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Read Ebook: Orlando innamorato by Boiardo Matteo Maria

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Ebook has 4503 lines and 240098 words, and 91 pages

Subitamente che egli ebbe veduto Con la sorella quel cristian gradito, Per novit? gli fu il cor s? caduto, Che non fu de appressarse a loro ardito. Ma poi che alquanto in s? fu rivenuto, Con un troncon di pin l'ebbe assalito, Gridando: - Tu sei morto, traditore, Che a mia sorella fai tal disonore. -

Essa gridava: - Legalo, germano, Prima ch'io il lasci, che egli ? nigromante; Ch?, se non fosse l'annel che aggio in mano, Non son tue forze a pigliarlo bastante. - Per questo il giovenetto a mano a mano Corse dove dormiva un gran gigante, Per volerlo svegliar; ma non potea, Tanto lo incanto sconfitto il tenea.

Di qua, di l?, quanto pi? pu? il dimena; Ma poi che vede che indarno procaccia, Dal suo bastone ispicca una catena, E de tornare indrieto presto spaccia; E con molta fatica e con gran pena A Malagise lega ambe le braccia, E poi le gambe e poi le spalle e il collo: Da capo a piede tutto incatenollo.

Come lo vide ben esser legato, Quella fanciulla li cercava in seno; Presto ritrova il libro consecrato, Di cerchi e de demonii tutto pieno. Incontinenti l'ebbe diserrato; E nello aprir, n? in pi? tempo, n? in meno, Fu pien de spirti e celo e terra e mare, Tutti gridando: - Che v?i comandare? -

Ella rispose: - Io voglio che portate Tra l'India e Tartaria questo prigione, Dentro al Cataio, in quella gran citate, Ove regna il mio padre Galafrone; Dalla mia parte ce lo presentate, Ch? di sua presa io son stata cagione, Dicendo a lui che, poi che questo ? preso, Tutti gli altri baron non curo un ceso. -

Al fin delle parole, o in quello instante, Fu Malagise per l'aere portato, E, presentato a Galafrone avante, Sotto il mar dentro a un scoglio impregionato. Angelica col libro a ogni gigante Discaccia il sonno ed ha ciascun svegliato. Ogn'om strenge la bocca ed alcia il ciglio, Forte ammirando il passato periglio.

Mentre che qua f?r fatte queste cose, Dentro a Parigi fu molta tenzone, Per? che Orlando al tutto se dispose Essere in giostra il primo camp?one; Ma Carlo imperatore a lui rispose Che non voleva e non era ragione; E gli altri ancora, perch? ogni om se estima, A quella giostra volean gire in prima.

Orlando grandemente avea temuto Che altrui non abbia la donna acquistata, Perch?, come il fratello era abattuto, Doveva al vincitore esser donata. Lui de vittoria sta sicuro e tuto, E gi? li pare averla guadagnata; Ma troppo gli rencresce lo aspettare, Ch? ad uno amante una ora uno anno pare.

Fu questa cosa nella real corte Tra il general consiglio essaminata; Ed avendo ciascun sue ragion p?rte, Fu statuita al fine e terminata, Che la vicenda se ponesse a sorte; Ed a cui la ventura sia mandata D'essere il primo ad acquistar l'onore, Quel possa uscire alla giostra di fore.

Onde fu il nome de ogni paladino Subitamente scritto e separato; Ciascun segnor, cristiano e saracino, Ne l'orna d'oro il suo nome ha gettato; E poi ferno venire un fanciullino Che i breve ad uno ad uno abbia levato. Senza pensare il fanciullo uno afferra; La lettra dice: Astolfo de Anghilterra.

Dopo costui fu tratto Feraguto, Rainaldo il terzo, e il quarto fu Dudone; E poi Grandonio, quel gigante arguto, L'un presso all'altro, e Belengiere e Otone; Re Carlo dopo questi ? for venuto; Ma per non tenir pi? lunga tenzone, Prima che Orlando ne f?r tratti trenta: Non vi vo' dir se lui se ne tormenta.

Il giorno se calava in ver la sera, Quando di trar le sorte fu compito. Il duca Astolfo con la mente altiera Dimanda l'arme, e non fu sbigottito, Bench? la notte viene e il cel se anera. Esso parlava, s? come omo ardito, Che in poco d'ora finir? la guerra, Gettando Oberto al primo colpo in terra.

Segnor, sappiate ch'Astolfo lo Inglese Non ebbe di bellezze il simigliante; Molto fu ricco, ma pi? fu cortese, Leggiadro e nel vestire e nel sembiante. La forza sua non vedo assai palese, Ch? molte fiate cadde del ferrante. Lui suolea dir che gli era per sciagura, E tornava a cader senza paura.

Or torniamo a la istoria. Egli era armato, Ben valeano quelle arme un gran tesoro; Di grosse perle il scudo ? circondato, La maglia che se vede ? tutta d'oro; Ma l'elmo ? di valore ismesurato Per una zoia posta in quel lavoro, Che, se non mente il libro de Turpino, Era quanto una noce, e fu un rubino.

Il suo destriero ? copertato a pardi, Che sopraposti son tutti d'?r fino. Soletto ne usc? fuor senza riguardi, Nulla temendo se pose in camino. Era gi? poco giorno e molto tardi, Quando egli gionse al Petron di Merlino; E ne la gionta pose a bocca il corno, Forte suonando, il cavalliero adorno.

Odendo il corno, l'Argalia levosse, Ch? giacea al fonte la persona franca, E de tutte arme subito adobosse Da capo a piedi, che nulla gli manca; E contra Astolfo con ardir se mosse, Coperto egli e il destrier in vesta bianca, Col scudo in braccio e quella lancia in mano Che ha molti cavallier gi? messi al piano.

Ciascun se salut? cortesemente, E f?r tra loro e patti rinovati, E la donzella l? venne presente. E poi si f?rno entrambi dilungati, L'un contra l'altro torna parimente, Coperti sotto a i scudi e ben serrati; Ma come Astolfo fu tocco primero, Volt? le gambe al loco del cimero.

Disteso era quel duca in sul sabbione, E crucioso dicea: - Fortuna fella, Tu me e' nemica contra a ogni ragione: Questo fu pur diffetto della sella. Negar nol p?i; ch? s'io stavo in arcione, Io guadagnavo questa dama bella. Tu m'hai fatto cadere, egli ? certano, Per far onore a un cavallier pagano. -

Quei gran giganti Astolfo ebber pigliato, E lo menarno dentro al pavaglione; Ma quando fu de l'arme dispogliato, La damisella nel viso il guardone, Nel quale era s? vago e delicato, Che quasi ne pigli? compass?one; Unde per questo lo fece onorare, Per quanto onore a pregion si pu? fare.

Stava disciolto, senza guardia alcuna, Ed intorno alla fonte solacciava; Angelica nel lume della luna, Quanto potea nascoso, lo amirava; Ma poi che fu la notte oscura e bruna, Nel letto incortinato lo posava. Essa col suo fratello e coi giganti Facea la guardia al pavaglion davanti.

Poco lume mostrava ancor il giorno, Che Feraguto armato fu apparito, E con tanta tempesta suona il corno, Che par che tutto il mondo sia finito; Ogni animal che quivi era d'intorno Fuggia da quel rumore isbigotito: Solo Argalia de ci? non ha paura, Ma salta in piede e veste l'armatura.

L'elmo affatato il giovanetto franco Presto se allaccia, e monta in sul corsieri; La spada ha cinto dal sinistro fianco, E scudo e lancia e ci? che fa mistieri. Rabicano, il destrier, non mostra stanco, Anzi va tanto sospeso e leggieri, Che ne l'arena, dove pone il piede, Signo di pianta ponto non si vede.

Con gran voglia lo aspetta Feraguto, Ch? ad ogni amante incresce lo indugiare; E per?, come prima l'ha veduto, Non fece gi? con lui lungo parlare; Mosso con furia e senza altro saluto, Con l'asta a resta lo venne a scontrare; Crede lui certo, e faria sacramento, Aver la bella dama a suo talento.

Ma come prima la lancia il tocc?, Nel core e nella faccia isbigot?; Ogni sua forza in quel punto manc?, E lo animoso ardir da lui part?; Tal che con pena a terra trabucc?, N? sa in quel punto se gli ? notte o d?. Ma come prima a l'erba fu disteso, Torn? il vigore a quello animo acceso.

Amore, o giovenezza, o la natura Fan spesso altrui ne l'ira esser leggiero. Ma Feraguto amava oltra misura; Giovanetto era e de animo s? fiero, Che a praticarlo egli era una paura; Piccola cosa gli facea mestiero A volerlo condur con l'arme in mano, Tanto ? crucioso e di cor subitano.

Ira e vergogna lo lev?r di terra, Come caduto fu, subitamente. Ben se apparecchia a vendicar tal guerra, N? si ricorda del patto n?ente; Trasse la spada, ed a pi? se disserra Ver lo Argalia, battendo dente a dente. Ma lui diceva: - Tu sei mio pregione, E me contrasti contro alla ragione. -

Feraguto il parlar non ha ascoltato, Anci ver lui ne andava in abandono. Ora i giganti, che stavano al prato, Tutti levati con l'arme se sono, E s? terribil grido han fuor mandato, Che non se od? giamai s? forte trono , E trem? il prato intorno a lor due miglia.

A questi se voltava Feraguto, E non credeti che sia spaventato. Colui che vien davanti ? il pi? membruto, E fu chiamato Argesto smisurato; L'altro nomosse Lampordo il veluto, Perch? piloso ? tutto in ogni lato; Urgano il terzo per nome si spande, Turlone il quarto, e trenta piedi ? grande.

Lampordo nella gionta lanci? un dardo, Che se non fosse, come era, fatato, Al primo colpo il cavallier gagliardo Morto cadea, da quel dardo passato. Mai non fu visto can levrer, n? pardo, N? alcun groppo di vento in mar turbato, Cos? veloci, n? dal cel saetta, Qual Feraguto a far la sua vendetta.

Giunse al gigante in lo destro gallone, Che tutto lo tagli?, come una pasta, E rene e ventre, insino al petignone; N? de aver fatto il gran colpo li basta, Ma mena intorno il brando per ragione, Perch? ciascun de' tre forte il contrasta. L'Argalia solo a lui non d? travaglia, Ma sta da parte e guarda la battaglia.

Fie' Feraguto un salto smisurato: Ben vinti piedi ? verso il cel salito; Sopra de Urgano un tal colpo ha donato, Che 'l capo insino a i denti gli ha partito. Ma mentre che era con questo impacciato, Argesto nella coppa l'ha ferito D'una mazza ferrata, e tanto il tocca, Che il sangue gli fa uscir per naso e bocca.

Esso per questo pi? divenne fiero, Come colui che fu senza paura, E messe a terra quel gigante altiero, Partito dalle spalle alla cintura. Alor fu gran periglio al cavalliero, Perch? Turlon, che ha forza oltra misura, Stretto di drieto il prende entro alle braccia, E di portarlo presto se procaccia.

Ma fosse caso, o forza del barone, Io no 'l so dir, da lui fu dispiccato. Il gran gigante ha di ferro un bastone, E Feraguto il suo brando afilato. Di novo si comincia la tenzone: Ciascuno a un tratto il suo colpo ha menato, Con maggior forza assai ch'io non vi dico; Ogni om ben crede aver c?lto il nemico.

Non fu di quelle botte alcuna cassa, Ch? quel gigante con forza rubesta Giunselo in capo e l'elmo gli fraccassa, E tutta quanta disarm? la testa; Ma Feraguto con la spada bassa Mena un traverso con molta tempesta Sopra alle gambe coperte di maglia, Ed ambedue a quel colpo le taglia.

L'un mezo morto, e l'altro tramortito Quasi ad un tratto cascarno sul prato. Smonta l'Argalia e con animo ardito Ha quel barone alla fonte portato, E con fresca acqua l'animo stordito A poco a poco gli ebbe ritornato; E poi volea menarlo al pavaglione, Ma Feraguto niega esser pregione.

- Che aggio a fare io, se Carlo imperatore Con Angelica il patto ebbe a firmare? Son forsi il suo vasallo o servitore, Che in suo decreto me possa obligare? Teco venni a combatter per amore, E per la tua sorella conquistare: Aver la voglio, o ver morire al tutto. - Queste parole dicea Feragutto.

A quel rumore Astolfo se ? levato, Che sino alora ancor forte dormia, N? il crido de' giganti l'ha svegliato Che tutta fe' tremar la prataria. Veggendo i duo baroni a cotal piato, Tra lor con parlar dolce se mettia, Cercando de volerli concordare: Ma Feraguto non v?le ascoltare.

Dicea l'Argalia: - Ora non vedi, Franco baron, che tu sei disarmato? Forse che de aver l'elmo in capo credi? Quello ? rimaso in sul campo spezzato. Or fra te stesso iudica, e provedi Se v?i morire, o v?i esser pigliato: Che stu combatti avendo nulla in testa, Tu in pochi colpi finira' la festa. -

Rispose Feraguto: - E' mi d? il core, Senza elmo, senza maglia e senza scudo, Aver con teco di guerra l'onore; Cos? mi vanto di combatter nudo Per acquistare il desiato amore. - Cotal parole usava il baron drudo, Per? ch'Amor l'avea posto in tal loco, Che per colei s'ar?a gettato in foco.

L'Argalia forte in mente si turbava, Vedendo che costui s? poco il stima Che nudo alla battaglia lo sfidava, N? alla seconda guerra n? alla prima, Preso due volte, lo orgoglio abassava, Ma de superbia pi? montava in cima; E disse: - Cavallier, tu cerchi rogna: Io te la grattar?, ch? 'l ti bisogna.

Monta a cavallo ed usa tua bontade, Ch?, come digno sei, te avr? trattato; N? aver speranza ch'io te usi pietade, Perch'io ti vegga il capo disarmato. Tu cerchi lo mal giorno in veritade, Facciote certo che l'avrai trovato; Diffendite se p?i, mostra tuo ardire, Ch? incontinente ti convien morire. -

Ridea Feraguto a quel parlare, Come di cosa che il stimi n?ente. Salta a cavallo e senza dimorare Diceva: - Ascolta, cavallier valente: Se la sorella tua mi v?i donare, Io non te offender? veracemente; Se ci? non fai, io non ti mi nascondo, Presto serai di quei de l'altro mondo. -

Tanto fu vinto de ira l'Argalia, Odendo quel parlar che ? s? arrogante, Che fur?oso in sul destrier salia, E con voce superba e minacciante Ci? che dicesse nulla se intendia. Trasse la spada e sprona lo aferante, N? se ricorda de l'asta pregiata, Che al tronco del gran pin stava apoggiata.

Cos? cruciati con le spade in mano Ambi co 'l petto de' corsieri urtaro. Non ? nel mondo baron s? soprano, Che non possan costor star seco al paro. Se fosse Orlando e il sir de Montealbano, Non vi ser?a vantaggio n? divaro; Per? un bel fatto potreti sentire, Se l'altro canto tornareti a odire.

Canto secondo

Io vi cantai, segnor, come a battaglia Eran condotti con molta arroganza Argalia, il forte cavallier di vaglia, E Feraguto, cima di possanza. L'uno ha incantata ogni sua piastra e maglia, L'altro ? fatato, fuor che nella panza; Ma quella parte d'acciarro ? coperta Con vinte piastre, quest'? cosa certa.

Chi vedesse nel bosco duo leoni Turbati, ed a battaglia insieme appresi, O chi odisse ne l'aria duo gran troni Di tempeste, rumore e fiamma accesi, Nulla sarebbe a mirar quei baroni, Che tanto crudelmente se hanno offesi; Par che il celo arda e il mondo a terra vada, Quando se incontra l'una e l'altra spada.

E' si feriano insieme a gran furore, Guardandosi l'un l'altro in vista cruda; E credendo ciascuno esser megliore Trema per ira, e per affanno suda. Or lo Argalia con tutto suo valore Fer? il nemico in su la testa nuda, E ben si crede senza dubitanza Aver finita a quel colpo la danza.

Ma poi che vidde il suo brando polito Senza alcun sangue ritornar al celo, Per meraviglia fu tanto smarito Che in capo e in dosso se li aricci? il pelo. In questo Feraguto l'ha assalito; Ben crede fender l'arme come un gelo, E crida: - Ora a Macon ti raccomando, Ch? a questo colpo a star con lui ti mando. -

Cos? dicendo, quel barone aitante Ferisce ad ambe man con forza molta; Se stato fosse un monte de diamante, Tutto l'avria tagliato in quella volta. L'elmo affatato a quel brando troncante Ogni possanza di tagliare ha tolta. Se Ferag? turbosse, io non lo scrivo; Per gran stupor non sa se ? morto o vivo.

Ma poi che ciascadun fu dimorato Tacito alquanto, senza colpezare , L'Argalia prima a Ferrag? dricciato Disse: - Barone, io ti vo' palesare, Che tutte le arme che ho, da capo e piedi, Sono incantate, quante tu ne vedi.

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