Read Ebook: Memorie: Edizione diplomatica dall'autografo definitivo by Garibaldi Giuseppe Nathan Ernesto Editor
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Ebook has 2950 lines and 165303 words, and 59 pages
Se mio padre poi, non mi fece dare pi? colta educazione, esercitare nella ginnastica, scherma, ed altri esercizi corporei -- fu piutosto colpa dei tempi -- in cui grazie agli Istitutori chercuti -- propendevano piutosto a far della giovent?, tanti frati e legali, anzich? buoni cittadini, capaci di professioni virili ed utili -- ed atti a servire il loro devastato paese.
Daltronde era sviscerato l'amor suo pei figli -- e quindi temente: non si spingessero a bellici divisamenti.
Tale trepidazione dell'amato mio padre -- prodotta da soverchio affetto -- ? forse l'unico rimprovero da farli -- giacch? per timore di espormi troppo giovane ai disagi, ed ai pericoli del mare -- egli mi trattenne contrariamente all'indole mia -- sino verso i quindici anni -- senza permettermi di navigare.
E non fu savia determinazione -- essendo io, oggi, persuaso: che un marino deve cominciare la carriera giovanissimo -- se possibile prima degli otto anni -- Essendo in tale pratica: maestri i Genovesi -- e gl'inglesi massime.
Far studiare i giovani destinati al mare, a Torino, o a Parigi -- ed inviarli a bordo oltre i vent'anni -- ? sistema pessimo -- Io credo meglio: far fare i loro studi a bordo, e la pratica di navigazione nello stesso tempo.
E mia madre! Io asserisco con orgoglio, poter essa servir di modello alle madri -- E credo, con questo aver detto tutto.
Uno dei rammarichi della mia vita -- sar? quello, di non poter far felici gli ultimi giorni della mia buona genitrice -- la di cui vita ho seminato di tante amarezze colla mia avventurosa carriera.
Soverchia ? forse stata la di lei tenerezza per me ?Ma non devo io all'amor suo -- all'angelico di lei carattere, il poco di buono che si rinviene nel mio?
Alla piet? di madre -- verso il prossimo -- all'indole sua benefica e caritatevole -- alla compassione sua, gentile, per il tapino, per il sofferente -- non devo io forse la poca carit? patria, che mi valse la simpatia e l'affetto de' miei infelici ma buoni concittadini?
Oh! abbench? non superstizioso certamente -- non di rado -- nel pi? arduo della strepitosa mia esistenza -- sorto illeso dai frangenti dell'Oceano -- dalle grandini del campo di battaglia.... mi si presentava: genuflessa, curva, al cospetto dell'infinito -- l'amorevole mia genitrice -- implorandolo per la vita del nato dalle sue viscere!... Ed io bench? poco credente all'eficacia della preghiera -- n'ero commosso! felice! o meno sventurato!
I miei primi anni.
Nacqui il 4 Luglio 1807 in Nizza-marittima -- verso il fondo del porto Olimpio -- in una casa sulla sponda del mare.
Io ho passato il periodo dell'infanzia -- come tanti fanciulli, tra i trastulli, le allegrezze ed il pianto -- pi? amico del divertimento che dello studio.
Non aprofitai il dovuto delle cure, e delle spese in cui s'impegnarono i miei genitori per educarmi -- Nulla di strano nella mia giovinezza -- Io ebbi buon cuore -- ed i fatti seguenti, bench? di poca entit? lo provano.
Raccolto un giorno al di fuori un grillo, e portatolo in casa -- ruppi al poveretto una gamba nel maneggiarlo -- me ne addolorai talmente -- che rinchiusomi nella mia stanza -- io piansi amaramente per pi? ore.
Un'altra volta, accompagnando un mio cugino a caccia nel Varo -- io m'era fermato sull'orlo d'un fosso profondo -- ove costumasi d'immergervi la canapa -- ed ove trovavasi una povera donna lavando panni.
Non so perch? -- quella donna cadette nell'acqua a testa prima, e pericolava la vita. Io, bench? piccolino ed imbarazzato con un carniere -- mi precipitai, e valsi a trarla in salvo.
Ogni qual volta poi trattossi della vita d'un mio simile -- io non fui rest?o giammai -- anche a rischio della mia.
I primi miei maestri furon due preti -- e credo l'inferiorit? fisica e morale della razza Italica, provenga massime da tale nociva costumanza. Del Sig.r Arena terzo mio maestro, d'Italiano, calligrafia, e matematica -- conservo cara rimembranza.
Se avessi avuto pi? discernimento -- ed avessi potuto indovinare le future mie relazioni cogli Inglesi -- io avrei potuto studiare pi? acuratamente la loro lingua, ciocch? potevo fare col mio secondo maestro il padre Giaume -- prete spregiudicato, e versatissimo nella bella lingua di Byron.
Io ebbi sempre un rimorso: di non aver studiato dovutamente l'Inglese -- quando lo potevo -- rimorso rinnato in ogni circostanza della mia vita in cui mi son trovato cogli Inglesi.
Al terzo la?co istutore il signor Arena, io devo il poco che so, e sempre conserver? di lui, cara rimembranza -- sopratutto per avermi iniziato nella lingua patria, e nella storia Romana.
Il difetto di non esser istruiti seriamente nelle cose, e nella storia patria ? generale in Italia ma in particolare a Nizza, citt? limitrofa, e sventuratamente tante volte sotto la dominazione Francese.
In cotesta mia citt? nat?a, sino al tempo in cui scrivo non molti sapevano d'esser Italiani; la grande affluenza di Francesi, il dialetto che tanto si somiglia al provenzale; e la noncuranza de' governanti nostri -- del popolo occupandosi solo di due cose: depredarlo e toglierli i figli per farne dei soldati -- tutti motivi da spingere i Nizzardi all'indifferentismo patriotico assoluto -- e finalmente a facilitare ai preti ed a Buonaparte lo svellere quel bel ramo dalla madre pianta nel 1860.
Io devo dunque, in parte, a quella prima lettura delle nostra storia -- ed all'incitamento di mio fratello maggiore Angelo -- che dall'America mi raccomandava lo studio della mia -- e pi? bella tra le lingue -- quel poco che sono pervenuto ad acquistarne.
Io terminer? questo primo periodo della mia vita, colla laconica narrazione d'un fatto -- primo saggio dell'avventure avvenire.
Stanco della scuola, ed insofferente d'un'esistenza stanziaria, io propongo un giorno a certi coetanei compagni miei, di fuggire a Genova -- senza progetto determinato -- ma in sostanza per tentare fortuna -- Detto fatto: prendiamo un batello, imbarchiamo alcuni viveri, attrezzi da pesca -- e voga verso levante. Gi? erimo all'altura di Monaco -- quando un corsaro mandato dal mio buon padre -- ci raggiunse, e ci ricondusse a casa, mortificatissimi.
Un abbate, avea svelato la nostra fuga -- Vedete che combinazione: un abbate l'embrione d'un prete -- contribuiva forse a salvarmi -- ed io tanto ingrato da perseguire quei poveri preti -- Comunque un prete ? un impostore -- ed io mi devo al santo culto del vero.
I miei compagni d'impresa di cui mi sovvengo, erano: Cesare Parodi, Raffaele Deandreis -- e non ricordo gli altri.
Qui mi giova ricordare la giovent? Nizzese: svelta, forte, coraggiosa -- elemento magnifico per disposizioni di genio, sociale e militare. Ma condotta disgraziatamente su perverso sentiero -- prima dai preti -- secondo dalla deprevazione importata dallo straniero, che ha fatto della bellissima Cimele dei Romani la sede cosmopolita d'ogni corruzione.
I miei primi viaggi.
Gli ampi tuoi fianchi, la snella tua alberatura, la spaziosa tua tolda -- e sino il tuo pettoruto busto di donna -- rimarranno impressi sempre nella mia immaginazione.
Come dondolavansi graziosamente quei tuoi marini Sanremesi -- vero tipo de' nostri intrepidi Liguri!
Con che diletto, io mi avventava al balcone per udire i loro popolari canti -- gli armonici loro cori -- Essi cantavano d'amore e m'intenerivano m'innebbriavano, per un affetto allora insignificante -- Oh! se mi avessero cantato di patria, d'Italia! d'insofferenza di servaggio -- ?E chi aveva insegnato loro: ad esser patriota, Italiani, militi della dignit? umana? Chi ci diceva a noi giovani, che v'era un'Italia, una patria, da vendicare, da redimere? Chi! I preti, unici nostri istitutori!
Se la nostra marina da guerra, prendesse l'incremento dovuto, il Cap.no Angelo Pesante, dovrebbe comandarne uno dei primi legni da guerra -- e certamente non ve ne sarebbe meglio comandato -- Pesante non ha comandato bastimenti da guerra -- ma egli creerebbe, inventerebbe ciocch? abbisogna in un barco qualunque, dal palischermo al vascello per portarli allo stato d'onorare l'Italia.
E qui devo ricordare: in caso d'una guerra marittima dover il nostro paese far capitale della sua brava marina mercantile -- Semenzaio di valorosi marinai non solo -- ma di prodi ufficiali, capaci del loro dovere, anche nelle battaglie.
Feci il mio primo viaggio a Odessa -- Cotesti viaggi son diventati cos? comuni -- che inopportuno sarebbe lo scriverne.
La capitale d'un mondo -- dalle sue ruine, sublimi, immense -- ove si ritrovano affastellate le reliquie di ci? ch'ebbe di pi? grande il passato!
Capitale d'una s?tta -- un d?, di seguaci del Giusto -- liberatore di servi! Istitutore dell'uguaglianza umana, da lui nobilitata -- benedetto da infinite generazioni -- con sacerdoti, apostoli del diritto de' popoli -- Oggi degenerati, trattanti -- vero flagello dell'Italia, che vendettero allo straniero settanta e sette volte!
No! La Roma ch'io scorgeva nel mio giovanile intendimento -- era la Roma dell'avvenire -- Roma! di cui giammai ho disperato: naufrago, moribondo, relegato nel fondo delle foreste Americane!
La Roma dell'idea rigeneratrice d'un gran popolo! Idea dominatrice, di quanto potevano ispirarmi il presente, ed il passato -- siccome dell'intiera mia vita!
Oh! Roma, mi diventava allora cara, sopra tutte le esistenze mondane -- Ed io l'adoravo con tutto il fervore dell'anima mia! Non solo ne' superbi propugnacoli della sua grandezza di tanti secoli -- ma, nelle minime sue macerie -- e racchiudevo nel mio cuore -- preziosissimo deposito -- il mio amore per Roma -- E non lo svelavo, senonch? allor quando, io potevo esaltare ardentemente l'oggetto del mio culto!
Anzich? scemarsi, il mio amore per Roma s'ingagliard? colla lontananza e coll'esiglio. -- Sovente, e ben sovente, io mi beava nell'idea di rivederla una volta ancora.
Infine, Roma per me ? l'Italia -- e non vedo Italia possibile, senonch? nell'Unione compatta, o federata delle sparse sue membra!
Roma ? il simbolo dell'Italia una -- sotto qualunque forma voi la vogliate -- E l'opera pi? infernale del papato -- era quella di tenerla divisa, moralmente e materialmente!.
Altri viaggi.
In quel viaggio fui spettatore d'un tremendo naufragio -- la di cui memoria mi rimane incancellabile.
Al ritorno di Cagliari, erimo giunti sul capo di Noli e come noi, vari bastimenti, fra i quali un felucio catalano.
Da vari giorni minacciava il Libeccio -- e grossissimo n'era il mare -- quindi si scagli? il vento con tanta furia da farci apogiare in Vado essendo pericoloso di entrare nel porto di Genova con tale uragano.
Il felucio da principio gallegiava mirabilmente, e sostenevasi, da far dire ai nostri marinari pi? proveti: esser preferibile trovarsi a bordo di quello.
Ma dolorosissimo spettacolo, dovea presentarci ben presto, quella sventurata gente!... Un orrendo maroso rovesci? il loro legno -- e non vidimo pi? che alcuni individui sul suo fianco superiore -- stenderci le braccia, e sparire travolti nel frangente d'un secondo pi? terribile ancora.
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