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Read Ebook: Annali d'Italia vol. 7 dal principio dell'era volgare sino all'anno 1750 by Muratori Lodovico Antonio

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Ebook has 3120 lines and 382131 words, and 63 pages

Commentator: Gian Francesco Galeani Napione

ANNALI D'ITALIA

DAL PRINCIPIO DELL'ERA VOLGARE SINO ALL'ANNO 1750

DA L. ANTONIO MURATORI

E CONTINUATI SINO A' GIORNI NOSTRI

VOLUME SETTIMO

ANNALI D'ITALIA

DALL'ANNO 1501 FINO AL 1750

CLEMENTE X papa 6. LEOPOLDO imperadore 18.

Per questi flagelli funestissimo fu l'anno presente, ed anche per un altro sommamente lagrimevole spettacolo, cio? per un tremuoto nella Sicilia, le cui scosse non son gi? forestiere in quella per altro fortunata isola, ma senza che vi fosse memoria fra la gente d'allora di averne mai provato un s? terribile e micidiale. Cominci? nel d? 9 di gennaio a traballar la terra in Messina, e ne' susseguenti giorni and? crescendo la violenza delle scosse, talmente che atterr? in quella citt? gran copia delle pi? cospicue fabbriche, e parte ancora delle mura d'essa citt?, ma con poca mortalit?, perch? il popolo, avvertito dal primo scotimento, si ritir? alla campagna e a dormir nelle piazze. Le relazioni che corsero allora, alterate probabilmente dallo spavento e dalla fama, portano che in altre parti della Sicilia incredibile fu il danno. Che la citt? di Catania, abitata da diciotto mila persone, and? tutta per terra, colla morte di sedici mila abitanti seppelliti sotto le rovine delle case. Che Siracusa ed Augusta, citt? riguardevoli, restarono diroccate, colla morte nella prima di quindici mila persone, e di otto mila nell'altra, in cui anche la fortezza, per un fulmine caduto nel magazzino della polve, salt? in aria. Che le citt? di Noto, Modica, Taormina, e molte terre e castella al numero di settantadue furono desolate, ed alcuna abissata in maniera che non ne rimane vestigio alcuno. Che pi? di cento mila persone vi perirono, oltre a ventimila ferite e storpie. Che in Palermo fu rovesciato il palazzo del vicer?. Che la Calabria e Malta risentirono anch'esse non lieve danno. Che il monte Etna, o sia Mongibello, slarg? la sua apertura sino a tre miglia di giro. Io non mi fo mallevadore di tutte queste particolarit?. Certo ? solamente che miserie e rovine immense toccarono alla Sicilia per s? straordinario tremuoto, e che non si possono invidiare ai Siciliani le ricche lor campagne e delizie, sottoposte di tanto in tanto al pericolo di una s? dura pensione.

Ma eccoti giungere lo sterminato esercito de' Musulmani, creduto ascendere a ducento mila combattenti, sul principio di agosto, e piantare il suo campo per gran tratto di paese, arrivando dal Danubio quasi fino al Savo, con occupare, in faccia dell'armata cristiana, tutto il piano e le colline. Era un bel vedere in lontananza disposte le innumerabili loro tende rosse e verdi con quantit? immensa di gente, cavalli e carriaggi. In vece che di recar terrore ai cristiani, quello spettacolo accresceva loro la gioia per la speranza di divenir padroni di tutto. S'era ben trincierato l'esercito cesareo, e, a riserva delle scaramuccie giornaliere, niun movimento faceva quello de' Turchi. Indarno si sper? che per mancanza di foraggi si ritirasse quella gran moltitudine di cavalli; e intanto le dissenterie cominciarono a far guerra alle milizie cristiane, talmente che ogni d? le centinaia si portavano al sepolcro. Di ottanta mila guerrieri alemanni, che dianzi era l'armata, si vide essa ridotta a sessanta. Fu in questo tempo che non solo i saccenti in lontananza, ma non poca parte degli uffiziali dell'oste cesarea, non sapendo intendere i segreti pensieri del principe Eugenio, o ne condannarono in lor cuore la condotta, o ne predissero sinistre conseguenze. Miravano essi l'imperiale esercito in quella inazione, posto fra due fuochi, cio? fra un'armata nemica in campagna tanto superiore di forze dall'un lato, e dall'altro una piazza che teneva impegnato un gran corpo di truppe cristiane nell'assedio. Maniera di vincere Belgrado non appariva; intanto ogni di pi? veniva scemando l'esercito cesareo; grande il numero de' malati; troppo pericoloso il tentare una battaglia contro di oste s? poderosa e ben trincierata, e con avere alle spalle l'esorbitante guernigion di Belgrado, che potea mettere in forse ogni tentativo dall'altra parte. Non erano occulti al generoso principe questi divisamenti, e le doglianze sotto voce di chi invidiava la sua gloria, o odiava la sua autorit?. Lasciava egli dire, e come gran capitano sapeva le ragioni di cos? operare. Spacciavano i Turchi per debolezza il s? lungo ozio dell'armata cesarea, e si seppe che gi? meditavano essi di venirla ad assalire nel suo accampamento, quando all'improvviso si trov? ella assalita e sorpresa fra i suoi forti trincieramenti.

Adunque nel d? 5 di dicembre di questo anno dal segretario di Stato don Michele Duran fu presentato all'Alberoni un ordine scritto di pugno dello stesso re, con cui gli proibiva d'ingerirsi pi? negli affari del governo; e gli veniva ordinato di non presentarsi al palazzo, o in alcun altro luogo dinanzi alle loro maest?, o ad alcun principe della casa reale; e di uscire di Madrid fra otto giorni, e dagli Stati del dominio di sua maest? nel termine di tre settimane. Si espresse anche il re di essere venuto a tal determinazione spezialmente per levare un ostacolo ai trattati della pace da cui dipendeva il pubblico bene. Pertanto nel d? 11 del mese suddetto, ottenuti prima i passaporti dal re e dagli ambasciadori di Francia e d'Inghilterra, si part? l'Alberoni da Madrid alla volta dell'Italia, con disegno di passare a Genova. Di rilevanti scritture e memorie portava egli seco; vi fece riflessione alquanto tardi il gabinetto di Madrid; fu nondimeno a tempo per ispedir gente, che della maggior parte il priv?. Fu anche occupato in Madrid molto oro, da lui lasciato a un suo confidente; ma non caddero gi? in loro mano quelle grosse somme di danaro, ch'egli da uomo prudente avea tanto prima inviate ne' banchi d'Italia, per valersene contro le vicende e i balzi preveduti della fortuna in caso di disgrazia: somme tali che servirono poscia a lui per vivere con tutto decoro il resto di sua vita in queste contrade. Salv? ancora qualche carta che serv? alla sua giustificazione. Quanto si rallegrassero per la caduta di s? abborrito ministro le potenze componenti la quadruplice alleanza, ed anche molti grandi di Spagna, che prima relegati, furono tosto rimessi in libert?, non si pu? abbastanza esprimere. Furono anche fatti per questo fuochi di gioia in alcuni luoghi di Spagna. Ed allora fu che i ministri di esse potenze e gli Olandesi mediatori rinforzarono le lor batterie per indurre il re Cattolico alla pace. Di questa appunto si tratt? per tutto il seguente inverno.

A questa scena dell'Italia un'altra ancora se ne aggiunse che grande strepito fece sui principii, e maggiore andando innanzi. Pi? secoli erano che la repubblica di Genova signoreggiava la riguardevol isola e regno della Corsica. Si contavano varie sollevazioni o ribellioni di quei feroci e vendicativi popoli nei tempi addietro, quetate nondimeno o dalla prudenza o dalla forza de' medesimi Genovesi. Ma nella primavera dell'anno presente da piccoli principii nacque una sedizione in quelle contrade, pretendendo essi popoli d'essere maltrattati dai governatori della repubblica. Uniti i malcontenti coi capi dei banditi, andarono ad assediar la Bastia; ma s? buone parole o promesse furono adoperate, che si ritirarono, con restar nondimeno in armi circa venti mila persone, le quali maggiormente si accesero alla ribellione, perch? si avvidero di non corrispondere i fatti alle promesse. Non mancavano a quegli ammutinati motivi di giuste doglianze, che cadevano nondimeno la maggior parte contra de' governatori, intenti a far fruttare il loro ministero alle spese della giustizia e dei sudditi. Pretendevano lesi i lor privilegii, divenuto tirannico il governo genovese, e sfoderavano una lista di tanti aggravii finora sofferti, che intendevano di non pi? sofferire da indi avanti. Nel consiglio di Genova fu udito il parere di Girolamo Veneroso, il quale sostenne che a guarir quella piaga si avessero da adoperar lenitivi, e non ferro e fuoco; e per? i saggi, sapendo quanto quel gentiluomo nel suo savio governo si fosse cattivato gli animi dei Corsi, giudicarono bene di appoggiare a lui questa cura. Ma frutto non se ne ricav?, perch? senza saputa sua attrappolato un capo dei sediziosi, fu privato di vita: il che maggiormente incit? in quei popoli le fiamme dell'ira. E tanto pi? perch? prevalse poi in Genova il partito de' giovani, ai quali parve che l'uso delle armi e del gastigo con pi? sicurezza ridurrebbe al dovere i sediziosi. Se n'ebbero ben a pentire. Circa cinque mila soldati furono dipoi spediti dai Genovesi in Corsica, creduti bastante rinforzo agli altri presidii per ismorzare quell'incendio. Nella primavera di quest'anno la piccola citt? di Norcia, patria di san Benedetto, situata nell'Umbria, per un terribil tremuoto rest? quasi interamente smantellata e distrutta. A riserva di due conventi e del palazzo della citt?, le altre fabbriche andarono per terra, con restar seppellite sotto le rovine pi? centinaia di que' miseri abitanti. Si ridussero i rimasti in vita a vivere nella campagna, e gravissimo danno ne risentirono anche le terre e i villaggi circonvicini.

Gi? s'incamminava l'oste cesarea al soccorso d'Orsova assediata dai nemici, quando giunse la lieta nuova ch'essi a precipizio s'erano dati alla fuga, lasciando nel campo tende, bagagli, munizioni ed artiglierie. Tanto pi? allora inanimati i cristiani pensavano gi? di continuare il viaggio a quella volta; ma eccoti avviso che il visire avea trasmesso un rinforzo di venti mila uomini ai ritiratisi da Orsova. Non si osserv? allora la consueta intrepidezza de' coraggiosi Alemanni; n? pi? si pens? ad Orsova. Accortisi gl'infedeli delle lor disposizioni, s'inoltrarono sino a Meadia, dove segu? un sanguinoso conflitto. I due reggimenti Vasquez e Marulli, composti d'Italiani, fecero delle maraviglie di coraggio con vergogna de' Tedeschi, i quali pure sono in credito di tanta fortezza. Ritiraronsi i cristiani con permettere a' Turchi di ricuperare i forti d'essa Meadia. Posto di nuovo l'assedio da essi infedeli ad Orsova, fu quella piazza costretta alla resa con grave pregiudizio della vicina citt? di Belgrado, sotto alla quale and? ad accamparsi il maresciallo di Koningsegg. Si cont? per regalo della fortuna che i Turchi non facessero maggiori progressi; e sebben anche Semendria e Vilapanca furono sottomesse, pure poco appresso si videro abbandonate da essi. Non avea il Koningsegg pi? di quaranta mila guerrieri, laddove il gran visire ne conduceva cento venti mila. Ma in altri tempi trenta a quaranta mila Alemanni bastavano a far delle grandi prodezze contro le grosse armate degli Ottomani. O fosse dunque che l'iniquo bass? Bonneval avesse ben addottrinate le milizie turchesche, o altra cagione: certo ? che questa campagna riusc? non men deplorabile della precedente per li cristiani, e convenne alzare il guardo al trono del Dio degli eserciti, i cui giusti giudizii son coperti di troppe tenebre. N? i Russi ebbero miglior mercato. Furono costretti di far saltare tutte le fortificazioni di Oczokow, e a ritirarsene. Presero bens? nella Crimea la fortezza di Precope, ma poi, dopo averne demolite le fortificazioni e spianate le linee, e recati gravissimi danni a quelle contrade, se ne tornarono indietro. Fu da essi tentato il passaggio del Niester, ma senza poter ottener l'intento. Comparve in questi tempi alla corte di Costantinopoli, e vi fu ricevuto con distinto onore, Giuseppe figlio del fu principe di Ragotzki, il quale, dimentico delle grazie a lui compartite in addietro dal clementissimo Augusto, se ne fugg? alla Porta, per ravvivar le sue pretensioni sopra la Transilvania; e fece credere al gran signore di avere in quella provincia e in Ungheria un'infinit? di seguaci.

N? pure in quest'anno si seppe cosa credere degli affari della Corsica, perch? tuttod? a buon mercato si spacciavano bugie. Esaltavano alcuni la gran copia di soccorsi dati ai Corsi non meno di gente, che di munizioni, artiglierie ed armi: soccorsi, dico, i quali si diceano inviati col? dal baron Teodoro, e che altri attribuiva ad una potenza, la quale segretamente tenesse mano a quella ribellione, additando con ci? la corte di Spagna o pure di Napoli. Negavano altri queste nuove, e sosteneano ecclissata affatto la fortuna dell'efimero re Teodoro. Sul principio dell'anno fu sparsa voce che questo venturiere da Orano fosse di nuovo sbarcato in Corsica; e si vedevano progetti lodevolissimi pubblicati sotto suo nome, per far fiorire il commercio di quell'isola coll'erezion di varie saline, con attendere alle miniere, con fabbricar cannoni e mulini da polve da fuoco, e con incoraggiar l'agricoltura e la pesca. Ma non si verific? il di lui arrivo. Fu bens? vero che nel d? 5 di febbraio sbarcarono alla Bastia, capitale di quel regno, tre mila uomini di truppe franzesi, sotto il comando del conte di Boissieux. Aveano i Genovesi implorato il patrocinio della Francia in questo loro troppo lungo e dispendioso disastro; se pure non fu la corte di Francia, che attenta ad ogni foglia che si muova in Europa, per sospetto che gli Spagnuoli un d? non si prevalessero di quella sollevazione per impadronirsi della Corsica, esib? alla repubblica le sue forze per terminar quella pugna. Certo ?, che col? furono trasportate le suddette milizie, non gi? con animo d'infierire contro quella valorosa nazione, a cui non mancavano delle buone ragioni, ma per istudiar la via di pacificarla coll'esibizione di oneste condizioni. Infatti se ne tratt?; si rimisero i Corsi riverentemente alla giustizia e saviezza del re Cristianissimo; diedero anche degli ostaggi; e per questo si fece pausa alle ostilit?, ma senza che seguisse accordo alcuno.

Ora da che si trov? l'elettor di Baviera rinforzato da venti, altri dissero trenta mila Franzesi, pi? non indugi? ad entrare sul fine di settembre nell'Austria con impadronirsi di Lintz, Eens, Steir ed altri luoghi, dove si fece prestare omaggio da que' popoli. Avea proposto il duca di Bellisle nel consiglio di Versaglies che si mandasse in Baviera una potente armata, con cui s'andasse a dirittura a Vienna; ma il cardinale di Fleury non l'intese cos?, e mand? poco. Tale nondimeno per questo fu la costernazione nella citt? di Vienna, che ognuno a momenti s'aspettava d'essere ivi stretto da un assedio, e ne usc? gran copia di benestanti col meglio dei loro effetti. Da molto tempo si tratteneva la regina col gran duca consorte in Presburgo, dove avea ricevuta la corona del regno d'Ungheria. Cagion fu il movimento dei Gallo-Bavari ch'essa immantenente facesse portar col? da Vienna il tenero arciduchino, co' pi? preziosi mobili della corte, archivii e biblioteca imperiale. Con un s? patetico discorso rappresent? poscia ai magnati ungheri il bisogno de' loro soccorsi, e la fidanza sua nel lor appoggio e fedelt?, che trasse le lagrime dagli occhi di ognuno, e tutti giurarono la di lei difesa; e detto fatto, raunarono un esercito di trenta mila armati, con promessa di pi? rilevanti aiuti. Cost? nondimeno ben caro ad essa regnante l'acquisto della corona ungarica, e dell'affetto di que' popoli, perch? le convenne comperarlo coll'accordar loro varii privilegii e la libert? di coscienza, non senza grave discapito della religione cattolica in quelle parti. Mirabili fortificazioni intanto si fecero in Vienna; copiose provvisioni e munizioni vi s'introdussero; ed oltre ad un forte presidio di truppe regolate, prese l'armi tutta quella cittadinanza, risoluta di spendere le vite in difesa della patria e dell'amatissima loro regnante. Ma o sia che l'elettor bavaro riflettesse alle troppe difficolt? di superare una s? forte e ben guernita citt?, al che gran tempo e fatica si esigerebbe, o pi? tosto ch'egli pensasse non all'Austria, ma al regno della Boemia, dove spezialmente terminavano i desiderii e le speranze sue: certo ? ch'egli dopo la met? d'ottobre s'invi? a quella volta colla maggior parte delle sue truppe e delle franzesi, che andavano sempre pi? crescendo. Trovavasi allora la Boemia sprovveduta affatto di forze per resistere a questo torrente. Contuttoci? non manc? il principe di Lobkowitz di raccogliere quelle poche truppe che pot?, ed avendole unite con un distaccamento inviatogli dal conte di Neuperg, si applic? alla difesa della sola citt? di Praga, dove form? dei magazzini superiori anche al bisogno suo.

Per tutto il verno del presente anno andarono calando dalla Germania copiose reclute, ed anche alcuni reggimenti che passavano ad ingrossare l'armata del principe Lobcowitz, acquartierata a Cesena, Forl? e Rimino, conoscendosi abbastanza altro non meditarsi che di procedere innanzi per cacciar gli Spagnuoli da Pesaro e dagli altri luoghi da loro occupati. All'incontro, in tale stato era l'armata spagnuola, che quand'anche la forza non la facesse sloggiare, sarebbe essa obbligata a ritirarsi a cagion della mancanza dei foraggi per terra; e perch? giravano per que' lidi alcuni legni inglesi che ne impedivano il trasporto per mare. Inviarono gli Spagnuoli varii distaccamenti pel ducato d'Urbino, o per cautelarsi dall'essere assaliti da quella parte, o per far credere di voler eglino assalire. Ma finalmente il principe di Lobcowitz sul principio di marzo diede la marcia al poderoso suo esercito, risoluto di venire a battaglia, se gli Spagnuoli intendevano di aspettarlo di pi? fermo. Nol vollero gi? essi aspettare, per ordine, come diceano, venuto da Madrid; per? sul fare del giorno del d? 6 senza suono di trombe o tamburi, e con restar sempre chiuse le porte di Pesaro, si avviarono alla volta di Sinigaglia. Non mantenne il conte di Gages la promessa fatta al vescovo di Fano di non disfare il ponte sul Metauro. Alle pi? valorose truppe e alle guardie del duca di Modena fu lasciato l'onore della retroguardia. Nel d? 9 arriv? ad infestarli un grosso corpo d'Usseri e Croati, guidati dal conte Soro, co' quali convenne venire alle mani, e dur? questa persecuzione anche nei d? seguenti, con danno di amendue le parti. Mentre andava innanzi il nerbo dell'armata, la retroguardia, che avea preso riposo a Loreto, nel d? 15 d'esso marzo sotto le mura di quella citt? si vide assalita da cinque mila Austriaci, e il conflitto dur? per dieci ore, con ritirarsi in fine il distaccamento austriaco. Nel proseguire il viaggio a Recanati gli Spagnuoli furono salutati dal cannone di due navi inglesi, che uccisero il maresciallo di campo Brieschi, comandante delle guardie vallone, con due altri uffiziali. Nel d? 16 fu di nuovo assalita la retroguardia suddetta, e si combatt? sino alle vent'ore con vicendevole mortalit?. Finalmente nel d? 18 due ore avanti giorno l'esercito spagnuolo, lasciati molti fuochi nel campo, s'istrad? verso il fiume Tronto, confine del regno di Napoli, e nel mezzo giorno sopra un preparato ponte di barche cominci? a passarlo, e da quella riva non si mossero il duca di Modena e il conte di Gages, se non dopo averli veduti tutti in salvo. Andarono poi essi a prendere riposo per quattro giorni a Giulia Nuova, e poscia furono ripartite le truppe in varii quartieri, ma dopo aver patita una grave diserzione nel viaggio. Stavano esse in Pescara, Atri, Chieti, Citt? della Penna e Citt? di Sant'Angelo; nel qual tempo anche gli Austriaci si accantonarono fra Recanati, Macerata, Fermo, Ascoli e Tolentino. Se il principe di Lobcowitz avesse trovata ne' suoi subordinati generali maggiore ubbidienza ed amore, di peggio sarebbe avvenuto alla precipitosa ritirata del campo nemico.

Confess? dipoi in una delle sue dotte pastorali il buon pontefice, che fra le altre cose il re gli fece istanza di minorare il soverchio numero delle feste di precetto , atteso il detrimento che ne veniva ai poveri e agli artisti, e ai lavoratori della campagna. Congedatosi il re da sua Santit?, pass? dipoi a venerar nella Vaticana basilica il sepolcro dei santi Apostoli, e a visitar le pi? rare cose del vastissimo palazzo pontifizio, dove trov? insigni regali preparatigli dal santo padre, siccome ancora un lautissimo pranzo per s? e per tutto il suo gran seguito. Nell'inviarsi fuori di Roma visit? anche la basilica Lateranense, lasciando da per tutto contrassegni della sua gran piet?, affabilit? e munificenza. Anche il duca di Modena ricevette dipoi una benignissima e lunga udienza dal pontefice; e laddove il re s'era incamminato per passare a Velletri e a Gaeta, egli se ne torn? la sera al campo. Pass? dipoi il vittorioso re a Napoli, accolto da quel gran popolo con incessanti acclamazioni, sigillo della fedelt? ed amore verso di lui mostrato in s? pericolosa congiuntura. Vedesi data alla luce la descrizione del rinomato assedio di Velletri, composta con elegante stile latino dal signor Castruccio Bonamici, uffiziale militare del suddetto re delle Due Sicilie.

Solamente nella notte precedente al d? 13 di settembre aprirono i Gallispani la trincea sotto di Cuneo, e cominciarono a far giocare le batterie, e a molestar gravemente la piazza colle bombe; ma se questa pativa, non patirono meno gli assedianti, perch? spesso assaliti con somma intrepidezza da que' cittadini e presidiarii. Continuarono poi gli approcci e le offese sino al d? 30 di settembre, in cui il re di Sardegna mosse l'esercito suo in ordinanza di battaglia verso le nemiche trincee. Ossia ch'egli solamente intendesse di avvicinarsi, e postarsi in maniera da poter incomodare il campo nemico, o pure che avesse veramente risoluto, siccome animoso signore, di tentare il soccorso della piazza: la verit? si ?, che si venne ad un generale combattimento. Fu detto che un uffiziale ubbriaco portasse l'ordine, ma ordine non dato dal re, all'ala sinistra di assalire i posti avanzati degli assedianti, e che, entrata essa in azione, s'impegn? nel fuoco il restante delle schiere. Dalle ore diecinove sino alla notte dur? l'ostinato conflitto con molto sangue dall'una e dall'altra parte, ma incomparabilmente pi? da quella degli assalitori, perch? esposti alle artiglierie caricate a mitraglia o a cartoccio. Tuttoch? per ordine del re si sonasse la ritirata, la sola notte fece fine all'ire, ed allora si ricondusse l'esercito sardo ad un sito distante un miglio e mezzo di l?. Fu detto che la cavalleria nemica uscita dai ripari l'inseguisse; ma lo scuro della notte, e l'aver trovato un bosco di cavalli di Frisia, imped? loro il progresso. A quanto ascendesse il danno dalla parte de' Piemontesi, non si pot? sapere; se non che conto fu fatto che circa trecento fossero tra morti e feriti i suoi uffiziali. Da l? a pochi giorni si scopr?, essere state le mire del re di Sardegna nel precedente sanguinoso conflitto quelle d'introdurre soccorso in Cuneo. Ma ci? che allora non gli venne fatto, accadde poi felicemente nella notte precedente al d? 8 di ottobre, in cui dalla parte del fiume Stura pass? senza ostacoli nella piazza un migliaio de' suoi soldati, con molti buoi ed altre provvisioni e danaro. Era intanto sminuita non poco l'armata gallispana per la mortalit? e diserzion delle truppe; di gravi patimenti avea sofferto s? per le dirotte pioggie e per li torrenti che aveano impedito il trasporto de' viveri e foraggi per la valle di Demont, come ancora per l'incessante infestazione de' paesani che faceano continuamente prigioni e prede. Si scorse in fine ch'essa non era in forze, come si decantava, perch? non pot? mai tenere corpi valevoli ai fiumi, che formassero un'intera circonvallazione alla piazza. Per? dopo circa quaranta giorni di trincea aperta, e dopo cagionata gran rovina di case in Cuneo, ma senza aver mai fatto acquisto di alcuna n? pur delle fortificazioni esteriori, nella notte precedente al d? 22 di ottobre, abbruciato il loro campo, i Gallispani colla testa bassa e con gran fretta si levarono di sotto a quella fortezza, incamminandosi alla volta di Demont. Uno sprone ancora ai lor passi era il timore delle nevi che li cogliessero di qua dall'Alpi con pericolo di perire uomini e giumenti per mancanza del bisognevole. Lasciarono indietro pi? di mille e cinquecento malati; ed inseguiti da varii distaccamenti di fanti e cavalli, e travagliati dai montanari, sofferirono altre non lievi perdite e danni. Fermaronsi in Demont cinque o sei mila Spagnuoli non tanto per coprire la ritirata del resto dell'esercito e delle artiglierie, quanto ancora per minar le fortificazioni della fortezza, ben prevedendo di non potersi quivi mantenere nel verno. Essendosi poi avanzato il general piemontese Sinsan verso quelle parti con un maggior nerbo di milizie verso la met? di novembre, gli Spagnuoli se ne andarono, dopo aver fatto saltare alcune parti di quel forte e la casa del governatore. Arrivarono a tempo alcuni Savoiardi per salvare ci? che non era peranche saltato in aria, e s'impadronirono di alquanti pezzi di cannone rimasti indietro: nel qual mentre gli Spagnuoli come fuggitivi provarono immensi disagi e perdita di persone a cagion delle nevi, del rigoroso freddo e della mancanza di vettovaglia. Cos? rest? libera tutta la valle; e il re di Sardegna, avendo compensata l'infelice perdita delle piazze marittime colla felicit? di quest'altra impresa, pien d'onore si restitu? a Torino.

Certo ? che non poco svantaggiosa oramai compariva la situazion degli Spagnuoli, perch? confinati nell'angustie dei loro trincieramenti intorno alla citt?, e colla comunicazione di Genova, divenuta pericolosa per le scorrerie degli Usseri. Peggiore senza paragone si scorgeva lo stato di quella cittadinanza, chiusa entro le mura, col suo territorio e poderi tutti in mano dei nemici, senza speranza di ricavarne alcun fruito, e colla sicurezza di ritrovar la desolazione dappertutto. Scarseggiavano essi in oltre di viveri, senza potersene provvedere, al contrario degli Spagnuoli, che pel ponte del Po scorrendo di tanto in tanto nel Lodigiano e Pavese, ne riscotevano contribuzioni, e ne asportavano bestiami ed altre vettovaglie per loro uso. Ma n? pure dal canto loro aveano di che ridere gli Austriaci, perch? imbrogliati dalla sagacit? del generale conte di Gages, che, coll'essersi posto a cavallo del Po, frastornava ogni loro progresso, e gli obbligava a tener divise le loro forze nel di qua e nel di l?. Se avessero voluto ingrossarsi molto sul Piacentino, avrebbero lasciati troppo esposti alle scorrerie e ai tentativi degli Spagnuoli i territorii di Lodi, Pavia e Milano. E se infievolivano l'oste di qua, per soccorrere il di l?, si poteano aspettare qualche brutto scherzo dai nemici, ai quali era facile l'unirsi tutti in Piacenza. Cagion fu questa divisione che sul principio di giugno liberamente scorse un grosso distaccamento di Spagnuoli sino a Lodi. Entrato nella citt?, ne fece chiudere tosto le porte; volle il pagamento della diaria per due mesi; occup? tutto il danaro dei dazii e della cassa regia, ed intim? una contribuzione al pubblico. Poscia preso quanto di sale, farina, legumi, formaggio e carne porcina si trov? in quelle botteghe e magazzini, dopo avere ordinato che coll'imposta contribuzione fossero soddisfatti i particolari, tutto portarono a salvamento in Piacenza.

Non s? tosto ebbe fine l'atroce combattimento, che sull'avviso della secreta partenza del marchese di Castellar da Piacenza un distaccamento austriaco si present? sotto quella citt?, e ne intim? immediatamente la resa; e perch? non furono pronti i cittadini a spalancar le porte, per aver dovuto passar di concerto coi Gallispani, ivi rimasti o malati o feriti, si venne alle minaccie d'ogni pi? aspro trattamento. Uscirono in fine i deputati della citt?, e dopo aver giustificati i motivi del loro ritardo, fu conchiuso il pacifico ingresso de' Tedeschi nella medesima sera, con rilasciare libero il bagaglio alla guernigione gallispana tanto della citt? che del castello, la quale rest? in numero di ottocento uomini prigioniera di guerra. Vi si trov? dentro pi? di cinque mila tra invalidi, feriti ed infermi, compresi fra essi quei della precedente battaglia; pi? di ottanta pezzi di grosso cannone, oltre ai minori; trenta mortari, e quantit? grande di palle, bombe, tende ed altri militari attrezzi, con varii magazzini di panni e tele, di grano, riso e fieno entro e fuori delle mura. Presero gli Austriaci il possesso di quella citt?; ed ancorch? nei d? seguenti vi entrassero i ministri, e un corpo di gente del re di Sardegna che ne ripigli? il civile e militare governo, pure anch'essi continuarono ivi il loro soggiorno per guardia delle artiglierie e de' magazzini, finch? si ultimasse la proposta divisione di tutto, cio? della met? d'essi per ciascuna delle corti. Allora fu che veramente sotto l'afflitta citt? di Piacenza ebbe fine il flagello della guerra militare; ma un'altra vi cominci? non men lagrimevole della prima. Gli stenti passati, il terrore, ma pi? di ogni altra cosa il puzzore e gli aliti malefici di tanti cadaveri di uomini e di bestie seppelliti tanto in quella citt? che nei contorni, cagionarono una grande epidemia negli uomini: dura pensione provata tante altre volte dopo i lunghi assedii delle citt?. Ne segu? pertanto la mortalit? di molta gente, talmente che in qualche villa non potendo i preti accorrere da per tutto; senza l'accompagnamento loro si portavano i cadaveri alle chiese.

Se battesse il cuore ai cittadini di Genova al trovarsi in cos? pericoloso emergente, ben facile e giusto ? l'immaginarlo. Fin quando si vide l'esercito gallispano muovere i passi dalla Lombardia verso la loro citt?, ben s'era avveduto quel senato della brutta piega che prendevano i proprii interessi; e per? furono i saggi d'avviso che si spedissero tosto quattro nobili alle corti di Vienna, Parigi Madrid e Londra, per quivi cercar le maniere di schivar qualche temuto anzi preveduto naufragio. Ma guai a quegl'infermi che, presi da micidial parosismo, aspettano la lor salute da' medici troppo lontani! Il perch?, peggiorando sempre pi? i loro affari, que' savii signori, gi? convinti d'essere abbandonati da ognuno, ed esposti ai pi? gravi pericoli, altra migliore risoluzione in cos? terribil improvvisata non seppero prendere, che di trattare d'accordo coi generali della regnante imperadrice. Non mancavano certamente, se alle apparenze si bada, forze a quel senato per difendere la citt? guernita di buone mura, anzi di doppie mura, di copiosa artiglieria e di grossi magazzini di grano, ed altri beni quivi lasciati dagli Spagnuoli, e con presidio di non poche migliaia di truppe regolate. N? gi? avea lasciato in quella strettezza di tempo il governo di distribuir le guardie e milizie dovunque occorreva, e di disporre le artiglierie ne' siti pi? proprii per la difesa della citt?. Contuttoci? battuti dalla parte di terra da' Tedeschi, angustiati per mare dalle navi inglesi, e perduta la speranza d'ogni soccorso, che altro potevano aspettar in fine, se non lo smantellamento delle lor suntuose case e delizie di campagna, ed anche la propria rovina e schiavit?? N? pur sapeano essi ci? che si potessero promettere del numeroso bens? e vivace popolo di quella capitale, perch? popolo gi? mal contento, per essergli mancato il guadagno, e cresciuto lo stento, mentre da tanto tempo, s? dalla banda della Lombardia, che da quella del mare, veniva difficoltato il trasporto della legna, carbone, carni e varii altri commestibili; e forse popolo che declamava contro l'impegno di guerra preso dal consiglio di alcuni pi? prepotenti de' nobili. Aggiungasi che fra la dominante nobilt? ed esso popolo passava bens? in tempo di quiete la corrispondenza convenevole dell'ubbidienza e del comando, ma non gi? assai commercio di amore, stante l'altura con cui trattavano que' signori il minuto popolo, gi? degradato dagli antichi onori e privilegii; talmente che non si potea sperare che alcun d'essi volesse sacrificar le proprie vite per mantenere in trono tanti principi, che sembravano non curar molto di farsi amare da' loro sudditi. E se i nemici fossero giunti a salutar la citt? colle bombe, potea la poca armonia degli animi far nascere disegni e desiderii di novit? in quella gran popolazione. Finalmente si trovava la citt? s? sprovveduta di farine, che la fame fra pochi d? avrebbe sconcertate tutte le misure. Saggiamente perci? da quel consiglio fu preso lo spediente di non resistere, e di comperar pi? tosto coi meno svantaggiosi patti che fosse possibile la riconciliazione coll'imperadrice e coi suoi alleati, che di azzardarsi ad un giuoco in cui poteano perdere tutto.

Aveano gl'infelici Genovesi il coltello alla gola; inutile fu il reclamare; necessario l'ubbidire. Concorsero dunque le famiglie pi? benestanti al pubblico bisogno coll'inviare alla zecca le loro argenterie; si trasse danaro contante da altri; convenne anche ricorrere al banco di San Giorgio, depositario del danaro non solo de' Genovesi, ma di molte altre nazioni; tanto che nel termine di cinque giorni fu pagato il primo milione. Pi? tempo vi volle per isborsare il secondo, non potendo la zecca battere se non partitamente s? gran copia d'argento. Con parte di quel danaro furono non solamente soddisfatti di molti mesi trascorsi gli uffiziali austriaci, ma anche riconosciuto dalla generosit? dell'augusta sovrana con proporzionato regalo il buon servigio de' suoi uffiziali. Parte d'esso tesoro fu condotto a Milano da riporsi in quel castello. A conto ancora del pagamento suddetto and? la restituzion delle gioie e di altri arredi della casa de Medici, impegnati in Genova dal regnante Augusto. N? si dee tacere che videsi ancor qui una delle umane vicende. Tanta cura degl'industriosi Genovesi per raunar ricchezze and? a finire in una s? trabocchevol tassa di contribuzioni, la quale, tuttoch? imposta ad una citt? cotanto diviziosa, pure a molti pu? fare ribrezzo. Non sarebbe ad una citt? povera toccato un cos? indiscreto salasso. E vie pi? dovette riuscire sensibile a quella nobil repubblica, perch? accaduto dappoich? appena ella s'era rimessa dalla lunga febbre maligna della Corsica, in cui non oso dire quanti milioni essi dicono di avere impiegato, ma che certamente si pu? credere costata a lei un'immensit? di danaro. Fama corse che il re di Sardegna si lagnasse, perch? n? pure una parola si fosse fatta di lui nella capitolazione, e n? pure si fosse pensato a lui nell'imposta di tanto danaro e nella occupazione di tanti magazzini. Pari doglianza fu detto che facesse l'ammiraglio inglese.

Tali nondimeno divennero le forze austriache in Italia, tali i nuovi rinforzi inviati per accrescerle, che si figur? il ministero cesareo di poter accudire all'una impresa senza pregiudizio dell'altra; n? si pu? negare che ben pensati erano i suoi disegni. Ma ordinaria disavventura delle leghe ? l'avere ogni contraente dei particolari interessi e desiderii che non s'accomodano con quei degli altri. In Londra v'erano delle segrete intenzioni contrarie a quelle di Vienna. Si voleva far del male alla Francia, ? non gi? alla Spagna. Sempre fitto il re d'Inghilterra nella speranza d'una pace particolare col re Cattolico, fervorosamente maneggiata dall'austriaca regina di Portogallo, e creduta anche assai verisimile, per essersi scoperte nel novello re di Spagna delle massime ben diverse da quelle del re fu suo padre: con ogni riguardo procedeva verso gli Spagnuoli, astenendosi, per quanto mai poteva, dal recar loro danno, anzi da ogni menomo loro insulto; nemico in fine di solo nome, ma non gi? di fatti. Per? la conquista del regno di Napoli, meditata in Vienna, che avrebbe infinitamente disgustata la corona di Spagna, si trov? ascosamente attraversata dagl'Inglesi, i quali fecero valere la necessit? di entrare in Provenza colle maggiori forze possibili, per non soggiacere agl'inconvenienti patiti altre volte in s? fatte spedizioni, ed essere troppo pericoloso l'indebolir cotanto l'armata di Lombardia, coll'inviarne s? gran parte in s? lontane e divise contrade; e che costerebbe troppo il mantenere in tali circostanze quell'acquisto. Queste ed altre ragioni, delle quali il gabinetto di Vienna intendeva molto bene il perch?, fecero che l'imperadrice regina forzatamente desse bando ad ogni disegno sul regno di Napoli; e intanto il re Cattolico con varii convogli per mare sped? ad esso Napoli alcune migliaia delle sue truppe, le quali ebbero sempre la fortuna di non essere vedute dagl'Inglesi, n? di incontrarsi nelle lor navi, le quali pure padroneggiavano per tutto il mare Ligustico e Toscano.

Trovarono gli aggressori in que' contorni abbandonate le case, e fuggiti col loro meglio i poveri abitanti. Ma per buona ventura vi restarono le cantine piene di vino, e vino, come ognun sa, sommamente generoso di quelle colline, onde ne avrebbe quel popolo, secondo il costume, ricavato un tesoro. Giacch? altro nemico da combattere non aveano trovato i Tedeschi, gli Svizzeri ed anche gl'Italiani, sfogarono il loro valore e sdegno contra di quelle botti, e per tre giorni ognun trionf? di que' cari nemici. Era un bel vedere qua e l? per terra migliaia di soldati che pi? non sapeano in qual parte del mondo si fossero: cos? ben conci erano dal tracannato liquore. Non sanno pi? i gran guerrieri del nostro tempo usare stratagemmi, n? studiano i libri vecchi, per impararne l'arte. Se quattro o cinque mila Franzesi, col muoversi di notte, avessero colto in quello stato i lor nemici, voglio dire quegli otri di vino, chi non vede qual brutto governo ne avrebbero potuto fare? il generale Broun per questo inaspettato accidente non sapea darsi pace, e vi rimedi? come pot?. Gli antichi preparavano buona cena alle truppe nemiche, per farne poi loro pagare lo scotto nella notte seguente. Tanto nulladimeno si affrettarono quei bravi bevitori a votar quelle botti, spandendo anche per le cantine il vino sopravanzato alla loro ingordigia, che ne fecero poi lunga penitenza, costretti sovente a bere acqua, per non trovare di meglio. Si stesero dipoi i loro staccamenti alle picciole citt? di Vences, Grasse ed altri luoghi, i vescovi delle quali citt? impiegarono con somma carit? quanto aveano, per esentare i popoli da un duro trattamento. Trovarono un discreto nemico nel suddetto generale Broun, il quale port? poscia il suo quartiere generale sino a Cannes, sulla spiaggia del mare di l? da Antibo, con bloccare quel porto, e dar principio alle ostilit? contra del medesimo. Non trovando quelle soldatesche in alcun luogo opposizione alcuna, s'inoltrarono fino a Castellana, Draghignano ed altre lontane terre. Altro miglior partito non seppe trovare il re Cristianissimo, per mettere argine a questo torrente, che di ordinare la mossa di almen trenta mila combattenti delle truppe regolate esistenti in Fiandra, giacch? si conobbe insufficiente medicina a questo malore il formar de' nuovi reggimenti in Provenza. Uomini di nuova leva son per lo pi? soldati di nome, conigli di fatti. Un soccorso tale, che dovea far viaggio di pi? centinaia di miglia, per arrivare in Provenza, non frastornava punto i sonni e i passi dell'armata austriaca e savoiarda; la quale perci? nel d? 15 di dicembre giunse ad impadronirsi anche della citt? di Frejus, con istendere le contribuzioni per tutte quelle contrade. E perciocch? si trov? che le barche armate dell'isole di Sant'Onorato e di Santa Margherita infestavano non poco i convogli destinati pel campo di Cannes, ordin? il Broun che sopra molti legni venuti da Villafranca s'imbarcassero tre mila soldati, e facessero col? una discesa. Non indarno questa fu fatta. Capitolarono le picciole guernigioni dei due forti esistenti in quelle isole, e cederono il campo ai nuovi venuti. Molto dipoi cost? ai Franzesi la ricupera di quei luoghi. Le speranze intanto di vincere il forte d'Antibo erano riposte nei grossi cannoni e mortai che si aspettavano da Genova; quando si sconcertarono tutte le misure per un inaspettato avvenimento, che sar? ben memorabile anche nei secoli avvenire.

Serv? di scuola agli ammutinati il rischio corso a cagion dell'irruzione della poca cavalleria nemica per premunirsi; e per? nella seguente notte barric? le principali strade con botti ed altra copia di legnami, e con replicati fossi. Era cresciuto a dismisura il popolaccio, e giacch? tutti i palazzi de' nobili si trovavano chiusi e ben custoditi, n? sito finora s'era trovato per farvi le loro sessioni, sforzarono il portone dei padri Gesuiti nella strada Balbi, ed impadronitisi di tutte quelle scuole e congregazioni, quivi piantarono il loro quartier generale. Fu creato un commissario generale, che scelse varii luogotenenti, ordin? pattuglie di giorno e di notte, per ovviare ai disordini, pubblic? editti rigorosi, che ognun dovesse accorrere alla difesa. In una parola assunse il governo e comando della citt?, senza nondimeno perdere il rispetto al doge e senato, se non che gli ordini del ceto nobile non erano attesi, e il magistrato popolare voleva essere ubbidito. Pretese dipoi quel popolo, che fosse nulla la capitolazione fatta dal governo con gli Austriaci, siccome fatta senza participazione e consenso del secondo e terzo ordine popolare, che a tenore delle leggi e convenzioni pubbliche si richiedeva. Avea comandato esso governo nobile che non si sonasse campana a martello, e intimato ai capitani delle popolatissime vicine valli del Bisagno e della Polcevera di non prendere l'armi. Se ubbidissero, staremo poco a vederlo. Intanto il generale marchese Botta avea spediti ordini pressanti alle milizie tedesche, sparse per le due riviere di Levante e Ponente, acciocch? accorressero a Genova. Prese eziandio altre precauzioni per sostenere le porte di San Tommaso, ed occup? varii postamenti, atti non meno all'offesa che alla difesa. Ma venuto il d? 7 di dicembre, ecco in armi tutto il gran quartiere di San Vincenzo ed il Bisagno, che si diedero mano con gli altri popolari. Andarono essi ad impossessarsi di tutte le artiglierie, poste nei lavori esteriori della citt?, e di una batteria detta di Santa Chiara. Con questi bronzi cominciarono a fulminare alcuni posti, dove erano i nemici, con farne anche prigioni alcuni. Al vedere s? stranamente cresciuto l'impegno, il generale Botta mand? a dire al governo che acquetasse il tumulto; e ricevuto per risposta dal palazzo di non aver forza da farlo, si esib? egli di andare al palazzo per comporre le cose; ma poscia non si attent?, o lo trattenne il decoro.

Ricominciate dunque le offese, pi? che mai fieramente continuarono, finch? gli Austriaci forzati abbandonarono la porta ed altri posti vicini, siccome ancora la porta di Lanterna e il posto di San Benigno. Col?, subentrati i popolari, cominciarono dal parapetto delle mura a fare un fuoco continuo sopra i nemici, e caricato a cartocci il cannone, tolto loro dinanzi, pi? volte Io spararono, e non mai in fallo. Andarono a poco a poco rinculando i Tedeschi dalle alture e da tutti gli occupati posti, ed uniti poi con gli altri, abbandonarono anche la piazza del principe Doria, ad altro non pensando che a ritirarsi verso la Bocchetta e Lombardia. Fu scritto, che giunti alla chiesa de' trinitarii, arrivarono loro addosso i popolari, e trovandoli disordinati e intenti a fuggire, ne fecero macello. La verit? si ?, che niun combattimento vi succedette. Forse non furono pi? di venticinque i Tedeschi uccisi, non pi? di dodici gli uccisi Genovesi; e a pochissimi si ridusse il numero de' feriti. Andavano gli Alemanni accompagnati da varie bombe e da molte cannonate della citt?; ed avendo que' della Cava ravvisato il general Botta, appuntarono contro di lui un cannone, la cui palla a canto a lui sventr? il cavallo del cavalier Castiglioni, e una scheggia di un muro percosso and? a leggiermente ferire in una guancia lo stesso generale. Ritiraronsi dunque, venuta la notte, gli Austriaci con gran fretta e disordine verso la Bocchetta: posto che prudentemente il generale suddetto avea per tempo fatto preoccupare sull'incertezza di quell'avvenimento. E buon per loro, che i Polceverini non si mossero per inseguirli o tagliar loro la strada: ne potea loro succedere gran male. Fu creduto che quella brava gente non facesse in tal congiuntura insulto ai fuggitivi, perch? ubbidiente all'ordine del governo di non prendere l'armi. Si figurarono altri che il generale austriaco regalasse il capitano della Valle, e gli facesse credere seguito un aggiustamento: il che non sembra verisimile, stante l'essere appena cessato lo strepito di tante armi e cannoni, quando si vide per quella lunga salita andarsene frettolosa la piccola armata tedesca. Eransi rifugiati pi? di settecento Alemanni in tre palagi di Albaro; ma quivi bloccati dai Bisagnini, ed infestati da una frequente moschetteria, e poscia da un cannone tirato da Genova, furono costretti ad arrendersi, con venire nel d? 14 di dicembre condotti prigioni alla citt?. Altri poi ne furono presi in San Pier d'Arena e in altri luoghi, di modo che conto si fece che pi? di quattro mila Austriaci rimasero nelle forze de' Genovesi, e fra loro circa cento cinquanta uffiziali. Molti dei primi, perch? non si pot? mai riscattarli, vennero meno di malattie e di stento. E perciocch? quegli uffiziali sparlavano, pretendendosi non obbligati alla parola data, perch? presi da gente vile e non decorata del cingolo della milizia, e molto pi? perch? gli ostaggi dati dai Genovesi furono mandati nel castello di Milano: vennero in Genova trasportate ad altro monistero le monache dello Spirito Santo, e nel chiostro d'esse rinserrati e posti a far orazioni e meditazioni quegli uffiziali sotto buona guardia. Quegli Alemanni che restarono in quelle focose azioni feriti riceverono nello spedale della citt? ogni pi? caritativo trattamento.

Con rapido volo intanto port? la fama per tutta la Riviera di Levante l'avviso della liberata citt?; avviso, che siccome riempi? di terrore le schiere austriache sparse in Sarzana, Chiavari, Spezia ed altri luoghi, cos? colm? di allegrezza quegli abitanti. La gente saggia d'essi paesi, per evitare ogni maggiore inconveniente, quella fu che amichevolmente persuase a quelle truppe di andarsene con Dio; e se ne andarono, ma col cuor palpitante, finch? giunsero di qua dall'Apennino. Loro furono somministrate vetture, e conceduto lo spazio d'otto giorni pel trasporto de' loro spedali e bagagli. Un gran dire fu per tutta Europa dell'avere i Genovesi con risoluzione s? coraggiosa spezzati i loro ceppi; ed anche chi non gli amava, li lod?. Fu poi comunemente preteso, che se il ministro austriaco con pi? moderazione fosse proceduto in questa contingenza, maggior gloria di clemenza sarebbe provenuta all'imperadrice regina, ed avrebbono le sue armi sfuggito questo disgustoso rovescio di fortuna. Non si pot? cavar di testa agli Austriaci, e dura tuttavia, anzi durer? sempre in loro la ferma persuasione che il governo di Genova manipolasse lo scotimento del giogo, e sotto mano se l'intendesse col popolo; fingendo il contrario ne' pubblici atti. Non si pu? negare: molti giorni prima gran bollore appariva negli abitanti di Genova, e si tenevano varie combriccole: del che fu anche avvisata la corte di Vienna, senza che n? essa n? gli uffiziali dell'armata ne facessero alcun conto, per la soverchia idea delle proprie forze e dell'altrui debolezza. Pure altres? ? vero che in una repubblica, composta di tanti nobili, ciascun de' quali ha degl'interessi ed affetti particolari, e fra' quali e il popolo non passa grande intrinsichezza, sembra che non si potesse ordire una tela di tante fila, senza che in qualche guisa ne traspirasse il concerto. Non ? capace di segreto un popolo; di tutti i moti della medesima plebe il governo and? sempre ragguagliando il generale austriaco. Si sa ancora che niuno de' nobili pubblicamente s'un? col popolo, se non dopo la liberazione della citt?. Vero ? che il governo comunic? al popolo la risposta data al generale di non poter pagare un soldo di pi?, e si fece correr voce di gravi soprastanti malanni; ma non per questo si mosse mai il governo contro gli Austriaci.

Passarono il gennaio in Provenza gli Austriaco-Sardi, ma in cattiva osteria, combattendo pi? co' disagi che co' Franzesi, i quali andavano schivando le zuffe, sperando poi di rifarsi allorch? fossero giunte le numerose brigate di Fiandra. Bisognava che quell'armata aspettasse la sussistenza sua in maggior parte dal mare, venendo spedite le provvisioni per uomini, cavalli e muli da Livorno, Villafranca e Sardegna. Ma il mare ? una bestia indiscreta, massimamente in tempo di verno. Per?, tardando alle volte l'arrivo de' viveri, uomini e cavalli rimanevano in gravi stenti; e giorno vi fu che convenne passarlo senza pane. Tutto il commestibile costava un occhio non osando i paesani di portarne, o facendolo pagar carissimo, se ne portavano. Soffiarono talvolta s? orridi venti, che i soldati sull'alto della montagna n? pur poteano accendere o tener acceso il fuoco. Trovavansi anche non pochi di loro senza scarpe e camicie, da che s'erano perduti i magazzini di Genova. Ora tanti patimenti cagion furono che entr? nell'esercito un fiero influsso di diserzione, fuggendo chi potea alla volta di Tolone, dove speravano miglior trattamento. Tanti ne arrivarono col?, che il comandante della citt? non volle pi? ammetterli entro d'essa per saggia sua precauzione. Caddero altri infermi, e conveniva trasportarli fino a Nizza, per dar luogo ad essi negli spedali della Riviera. Per quindici d? que' cavalli e muli non videro fieno o paglia, campando massimamente con pane e biada, e questa anche scarsa alle volte. Chi spacci? che furono forzati a cibarsi delle amare foglie degli ulivi, dovette figurarsi che i cavalli fossero capre. Arriv? la buona gente fino a credere che que' cavalli per la soverchia fame mangiassero la minuta ghiaia del lido del mare, senza avvedersi che queste erano iperboli o finzioni di chi si prende giuoco della stolta credulit? altrui. Quel che ? certo, non pochi furono i cavalli e muli che quivi lasciarono le lor ossa, e gli altri notabilmente patirono, e parte restarono inabili al mestier della guerra. Intanto a questo gran movimento d'armi non succedea progresso alcuno di conseguenza. Ridevasi il forte di Antibo dei Croati lasciati a quel blocco, che non poteano rispondere alle cannonate, se non con gl'inutili loro fucili. Per? fu spediente di trarre da Savona con licenza del re sardo quanta artiglieria grossa occorreva per battere quella Rocca; e in quel frattempo le navi inglesi la travagliarono con gran copia di bombe, le quali recarono qualche danno alla terra, senza nondimeno intimorir punto i difensori di quel forte. Giunsero finalmente i grossi cannoni, ma giunsero troppo tardi.

Ecco dove and? a terminare la strepitosa invasione della Provenza. Assaissimi danni rec? ben essa a que' poveri abitanti; ma pagarono caro gli Austriaco-Sardi il gusto dato alla corte di Londra; perch?, oltre ai non lievi patimenti ivi sofferti, fu creduto che l'esercito loro tornasse indietro sminuito almeno d'un terzo; e la lor bella cavalleria per la maggior parte si rovin?, talch? n? pel numero n? per la qualit? si riconosceva pi? per quella che and?. Rest? alla medesima anche un altro disagio, cio? di dover passare in tempo di verno e di nevi per le alte montagne di Tenda: s?, se volle venir a cercare riposo in Lombardia, dove ancora per un gran tratto di via l'accompagn? la fame a cagion della mancanza de' foraggi. Quanto ai Provenziali, non lievi furono, ma non indiscrete le contribuzioni loro imposte. La necessit? di scaldarsi, di far bollire la marmitta, cagion fu che dovunque si fermarono le truppe nemiche restarono condannate tutte le case a perdere i loro tetti. Non ha per lo pi? quella bella costiera di montagne, che si stende dal Varo verso Marsiglia, se non ulivi, fichi e viti. Ordine and? del generale Broun che si risparmiassero, per quanto mai fosse possibile, gli ulivi, onde si ricavano olii s? preziosi, non so ben dire, se per solo motivo di generosa carit?, o perch? la provincia si esibisse di fornirlo in altra maniera di legna. Ben so che, a riserva d'un mezzo miglio intorno all'accampamento di Cannes, dove tutte quelle piante andarono a terra, e di qualche altro luogo, dove non si pot? di meno nella ritirata, rimasero intatti gli ulivi; e che esso conte di Broun riport? in Italia il lodevole concetto di molta moderazione, pregio che di rado si osserva in generali ed armate che giungono a danzare in paese nemico. Per questo, e in considerazione molto pi? del suo valore e prudenza, venne egli dipoi eletto general comandante dell'armi cesareo-regie in Italia. Quel che ? da stupire, non ebbe gi? s? buon mercato la citt? e territorio di Nizza, tuttoch? dominio del re di Sardegna. Quivi legna da bruciare non si truova, e v'? portata dalla Sardegna, o si provvede dalla vicina Provenza. Pel bisogno di tanta gente, che quivi o nella venuta o nel ritorno ebbe a fermarsi, si port? poco rispetto agli ulivi, cio? alla rendita maggiore di quegli abitanti: danno incredibile, considerato il corso di tanti anni che occorre per ripararlo. Prima di questi tempi trovandosi in Nizza il re di Sardegna bene ristabilito in salute, bench? le montagne di Tenda fossero assai guernite di neve, pure volle restituirsi alla sua capitale. Giunse pertanto a Torino nel d? 15 di gennaio, e somma fu la consolazione e il giubilo di que' cittadini in rivedere il loro amato e benigno sovrano.

Ad accrescere il comune coraggio serviva non poco l'accennato promesso soccorso delle due corone, e il sapersi che erano gi? imbarcati sei mila fanti in Marsilia e Tolone in pi? di sessanta barche e tartane, oltre ad altre vele che conducevano provvisioni da bocca e da guerra, altro non bramando da esse, se non che si abbonacciasse il mare, e desse loro le ali un vento favorevole. Venuto oramai il tempo propizio, circa la met? di marzo fecero vela. Rondava per quei mari il vice ammiraglio Medley con pi? vascelli e fregate inglesi, aspettando con divozione i movimenti di quel convoglio, per farne la caccia. E in fatti, per quanto pot?, la fece. Fioccarono pi? del solito le bugie intorno all'esito di quella spedizione. All'udir gli uni, buona parte di que' legni e truppe gallispane era rimasta preda degl'Inglesi; disperso il restante, parte avea fatto ritorno a Tolone, parte si era rifugiato in Corsica e a Monaco. Sostenevano gli altri che una fortuna di mare avea sparpagliati tutti que' navigli; e ci? non ostante, non esservi stato neppure uno d'essi che non giugnesse a salvamento, approdando chi a Porto-Fino, chi alla Spezia e Sestri di Levante, e chi a dirittura a Genova stessa, dove certamente pervenne la Flora, nave da guerra franzese, la quale sbarc? il signor di Mauriach, comandante di quelle milizie, e buon numero di uffiziali, granatieri e cannonieri. Ventilate da' saggi non parziali tanto alterate notizie, fu conchiuso che circa quattro mila Gallispani per pi? vie arrivassero a Genova; pi? di mille cadessero in man degli Inglesi; e qualche bastimento si ricoverasse in Monaco, dove fu poi bloccato da essi Inglesi, ma senza frutto. Con immenso giubilo venne accolto da' Genovesi questo soccorso, spezialmente perch? caparra d'altri maggiori; e in fatti si intese che altro convoglio s'allestiva in Tolone e Marsilia, parimente destinato in loro aiuto. Ma neppure dall'altro canto perdonavano a diligenza alcuna gli Austriaci, con preparar magazzini, artiglierie grosse e minori, mortai da bombe, ed altri attrezzi e munizioni da guerra, pi? che mai facendo conoscere di voler dare un esemplare gastigo, se veniva lor fatto, alla stessa citt? di Genova. Giacch? s? sovente nelle armate austriache il valore non ? accompagnato da tutti que' mezzi de' quali abbisogna il mestier della guerra: il che poi rende indisciplinate e di ordinario troppo pesanti le loro milizie ovunque alloggiano: alcune citt? del cotanto smunto Stato di Milano furono costrette a provvedere cinquecento carrette, con quattro cavalli e un uomo per ciascuna, per condurre le provvisioni al destinato campo. Le braccia di migliaia di poveri villani vennero anch'esse impiegate a rendere carreggiabili le strade della montagna, affin di condurre per esse le artiglierie. Con tutto questo apparato nondimeno non poche erano le savie persone credenti che non si potesse o volesse tentar quell'impresa, come molto pericolosa, per varii riguardi che non importa riferire. Ed avendo veduto che dopo un gran consiglio de' primarii uffiziali fu spedito a Vienna il general Coloredo, molti si avvisarono che altra mira non avessero i suoi passi che di rappresentare le gravi difficolt? che s'incontrerebbono, e il rischio di sacrificare ivi al per altro giusto sdegno non meno l'armata, che la riputazione dell'augusta imperatrice regina. S'ingannarono, e poco stettero ad avvedersi del falso loro supposto.

Le speranze intanto dell'armata austriaca erano riposte nell'arrivo di grosse artiglierie e mortai, parte de' quali gi? stava preparata in Sestri di ponente, condotta da Alessandria, e un'altra dovea venire da Savona. Non mancarono i vascelli inglesi di accorrere col? per farne il trasporto; ma allorch? vollero sbarcare que' bronzi a Sturla, accorsero due galere genovesi, che spingendo avanti un pontone, dove erano alquante colubrine, talmente molestarono que' vascelli, che lor convenne ritirarsi in alto, e desistere per allora dallo sbarco. Segu? poi nella notte fra il d? 24 e 25 di giugno una calda azione. Perciocch?, calato con grosso corpo di truppe dal monte delle Fasce il signor Paris Pinelli, per isloggiar da quelle falde gli Austriaci che si erano postati in due siti, gli riusc? bens? di rovesciar que' picchetti; ma, accorso un potente rinforzo di Tedeschi, fu obbligata la sua gente a retrocedere. Essendo restata a lui preclusa la ritirata, dimand? quartiere; ma que' barbari inumanamente gli troncarono il capo. Era egli cavaliere di Malta, e da Malta appunto era venuto apposta per assistere alla difesa della patria. Portata questa nuova al generale Pinelli suo fratello, che stava alla Scofferra, talmente si lasci? trasportare dall'eccesso del dolore e della rabbia, che con una maggior crudelt? volle compensar l'altra, levando di vita due bassi uffiziali tedeschi, dimoranti prigioni presso di lui. Il corpo dell'ucciso giovane richiesto agli Austriaci, e portato a Genova, co' maggiori militari onori fu condotto alla sepoltura. Altro, come dissi, non restava all'armata austriaca, che di ricevere un buon treno d'artiglierie, mortai e bombe, lusingandosi che, con alzar buone batterie, si potrebbero avanzar pi? oltre, e giugnere almeno a fulminar parte della citt? con una tempesta di bombe: il che se mai fosse avvenuto, parea non improbabile che i Genovesi avessero potuto accudire a qualche trattato. Ma queste erano lusinghe, trovandosi le loro armi tre o quattro miglia lontane da Genova, e con pi? siti avanzati che coprivano la citt?, e guerniti di difensori che non conoscevano paura. Vennero infatti, nonostante l'opposizion de' Genovesi, cannoni e mortai; furono sbarcati; si alzarono batterie: con che allora gli assedianti si tennero in pugno la conquista di Genova. Anzi ? da avvertire, che portata da un uffiziale a Vienna la nuova della discesa in Bisagno, ossia che quell'uffiziale spalancasse la bocca, oppure che a dismisura si amplificassero le conseguenze di tale azione, senza saper bene la positura di quegli affari; certo ? che nella corte imperiale s? fattamente prevalse la speranza di quel grande acquisto, che di giorno in giorno si aspettava l'arrivo de' corrieri apportatori di s? dolce nuova, e si giunse fino a spedir fuori per qualche miglio i lacch?, acciocch?, sentito il suono delle liete cornette, frettolosamente ne riportassero l'avviso alle cesaree loro maest?. Non tardarono molto a disingannarsi.

Ora, trovandosi il popolo di Genova liberato da quella furiosa tempesta, chi pu? dire quai risalti d'allegrezza fossero i suoi? Erano ben giusti. Le lettere procedenti di l? in addietro portavano sempre che nulla mancava loro di provvisioni da vivere. Vennesi poi scoprendo, che dopo la calata de' nemici in Bisagno erano stranamente cresciute le loro angustie, giacch? per terra nulla pi? riceveano, e gravi difficolt? s'incontravano a ricavarne per mare, a cagion de' vascelli inglesi sempre in aguato per far loro del male; e la citt? si trovava colma di gente, essendosi col? rifugiate migliaia di contadini, spogliati tutti d'ogni loro avere. Parimente si seppe essere costata di molto la lor difesa per tante azioni, dove aveano sacrificate le lor vite assaissimi Gallispani e nazionali. Ma in fine tutto fu bene speso. Era risonato, maggiormente rison? per tutta l'Italia, anzi per tutta l'Europa, il nome de' Genovesi, per aver s? gloriosamente e con tanto valore ricuperata e sostenuta la loro libert?. Usc? poscia chi volle de' nobili e del popolo, per visitare i siti gi? occupati dai nemici. Trovarono dappertutto, cio? in un circondario di moltissime miglia, un lacrimevole teatro di miserie ed un orrido deserto. Le tante migliaia di case, palazzi e giardini per s? gran tratto ne' contorni, gi? nobile ornamento di quella magnifica citt?, spiravano ora solamente orrore, perch? alcuni incendiati, e gli altri disfatti; le chiese e i monisteri profanati e spogliati di tutti i sacri vasi e arredi. Per non far inorridire i lettori, mi astengo io dal riferire le varie maniere di barbarie praticate in tal congiuntura dai bestiali Croati contro uomini, donne, fanciulli, preti e frati: il che fu cagione che anche i paesani genovesi talvolta infierissero contra di loro. Seguirono senza dubbio tante crudelt? contro il volere della clementissima imperadrice; ma non ? gi? onore dell'inclinata nazione germanica l'essersi in questa occasione dimenticata cotanto d'essere seguace di Cristo Signor nostro. Niun movimento, siccome dissi, fecero per molti giorni i Franzesi e Genovesi contra de' Tedeschi, a riserva d'un'irruzione fatta da alcune centinaia di que' montanari ne' feudi imperiali del conte Girolamo Fieschi in vale di Scrivia, dove diedero il sacco, e poscia il fuoco a quelle castella e case. Ma saputasi questa enorme ostilit? in Genova, condann? quel governo come masnadieri e ladri coloro che senza autorit? aveano tanto osato contra feudi dell'imperio: laonde cess? da l? innanzi tale insolenza.

Progred? cos? lungamente questo assedio, che i Franzesi sfornirono di polve da fuoco e di altre munizioni tutte le loro piazze circonvicine; e intanto stavano dappertutto sulle spine i parziali e i novellisti per l'incertezza dell'esito di s? pertinace assedio. Di grandi apparenze vi furono che sarebbero in fine costretti i Franzesi a ritirarsi; ma differentemente si dichiar? la fortuna, perch? ancor questa appunto intervenne a decidere quella quistione. Erano gi? fatte breccie in due bastioni e in una mezzaluna, e queste imperfette, o certamente non credute praticabili: quando il generale conte di Lowendhal determin? di venire all'assalto. Ammannite dunque tutte le occorrenti truppe all'esecuzione di s? pericoloso cimento, sul far del d? 16 di settembre, dato il segno con lo sparo di tutti i mortai a bombe, andarono coraggiosamente all'assalto: impresa che non si suole effettuare senza grave spargimento di sangue. Ma quello non fu un assalto, fu una sorpresa. Detto fu che i Franzesi per buona ventura o per tradimento s'introducessero segretamente nella citt? per una galleria esistente sotto un bastione, e mal custodita da quei di dentro. La verit? si ?, che altro non avendo trovato alla difesa delle breccie che le guardie ordinarie, con poca perdita e fatica salirono, ed impadronitisi de' bastioni e di due porte della citt?, quindi passarono alla volta della guernigione, la quale raccolta tanto nella piazza, quanto in varie contrade, fece una vigorosa resistenza, finch?, veggendosi sopraffatta dagli aggressori, che si andavano vieppi? ingrossando, e venendo qualche casa incendiata parte d'essa ebbe maniera di ritirarsi, sempre combattendo, fuori della porta di Steenbergue. Corse fama che il conte di Lowendhal avesse dati buoni ordini, e prese le misure, affinch? la misera citt? rimanesse esente dal sacco. Checchessia, i volontarii lo cominciarono, e gli tennero loro dietro, senza risparmiare alcuno di quegli eccessi che in s? fatti furori sogliono i militari, non pi? cristiani, non pi? uomini, commettere. Si salvarono in questa confusione i principi d'Assia e d'Anhalt, e il generale Constrom; ma non poca parte di quel presidio rimase o tagliata a pezzi dagl'infuriati assalitori, o fatta prigioniera.

N? qui terminarono le conseguenze di giorno cotanto favorevole a' Franzesi. Il campo del principe d'Hildburgausen, afforzato nelle linee presso di Bergh-op-Zoom, all'intendere presa la citt?, e alla comparsa de' fuggitivi, altro consiglio non seppe prendere, se non quello di dar tosto alle gambe, lasciando indietro equipaggi, tende, artiglierie e fasci di fucili. Tutto and? a ruba, n? vi fu soldato franzese che non arricchisse. Videsi nondimeno lettera stampata che negava questo abbandono di bagagli e fucili, a riserva di un reggimento, il quale am? meglio di mettere in salvo i suoi malati che i suoi equipaggi. Oltre a ci?, non perd? tempo il conte di Lowendhal a spedire armati, per intimare la resa ai forti di Rover, Mormont e Pinsen, che non si fecero molto pregare ad aprir le porte, con restar prigionieri que' presidii. Trovandosi ancora in quel porto diecisette bastimenti con assai munizioni da guerra e da bocca, che per la marea contraria non poterono salvarsi, furono obbligati dalle minaccie de' cannoni ad arrendersi. Se si ha da credere a' Franzesi, quasi cinque mila soldati tra uccisi e prigionieri cost? quella giornata agli alleati; due sole o tre centinaia ad essi. Oltre ai semplici soldati, gran copia di uffiziali rimasero ivi prigioni. Prodigiosa fu la preda ivi trovata, e spettante al re, cio? pi? di ducento cinquanta cannoni, la met? de' quali di grosso calibro, quasi cento mortai, qualche migliaio di fucili, ed altri militari attrezzi, e magazzini a dismisura abbondanti di polve da fuoco, di granate, di abiti, di scarpe, panni, ec. Un pezzo poi si and? disputando per sapere qual destino avesse facilitata cotanto la caduta di s? forte piazza, in cui nulla si desiderava per resistere pi? lungamente, e fors'anche per render vano in fine ogni tentativo degli assedianti. In fine fu conchiuso, essere ci? proceduto dalla poco cautela del Constrom, il quale non si figur? che le imperfette breccie abbisognassero di maggior copia di guardie. Contra di lui fu poi fulminata sentenza di morte; ma salvollo il riguardo alla sua rispettabil vecchiaia. La risposta del re Cristianissimo alla lettera del conte di Lowendhal, recante s? cara nuova, fu di dichiararlo maresciallo, con vedersi poi in Francia un raro avvenimento, cio? due stranieri, primarii e gloriosi condottieri delle armate di quella potentissima corona. Passarono, ci? fatto, le truppe comandate da esso conte a mettere l'assedio al forte di Lill?, e ad alcuni altri pochi di minor considerazione, per liberare affatto il corso della Schelda: n? tardarono a costringere alla resa il Forte-Federigo, e quindi esso Lill? nel d? 12 d'ottobre, coll'acquisto di quasi cento pezzi d'artiglieria, e con farvi prigioniera la guarnigione di ottocento soldati. Gran gioia dovette essere quella di Anversa al veder come liberato da quei nemici forti il corso del loro fiume.

Dappoich? tutti i principi impegnati nella guerra presente si trovarono assai concordi in approvare ed accettare i preliminari, cio? il massiccio della futura pace, si ripigliarono i congressi de' ministri in Aquisgrana, a fin di spianare, per quanto fosse possibile, le diverse particolari pretensioni de' principi, le quali potessero difficoltar la conchiusione dell'universal concordia, o lasciar semi di guerre novelle. Per conto dell'Italia, di gravi doglianze aveano fatto e faceano i militari alla corte di Vienna, perch? si fosse ceduta al re di Sardegna tanta parte del contado d'Anghiera colla met? del lago Maggiore, senza aver considerato che sensibil danno ed angustia ne provenisse alla stessa citt? di Milano. Per? l'augusta imperadrice cominci? a pretendere, che siccome pi? non sussisteva il trattato di Vormazia per la cessione all'infante don Filippo di Piacenza, cos? dovesse anche la maest? sua restare sciolta dall'obbligo di mantenere al re di Sardegna quanto gli avea ceduto. Pretendeva in oltre pi? d'un milione di genovine, di cui erano rimasti debitori i Genovesi. Quanto all'infante don Filippo, si faceva istanza che col ducato di Guastalla andassero uniti quello di Sabbioneta, e il principato di Bozzolo, siccome goduti dagli ultimi duchi d'essa Guastalla. Finalmente il conte di Monzone, ministro del duca di Modena, richiedeva che fosse rimesso questo principe in possesso de' contadi d'Arad e di Jeno in Ungheria; e perch? si trov? che per li bisogni della guerra erano stati venduti, insisteva per un equivalente di Stati in Lombardia. Restavano poi da dibattere varie altre pretensioni de' principi fuori d'Italia, che tralascio, perch? non appartenenti all'assunto mio. Giunsero ancora al congresso d'Aquisgrana le doglianze de' Corsi contro la repubblica di Genova; ma parve che niun conto ne facessero que' ministri. Per ismaltir dunque le materie suddette s'impiegarono cinque mesi e mezzo dopo la pubblicazion de' preliminari; e finalmente si venne in Aquisgrana allo strumento decisivo della pace nel d? 18 d'ottobre del presente anno. Non rapporter? io se non quegli articoli che riguardano l'Italia; cio?:

Finalmente furono confermati i preliminari stabiliti nel d? 30 d'aprile di quest'anno 1748, e garantiti da tutte le potenze gli Stati restituiti o ceduti. E caso che alcuna potenza rifiutasse di aderire al suddetto trattato, la Francia, Inghilterra ed Olanda promisero d'impiegare i mezzi pi? efficaci per l'esecuzione dei soprascritti regolamenti.

Ma non poterono gi? altri popoli, per lor disavventura imbrogliati nella presente guerra, contare un egual trattamento e fortuna. Aveva io all'anno 1300 fra le glorie de' nostri tempi registrato ancor quella dalle guerre oggid? fatte con moderazione fra i principi cristiani, cio? senza infierire contro le innocenti popolazioni, e senza la desolazione dei conquistati o dei nemici paesi. Debbo io ora con vivo dispiacere ritrattarmi. Ci ha fatto questa ultima guerra vedere troppi esempli di barbarie entro e fuori d'Italia, con lasciare la briglia alla licenza militare, per fare colla rovina della povera gente vendetta de' pretesi reati de' loro principi. Che i Turchi, che i Barbari, i quali pare che non conoscano legge alcuna di umanit?, cadano in cos? brutali eccessi, non ? da maravigliarsene; ma che genti professanti la legge santa del Vangelo, legge maestra della carit?, facciano altrettanto, non si pu? mai comportare. E non vede chi cos? opera, che in vece di gloria egli va cercando l'infamia, la quale senza dubbio tien dietro alle crudelt?? Ma lasciando queste inutili doglianze e luttuose memorie, vogliam pi? tosto i ringraziamenti nostri alla divina clemenza, che ha fatto in quest'anno cassar l'ire dei regi, e coll'evacuazion de' paesi che si aveano a restituire, ha ridonata la tranquillit? e l'allegrezza a tanti regni e principati, involti per sette anni nelle calamit? della guerra. Tanto pi? memorabile dee dirsi questa pace, perch? non solamente si ? diffusa per tutta l'Europa, ma viene anche accompagnata dall'universale di tutta la terra, non udendosi in questi tempi alcun'altra guerra di rilievo per le altre parti del mondo, di modo che non abbiam da invidiare la felicit? de' tempi d'Augusto. Resta solamente nella Corsica il fermento della ribellione; ma non andr? molto che l'interposizione de' monarchi di Francia e Spagna pacificamente e con oneste condizioni ridurr? que' popoli all'ubbidienza verso la legittima ed antica sovranit? della repubblica di Genova. Ma oltre ai ringraziamenti da noi dovuti al supremo Autor di ogni bene, conviene ancora inviare al suo trono le umili nostre preghiere, acciocch? il gran bene della pace a noi restituita non sia dono di pochi giorni, e che i potentati di Europa giungano a sacrificare al riposo de' poveri popoli, i quali dopo tanta calamit? cominciano a respirare, i lor risentimenti, oppur le suggestioni della non mai quieta ambizione. Regnando la pace in Italia, che non possiamo noi sperare da che abbiamo principi di s? buon volere e di tanta rettitudine? A me sia lecito di ricordare qui il nome per riconoscimento della presente nostra fortuna.

Grande obbligo hanno o al men debbono professare a Dio i regni di Napoli e Sicilia, perch? loro abbia conceduto nella persona del re don Carlo, germoglio della real casa di Francia, dominante in Ispagna, un regnante di somma clemenza, e regnante proprio. Gran regalo in fatti della divina provvidenza ? per essi dopo tanti anni di divorzio il poter godere della presenza di un reale sovrano, della sua magnifica corte, e della retta amministrazion della giustizia, senza doverla cercare oltra monti. Gran consolazione in oltre ? il vedere, come questo monarca col suo consiglio si studii di aumentar le manifatture, la navigazione, il traffico e la sicurezza de' sudditi suoi. A lui ? anche tenuta la repubblica delle lettere, pel suo desiderio che maggiormente fioriscano l'arti e le scienze, e per la mirabile scoperta della citt? d'Ercolano, tutta ne' vecchi tempi profondamente seppellita sotterra dai tremuoti e dalle bituminose fiumane del Vesuvio. In quel luogo noi abbiam pure un insigne teatro dell'antica erudizione. Finalmente la placidezza del suo governo, la nobil figliolanza a lui donata dal cielo, e il valore dalla maest? sua mostrato nella difesa di Velletri e de' regni suoi, son pregi che concorrono a compiere la gloria di questo monarca e la felicit? de' popoli suoi.

Appartiene all'augustissimo imperadore Francesco I il gran ducato della Toscana, cio? ad un clementissimo e piissimo sovrano. Non pu? gi? essere che quella contrada, per tanti anni retta da savissimi principi della immortal casa de' Medici, non risenta oggid? qualche convulsione per la lontananza del principe suo. Contuttoci? hanno quei popoli di che ringraziar Dio, perch? i riguardi dovuti a cos? gran monarca gli abbiano preservati da ogni disastro nell'ultima s? perniciosa e dilatata guerra; e perch? la rettitudine del governo e della giustizia presente non lasci loro da augurarsi quella de' tempi passati; e perch? la vigilanza e attivit? del conte Emmanuele di Richecourt nulla ommette per sostenere, anzi aumentare l'industria e il commercio della Toscana, onde per questa via si risarcisca e compensi ci? che si perde pel mantenimento della corte lontana: pare che la Toscana non abbia molto a dolersi della presente sua situazione.

Quanto agli Stati della serenissima repubblica di Venezia, le contingenze dell'ultima lunga guerra non son giunte a turbare il riposo di quegli abitanti; e quantunque per precauzione prudente e buona custodia delle sue citt? e fortezze abbia quel senato in tal congiuntura fatto buon armamento, pure nulla per questo ha accresciuto i pubblici aggravii; anzi delle altrui calamit? non poco han profittato gli Stati suoi di Lombardia. Del resto cos? ben concertate son le maniere di quel governo, cos? acconcie le sue antiche leggi, acciocch? regni in ogni popolazione la tranquillit?, la giustizia e il traffico, che ognuno da gran tempo riconosce per buona madre una repubblica di tanta saviezza.

Altrettanto a proporzione ? da dire della repubblica di Lucca. Ha cooperato la situazione sua, ma anche l'inveterata prudenza di que' magistrati, e l'osservanza delle ben pesate lor leggi, a mantenere il paese immune dalle calamit? che in questi ultimi tempi sopra tanti altri popoli largamente son piovute. Pi? de' vasti dominii pu? essere felice un picciolo, qualora la libert?, la concordia, l'esatta giustizia, il buon comparto e la discretezza de' tributi, fa che ognuno possa essere contento nel grado suo.

Forze maggiori son da dir quelle che in questi ultimi tempi han provati gli stati di Parma e Piacenza, perch? ivi non poco ha danzato il furore delle nemiche armate. Tuttavia da che la pace ha ridonato a que' popoli un principe proprio nella persona del real infante don Filippo fratello de' potentissimi re di Spagna e di Napoli, ben si dee sperare che, ritornando col? il sangue della serenissima casa Farnese, vi ritorner? ancora quella felicit? che godevasi quivi sotto gli ultimi prudenti duchi. Non si pu? stimare abbastanza il privilegio di aver principe proprio e presente che faccia circolare il sangue de' sudditi, e risparmii loro la pena di cercar lungi la giustizia, ed altri provvedimenti necessarii ad uno Stato.

Per sua legittima signora riconosce il ducato di Milano, oggid? congiunto con quello di Mantova, l'augustissima imperatrice regina Maria Teresa d'Austria. Delle comuni disavventure e di un nuovo smembramento ha esso partecipato nell'ultima guerra. Qual sia per essere il riposo e sollievo suo nei venturi tempi di pace non si pu? peranche comprendere, stante la risoluzion presa dall'imperiale e real maest? sua di non provar pi? il rammarico di aver creduto di avere, e di avere effettivamente pagato un poderoso esercito per sua difesa in Italia, con averne poi trovata solamente appena la met? al bisogno. Manifesta cosa ?, tanta essere la piet? e l'amore del giusto in questa generosa regnante, che in s? bel pregio niun altro principe pu? vantarsi di andarle innanzi. N? gi? mancavano nel consiglio suo ministri di somma avvedutezza e di ottima morale, per gli avvisi dei quali si son talvolta veduti fermati in aria i fulmini del suo sdegno, e ritrattate le risoluzioni, le quali sarebbero tornate in discredito e disonore della sovrana, che pur tanto ? inclinata alla clemenza, n? altro desidera che il giusto. Ragionevole motivo perci? hanno in Italia i popoli suoi di sperare che ai tempestosi passati giorni succeder? un bel sereno.

Resta la serenissima repubblica di Genova, che nelle prossime passate rivoluzioni si ? trovata sbattuta pi? d'ognuno dai pi? feroci venti, con pericolo di far naufragio anche di tutto. Gravissime, non pu? negarsi, sono state le perdite sue, deplorabili le sue sciagure; ma da che a lei ? riuscito di salvar la gioia pi? cara c preziosa della libert?, e dappoich? nulla s'? scemato de' legittimi suoi dominii: molto ha di che consolarsi ora e per l'avvenire. E tanto pi?, perch? il senno de' suoi magistrati, l'attivit?, il commercio degl'industriosi cittadini potranno fra qualche tempo avere risarciti i patiti danni, restando intanto per tutta l'Europa immortale la gloria della lor costanza e valore in tante altre congiunture, ma spezialmente nell'ultima, da essi mostrato.

Per memoria de' posteri non vo' lasciar di aggiugnere, che niuno dovrebbe mai desiderar di godere, o rallegrarsi di aver goduto un verno placido, e senza nevi e ghiacci, ne' paesi, dove regolarmente si pruova questa disgustosa, ma forse utile pensione. Non potea essere pi? placido in Lombardia ed in altri paesi il verno dell'anno presente, perch? privo di nevi e ghiacci, talmente che non se ne pot? ammassare nelle conserve per refrigerio ed uso della vegnente state. Ma che? Sul fine di marzo venne pi? d'uno scoppio di neve, che quantunque da l? a poco si squagliasse, pure ci rub? i primi frutti, danneggi? gli orli e la foglia dei gelsi, e poco propizia fu ai grani, che gi? s'erano mossi. Poco ? questo. Nel d? 25 d'aprile per tre giorni nevic? in Milano, e succederono brine che fecero perdere tutti i frutti. Sul principio poi di giugno eccoti fuor del solito fioccar folta neve ne' gioghi dell'Appennino, che si rinforz? e sostenne gran tempo, con produrre un pungente freddo, dirottissime pioggie ogni d?, e temporali e gragnuole orribili: onde si videro gonfii e minacciosi tutti i fiumi, e ne seguirono anche gravi inondazioni, e fiere burrasche in mare. N? caldo n? gelo vuol restare in cielo: ? proverbio dei contadini toscani. Spezialmente orribile e dannoso fu il turbine succeduto nella notte del d? 11 di giugno in una striscia dell'alma citt? di Roma, e particolarmente fuori di essa, di cui si ? veduta relazione in istampa.

CONCLUSIONE

E che diremo noi delle idee di questo giornalista, allorch? pretende aver la contessa Matilda donato alla Chiesa Romana Mantova, Parma, Reggio e Modena? Io nol posso assicurare che non ridano gl'intendenti delle leggi, all'udir s? fatte pretensioni. Davansi allora le citt? del regno d'Italia in governo e feudo. Come poterne disporre senza la permissione del sovrano? A questo confronto avrebbe anche potuto Matilda donare il ducato di Toscana, di cui era duchessa. E se ella avesse donata Ferrara, dove signoreggi?, ad alcuno, pare egli a questo valentuomo che legittima fosse stata una tal donazione? Bisogna poi ch'egli non abbia occhi, allorch? scrive ch'io chiamo gli Estensi duchi della stessa Ferrara fin dall'anno 1097. Lascer? ancora che altri dica qual nome si convenga a lui col?, dove in dispregio d'illustri principi osa trattare da spurio don Alfonso d'Este, figlio di Alfonso I duca di Ferrara, e padre del duca Cesare: cosa non mai sognata, non che pretesa, dai camerali romani, per essere una evidente menzogna e calunnia. Questo ? un impiegare l'ingegno e il tempo non gi? in difesa, ma in obbrobrio della sacra corte di Roma, la quale per altro non potr? mai approvare chi con disordinate pretensioni, e fin colla calunnia, prende a combattere per lei.

TAVOLE CRONOLOGICHE

E INDICE DELLE MATERIE

TAVOLA CRONOLOGICA DEI CONSOLI ORDINARII

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