle navigazioni, e ne' viaggi terrestri.

Da tanti e s? diversi fonti che cominciavano a scoprirsi, vie pi? s'accrescevano alle Chiese le possessioni ed i retaggi; e la cagione era, perch? se, come scrisse il nostro Ammirato, essendo la religione un conto che si tiene a parte con Dio, e avendo i mortali in molte cose bisogno di lui, o ringraziandolo de' beni ricevuti o de' mali scampati, o pregandolo che questi non avvengano, e che quelli felicemente succedano; necessariamente siegue, che de' nostri beni o come grati o come solleciti facciamo parte, non gi? a lui che non ne ha bisogno, ma a' suoi tempj ed a' suoi Sacerdoti; quanto pi? dovettero allora crescere i doni e le offerte, quando s'ebbe a tenere non pur un sol conto con Dio solamente, ma con tanti Santi, dall'intercession de' quali promettevansi i Fedeli queste medesime cose; ed essendo tanto cresciuto il lor culto e venerazione, ed eretti per ci? in lor nome pi? monasterj e tempj, e multiplicati i loro santuari, ben poteron per conseguenza tirar la gente ad offerir loro, ed a' loro tempj ancora e Sacerdoti, in maggior copia, e doni e ricchezze. Cominciossi ancora a donare, non pur alle Chiese, ma a' Parrochi, a' Preti, e ad altri Ministri per li loro sacrifici, a fin di liberare l'anime de' loro defonti dal Purgatorio; onde surse, al creder di Mornacio, l'autorit? che s'assumevano di fare i testamenti a coloro, che morivano intestati; di che altrove ci torner? occasione di ragionare.

Mantennero le nostre Chiese intorno alla distribuzione delle rendite e beni loro temporali, il medesimo istituto di dividergli in quattro parti, una al Vescovo l'altra al Clero, la terza a' poveri, e la quarta per la chiesa materiale. Della Chiesa di Napoli, che sin dai tempi di S. Gregorio sotto il Vescovo Pascasio teneva un Clero numeroso, contandosene fin a cento ventisei, oltre a' Preti, Diaconi, Cherici peregrini; abbiamo dall'epistole di questo Pontefice, che trascurando Pascasio di distribuire, come si conveniva a' poveri ed al Clero le rendite di quella chiesa, fu costretto egli a far la distribuzione, e riserbando la porzione al Vescovo, vi stabilisce ci? che dovesse somministrarsi al Clero ed a' poveri, imponendo anche ad Antemio suo Sottodiacono, ch'era Rettore del patrimonio di S. Pietro in Napoli, che unitamente col Vescovo sopraintendesse a dividere, secondo il bisogno de' poveri, la quantit? del danaro, e tener modo anche secondo la sua prudenza di distribuirlo a tempo opportuno.

Questo medesimo istituto tennero tutte l'altre Chiese di queste nostre province, le quali per altro erano in ci? commendabili, poich? non era fraudata a' poveri la lor porzione, ed i Vescovi praticavano co' peregrini quell'ospitalit?, che i canoni gli obbligava a mantenere.

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