Read Ebook: Orlando innamorato by Boiardo Matteo Maria
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Ebook has 4503 lines and 240098 words, and 91 pages
Orlando innamorato
Libro primo
Canto primo
Signori e cavallier che ve adunati Per odir cose dilettose e nove, Stati attenti e qu?eti, ed ascoltati La bella istoria che 'l mio canto muove; E vedereti i gesti smisurati, L'alta fatica e le mirabil prove Che fece il franco Orlando per amore Nel tempo del re Carlo imperatore.
Non vi par gi?, signor, meraviglioso Odir cantar de Orlando inamorato, Ch? qualunche nel mondo ? pi? orgoglioso, ? da Amor vinto, al tutto subiugato; N? forte braccio, n? ardire animoso, N? scudo o maglia, n? brando affilato, N? altra possanza pu? mai far diffesa, Che al fin non sia da Amor battuta e presa.
Questa novella ? nota a poca gente, Perch? Turpino istesso la nascose, Credendo forse a quel conte valente Esser le sue scritture dispettose, Poi che contra ad Amor pur fu perdente Colui che vinse tutte l'altre cose: Dico di Orlando, il cavalliero adatto. Non pi? parole ormai, veniamo al fatto.
La vera istoria di Turpin ragiona Che regnava in la terra de or?ente, Di l? da l'India, un gran re di corona, Di stato e de ricchezze s? potente E s? gagliardo de la sua persona, Che tutto il mondo stimava n?ente: Gradasso nome avea quello amirante, Che ha cor di drago e membra di gigante.
E s? come egli avviene a' gran signori, Che pur quel voglion che non ponno avere, E quanto son difficult? maggiori La des?ata cosa ad ottenere, Pongono il regno spesso in grandi errori, N? posson quel che voglion possedere; Cos? bramava quel pagan gagliardo Sol Durindana e 'l bon destrier Baiardo.
Unde per tutto il suo gran tenitoro Fece la gente ne l'arme asembrare, Ch? ben sapeva lui che per tesoro N? il brando, n? il corsier puote acquistare; Duo mercadanti erano coloro Che vendean le sue merce troppo care: Per? destina di passare in Franza Ed acquistarle con sua gran possanza.
Cento cinquanta millia cavallieri Elesse di sua gente tutta quanta; N? questi adoperar facea pensieri, Perch? lui solo a combatter se avanta Contra al re Carlo ed a tutti guerreri Che son credenti in nostra fede santa; E lui soletto vincere e disfare Quanto il sol vede e quanto cinge il mare.
Lassiam costor che a vella se ne vano, Che sentirete poi ben la sua gionta; E ritornamo in Francia a Carlo Mano, Che e soi magni baron provede e conta; Imper? che ogni principe cristiano, Ogni duca e signore a lui se afronta Per una giostra che aveva ordinata Allor di maggio, alla pasqua rosata.
Erano in corte tutti i paladini Per onorar quella festa gradita, E da ogni parte, da tutti i confini Era in Parigi una gente infinita. Eranvi ancora molti Saracini, Perch? corte reale era bandita, Ed era ciascaduno assigurato, Che non sia traditore o rinegato.
Per questo era di Spagna molta gente Venuta quivi con soi baron magni: Il re Grandonio, faccia di serpente, E Feraguto da gli occhi griffagni; Re Balugante, di Carlo parente, Isolier, Serpentin, che f?r compagni. Altri vi f?rno assai di grande afare, Come alla giostra poi ve avr? a contare.
Parigi risuonava de instromenti, Di trombe, di tamburi e di campane; Vedeansi i gran destrier con paramenti, Con foggie disusate, altiere e strane; E d'oro e zoie tanti adornamenti Che nol potrian contar le voci umane; Per? che per gradir lo imperatore Ciascuno oltra al poter si fece onore.
Gi? se apressava quel giorno nel quale Si dovea la gran giostra incominciare, Quando il re Carlo in abito reale Alla sua mensa fece convitare Ciascun signore e baron naturale, Che venner la sua festa ad onorare; E f?rno in quel convito li assettati Vintiduo millia e trenta annumerati.
Re Carlo Magno con faccia ioconda Sopra una sedia d'?r tra' paladini Se fu posato alla mensa ritonda: Alla sua fronte f?rno e Saracini, Che non volsero usar banco n? sponda, Anzi sterno a giacer come mastini Sopra a tapeti, come ? lor usanza, Sprezando seco il costume di Franza.
A destra ed a sinistra poi ordinate F?rno le mense, come il libro pone: Alla prima le teste coronate, Uno Anglese, un Lombardo ed un Bertone, Molto nomati in la Cristianitate, Otone e Desiderio e Salamone; E li altri presso a lor di mano in mano, Secondo il pregio d'ogni re cristiano.
Alla seconda f?r duci e marchesi, E ne la terza conti e cavallieri. Molto f?rno onorati e Magancesi, E sopra a tutti Gaino di Pontieri. Rainaldo avea di foco gli occhi accesi, Perch? quei traditori, in atto altieri, L'avean tra lor ridendo assai beffato, Perch? non era come essi adobato.
Pur nascose nel petto i pensier caldi, Mostrando nella vista allegra fazza; Ma fra se stesso diceva: "Ribaldi, S'io vi ritrovo doman su la piazza, Vedr? come stareti in sella saldi, Gente asinina, maledetta razza, Che tutti quanti, se 'l mio cor non erra, Spero gettarvi alla giostra per terra."
Re Balugante, che in viso il guardava, E divinava quasi il suo pensieri, Per un suo trucimano il domandava, Se nella corte di questo imperieri Per robba, o per virtute se onorava: Acci? che lui, che quivi ? forestieri, E de' costumi de' Cristian digiuno, Sapia l'onor suo render a ciascuno.
Rise Rainaldo, e con benigno aspetto Al messagier diceva: - Raportate A Balugante, poi che egli ha diletto De aver le gente cristiane onorate, Ch'e giotti a mensa e le puttane in letto Sono tra noi pi? volte acarezate; Ma dove poi conviene usar valore, Dasse a ciascun il suo debito onore. -
Mentre che stanno in tal parlar costoro, Sonarno li instrumenti da ogni banda; Ed ecco piatti grandissimi d'oro, Coperti de finissima vivanda; Coppe di smalto, con sotil lavoro, Lo imperatore a ciascun baron manda. Chi de una cosa e chi d'altra onorava, Mostrando che di lor si racordava.
Quivi si stava con molta allegrezza, Con parlar basso e bei ragionamenti: Re Carlo, che si vidde in tanta altezza, Tanti re, duci e cavallier valenti, Tutta la gente pagana disprezza, Come arena del mar denanti a i venti; Ma nova cosa che ebbe ad apparire, Fe' lui con gli altri insieme sbigotire.
Per? che in capo della sala bella Quattro giganti grandissimi e fieri Intrarno, e lor nel mezo una donzella, Che era segu?ta da un sol cavallieri. Essa sembrava matutina stella E giglio d'orto e rosa de verzieri: In somma, a dir di lei la veritate, Non fu veduta mai tanta beltate.
Era qui nella sala Galerana, Ed eravi Alda, la moglie de Orlando, Clarice ed Ermelina tanto umana, Ed altre assai, che nel mio dir non spando, Bella ciascuna e di virt? fontana. Dico, bella parea ciascuna, quando Non era giunto in sala ancor quel fiore, Che a l'altre di belt? tolse l'onore.
Ogni barone e principe cristiano In quella parte ha rivoltato il viso, N? rimase a giacere alcun pagano; Ma ciascun d'essi, de stupor conquiso, Si fece a la donzella prossimano; La qual, con vista allegra e con un riso Da far inamorare un cor di sasso, Incominci? cos?, parlando basso:
- Magnanimo segnor, le tue virtute E le prodezze de' toi paladini, Che sono in terra tanto cognosciute, Quanto distende il mare e soi confini, Mi dan speranza che non sian perdute Le gran fatiche de duo peregrini, Che son venuti dalla fin del mondo Per onorare il tuo stato giocondo.
Ed acci? ch'io ti faccia manifesta, Con breve ragionar, quella cagione Che ce ha condotti alla tua real festa, Dico che questo ? Uberto dal Leone, Di gentil stirpe nato e d'alta gesta, Cacciato del suo regno oltra ragione: Io, che con lui insieme fui cacciata, Son sua sorella, Angelica nomata.
Sopra alla Tana ducento giornate, Dove reggemo il nostro tenitoro, Ce f?r di te le novelle aportate, E della giostra e del gran concistoro Di queste nobil gente qui adunate; E come n? citt?, gemme o tesoro Son premio de virtute, ma si dona Al vincitor di rose una corona.
Per tanto ha il mio fratel deliberato, Per sua virtute quivi dimostrare, Dove il fior de' baroni ? radunato, Ad uno ad un per giostra contrastare: O voglia esser pagano o battizato, Fuor de la terra lo venga a trovare, Nel verde prato alla Fonte del Pino, Dove se dice al Petron di Merlino.
Ma fia questo con tal condiz?one : Ciascun che sia abattuto de lo arcione, Non possa in altra forma repugnare, E senza pi? contesa sia pregione; Ma chi potesse Uberto scavalcare, Colui guadagni la persona mia: Esso andar? con suoi giganti via. -
Al fin delle parole ingenocchiata Davanti a Carlo attendia risposta. Ogni om per meraviglia l'ha mirata, Ma sopra tutti Orlando a lei s'accosta Col cor tremante e con vista cangiata, Bench? la volunt? ten?a nascosta; E talor gli occhi alla terra bassava, Ch? di se stesso assai si vergognava.
"Ahi paccio Orlando!" nel suo cor dicia "Come te lasci a voglia trasportare! Non vedi tu lo error che te desvia, E tanto contra a Dio te fa fallare? Dove mi mena la fortuna mia? Vedome preso e non mi posso aitare; Io, che stimavo tutto il mondo nulla, Senza arme vinto son da una fanciulla.
Io non mi posso dal cor dipartire La dolce vista del viso sereno, Perch'io mi sento senza lei morire, E il spirto a poco a poco venir meno. Or non mi val la forza, n? lo ardire Contra d'Amor, che m'ha gi? posto il freno; N? mi giova saper, n? altrui consiglio, Ch'io vedo il meglio ed al peggior m'appiglio."
Cos? tacitamente il baron franco Si lamentava del novello amore. Ma il duca Naimo, ch'? canuto e bianco, Non avea gi? de lui men pena al core, Anci tremava sbigotito e stanco, Avendo perso in volto ogni colore. Ma a che dir pi? parole? Ogni barone Di lei si accese, ed anco il re Carlone.
Stava ciascuno immoto e sbigottito, Mirando quella con sommo diletto; Ma Feraguto, il giovenetto ardito, Sembrava vampa viva nello aspetto, E ben tre volte prese per partito Di torla a quei giganti al suo dispetto, E tre volte afren? quel mal pensieri Per non far tal vergogna allo imperieri.
Or su l'un piede, or su l'altro se muta, Grattasi 'l capo e non ritrova loco; Rainaldo, che ancor lui l'ebbe veduta, Divenne in faccia rosso come un foco; E Malagise, che l'ha cognosciuta, Dicea pian piano: "Io ti far? tal gioco, Ribalda incantatrice, che giamai De esser qui stata non te vantarai."
Re Carlo Magno con lungo parlare Fe' la risposta a quella damigella, Per poter seco molto dimorare. Mira parlando e mirando favella, N? cosa alcuna le puote negare, Ma ciascuna domanda li suggella Giurando de servarle in su le carte: Lei coi giganti e col fratel si parte.
Non era ancor della citade uscita, Che Malagise prese il suo quaderno: Per saper questa cosa ben compita Quattro demonii trasse dello inferno. Oh quanto fu sua mente sbigotita! Quanto turbosse, Iddio del celo eterno! Poi che cognobbe quasi alla scoperta Re Carlo morto e sua corte deserta.
Per? che quella che ha tanta beltade, Era figliola del re Galifrone, Piena de inganni e de ogni falsitade, E sapea tutte le incantaz?one. Era venuta alle nostre contrade, Ch? mandata l'avea quel mal vecchione Col figliol suo, ch'avea nome Argalia, E non Uberto, come ella dicia.
Al giovenetto avea dato un destrieri Negro quanto un carbon quando egli ? spento, Tanto nel corso veloce e leggieri, Che gi? pi? volte avea passato il vento; Scudo, corazza ed elmo col cimieri, E spada fatta per incantamento; Ma sopra a tutto una lancia dorata, D'alta ricchezza e pregio fabricata.
Or con queste arme il suo patre il mand?, Stimando che per quelle il sia invincibile, Ed oltra a questo uno anel li don? Di una virt? grandissima, incredibile, Avengach? costui non lo adopr?; Ma sua virt? facea l'omo invisibile, Se al manco lato in bocca se portava: Portato in dito, ogni incanto guastava.
Ma sopra a tutto Angelica polita Volse che seco in compagnia ne andasse, Perch? quel viso, che ad amare invita, Tutti i baroni alla giostra tirasse, E poi che per incanto alla finita Ogni preso barone a lui portasse: Tutti legati li v?l nelle mane Re Galifrone, il maledetto cane.
Cos? a Malagise il dimon dicia, E tutto il fatto gli avea rivelato. Lasciamo lui: torniamo a l'Argalia, Che al Petron di Merlino era arivato. Un pavaglion sul prato distendia, Troppo mirabilmente lavorato; E sotto a quello se pose a dormire, Ch? di posarse avea molto desire.
Angelica, non troppo a lui lontana, La bionda testa in su l'erba posava, Sotto il gran pino, a lato alla fontana: Quattro giganti sempre la guardava. Dormendo, non parea gi? cosa umana, Ma ad angelo del cel rasomigliava. Lo annel del suo germano aveva in dito, Della virt? che sopra aveti odito.
Or Malagise, dal demon portato, Tacitamente per l'aria veniva; Ed ecco la fanciulla ebbe mirato Giacer distesa alla fiorita riva; E quei quattro giganti, ogniuno armato, Guardano intorno e gi? n?un dormiva. Malagise dicea: "Brutta canaglia, Tutti vi pigliar? senza battaglia.
Non vi valeran mazze, n? catene, N? vostri dardi, n? le spade torte; Tutti dormendo sentirete pene, Come castron balordi avreti morte." Cos? dicendo, pi? non si ritiene: Piglia il libretto e getta le sue sorte, N? ancor aveva il primo foglio v?lto, Che gi? ciascun nel sonno era sepolto.
Esso dapoi se accosta alla donzella E pianamente tira for la spada, E veggendola in viso tanto bella Di ferirla nel collo indugia e bada. L'animo volta in questa parte e in quella, E poi disse: "Cos? convien che vada: Io la far? per incanto dormire, E pigliar? con seco il mio desire."
Pose tra l'erba gi? la spada nuda, Ed ha pigliato il suo libretto in mano; Tutto lo legge, prima che lo chiuda. Ma che li vale? Ogni suo incanto ? vano, Per la potenzia dello annel s? cruda. Malagise ben crede per certano Che non si possa senza lui svegliare, E cominciolla stretta ad abbracciare.
La damisella un gran crido mettia: - Tapina me, ch'io sono abandonata! - Ben Malagise alquanto sbigotia, Veggendo che non era adormentata. Essa, chiamando il fratello Argalia, Lo ten?a stretto in braccio tutta fiata; Argalia sonacchioso se sveglione, E disarmato usc? del pavaglione.
Subitamente che egli ebbe veduto Con la sorella quel cristian gradito, Per novit? gli fu il cor s? caduto, Che non fu de appressarse a loro ardito. Ma poi che alquanto in s? fu rivenuto, Con un troncon di pin l'ebbe assalito, Gridando: - Tu sei morto, traditore, Che a mia sorella fai tal disonore. -
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