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Read Ebook: Seeing the West: Suggestions for the Westbound Traveller by Dumbell K E M Kate Ethel Mary

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Ebook has 109 lines and 11320 words, and 3 pages

e precisamente nel 1352 . . . e precisamente nel 1354.

pi? di 61, n? meno di 66 . . . meno di 61, n? pi? di 66.

Marin Sanudo . . . Marino Sanuto.

Quarantia . . . Quarant?a.

LE MONETE DI VENEZIA DESCRITTE ED ILLUSTRATE DA NICOL? PAPADOPOLI ALDOBRANDINI COI DISEGNI DI C. KUNZ.

Dalle origini a Cristoforo Moro.

Venezia.

Ferdinando Ongania, editore.

PREFAZIONE.

N. P.

NOTE A "PREFAZIONE".

Alcune poche monete, i sigilli dei dogi P. Ziani, G. Soranzo, M. Falier, M. Steno, F. Foscari, P. Malipiero e C. Moro, e la medaglia che figura nel frontespizio sono ottimi lavori del valente e diligentissimo disegnatore signor Vincenzo Scarpa.

PARTE PRIMA.

DALLE ORIGINI A CRISTOFORO MORO.

ORIGINI DELLA ZECCA E PRIME MONETE DI VENEZIA.

Arduo e spinoso riesce certamente ogni studio storico intorno ai tempi di remota antichit? o a quelli che ci sembrano quasi pi? lontani per la distruzione barbarica di una civilt? gi? arrivata a mirabile altezza. Per ci? stesso sono pi? importanti e di maggior interesse quelle ricerche, che hanno il felice risultato di rischiarare epoche tenebrose, di cui mancano i documenti e le memorie scritte; e conviene far tesoro di ogni umile traccia, di ogni debole raggio di luce, che possa far intravedere un tratto del difficile cammino.

Interpretati da sapienti ricercatori molto hanno servito a questo nobile scopo gli avanzi dei monumenti religiosi e civili; molto hanno rivelato e pi? ancora promettono di rivelare i tesori che la terra conserva nel suo seno e che di tempo in tempo generosamente concede. Molto ancora possiamo sperare dalle amorose ricerche sopratutto sulle monete e medaglie, che fin ora non furono abbastanza studiate e che non sono ancora apprezzate da tutti al loro giusto valore. Sia per la molteplicit? degli esemplari, sia per il piccolo volume e per l'intrinseco pregio, sia infine per lo scopo a cui sono destinate, che le rende preziose all'universalit?, le monete possono pi? facilmente d'ogni altra cosa, nascondersi e sfuggire alle persecuzioni di tutti coloro, che per mille svariate ragioni distruggono le memorie del passato. Ed in vero il maggior numero di quelle che si conservano ed arricchiscono le nostre raccolte provengono da nascondigli spesso sotterranei, e l'abbondanza di queste scoperte in tutti i tempi ? prova della quantit? inesauribile di tesori grandi e piccini, che furono deposti in quel sicuro rifugio dal guerriero vinto, dal mercante timoroso, dall'avaro inquieto, e persino dal colpevole, che cercava nascondere il corpo del delitto.

Indipendentemente da questo pregio, la moneta ha sempre qualche dato sicuro per conoscere l'epoca ed il luogo dove fu coniata, ha il nome o gli emblemi della sovranit? che le imprime il carattere. Ha poi la nota importantissima della contemporaneit? per essere vissuta, si pu? dire, della vita del suo tempo, di cui porta le tracce incancellabili, ragioni per le quali essa ci fornisce non poche notizie politiche economiche ed artistiche, che spesso non si ritrovano in monumenti di maggior volume.

Anche sulla storia dei primi secoli della nostra Venezia le monete possono dare non pochi lumi. Esse vennero tirate in campo nella seria e gi? antica controversia fra gli storici veneziani, che sostenevano la assoluta indipendenza della loro citt? e repubblica sino dalla sua origine, e gli storici non veneziani, i quali invece credevano che il governo veneto per molti anni avesse riconosciuto l'alta sovranit? dell'impero prima greco, poi occidentale.

Naturalmente fu uno scrittore straniero pagato dall'oro spagnuolo, che, nell'interesse di quella politica fatale all'Italia, cit? le monete di Lodovico il pio, quali prove incontestabili di dipendenza dall'impero . Tali conclusioni furono accolte con entusiasmo da altri autori, nei quali invano si cercherebbero la imparzialit? e la rigorosa critica storica: mentre gli scrittori veneziani, per amore di patria e per ragioni a cui non era estranea la preoccupazione politica e nazionale, respingevano vivamente una simile idea. Alcuni di essi, non sapendo fare di meglio, negarono che tali monete appartenessero a Venezia, attribuendole alla Venezia terrestre , ovvero alla citt? di Vannes nella Armorica, come il senatore D. Pasqualigo e G. G. Liruti ; ma la maggior parte sostennero semplicemente, che Venezia aveva avuto fino dalla sua origine il diritto di coniare moneta , ed alcuno come il Sandi , afferm? perfino non esistere alcuna sua moneta, sebbene antichissima, colla immagine degli imperatori greci o latini, o con quella dei re d'Italia.

Pi? saggia critica storica usarono gli autori moderni nel trattare di questo periodo della moneta veneziana. Lo Zon non osa combattere il pregiudizio comune, ma trova vano e superfluo discutere su tradizioni incerte ed arbitrarie, se la moneta veneziana abbia cominciato prima o dopo del 911 e 938, ed in sostanza ammette timidamente che la zecca cominciasse a lavorare solo nel secolo nono o decimo . Il conte di San Quintino, discorrendo di questo argomento con profondit? di dottrina e con abbondanza di critica acuta ed imparziale, dimostra che le monete di Lodovico e di Lotario col nome di Venezia sono battute nella zecca palatina, che esisteva nel palazzo imperiale o nella sede del governo, e cerca di conciliare gli opposti pareri, dimostrando che il nome di Venezia ? posto per manifestare apertamente le vere o supposte ragioni di sovranit?, che agli imperatori d'occidente erano sempre contrastate dai Bizantini e dai Veneziani . Cartier e Barthelemy riproducono le idee di San Quintino e credono potersi attribuire tali monete a Venezia senza ledere la sua indipendenza. Finalmente Vincenzo Promis, in una saggia ed erudita memoria , riassume la questione, riporta tutte le opinioni e determina l'attribuzione delle monete in un modo assai soddisfacente, e sul quale resta ben poco da dire.

Cos? la numismatica erasi purificata, ? vero, dagli errori pi? grossolani, giungendo a stabilire con sufficiente esattezza l'et? e l'attribuzione delle monete; ma non si erano tratte ancora dalle premesse tutte le conseguenze che la critica storica naturalmente poteva dedurne, per cui gli errori ripullulavano anche quando non vi era pi? la giustificazione di preoccupazioni politiche o nazionali.

Il Conte di San Quintino ha dimostrato, coll'approvazione di tutti gli studiosi, e cos? che nessuno potesse pi? tornare sull'argomento, essere affatto insussistente la supposizione che le monete col nome di "V E N E C I A S" fossero coniate a Vannes in Francia.

Mi tratterr? invece brevemente sull'errore pi? diffuso ed in cui cadono quasi tutti gli storici veneziani, cio? che Venezia, dai tempi immemorabili, abbia avuto diritto di zecca e lo abbia esercitato. Lo Zon ed il Lazari sono forse i soli che non credono anteriore al secolo nono la zecca di Venezia, ma, pi? che dirlo, lo pensano. Tutti gli altri ripetono, senza nemmeno l'ombra del dubbio, le stesse parole, e, sicuri della innata indipendenza di Venezia, suppongono che ne abbia ugualmente avuti tutti i diritti inerenti, fra i quali principalissimo quello della moneta: anzi taluno deplora che sieno stati gi? perduti quei nummi, dei quali ci porgono indubbia prova le memorie ufficiali .

Questo ? giudicare di fatti antichi con idee moderne; il coniare moneta ed il porvi il proprio nome fu sempre considerato come indizio di sovranit?, ma il coniare moneta per far prova dinanzi al mondo della propria sovranit? ? un'idea che comincia solo nell'epoca civile, e mostra la conoscenza del passato quale guida del presente. Laonde troveremo anche nella storia veneta un simile atto, ma pi? tardi solo quando il progresso civile sar? gi? alquanto avanzato, o quando Venezia, divenuta pi? forte, vedr? meno potenti i suoi vicini.

Il primo periodo storico di Venezia ? quello che corrisponde alla dominazione dei Goti in Italia. ? facile dimostrare e comprendere che in tale epoca, come in quella della invasione longobarda, i Veneziani non avevano n? la potenza, n? l'autorit? di aprire una zecca, e questa verit? ? tanto evidente che ne conviene lo stesso Romanin .

Durante l'impero romano la facolt? di coniare moneta si esercitava esclusivamente dall'imperatore, e lo stato era cos? geloso di questa sua importante prerogativa, che a nessun altro l'accord? giammai, e persino nell'epoca della decadenza e della rovina dell'impero d'occidente, il prestigio dello stato romano e l'idea del potere imperiale erano ancora cos? grandi, che gli stessi barbari vincitori non osarono mettere iscrizioni nella propria lingua e la effigie del proprio re sulle monete, ma soltanto il monogramma o il nome in latino, lasciando sempre sul diritto l'effigie dell'imperatore romano residente in Costantinopoli, quasi che in nome suo esercitassero l'autorit? regia. ? ben naturale che, tale essendo il sentimento dei vincitori verso il vinto, non potesse essere inferiore il rispetto degli abitanti delle lagune verso il sovrano di Bisanzio, ch'era sempre il continuatore ed il rappresentante dell'impero romano.

Sia che la veneta laguna abbia dato ricetto a gran parte dei nobili e ricchi abitanti fuggenti le invasioni barbariche, sia che i poveri pescatori e modesti naviganti sfuggissero all'invasione per le difese naturali e per la loro pochezza, il fatto ? che in quell'epoca sola le nostre isole cominciarono ad avere un'importanza e ad organizzare un governo proprio. Qualunque delle due ipotesi si debba accogliere, gli abitanti delle isole dovevano riguardare come nemici i barbari, ed avere i loro sguardi rivolti verso l'imperatore, trovando la naturale protezione nel sovrano di Bisanzio, che conserv? il potere imperiale in tutte quelle parti d'Italia, che non furono invase dai barbari.

"Con un comando gi? dato, ordinammo che l'Istria mandasse felicemente alla residenza di Ravenna i vini e gli olii di che ella gode abbondanza nel presente anno. Voi che nei confini di essa possedete numerosi navigli provvedete con pari atto di devozione, acciocch?, quanto quella ? pronta a dare, voi vi studiate di trasportare celermente. Sar? cos? pari e pieno il favore dell'adempimento, mentre l'una cosa dall'altra dissociata, non pi? si avrebbe l'effetto. Siate dunque prontissimi a tal viaggio vicino, voi che spesso varcate spazii infiniti. Voi, navigando tra la patria, scorrete, per cos? dire i vostri alberghi. Si aggiunge ai vostri comodi, che anche altra via vi si apre sempre sicura e tranquilla. Imperciocch? quando per l'infuriare dei venti vi sia chiuso il mare, vi si offre altra via per amenissimi fiumi. Le vostre carene non temono aspri soffii, toccano terra con somma facilit? e non sanno perire, esse che s? frequentemente si staccano dal lido. Non vedendone il corpo avviene, talora di credere che siano tratte per praterie, e camminano tirate dalle funi quelle che son solite starsi ferme alle gomene; cosicch?, mutata condizione, gli uomini a piedi ajutano le barche. Queste gi? portatrici, sono invece tratte senza fatica, e in luogo delle vele si servono del passo pi? sicuro dei nocchieri. Ci piace riferire come abbiam vedute situate le vostre abitazioni. Le famose Venezie gi? piene di nobili, toccano verso mezzod? a Ravenna ed al Po; verso oriente godono della giocondit? del lido jonio, dove l'alternante marea ora chiude, ora apre la faccia dei campi. Col? sono le case vostre quasi come di acquatici uccelli, ora terrestri, ora insulari: e quando vedi mutato l'aspetto dei luoghi, subitamente somigliano alle Cicladi quelle abitazioni ampiamente sparse e non prodotte dalla natura, ma fondate dall'industria degli uomini. Perciocch? la solidit? della terra col? viene aggregata con vimini flessibili legati insieme, e voi non dubitate opporre si fragile riparo alle onde del mare, quando il basso lido non basta a respingere la massa delle acque, non essendo riparato abbastanza dalla propria altezza. Gli abitatori poi hanno abbondanza soltanto di pesci; poveri e ricchi convivono col? eguaglianza in eguaglianza. Un solo cibo li nutre tutti; simile abitazione tutti raccoglie; non sanno invidiare gli altrui penati e, cos? dimorando, sfuggono il vizio cui va soggetto il mondo. Ogni emulazione sta nel lavorare le saline; voi usate i cilindri in luogo degli aratri e delle falci. Con ci? ottenete ogni prodotto, perch? di l? avete anche quel che non fate, e in certo modo battete una specie di moneta per il vitto. Dall'arte vostra ogni produzione deriva. Taluno pu? chiedere l'oro, ma non ? chi non desideri di trovare il sale, e giustamente, perch? a questo si deve che possa esser grato ogni cibo. Ancora una volta io vi raccomando, approntate al pi? presto possibile i navigli che stanno ne' vostri cantieri, come altrove la domestica armenta nella stalla del contadino".

Cassiodoro si rivolge ai tribuni marittimi delle isole venete e chiede un servizio, che essi certo non potevano rifiutare e che probabilmente avevano obbligo di prestare, ma lo chiede con tanta cortesia e con frasi cos? lusinghiere che non si possono attribuire soltanto allo stile enfatico e declamatorio dell'illustre retore. Il ministro di Teodorico non avrebbe adoperata una forma cos? umile e complimentosa con dei sudditi o vassalli, e siccome i veneti, anche se godevano di una certa autonomia o individualit?, come appare dal senso di questa lettera, erano sempre troppo piccoli e troppo deboli per meritare tanti riguardi, dobbiamo concluderne che essi avevano la protezione dell'impero, col quale i Goti in quel momento desideravano conservare i buoni rapporti.

Questa lettera risolve anche la questione della zecca, perch? Cassiodoro dice ai Veneziani:

"Pro aratris, pro falcibus cilindros volvitis inde vobis fructus omnis enascitur, quando in ipsis et quae non facitis possidetis. Moneta illic quodammodo percutitur victualis. Arti vestrae omnis fructus addictus est. Potest aurum aliquis quaerere, nemo est qui salem non desideret invenire...".

Intanto per? l'Imperatore Giustiniano cominciava a porre ad effetto i suoi progetti; nel 539 Belisario sconfigge gli Ostrogoti e conquista Ravenna, Treviso ed altri siti importanti nel Veneto; nel 550 Narsete prende il posto di Belisario, e, seguendo le coste del mare, riprende Ravenna e d? il tracollo alla potenza dei Goti. Tutta l'Italia ritorna in potere dell'imperatore romano d'oriente, ma per breve tempo, perch? nel 568 i Longobardi, condotti da Alboino, conquistano quasi senza colpo ferire, la Venezia, e poco dopo presso che tutta l'Italia sino a Spoleto e Benevento.

Le possessioni dei Greci si restringono sino a poche coste che dipendono da' due centri di Ravenna e di Napoli; da questo momento tutti gli sforzi, prima dei Longobardi, poscia dei Franchi, sono rivolti a conquistare l'Esarcato, ci? che riusc? loro assai tardi, e ad impadronirsi delle Lagune e dello Stato veneto, il che non venne fatto n? ai Longobardi n? ai Franchi loro successori. ? naturale per? che i Veneti non potessero resistere soli e senza amici a potenti e ripetuti colpi; essi trovarono il naturale appoggio nei Bizantini, che avevano gli stessi avversari, e coi quali i Veneziani erano legati per tradizione, per interesse e per la comunanza del pericolo.

Esisteva, ? vero, a Venezia un partito insofferente dell'ingerenza dei Greci, che teneva per coloro che erano padroni della terraferma ; ma la maggioranza dei cittadini preferiva un imperatore lontano e debole ad un vicino potente ed inquieto. Venezia intestava i suoi atti coi nomi e cogli anni degl'imperatori , pregava nelle chiese per la salute dell'imperatore : l'imperatore negoziava e stipulava i trattati per conto di Venezia . In fatti la posizione di Venezia non differiva da quella di molti altri piccoli stati, che nei loro primord? riconobbero la protezione di un qualche potente monarca, conservando intera l'autonomia della amministrazione interna e giovandosi delle circostanze per arrivare ad una completa indipendenza, meta e desiderio generale e costante. Insomma i legami con Costantinopoli non furono mai troppo stretti n? troppo duri, e non incepparono i progressi civili e commerciali di Venezia, anzi bene spesso la dipendenza fu pi? di nome che di fatto, a seconda degli eventi e della vacillante potenza dei Bizantini.

Il cumulo di tutte queste circostanze non pu? a meno di colpire chiunque non abbia il deliberato proposito di chiudere gli occhi; lo stesso Romanin, cos? tenero nel seguire la tradizione degli storici veneziani, conviene che Venezia era sotto la protezione dell'impero d'oriente con proprie leggi e propr? magistrati, ed Agostino Sagredo con nobili parole proclama che si pu? ben confessare una mediata dipendenza antica, se l'indipendenza assoluta si acquista col sangue e colla vittoria.

Non ? quindi strano che per tutta l'epoca in cui regnarono i Longobardi in Italia, e durante il regno di Carlo Magno, non si trovi moneta veneziana, e che, mentre abbiamo denari delle principali citt? italiane col monogramma o col nome di Carlo, manchino quelle di Venezia. Finch? Venezia si consider? parte dell'impero romano d'oriente essa non pot? battere moneta, perch? tale diritto a nessuno fu mai concesso dall'imperatore, e non si trovano monete autonome delle citt? sottoposte ai Greci: se mai si potesse citare qualche eccezione, essa sarebbe evidentemente una usurpazione, dovuta ai tempi in cui l'imperatore non aveva la forza di far rispettare le sue prerogative.

Sino a quest'epoca nessuna prova diretta ci pu? venire dalle monete, ma la loro assenza conferma l'opinione esposta poc'anzi, e, bench? debole, reca un raggio di luce. Ora invece entrano in lizza anche le monete, e al raccoglitore non ? difficile di trovare i denari di Lodovico e di Lotario del peso e della bont? ordinati da Carlo Magno, perfettamente uguali a quelli di Pavia, di Milano, di Treviso e di Lucca, nei quali il nome di queste citt? ? sostituto da quello di "V E N E C I A S".

Ho gi? riportato pi? sopra il parere del Conte di San Quintino, che cio? le monete tutte di Lodovico e di Lotario sieno uscite dalla zecca Palatina, e che quindi il nome di Venezia impresso su talune di esse non sia la prova di reale sovranit?, ma solo della pretesa degli imperatori che questa citt? fosse ad essi legata da vincoli di sudditanza e di vassallaggio. Due quindi sono le questioni di cui dobbiamo occuparci, entrambe assai importanti e meritevoli di studio speciale. La prima ? di sapere se effettivamente i denari di questa epoca sieno coniati tutti in una officina imperiale ovvero in varie zecche poste nelle citt? di cui portano i nomi: la seconda se il nome di una citt? come Venezia, che sino a Carlo Magno era stata considerata non appartenente all'impero d'occidente, sia stato segnato sulle monete solo per pretensione ossia per far mostra di un diritto contestato, ovvero, secondo le giuste regole internazionali, perch? Venezia avesse riconosciuto l'alto dominio imperiale e sovra di essa gli imperatori d'occidente avessero un diritto accettato da tutti, e dagli stessi Veneziani non impugnato.

Quanto alla prima di queste ricerche, l'opinione sostenuta con tanta acutezza di critica storica, con tanta delicata circospezione dal San Quintino, fu oggetto di discussioni fra i numismatici italiani e forestieri, ebbe difensori valenti, ma fu combattuta da quelli che desideravano assicurare una origine cos? illustre alle zecche dei loro prediletti, e di cui distruggeva i sistemi architettati con tanta cura. Ora questi naturali avversar? hanno trovato un ajuto tanto poderoso quanto insperato nel dotto illustratore della zecca di Pavia, il quale ritiene che i denari di Lodovico e di Lotario sieno battuti nelle citt? di cui portano i nomi . Sono perfettamente d'accordo col Cavalier Camillo Brambilla, che il rinvenimento in Francia di monete carolingie null'altro prova se non che ivi avevano corso e forse pi? tardi che in Italia, come oggi si troverebbero pi? facilmente in Austria che fra noi quelle monete che furono coniate nelle zecche di Milano e di Venezia secondo la monetazione austriaca. Convengo con lui nel ritenere opera di officine italiane, piuttosto che francesi, i nummi di cui parliamo; ma credo in pari tempo che non si possano trascurare gli altri argomenti di somma importanza addotti dal San Quintino.

Altra conferma di questa opinione si trova nel fatto che Lodovico II, abolito il nome delle varie citt? sulle monete, vi sostitu? il tempio tetrastilo coll'iscrizione "X P I S T I A N A spazio R E L I G I O". In ci? si riconosce l'evoluzione storica e naturale: dapprima gli inconvenienti e gli abusi fecero restringere a poche e sorvegliate officine il lavoro di tante zecche, conservando il nome delle pi? illustri citt? che vantavano questo diritto per antica consuetudine, poi si soppresse anche il nome in epoca in cui l'autorit? regia non era maggiore che nei tempi di Carlomagno, e ci? perch? l'onore aveva perduta ogni importanza non corrispondendo pi? alla realt? delle cose. Finalmente, quando cominci? la decadenza e diminu? la potest? degli imperatori, le citt? chiesero ed ottennero gli antichi privilegi e misero nuovamente i nomi sulle monete, che da quel giorno non ebbero pi? uniformit? di tipo, e pi? tardi nemmeno uguaglianza di intrinseco.

Sono quindi fermo nel ritenere che i denari di Lodovico e di Lotario, i quali portano il nome di Venezia sieno coniati a Pavia od in altra zecca imperiale: n? la osservazione del cavalier Brambilla sulla croce patente, che precede il nome di Venezia nelle monete di Lodovico e non si trova nelle altre di questo principe, basta a farmi credere che esse sieno lavorate in una zecca particolare differente dalla palatina. In tali denari troviamo due rovesci affatto diversi: gli uni rarissimi hanno scritto "V E N E C I A S spazio M O N E T A", gli altri, pi? facili a ritrovarsi, hanno semplicemente "V E N E C I A S", e tutte e due le iscrizioni sono precedute da una croce patente. Io ritengo le prime pi? antiche fatte ad imitazione di quelle che portano l'iscrizione "P A L A T I N A spazio M O N E T A", e la croce mi fa credere, pi? che a una differenza di zecca, a una differenza di epoca fra i denari coi nomi di "P A P I A", "M E D I O L A N V M", "L V C A", "T A R V I S I V M" e quelli portanti per la prima volta il nome di una citt?, che si voleva far sapere a tutti aver dovuto riconoscere l'alta sovranit? imperiale.

Resta ora da vedere se il diritto vantato dagli imperatori era incontestabile e riconosciuto dagli stessi Veneziani, o se era soltanto una pretesa, come suppone il Conte di San Quintino. Gli storici che discussero nei tempi passati tale questione erano troppo occupati della politica del momento per essere imparziali, ed anche i moderni scrittori veneziani vi dedicano poche parole, accettando con qualche restrizione la supremazia dell'impero greco, e respingendo o sottacendo affatto l'alta sovranit? degli imperatori d'occidente, che a me sembra quasi pi? evidente.

Dal trattato di Aquisgrana in poi la situazione politica dei Veneziani cambia sensibilmente: mediante gli estesi traffici essi crescono in ricchezza ed in prosperit?, e con una prudente politica guadagnano di autorit? e di forza. Il governo da Malamocco si trasporta a Rialto, sede pi? quieta e pi? sicura, come lo aveva dimostrato la resistenza ai Franchi condotti da Pipino, per la quale si erano sviluppati nei Veneziani la confidenza nelle proprie forze ed il sentimento della dignit? nazionale.

Per le affermazioni concordi dei cronisti pi? autorevoli , sembra che Venezia rimanesse sotto la protezione dell'impero d'Oriente, sebbene non manchino quelli che raccontano Venezia esser stata ceduta all'imperatore carolingio . Taluno, per conciliare le opposte opinioni, credette che Venezia, restando sotto la protezione dell'impero d'Oriente, riconoscesse l'alto dominio dell'impero latino per quelle possessioni in terraferma, sul lembo della laguna, ch'erano di ragione del regno d'Italia. Qualunque per? fosse la loro posizione legale, ? chiaro che da quel giorno in poi i Veneziani non ebbero che una sola idea, un solo scopo, tanto nella loro interna sistemazione, quanto nella loro politica coi potenti vicini, quello di scuotere ogni legame di soggezione e diventare indipendenti non solo di fatto, ma anche di diritto.

Talvolta i dogi per ambizione cercarono l'appoggio dell'uno o dell'altro impero, ed allo scopo di rendere ereditario il potere nella loro famiglia fecero dei tentativi di infeudare Venezia; ma i cittadini e l'aristocrazia dominante opposero ogni sforzo a questi progetti, limitando l'autorit? personale del principe coi consigli. Come avviene negli stati giovani, i Veneziani sentirono la loro forza, indovinarono l'avvenire ed approfittarono di tutte le circostanze per ottenere la completa indipendenza, sapendo talvolta cedere nelle apparenze, senza abbandonare mai la meta delle loro aspirazioni. La politica loro in questo periodo fu di appoggiarsi ora all'uno ora all'altro dei due imperi, traendo profitto dalle difficolt? e dalla debolezza di entrambi per migliorare la propria posizione; dando appoggio a chi ne aveva pi? bisogno per guadagnare terreno, consolidando i vantaggi ottenuti, senza perdere di vista lo scopo principale; insomma tenendo quella politica che seguirono sempre tutti gli Stati, che da piccoli iniz? giunsero a grande altezza.

Ci? dimostra che l'illustre storico tedesco ed il dotto critico italiano non tennero il dovuto conto delle monete, e che nel discutere e cribrare con sottile analisi le pi? recondite ragioni di un passo dubbio o scorretto, non credettero far tesoro delle indicazioni sicure e contemporanee conservate all'argento monetato, dove non v'? pericolo di essere ingannati dalla incapacit? o dalla negligenza di un amanuense che in epoche di ignoranza riporta un documento oggi scomparso.

Gfr?rer crede che Giovanni Partecipazio II, mettendo sotto la protezione dell'imperatore anche i suoi possessi in Venezia nel trattato con Carlo il Grosso , abbia riconosciuto Venezia quale vassalla dell'impero . Lo storico ne trae la conseguenza che il doge abbia giurato fedelt? all'imperatore , notizia che avrebbe bisogno di essere confermata e che non si pu? dedurre dalle sole parole del trattato. Io penso che la protezione dell'imperatore fu accordata alla propriet? ed alla persona di Giovanni Partecipazio II, dietro domanda dello stesso doge, che non aveva molta fiducia nei suoi sudditi; ma del resto il trattato ? la solita conferma usata dai suoi predecessori, e non credo che sieno stati alterati i rapporti che esistevano fra i due Stati. Si dovrebbe quindi anticipare di alcuni lustri l'epoca, in cui Venezia fu costretta a cercare il suo appoggio nell'Occidente, ed esaminando con attenzione la storia di quest'epoca, e cercando d'indovinare ci? che i cronisti non conoscono interamente, o non vogliono dire, crederei conforme al vero, l'attribuire i primi passi di questo nuovo indirizzo della politica veneziana a quel figlio di Agnello Partecipazio, Giovanni I, innalzato alla ducale dignit? nei primi anni del regno del padre, e poscia deposto per l'influenza dei Bizantini . Da Costantinopoli, ove si trovava quasi in ostaggio, fu richiamato dal fratello, che, prima di morire, lo associ? al ducato. Tutto l'insieme della sua storia lo dimostra avversario della politica greca. Rimasto solo principe dopo la morte del fratello e scacciato per una congiura, cerca rifugio presso l'imperatore franco; tornato poscia a Venezia, viene nuovamente deposto dal partito avverso e chiuso in un convento, tagliandoglisi la barba ed i capelli, come usavano i Franchi, mentre invece a Caruso, che nel frattempo usurpa il potere e probabilmente rappresenta gli amici dei Greci, vengono tolti gli occhi, secondo il barbaro costume bizantino.

Oltre a questo abbiamo altri dati che ci confermano nelle nostre idee, e prima di tutto le monete coi nomi di Lodovico e Lotario, che, sino a prova contraria, dobbiamo ritenere testimonianze di sovranit? legittima. Abbiamo il tentativo fatto dal concilio di Mantova di sopprimere il patriarcato di Grado , e di far diventare questa sede suffraganea di quella di Aquileja; ma l'argomento pi? importante ? quello del concilio di Roma, che diede origine allo scisma d'Oriente, in cui si scomunic? il patriarca Fozio; concilio al quale fu invitato ed intervenne il patriarca di Grado . Ora ? certo che gl'imperatori d'Oriente, che prendevano tanta parte alle questioni religiose, non avrebbero mai permesso ai loro sudditi d'intervenire ad un concilio fatto contro di loro, ed i Veneziani, se fossero stati in quell'epoca sotto la protezione di Costantinopoli, avrebbero preso partito coi Greci, come avvenne all'epoca dello scisma dei tre capitoli. D'altra parte invece non trovasi nei rapporti coll'Oriente nessun fatto, dall'830 in poi, che dimostri un riconoscimento formale, e che non possa interpretarsi come inspirato dai rapporti di amicizia e di relazioni commerciali. Pi? tardi forse, e precisamente nell'epoca che segue la caduta di Carlo il Grosso, i Veneziani sembrano avere rapporti pi? stretti coll'Oriente, ma questo corrisponde a ci? che pi? sopra abbiamo detto sulle alternative della politica veneziana, e non contraddice punto all'idea che ci siamo fatta di questo periodo.

Lasciando da parte le altre fonti e restringendoci alle sole monete, abbiamo un documento assai valido, che d? un concetto abbastanza chiaro della posizione dei Veneziani verso l'impero. La migliore conferma del nostro assunto sta nel denaro coll'iscrizione "X P E spazio S A L V A spazio V E N E C I A S", che nessuno ha mai dubitato sia stato coniato a Venezia , e che nella sua piccola mole ? assai eloquente.

Esaminiamolo con un po' di attenzione. Il suo aspetto afferma apertamente la nazionalit? franca, perch? ha il titolo, il peso e l'aspetto dei denari coniati secondo il sistema carolingio da Lodovico II, ed ? talmente simile nella forma ed apparenza alle monete di questo imperatore, che chi non legge la iscrizione pu? facilmente esser tratto in errore come dimostra il disegno delle due monete.

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