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Read Ebook: Il fiume Bianco e i Dénka: Memorie by Beltrame G Gianni

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Ebook has 431 lines and 71849 words, and 9 pages

IL FIUME BIANCO E I D?NKA

PUBBLICATE PER CURA DEL R. ISTITUTO VENETO DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI

NELL'OCCASIONE DEL CONGRESSO INTERNAZIONALE GEOGRAFICO IN VENEZIA

A' MIEI LETTORI

N? voglio darmi a credere che molte cose non sieno state, o non sieno per essere giustamente censurate. Lo so che non ? possibile scrivere un libro e mettersi cos? in relazione diretta con tante persone per bene senza che vi si trovino cose degne di nota. Ma questo posso dire ch'io cercai sempre la verit?. I miei giudizi e i miei apprezzamenti possono essere erronei, ma sono sinceri.

Spero quindi che anche questo povero mio lavoro non riuscir? discaro; e dico lo spero, perch? eziandio la lode delle persone, ammodo s'intende, ? uno sprone per tutti, che fa sopportar con piacere il sacrificio e durar la fatica con tanto di cuore.

Verona, 30 aprile 1881.

G. BELTRAME.

Mi recai per la seconda volta in Africa sullo scorcio del 1857 coi missionari Francesco Oliboni, Angelo Melotto, Alessandro Dal Bosco, Daniele Comboni, e con un artigiano, Isidoro Zili.

Quindi il fiume si divide in pi? bracci che par che spacchino la foresta, formando varie e graziose isolette ombreggiate, come le rive, da acacie, da mimose, da tamarindi e da altre piante.

Io volli internarmi nella foresta per osservarla da vicino; ed oh! quanto grande e potente ? lo scheletro di quella generazione, i cui Nestori abbarbicati nel terreno primevo con tante radici serpentine e nodose inalzano il loro fusto ramoso, quasi a contendere lo spazio al cielo! e intorno ad essi cento piante serpeggianti s'avviticchiano, si arrampicano e danzano, per cos? dire, vagamente cadendo dalle loro cime in modo da lasciar qualche volta nel mezzo uno spazio vuoto e rotondo impenetrabile ai raggi del sole, ove gran parte della notte trovan rifugio le gazzelle, i bufali, gli elefanti, il leone, il leopardo, la pantera, che s'appressano al fiume per dissetarsi; e sulle cui braccia erculee riposano tranquilli gli avolt?i rapaci e le aquile, i papagalli dalle verdi piume, le timide tortorelle, le cicogne nere, le galline faraone e una quantit? d'altri svariati uccelli. -- E il mattino! oh! come qui ? bello il mattino! -- La luce dei primi raggi del sole saluta ridente le cime degli alberi e le sprazza minutissima e le indora; si agglomera e si condensa intorno alle loro chiome eleganti; si arriccia e si velluta nelle foglie pubescenti e pelose; si acciglia e s'ottenebra fra i rami stipati; s'inceppa nelle reti delle piante parassite, e si nasconde fra i mille labirinti de' cespugli ramosi, dipingendo con la tavolozza pi? feconda e capricciosa i figli prediletti della flora africana. -- S'ode frattanto qualche muggh?o lontano delle fiere che si addentrano nella foresta. -- E lungo il fiume su quell'onda di foglie disegnata dalle cime degli alberi si veggono navigare le scimmie coi loro nati in seno, percorrendo grandi distanze senza discendere mai al suolo; e sotto quegli alberi, una quantit? di gazzelle e d'altre antilopi di forme le pi? leggiadre brucano l'erba rugiadosa e saltellano festose nella libera e palesemente gaia loro vita; mentre stormi di grossi uccelli vanno e vengono fra l' una e l'altra riva del fiume; e qua e l? gloterano le cicogne, e rotano in alto gli avolt?i e le aquile intorno a centinaia di tortorelle che amoreggiano giulive tra le piante; e ovunque una infinit? di volatili d'ogni specie. Tutto canta, tutto gruga, tutto chiocchiola, tutto pigola; per tutto si sente frullo d'ali, per tutto c'? vita e armonia. -- Oh! quanto solenni, nel mattino, sono i primi fremiti della foresta che risente la vita! -- Ma a misura che s'alza il sole, la delicatezza delle prime tinte svanisce in un immenso chiarore che ricopre come d'un bianco velo le bellezze di questa natura selvaggia, i quadrupedi si rintanano o si posano all'ombra d'alberi annosi, e tace il canto degli augelli fin verso sera. -- <> finch? sotto gli ultimi raggi del sole che cade, le varie tinte de' colori di cui s'adornano le piante e il movimento de' volatili che cercano un luogo per riposarsi la notte, par che ridonino alla foresta la vita del mattino.... ma una vita che tosto muore, come l'ultima scintilla del lucignolo che sta per ispegnersi.

La foresta continua a fiancheggiare le rive del fiume e a presentar sempre nuove scene.

Mi tormenterei invano se volessi esprimere con parole le varie emozioni che provai viaggiando in un paese a me fino allora sconosciuto, di cui avevo letto e avevo udito narrare mille cose bizzarre e stravaganti. Dir? solo che inoltrarsi in un tal paese e spaziare collo sguardo avidamente da ogni parte; trovare un pascolo continuo alla curiosit? in tutto ci? che cade sott'occhio o giunge all'orecchio; gettare un oh!! di stupore a ogni tratto, e chiedere ogni momento a' barcaiuoli or questa or quella cosa; sentire che la mente a poco a poco si dilata e si rischiara; provarsi ad abbozzare un gruppo di gente che non si sa ancora a quale trib? appartenga e qual religione professi; sperare di veder presto la Croce di Cristo trionfar della loro barbarie traendo seco gloriosa la civilt?; e pensare di descrivere un giorno, o colla voce o colla stampa, tante cose a chi non le ha mai vedute o sentite... ? davvero il pi? vivo e il pi? vario dei diletti umani.

Uomini e donne hanno i capelli intrecciati; queste per? pongono uno studio maggiore nell'acconciarseli; e pezzetti d'ambra e di corallo, perline di vetro e cordoncini rossi si veggono qua e l? pendenti dare miglior risalto al nero dei loro capelli, i quali pel vecchio strato di grasso che li ricopre perdono, osservati da vicino, la grazia ed eleganza che mostrano veduti di lontano.

Le donne, e specialmente le ragazze, fanno a gara di spalmarsi il corpo con unguenti odorosi, e tengono in molto pregio gli anelli d'oro che si pongono per ornamento alle pinne del naso.

Le donne, in generale, sono piccine, ma belle assai; esse amano oltremodo la danza, che viene regolata da battute di mano e dal suono di un tamburone.

Questi Arabi sono gelosissimi di tutto ci? che succede nell'interno delle loro famiglie, delle quali essi non parlano mai. Per la qual cosa ? ignota del tutto al viaggiatore l'intima loro vita.

Il latrocinio ? il loro mestiere principale; essi fanno scorrerie nelle terre vicine dei Negri, raccolti in bande, a cavallo, armati, rubando quanto possono portare o trascinare, e ammazzando, per precauzione, quanti incontrano. Ci sono ladri speciali di biade, ladri di bestie bovine, ladri di fanciulli negri, ladri di mercato. Assaltano a cavallo per le strade, particolarmente le carovane; e in ci? sono artisti insuperabili. La loro bravura consiste pi? nella rapidit? che nell'accortezza, pi? nel non lasciarsi raggiungere che nel non lasciarsi vedere. Passano, afferrano e dispaiono senza dar tempo alla gente di riconoscerli. Sono furti a volo, fulminei, giochi di prestidigitazione equestre. E in ci? sono maestri persino i giovinetti di otto anni. Bisogna dire adunque che l'istruzione, che questi ricevono in argomento nelle loro famiglie, sia incessante, premurosa, e che incominci assai per tempo. -- Povere creature!!

Di questi loro gesti esprimenti un'azione qualunque, anche senza il concorso della parola, si potrebbe comporre un dizionario abbastanza lungo; ma io qui m'accontento di esporre un brevissimo saggio, che basti a dare un'idea generale del linguaggio mimico da essi praticato.

Il pi? leggiero pretesto d? origine tante volte a lotte le pi? lunghe e le pi? sanguinose fra trib? e trib?.

Una delle cause, e forse la pi? attiva, delle lotte che di quando in quando intraprendono le trib? del deserto, ? la sete ardente che tutti i popoli nomadi hanno del bottino. Guerra e bottino suonano presso loro la stessa cosa; essere vincitore vuol dire spartirsi la preda; vedere un Arabo tornare dal campo di battaglia coronato di gloria, ? vederlo ricco di montoni e di cammelli tolti al nemico. Insomma l'eroismo degli Arabi ? l'eroismo de' Cosacchi. Essi combattono a cavallo armati di lancia e di sciabola, sparpagliati, stuzzicando il nemico di fronte e dai lati, e tenendolo inquieto continuamente; uccidono il cavaliere per avere la sua giumenta; salvano s? stessi per assicurare la propria.

Havvi in ciascuna trib? una quantit? di giovani poveri, i quali ambiscono di far mostra del loro coraggio e di procacciarsi in tal maniera la dote che essi debbono, volendo sposarsi, offerire al padre della fidanzata, dote che generalmente consiste in un certo numero di capre, di pecore, di cammelle o d'altro.

Per questi giovani la guerra ? una buona fortuna; la loro suscettibilit? quindi per il punto d'onore non conosce confini; il pi? leggiero pretesto d? origine spesso a lotte le pi? tremende. Raro ? il caso che una trib? viva in pace per pi? di due anni senza che succeda alcuna infrazione delle leggi del deserto. I vecchi allora ne gioiscono, mentre s'incamminano senza inquietudine verso la tomba. Ma la giovent??... La giovent? s'agita, si lamenta, si dispera per tanta disgrazia; finch? sorge qualcuno fra i principali personaggi della trib?, rinomato per bravura ed esperienza delle cose di guerra, il quale approfittando della speciale condizione in cui trovansi gli spiriti irrequieti della giovent?, la chiama a s? e le dichiara ch'egli ? pronto a guidarla ovunque per derubare i vicini de' loro bestiami, per saccheggiare le carovane, per la tratta dei Negri.

Il Capo, in due o tre giorni, s'? formata una truppa di circa un migliaio d'uomini, e la campagna incomincia.

Da questo momento esploratori sono inviati qua e l? per investigare di nascosto ogni cosa; e il Capo sa minutamente quanto succede di giorno in giorno, di ora in ora, nel deserto e presso le trib? vicine. -- Viene egli a conoscere che gli uomini forti di una trib? sono partiti per la guerra o per la caccia? -- Egli si mette in marcia, sorprende le loro mandre guardate da piccoli fanciulli, le rapisce e dispare in un istante. -- ? stata veduta una carovana nel deserto? -- Egli dispone subito la sua gente a gruppi, e tutti se ne vanno silenziosi verso la carovana tenendo gli occhi sempre all'erta; e questi la precedono, quelli la fiancheggiano, altri la seguono a poca distanza, protetti dalle colline di sabbia che nascondono alla stessa il segreto dei loro passi. Il Capo frattanto e tutti i suoi bravi la spiano cautamente, contano le sue armi, ne studiano l'accampamento, osservano la maniera di allestire i cammelli; l'aspettano al varco, e allora, la sera o il mattino, quando mercanti, servi e cammellieri sono occupati a scaricare o a caricare le tende, le casse, il mobilio, la cucina, i viveri, le mercanzie, o nel momento che si prendono un po' di riposo, un po' di cibo, o appena desti dal sonno, gli Arabi, ad un cenno del loro Capo, si slanciano contro di loro, uccidono quanti si oppongono all'improvviso loro assalto e tutto portano via, non lasciando col? che un campo di morti.

I mercanti frattanto coi loro servi vivevano sicuri, tranquilli, allegri almanaccando intorno ai guadagni che speravano ricavare dal traffico delle loro mercanzie.

Tutti erano quieti nelle loro tende; solamente l'amico l'attendeva con qualche buona notizia; ma quando intese ci? ch'eragli avvenuto: ci siamo, sclam?; ora convien pensare a salvarci.

Ecco i due quesiti proposti: <

In guerra si difendono collo scudo che non ? altro che un telaio ovale, formato d'un legno flessibilissimo e traversato per lungo da un asse della medesima specie, sopra il quale essi stendono e fissano la pelle del dorso d'un'antilope. La sua larghezza ? circa di due piedi, e dai tre ai cinque l'altezza. La superficie esteriore ? convessa, e nel mezzo della parte opposta sta l'impugnatura. Sull'orlo poi superiore sono, per lo pi?, alcune tacche, delle quali si valgono per appoggiarvi l'asta della loro lancia e per dirigerne quindi meglio i loro colpi. Quantunque la pelle di cui ? formato lo scudo sia molto dura, pure succede talora che vien perforata dalle punte dei giavellotti; perci? il guerriero cerca di ripararne i colpi o colla sua lancia o collo scudo, che oppone in direzione obliqua alla linea percorsa dai giavellotti. L'Arabo minacciato dal nemico s'abbassa, mettendo un ginocchio in terra e coprendosi nello stesso tempo collo scudo; scatta poi su come una molla allorquando alla sua volta egli tenta di attaccarlo.

Qualche volta un giovine guerriero racconta ad altri giovani le sue prodezze e se ne vanta, dicendo che nessuno pu? superarlo in valore; e un altro giovine, che non pu? pi? tollerare le sue petulanti presunzioni, senza rispondergli afferra il pugnale e se lo conficca in una coscia, e passandolo poi insanguinato al millantatore, lo invita a fare altrettanto s'egli non vuol essere da meno.

Questi costumi sono senza dubbio barbari e feroci; non si pu? negare per? ch'essi imprimano in coloro dai quali vengono praticati una singolare energia, un coraggio passivo, invincibile e stoico. E si noti che questi atti di eroismo si manifestano specialmente fra i giovani che appartengono alle pi? distinte famiglie della trib?.

Pi? di venti uomini stringevano l'omicida il quale non opponeva alcuna resistenza; e chi lo tirava per le braccia, chi per le gambe, chi pel collo e chi per i capelli; e com'egli fu davanti al Governatore: <> Il Governatore ordin? fosse lasciato libero; e l'Arabo allora cominci? ad esporre i motivi che, secondo lui, erano pi? che sufficienti a giustificare il suo delitto. Ma il Governatore lo condann? a morire legato alla bocca di un cannone carico a palla, a cui egli stesso avrebbe dovuto dar fuoco. Mentre si facevano i preparativi per l'esecuzione della sentenza, l'Arabo che aveva sentito con tutta indifferenza la propria condanna usc? dalla tenda ove si trovava, e avvicinatosi a un gruppo di soldati che l? presso erano accoccolati, preg? uno di essi che fumava a voler cedergli un istante la pipa; quindi si raccolse pi? che gli fu possibile in s? stesso, fum? mezza pipa, e quando lo si venne ad avvertire che tutto era pronto pel suo supplizio, la restitu? al padrone, lo ringrazi?, lo salut? e mosse con passo fermo verso il cannone, infame strumento della sua morte.

Le esecuzioni, di cui noi fummo parecchie volte testimoni in Europa, offrono uno spettacolo ben differente; la maggior parte dei colpevoli che prima d'essere caduti nella mano inesorabile della giustizia facevano i rodomonti, vinti poi dal terrore furono veduti strascicarsi sul palco pi? cadaveri che persone vive.

Noi abbiamo veduto l'Arabo fiero e dotato della pi? squisita suscettibilit?; ma invincibile ? pure la sua ostinazione; non c'? caso di smuoverlo quando egli si sia fissato con la mente in un'idea, in un capriccio qualunque; le preghiere tornano vane, inutili le minacce, il bastone e la sferza; la morte stessa non l'indurrebbe a mutar consiglio; meglio ? allora abbandonarlo a s? stesso finch? da s? stesso rinsavisca.

All'indomani il mercante si lev? di buon'ora, e com'era solito di fare, uscito dalla tenda, risvegli? la sua gente ed ordin? il carico de' cammelli; quindi rientr? a bervi il caff? aspettando che tutto fosse in punto per rimettersi in via. Ma poco dopo un servo veniva ad avvertirlo che la guida si ricusava di sellare la sua cammella e di continuare il cammino. Egli stim? bene di tacere, sperando che l'Arabo non l'avrebbe durata a lungo nel suo proposito; fece un giro intorno all'accampamento; pass? vicino alla guida fingendo di non essersi accorto di nulla. Venuto il momento della partenza, l'Arabo colla sua lancia in mano era sempre l? immobilmente assiso sopra la sabbia come uno che non dovesse far parte di quella carovana. Ma.... come? -- disse il mercante -- tu non se' pronto ancora? -- No, rispose, poich? non posso partire; tu non ignori che ieri io non assaggiai briciola; il mio ventre ? vuoto ed ha bisogno di riposo. E poi tu mi dicesti, n'? vero? ch'io sono un asino; e tu pure devi sapere che non ? possibile che un asino possa guidare degli uomini. -- Alzati, te lo impongo, grid? allora con voce animata il mercante. -- L'Arabo non si mosse di cos? com'era. -- Ed egli lo percosse con un colpo di sferza. -- E l'Arabo sempre fermo al suo posto come una statua. -- Il mercante cav? quindi dalla sua cintura una pistola, e drizzatane la bocca alla fronte della guida: tu partirai, le disse, o ti far? saltare in aria la dura tua cervice.

Un Italiano, un Francese, un Inglese, un Turco avrebbero ubbidito, o si sarebbero difesi. Ma l'Arabo? l'Arabo armato della sua lancia n? volle ubbidire n? difendersi, e levatosi ben tosto da sedere, gitt? via la lancia e cominci? a danzare davanti al mercante dicendo: ammazzami adunque, ammazzami presto: sono io forse un turco da temere la morte?

Il mercante ch'era ben lungi dal credere che la cosa la sarebbe andata a finire cos?, si trov? in un bell'imbarazzo. Aspettare che di l? passasse qualche carovana e unirsi ad essa.... avventurarsi senza guida in un deserto ove non esisteva traccia alcuna di via.... era un esporsi a morir di sete con tutta la sua gente. Egli s'appigli? finalmente al partito, ch'io credo sia stato il migliore, di seguire cio? le tracce gi? stampate da' cammelli nella sabbia, e rifare cos? la strada, la quale l'avrebbe condotto ad un pozzo, che aveva abbandonato da circa due giorni; sperava frattanto d'incontrarsi in alcuni Arabi e di provvedersi d'un'altra guida. Mont? in sella, e senza lasciare trasparir nulla di ci? che lo inquietava moltissimo comand? alla sua gente di ritornare verso il pozzo, mentre egli contava i passi del suo cammello, risoluto di retrocedere e di uccidere la guida, se prima d'averne contati cento non l'avesse veduta marciare alla testa della carovana.

Ma non appena questa si mosse, ecco l'Arabo che si rizz? lestamente, si diresse verso la sua cammella, la sell? in un batter d'occhio, le si slanci? sopra, e raggiunta la carovana la rimise sul sentiero che dovea condurla l? dove il mercante era diretto. Or questi in tutto quel giorno non fece parola alla guida come non l'avesse veduta, e come niente fosse accaduto. Venuta la sera, e posto l'accampamento, l'Arabo si prostr? ai piedi del mercante piangendo come un bambino; ma il mercante due volte lo respinse; e due volte l'Arabo, pentito, gli s'inginocchi? davanti dicendo: ah! perdonami, o Signore; non ? il gastigo da me giustamente meritato ch'io temo; conosco il male che feci e l'angustia che ti recai colla mia condotta, e son pronto a scontarne la pena; ma ti supplico, per ci? che hai di pi? caro al mondo, a non conservar rancore contro di me, a volere dimenticar tutto; e ti giuro che non avrai pi? di che lagnarti del mio servizio. -- Il mercante ordin? al cuciniere gli si portasse da mangiare; l'assicur? del suo perdono, ed impar? ancora una volta come gli Arabi debbano essere trattati.

Vogliamo notare per? che, quando l'Arabo non sia giunto a un certo grado di ostinazione, se v'ha mezzo d'indurlo a far qualche cosa ? quello delle minacce e della forza, non mai quello delle promesse e della preghiera.

Il suicidio ? rarissimo fra gli Arabi, e non v'ha, si pu? dire, caso in cui lo si approvi o lo si scusi; tutti, senza eccezione, lo condannano e gli si dichiarano contro pi? o meno severamente secondo i motivi dai quali esso ? determinato. E faccio qui osservare che gli Arabi, quelli almeno coi quali io parlai, non vogliono n? manco supporre che l'attentato contro la propria esistenza possa avvenire con volont? pienamente libera, e quindi con perfetta coscienza dell'atto che viene commesso. L'istinto naturale della propria conservazione ? cos? sentito, che non permette loro di fare una tale supposizione.

L'uomo, dice il Beduino, deve colla sua savia condotta saper evitare la passione, il dolore, il rimorso, l'infortunio che lo inducono a tanta vilt?; o se pure ? colto da qualche sciagura improvvisamente, deve trovarsi apparecchiato ad affrontarla e a vincerla. L'Arabo insomma non la intende di scusare in nessun modo il suicida da lui sempre considerato qual vile insofferente del dolore; e per? sommamente spregievole.

E chi crederebbe esservi fra noi, che pur non siamo beduini, chi loda ed esalta il suicidio? -- Si volesse almeno riflettere che mentre fra gli Arabi il sentimento di alta riprovazione dei suicidi ne diminuisce grandemente il numero, presso noi invece la lode e la scusa tanto spaventosamente l'accrescono.

Il color della pelle, che cade subito sott'occhio, non pu? essere trascurato da un osservatore superficiale. Le differenze di forme potranno sfuggirgli, ma non quelle di colore, le quali saranno per lui base d'una classificazione grossolana.

Non si creda per? che la pelle abbia lo stesso colore in tutte le parti del corpo. Ov'essa ? pi? densa ha un colore pi? oscuro, come sui ginocchi, sul gomito, sulle tempie ecc.

La pianta del piede per?, la palma della mano, la pelle posteriore al ginocchio sono le parti meno oscure.

Il sudore dei Negri, che in generale ? poco abbondante, manda un odore acuto, acre, spiacevolissimo. Quindi non deve far meraviglia se le bestie feroci attaccano i Negri a preferenza dei Bianchi. Il loro fiuto annunzia assai pi? facilmente l'avvicinarsi dei primi che non quello dei secondi.

Se non che non ? la pelle, come gi? dissi, che noi dobbiamo interrogare per conoscere le differenze reali che passano tra l'una e l'altra razza.

La fisonomia del Negro puro ? talmente caratteristica, che ? impossibile, anche a chi non sia molto addentro in questi studi, non riconoscerla a prima vista, quando pure l'individuo avesse la pelle bianca. Le sue labbra sporgenti, la fronte bassa, i denti in fuori, i capelli corti, lanosi, semiricciuti, la barba rada, il cranio depresso, il naso largo e schiacciato, il mento fuggente, le mascelle salienti, gli occhi rotondi, le orecchie grandi, le braccia lunghe e gracili, le gambe arcuate con polpaccio piccolo, i ginocchi semipiegati, i piedi lunghi e piatti col tallone sporgente all'indietro, lo sterno tondeggiante, il corpo un po' curvo all'innanzi e il portamento stanco, gli danno un aspetto speciale fra tutte le altre razze umane.

La Negra sovente raccoglie da terra degli oggetti, senza punto piegare le gambe; chinando il corpo tutto d'un pezzo, a partir dal bacino, ella prende colla mano ci? ch'ella desidera. Una donna bianca a grande stento potrebbe imitare tale movimento.

Sc?luk D?nka

Sc?luk D?nka

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