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Read Ebook: Storia di Milano vol. 3 by Verri Pietro

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Ebook has 677 lines and 103734 words, and 14 pages

? nella natura de' popoli l'attribuire al ministro presente la colpa delle soverchie imposizioni, o comandate dal lontano padrone, o rese necessarie dalle difficolt? de' tempi. Perci? i Milanesi si associarono al castellano Giovanni de Luna, ch'era mosso da altri fini di rivalit? e di ambizione, e di concerto con esso innoltrarono al sovrano forti rimostranze contro il governo del Gonzaga. Fu questi chiamato in Ispagna a giustificarsi, e durante la di lui assenza furono severamente sindacati in Milano tutti gli atti della sua amministrazione. Venne dichiarato innocente, ebbe dall'imperatore premii e distinzioni; ma non fu repristinato nel suo governo. Egli si ritir? a menare vita privata in Mantova, e pass? poscia a Brusselles, dove mor? il 15 novembre del 1557.

Il fiero turbine di guerra, da cui era percossa o minacciata nelle varie sue parti la vasta monarchia spagnuola, influ? ad accelerare l'eseguimento della magnanima risoluzione che l'augusto Carlo andava da qualche tempo volgendo nell'animo, di alleggerirsi del peso di tanti regni. Quindi, nel corrente anno 1554, rinunci? a favore del figlio Filippo II gli Stati d'Olanda e dei Paesi Bassi, il regno di Napoli e il ducato di Milano, per cui nell'ottobre dello stesso anno fu spedito a Milano don Luigi di Cardona per ricevere il giuramento di fedelt? al nuovo sovrano. La guerra co' Francesi nel Piemonte proseguiva alternata da reciproci vantaggi e perdite; ma nel 1555 la fortuna si mostr? pi? volte contraria agl'imperiali; n? valse l'avere richiamato dalla Toscana il famoso Gian Giacomo de' Medici, marchese di Marignano, per porlo alla testa dell'esercito, poich? verso gli 8 novembre cess? di vivere in Milano pochi giorni dopo il di lui arrivo. Egli consegu? poscia l'onore di un magnifico sepolcro, che gli fu fatto erigere nel Duomo di Milano dal papa Pio IV, di lui fratello. I vantaggi riportati dai Francesi non furono senza gravi sagrifizi; quindi gli animi de' monarchi belligeranti si trovarono disposti ad accogliere le proposizioni per un accomodamento, che loro vennero fatte di commissione del papa dal cardinale Reginaldo Polo, arcivescovo di Cantorber?, che poco prima avea riconciliato l'Inghilterra colla sede Romana. Ne fu conseguenza la tregua quinquennale conchiusa a Cambrai il 5 febbraio del 1555, secondo l'era fiorentina e veneta, e del 1556 secondo l'era comune. L'imperatore Carlo V colse quest'istante per compire la rinuncia al figlio Filippo II del restante de' vasti suoi dominii insieme colla corona di Spagna e della corona imperiale al fratello Ferdinando I, re dei Romani, d'Ungheria e di Boemia. Quest'atto solenne fu eseguito in Brusselles, donde Carlo V si rec? per mare a Vagliadolid nel regno di Castiglia. Bastarono quattro mesi di dimora in quella citt? per portare al colmo il suo disinganno delle cose mondane, mentre gli si ritardava la corrisponsione degli appuntamenti ch'egli s'era riservati; e rara era la concorrenza dei cortigiani, che nulla pi? avevano a sperar da lui. Perci? si decise di farsi un merito della necessit?, e ritirossi nel monastero de' Girolamini di San Giusto nell'Estremadura, ove fu talmente macerato dalla noia, che volle farsi celebrare, lui vivo e presente, le funebri esequie, e dopo diciannove mesi di dimora in quella monastica solitudine diede fine alla procellosa sua vita il 21 settembre 1558, avendo di poco oltrepassati gli anni cinquantotto.

Verso la fine del 1550 fin? i suoi giorni in Pavia il celebre giureconsulto Andrea Alciati, non avendo compito l'et? di cinquantott'anni, e fu eretto alla di lui memoria un elegante monumento di marmo, che ancora esiste nei portici di quell'universit?. Il 4 aprile del 1555 mor? in Milano Marc'Antonio Maioraggio, d'anni quarantuno. Egli fu pubblico professore di belle lettere, rinomato per l'eleganza del suo scriver latino. Molte opere di lui ci rimangono in versi e in prosa. Bayle gli ha dato luogo nel suo dizionario. Egli fu battezzato col nome di Antonio Maria, e il cangiamento che ne fece per genio di latinit? gli fu cagione di una seria molestia, per cui dovette difendersi avanti il Senato, e mostrare che non per ci? egli ricusava il culto alla Vergine Maria.

Con non minore severit? diede opera alle altre parti delle meditate riforme: e senza partecipazione o assenso de' magistrati facea citare i laici per titoli appartenenti al suo foro; altri ne facea tradurre alle proprie carceri; accrebbe di molto il numero del satellizio arcivescovile, e pretese che a queste fosse lecito di portare, oltre le altre armi, anche le astate e l'archibugio, che da regii ordini erano generalmente proibite. All'inflessibilit? del governo, alla severit? dei tribunali oppose l'arcivescovo la scomunica. Da entrambe le parti ne fu scritto al re ed al papa, e varie e gravi mormorazioni corsero nel pubblico. Nuovi e maggiori scandali insorsero per aver voluto l'arcivescovo visitare solennemente il capitolo della Scala, che, come di regio padronato e per privilegio pontificio, tenevasi esente dalla giurisdizione arcivescovile. Frattanto un accidente estraneo, il tentato assassinio del cardinale Borromeo, rese preponderante la sua causa s? nell'opinione del pubblico, che presso le corti che doveano giudicarne.

Essendo morto dopo la met? del 1571 il governatore duca d'Albuquerque, gli successe, nell'aprile dell'anno seguente, don Luigi di Requesens, commendator maggiore di Castiglia, uomo destro e stimabile, ma zelatore non meno fervido, e perseverante della giurisdizione regia, di quello che il cardinal Borromeo il fosse della ecclesiastica. Perci? le controversie giurisdizionali s? riprodussero ancora pi? vive: e desse continuarono, bench? meno clamorose, anche sotto il moderato governo del marchese di Ayamonte, che succedette al commendatore de Requesens, e resse queste province per otto anni. Il senato mand? espressamente a Roma, nel 1575, il senatore Politone Mezzabarba, uomo di gran merito, per far valere le sue ragioni. All'opposto le parti del Borromeo erano vivamente protette a Madrid da monsignore Ormaneto, gi? suo residente in Roma, cui era riuscito di far nominare internunzio apostolico a quella corte. Nel 1581 vi sped? inoltre l'altro suo familiare Carlo Bescap?, prevosto generale de' Barnabiti, e che fu poi il migliore storico della sua vita. Narrasi da questi di aver avuto replicati congressi col domenicano Diego Clavesio, confessore del re, e da lui delegato ad ascoltarlo; e possono leggersi presso di esso i modi moderati e conciliatori coi quali fu licenziato.

A calmare maggiormente queste scandalose contese, rivolgendo la comune attenzione ad un oggetto infinitamente pi? grave e funestissimo, sopraggiunse la pestilenza. Questa fu promossa da una delle non insolite sue cause, lo straordinario concorso di gente a Roma per il Giubileo dell'anno avanti. Si manifest? dapprima nei monti di Trento, e, propagatasi a Verona e Mantova, pales? i primi suoi segni verso la fine di luglio in Milano, dove da piccola scintilla divamp? in un baleno a vastissimo incendio. Egualmente pronti, bench? non tutti provvidi del pari, furono gli ordini dati dalla pubblica autorit?. Le unzioni venefiche che illusero la rozzezza de' Romani nel principio del quinto secolo della loro esistenza, e che centoventiquattro anni dopo l'epoca della quale trattiamo, furono argomento in Milano stessa della pi? orrenda tragedia, eccitarono l'attenzione del marchese d'Ayamonte, che, con editto del 12 settembre, proposti insigni premii ai delatori, minacci? gravissime pene ai rei; e per la nissuna scoperta di essi si lusing? d'averli frenati. Ma fuori di questo tributo pagato dal saggio governatore all'ignoranza del secolo, tutti gli altri e non pochi provvedimenti emanati s? da lui che dalla magistratura civica resero testimonianza non men di zelo che di saviezza. Era allora vicario di Provvisione Giambattista Capra, che merit? la riconoscenza de' posteri pel bene che fece. Si ordin? che ciascuno non uscisse dalla sua casa. Frequenti erano le guardie per tenere in freno il popolo; le forche, erette in pi? luoghi della citt?, indicavano ai disobbedienti la qualit? e la prontezza dei castigo. Furono fissate le persone cui era permesso di girare liberamente, s? per servire i relegati nelle case, che per ogni pubblico bisogno. Era cosa miseranda il vedere una citt? poc'anzi soprabbondante di popolo, lieta di ogni dovizia, florida, vivace, sfarzosa, frequentatissima, ridotta in un istante in un'immensa solitudine. Due terzi de' suoi abitanti per poco che ne avessero i mezzi, si rifugiarono alla campagna, e quelli che furono costretti a rimanere, nella noia del loro forzato ricovero, fra la vicendevole mestizia, nella continua angoscia, cagionata dalla tema di essere istantaneamente sopraggiunti dal mortifero morbo, non avevano altre distrazioni che il periodico pulsare alle porte di chi recava loro un misurato alimento, o il lento trascorrer dei carri per le vie carichi di morti o di semivivi, lo stridore delle di cui ruote era stato reso maggiore coll'arte, affinch? all'appressarsi di quelli ciascuno pi? prontamente s'allontanasse. Non bastando il vastissimo lazzaretto a contenere i malati, fuori d'ogni porta della citt? si dispose un recinto dove gli altri si trasferivano. Un difficilissimo oggetto fu pure la cura delle vittovaglie. Per pi? di sei mesi circa cinquantamila persone furono a spese pubbliche alimentate; e non bastando le rendite civiche, le elemosine dei facoltosi, l'entrate de' luoghi pii, la citt? vi destin? altres? i capitali che ritrasse dalla vendita de' suoi dazi. Il dispendio prodotto da questo sommo disastro fu calcolato di quasi un milione di zecchini. Il morbo non si estinse del tutto che dopo diciotto mesi. I morti nella sola citt? ascesero a circa diecisettemila; e il Bescap?, che ho particolarmente seguito in questo doloroso racconto, aggiunge che in quello spazio di tempo v'ebbero quattromila e trecento nati. A questa sciagura debbono i Milanesi l'esistenza di una bella chiesa, quella di San Sebastiano, eretta per voto del corpo civico sul disegno dell'architetto Pellegrino de' Pellegrini, e dotata di ricchissimi arredi. Verso il principio del 1577, per? senta colpa della peste, mor? Girolamo Cardano, di settantacinque anni, illustre per il suo sapere, per il suo ingegno e per la sua esimia credulit? nelle scienze occulte.

Durante quel gran disastro rifulse splendidissima la somma carit? del zelante pastore verso l'afflitto suo gregge, cui dedic? ogni sua cura, soccorse colle sue largizioni e cerc? persino di giovare colla erezione delle croci ne' quadrivi , perch? i rinchiusi nelle case potessero in qualche modo assistere alle sacre funzioni che si celebravano innanzi ad esse: mezzo assai adatto di distrazione e di rincoramento agli animi sbigottiti; e se la piena del suo zelo non fosse trascorsa a dar causa di pi? propagarsi il contagio colle processioni, la sua lode sarebbe molto maggiore e intemerata. N? perci? interruppe l'esecuzione de' molti suoi benefici e magnifici progetti, ed ogni anno era segnato dall'esecuzione di pi? d'uno di quelli, con una gloria ben pi? solida e vera che non nel farsi campione delle ambiziose pretese del sacerdozio. Oltre il collegio Borromeo e il Seminario, de' quali s'? gi? parlato, si succedettero le fabbriche di San Martino degli Orfani, delle convertite di Santa Valeria, ampliata di poi della chiesa jemale del Duomo, per? a spese della Fabbrica; de' monasteri di Santa Marcellina, di Sant'Agostino Bianco e di Santa Sofia, allora Orsoline; del collegio delle Vedove, del conservatorio delle fanciulle alla Stella, del palazzo arcivescovile, e del collegio Elvetico, fabbrica delle pi? insigni, disegnata per l'interno da Fabio Mangoni, pel di fuori da Francesco Richini; dotandolo coi beni delle prepositure degli Umiliati de' santi Jacopo e Filippo di Ripalta in Monza, di Santa Croce in Novara, di Sant'Antonio in Pavia, e dell'abbazia di Mirasole, per rinunzia ottenuta da suo cugino il cardinale Altemps. Fond? pure le cappuccine di Santa Prassede e di Santa Barbara, e con assai maggiore utilit? la Congregazione della dottrina cristiana. Costante nella sua massima di preferire i nuovi istituti religiosi, introdusse in Milano i Teatini; distinse, arricch? e favor? i Barnabiti, de' quali approv? le costituzioni; institu? in San Sepolcro la congregazione de' sacerdoti obblati, legati con ispecial voto di obbedienza all'arcivescovo e a' suoi successori, a di cui beneficio nell'anno della sua morte pose la prima pietra della vasta ed elegante chiesa di Rh?, tuttora esistente, architettura del Pellegrini. Ma pi? di tutti ebbero il suo favore i Gesuiti. Erano appena trascorsi tre anni dacch? avea fatto erigere per essi il collegio e l'elegante chiesa di San Fedele, e la citt? li vide da lui trasferiti nella pi? bella prepositura degli Umiliati, in Brera, dotati di molti beni, e tra gli altri di quelli dell'abbazia gentilizia di Arona, per rinunzia del commendatario cardinal Chiesa, non che dell'altra abbazia de' Santi Gratiniano e Felino di Arona stessa, che destin? in casa di Noviziato. Ingrati! che gli resero in s?guito amaro il beneficio; s? che gli scriveva monsignor Speciano da Roma nel 1579, ch'essi erano in quella citt? i suoi pi? sfrenati detrattori. Consunto da un ascetismo smoderato in un gracile temperamento, il cardinale arcivescovo Carlo Borromeo manc? di vita il 5 novembre dell'anno 1584, dopo una breve malattia, avendo oltrepassato di pochi giorni gli anni quarantasei. Pastore pio, generoso e sommamente rispettabile; il volgo ammir? la severit? della sua vita e la pompa estrema della sua piet?; ma l'uomo di Stato loder? in esso il filantropo e il benefattore de' suoi concittadini. Ventisei anni dopo la sua morte fu egli da Paolo V canonizzato.

Avendo cessato di vivere il governatore d'Ayamonte nell'aprile del 1580, tenne il suo luogo, per quasi tre anni, il castellano don Sancio di Guevara, del quale l'arcivescovo Borromeo era assai contento, come appare da una di lui lettera a monsignor Speciano; ad un suo cenno furono banditi ciarlatani, commedianti, e tolto ogni divertimento, il che non avea potuto ottenere dagli altri governatori. ? gaio l'aneddoto riferito dal marchese Lorenzo Isimbardi nella sua cronaca, in proposito de' figli del marchese d'Ayamonte. Trovavasi egli alla sua villa del Cairo in Lomellina, quando <

Il personaggio pi? illustre di quel tempo, ad onore di Milano, ? un suo concittadino ed arcivescovo, il cardinale Federico Borromeo. Ricco, di piet? soda e senza ostentazione, saggio, prudente, generoso, protettore degli studiosi, dotto, giudizioso e laborioso scrittore egli stesso, promosse, non solo gli studii ecclesiastici, che per istituto dovea prediligere, ma altres? ogni maniera di lettere, di scienze e di arti, e rese glorioso il suo lungo pontificato coll'erezione della biblioteca Ambrosiana, stabilita sopra un piano s? esteso, che pochi sovrani pareggiarono, e non ha altro esempio in un privato. Biblioteca doviziosissima di preziosi manoscritti, raccolti con sommo dispendio, non solo dall'Italia, ma da tutta l'Europa, dalla Grecia e dall'Asia pi? rimota, e cui dot? di sufficienti rendite; aggiunse un collegio di dottori, una scuola di lingue orientali, un museo di naturali curiosit?, una tipografia lautamente assortita, anche di caratteri esotici; e un'accademia di belle arti, a corredo della quale cumul? un tesoro di capi d'opera, specialmente di disegno e di pittura. In sei anni la maestosa fabbrica fu ridotta a compimento, sicch? nel 1609 la biblioteca fu aperta al pubblico; ed esatto ? il giudizio che dell'architetto di essa, Fabio Mangoni, fu dato da un buon intendente: <

Fervevano ancora quelle moleste contese, allorch? venne di nuovo ad affliggere i Milanesi la pestilenza, e pi? sterminatrice di quella che avevano sofferto cinquantaquattro anni avanti. Per soprabbondanza di mali fu dessa preceduta dalla carestia e accompagnata dai disastri della guerra che combattevasi nel vicino Piemonte. La plebe di Milano, ridotta a pascersi d'erba e nel pericolo di morir di fame, siccome alcuni se ne trovarono morti per le strade, diede il sacco ai prestini, ed assalita la casa del signor Lodovico Melzi, vicario di Provvisione, e atterratene le porte, fu in procinto di assassinarlo. Il consiglio generale della citt? si affrett? di approvvigionare di grano il Lazzaretto fuori di porta Orientale, e col? raccolse la pi? mendica plebe; n? bastando quel vastissimo recinto al numero eccessivo degli affamati, destin? allo stesso fine lo spedale della Stella. Si distinse in questa pubblica calamit? l'arcivescovo Borromeo coi soccorsi di cui fu prodigo, s? che meritossi d'esser chiamato il padre dei poveri. Ma le incessanti querele di que' mendichi a pretesto della cattiva qualit? del pane, la loro insubordinazione, i loro feroci clamori, facendo temere pi? gravi eccessi, indussero il governo della citt? a scioglierli dai loro pietosi ergastoli, restituendoli tutti alla beata libert? del mendicare. Fra una turba s? grande di popolo, estenuata dalla fame ed oppressa da ogni genere d'indigenza, la peste che sopraggiunse non potea trovare pi? pronti veicoli per diffondere rapidissimamente il mortal suo veleno. Questa volta fu essa recata in Italia dalle truppe imperiali per la guerra di Mantova, e un soldato milanese di quell'esercito, venuto a visitare i suoi, la rec? in Milano nel novembre del 1629. S? egli che gli abitanti della casa dove alloggi?, tutti morirono; e queste furono le prime vittime. La casa fu isolata da ogni comunicazione; ma poco pi? vi si bad?; e le feste, che anche in tanta miseria si celebrarono nel principio del seguente anno per la nascita dell'infante primogenito di Spagna, fecero che facilmente quel funesto avviso fosse posto in dimenticanza. Il fatal vulcano rimase sopito, o almeno diede segni non osservati fino al mese di marzo, quando l'esplosione si fece in un tratto violenta ed invase tutte le parti della citt?. Il popolo, compreso dallo stupore, s'attenne per lungo tempo al partito che pi? s'accomodava alla sua ignoranza e pigrizia, il non credere; e allorch? fu tratto d'inganno per lo spaventevole moltiplicar de' malati e de' morti, e col produrre agli occhi di tutti i marciosi cadaveri, esponendoli lungo le vie, o facendoli condurre intorno ammucchiati e scoperti sui carri, si abbandon? ad ogni sorta di deliri e di eccessi. Quell'ostinata e prolungata incredulit? lasci? libero al contagio di estendersi immensamente, e fu in ci? secondata dall'indolenza dapprima, poi dagli scarsi, inefficaci o improvvidi ordini de' magistrati. La lunga successione de' cattivi governi avea fatto dilatare l'avvilimento, l'inerzia, la stolidezza dalla plebe alle classi superiori, per modo che in quelle difficilissime circostanze il consiglio generale, il tribunale di Provvisione, quello di Sanit?, il senato, il governo, tutti non si mostrarono che plebe, ed ebbero con essa comuni le stravaganze e i vaneggiamenti. Tranne il ricoverare gli appestati nel Lazzaretto, nessun altro opportuno provvedimento fu adottato in quest'occasione di quelli che pure il furono nella peste del 1576. A reggere quella repubblica di appestati fu delegato un frate con illimitata autorit?, il padre Felice Casati, guardiano de' Cappuccini di porta Orientale. <>. Il cardinale arcivescovo avea ricusato di aderirvi, ma tali furono le sollecitudini e le istanze, che, quasi forzato, vi acconsent?. Il Ripamonti ci fa fede che da quel giorno la pestilenza ha acquistato tal forza e predominio, che veramente corrispondeva al suo nome. E soprabbondando il numero degli appestati che presentavansi ogni giorno al Lazzaretto, <>. Per la qual cosa fu duopo erigere de' Lazzaretti sussidiari a San Barnaba al Fonte, a San Vincenzo in Prato e alla Trinit?. Un altro ne fu fatto disporre dal cardinale arcivescovo nel seminario della canonica per gli ecclesiastici.

Ma il delirio pi? scandaloso, e ch'ebbe pi? tragici effetti, fu quello delle unzioni venefiche. La storia ci attesta che si ? prestata credenza a questa sciocca cagione in altri contagi, ed abbiamo veduto che l'opinione ne corse anche nella peste del 1576. Ora a darle maggior voga venne un dispaccio del re Filippo IV, che avvisava il governatore di far invigilare che non s'introducessero nel milanese alcuni uomini portatori di unguenti pestiferi, ch'erano stati veduti in Madrid e di l? fuggiti. Queste precedenze erano pi? che sufficenti perch? si asseverasse che siffatte unzioni gi? facevansi in Milano, e cos? avvenne. Un editto del tribunale di Sanit?, del 19 maggio, asserendo il fatto per indubitato, promise il premio di ducento scudi a chi avrebbe data certa notizia de' rei, e di pi? l'impunit? al denunciante qualora fosse uno de' complici, ma non il principale. Poche settimane dopo, per racconto di donne, si divulg? che il commissario della Sanit?, Guglielmo Piazza, era stato veduto a far tali unzioni; egli confess? ne' tormenti che l'unto gli era somministrato dal barbiere Gian-Giacomo Mora; e questi e molti altri sono pur carcerati e tormentati. La compassionevole narrazione di questo nefando processo ? gi? nota e qui baster? il dire che il Piazza e il Mora, e altri non pochi, dichiarati rei di un delitto impossibile, furono condannati ad essere condotti al patibolo su di un alto carro; ad aver nel cammino arse le carni da tenaglie roventi, tagliata la mano destra; indi fracassati dalla ruota, e intessuti ancor vivi fra le gaviglie della ruota stessa, scannati dopo sei ore, finalmente abbruciati, e sparse le ceneri al vento. Tutto ci? fu eseguito; e stando i miseri fra le mani del carnefice si protestarono innocenti innanzi al popolo, e di morir volontieri per gli altri peccati loro, ma di non avere mai esercitata l'arte di ungere, n? aver pratica di veleni o sortilegi. Quanto possedevano quelle due vittime fu confiscato; la casa del Mora, distrutta dai fondamenti, e sull'area di essa eretta una colonna per pubblico decreto dichiarata infame, accompagnata da un'iscrizione in marmo per tramandare la memoria del fatto alla posterit?. E la posterit? l'ha giudicato: nel 1778 la colonna si trov? clandestinamente atterrata; l'iscrizione fu levata di poi, la casa rifabbricata; onde non rimane pi? traccia visibile dello scellerato giudizio. N? il Piazza e il Mora, e i molti soci ch'ebbero nel processo furono soli sacrificati al fanatismo del volgo e all'ignoranza togata. Si volle scoprire un disturbatore d'unzioni anche tra gli appestati del Lazzaretto, Gian Paolo Rigotto, il quale <>. Quali tempi, quai giudici, e quanto infelice nazione! A compiere l'orrenda scena baster? che si sappia aver quella pestilenza mietuto centoquarantamila vite di cittadini milanesi, secondo il pi? moderato calcolo che desunse il Ripamonti dalle tabelle del tribunale della Sanit?, mentre il Somaglia l'accresce di altre quarantamila. La citt? non fu del tutto sana che circa due anni dopo, nel 1632.

Nel progredire in questa storia, la materia che debbo trattare quasi mi scoraggisce. Sterile ed ingrata necessariamente per la condizione del paese dopo l'estinzione de' principi sforzeschi, lo diviene ancora maggiormente, giacch? alla mancanza de' fatti storici va succedendo quella dei grandi caratteri, rimarchevoli per sublimi virt? o per vizii illustri; onde il vasto, fertile e gi? ricco stato di Milano in questa epoca non pu? essere rappresentato da una pi? vera imagine di quella di un gran podere, quasi in ira al cielo e agli uomini, abbandonato dalla non curanza di uno sconosciuto padrone, all'imperizia e al capriccio dei succedentisi amministratori. Nel corso di quasi settant'anni, su cui versa questo capitolo, i buoni governatori furon rari, e per maggiore sventura del paese sono quelli che vi fecero pi? breve dimora. I danni del milanese crebbero per le guerre che ripetutamente si suscitarono in questo intervallo nella Valtellina e nel Piemonte, tanto per i campeggiamenti e le rapine degli eserciti, quanto per doverli provvedere di viveri e di soldo, giacch? se anche ne' migliori tempi di Carlo V e di Filippo II ben poco danaro era qui spedito dalla Spagna, a quest'epoca non poteva aspettarsene sussidio veruno, non bastando neppure le scarse rendite di quell'indolente e degenerata nazione a saziare l'avarizia de' favoriti e dei cortigiani. Tali poi furono gli effetti di pi? di un secolo di cattivo governo straniero, dell'agricoltura in pi? luoghi abbandonata, della scoraggiata industria, della sofferta fame e di due pestilenze sterminatrici, che rese esauste tutte le sorgenti della pubblica prosperit?: la popolazione per la penuria del vivere non pot? riprodursi; e Milano, che da lungo tempo e per tutto il secolo decimoquinto fu ricca, florida e popolosa di oltre trecento mila abitanti, nel decimosettimo non giungeva a centomila, e in questo limite se ne stette quasi stazionaria, mentre l'indistruggibile fertilit? del suolo imped? all'ignoranza e al mal volere degli uomini di farla maggiormente retrocedere.

Magnifici furono i funerali celebrati in Milano per il defunto re. Nel seguente anno ebbero i Milanesi occasione di facile rallegramento nelle feste fatte per l'arrivo dalle Spagne, di passaggio per Vienna, dell'infante donna Margherita d'Austria, sposa dell'imperatore Leopoldo. Il governatore fece perci? ristaurare splendidamente il palazzo ducale. Senza rispetto per la miseria pubblica, il lusso sfoggiato dalla nobilt? spagnuola e milanese, e dagli ambasciatori de' sovrani d'Italia nel ricevimento di quella principessa, fu straordinario: e basti per un esempio, che il conte Filippo d'Agli?, ministro del re di Sardegna, si mostr? con un seguito di trecento persone, e il pomposo corteggio di cento tiri-a-sei. Due anni dopo mor? il governatore Ponze di Leon, e dopo tre mesi di governo mor? pure il suo successore Francesco de Oronco, marchese de Olias, Mortara e San Reale. Fu allora mandato il duca del Sesto, don Paolo Spinola, marchese de los Balbases, il quale appena trascorso un anno cedette la carica a don Gaspare Tellez Giron, duca d'Ossuna, nome reso celebre dal di lui avo don Pietro, vicer? di Napoli. La regina vedova lo sped? governatore a Milano, per consiglio del gesuita Everardo Nitard, confessore, ch'essa avea condotto dalla Germania, e ci? per allontanarlo da don Giovanni d'Austria, ch'erasi insinuato nella confidenza del piccolo re. Govern? per quattro anni. Quello che siamo per dire di lui ? preso da un raro libretto, venuto allora in luce, che, quantunque sia principalmente un epilogo di scandalose storielle tendenti alla diffamazione di alcune gentildonne e cavalieri milanesi, contiene varii fatti storici che hanno tutta l'apparenza della verit?. Fu assai pomposa l'entrata ch'ei fece in Milano. Precedevano alcune compagnie di cavalleria colla pistola alla mano, la corazza sul petto e la celata in capo. Poi venivano pi? di cento cavalli, carichi di arredi, coperti di panno scarlatto trinato d'oro, colle funi di seta intrecciate d'oro. Ogni cavallo aveva un palafreniere che lo conduceva, vestito in uniforme scarlatto, trinato d'oro e pennaccio nel cappello. Poi venivano i cavalli del duca, coperti pure di scarlatto trinato d'oro con simili palafrenieri. Indi seguivano i carabinieri, con lucidissime armature e ricchi ornamenti. In s?guito, in magnifica gala, cavalcavano i gentiluomini milanesi, accompagnati da numeroso stuolo de' loro palafrenieri. Poi venivano tre carrozze del duca superbissime. Il carro e le ruote erano intagliate con sommo lusso, e tutto il legno dorato e i ferri smaltati; i cerchi delle ruote erano d'argento, e gli apparenti e rilevati chiodi nella prima erano d'oro, nelle due altre d'argento dorato; l'interno delle carrozze era tutto ricamato a profusione d'oro. Donna Mizia, moglie del duca, era nella prima carrozza con due sue figlie, e il duca cavalcava, superbamente bardato, alla portiera destra, costeggiati dalla guardia svizzera. Veniva in s?guito la compagnia delle lance, indi altra soldatesca. La corte era stata mobigliata da esso duca in modo che un monarca non avrebbe potuto avere di pi?.

Questa pompa sorprendente annunziava nel nuovo governatore un personaggio ricchissimo o un ladro; forse fu l'uno e l'altro. Per ogni mezzo egli cercava di far danari; il conte Antonio Trotti, per essere eletto generale, dovette sborsargli ottantamila genovine. Il consiglio secreto procur? di porvi qualche argine; ne furono portate forti rimostranze a Madrid, per cui il duca una volta soccombette, avendo dovuto disfare dodici capitani che aveva creati di suo capriccio. Dovette pur scomparire un'altra volta, e pare a torto. Un suo domestico avea percosso un cane della principessa Trivulzi, e i domestici di essa lo uccisero. Il duca ordin? al capitano di giustizia la carcerazione degli omicidi; il capitano si port? nella casa della principessa e li fece imprigionare. La principessa era spagnuola, sped? un corriere alla corte, venne l'ordine che dovessero i detenuti ricondursi nella casa Trivulzi, e il capitano di giustizia ne chiedesse scusa. Cos? rovesciavasi ogni idea di giustizia e di buon governo per una raccomandazione. Scemato per tal modo il rispetto verso il governatore, si videro affisse delle satire contro di lui; e non potendosi trovare indizio dell'autore, malgrado i premii proposti, il duca ebbe ricorso a un negromante, il qual ciurmatore fece credere che un frate fosse il colpevole. Per caso nomin? un frate contro cui, secondo le opinioni religiose di que' tempi, non si poteva altro castigo imporre che il bando, e l'ebbe il padre Giudici, crocifero, sulla prova del mago, ben pagato per questo. Il duca non era affabile, n? cortese; era violento, capriccioso, orgogliosissimo, giuocatore vizioso, scostumato, rapace: cos? ce lo dipinge l'autore. Come vivessero i popoli sotto il di lui governo e quali esempi ricevessero, ? facile il comprenderlo. Se rec? maraviglia in Milano il trovarsi quattordici lire nella tesoreria generale alla partenza del duca del Sesto, molto pi? fece sorpresa l'erario totalmente esausto lasciato dall'Ossuna in tempi meno infelici. I costumi della nobilt? milanese erano allora assai ritirati e gelosi. Fu cosa che spiacque, e che non ebbe seguito, una conversazione che il duca d'Ossuna apr? una sola volta.

Oltre le sacre e pie fondazioni dovute alla munificenza de' cardinali arcivescovi Monti e Litta, di cui abbiamo fatto cenno, si ha a commendare l'istituzione fatta, nel 1637, dal patrizio Giovanni Ambrogio Melzo di un luogo pio, che portava il di lui nome, per distribuire ai poveri, specialmente vergognosi, larghi sussidii di viveri, panni per decentemente coprirsi, e varie doti per il collocamento di oneste zitelle. La chiesa di Santa Maria alla Porta fu ricostruita nel 1652 sul nobile disegno di Francesco Richini, essendo concorso alla spesa con ragguardevol somma il conte Bartolomeo Aresi, che n'era parrocchiano. Lo stesso conte, dopo di aver giovato colle sue ricchezze all'abbellimento o al ristauro di varie altre chiese, s? dentro che fuori della citt?, eresse, nel 1665, nella basilica Porziana di San Vittore, col disegno di Gerolamo Quadrio, la ricca cappella gentilizia dedicata alla Vergine Assunta. Quattro anni dopo fu ridotta a compimento la chiesa della Vittoria a spese del cardinale Omodeo, che vi aveva una sorella, essendone architetto Giambattista Paggi. Nel 1674 si eresse il monastero delle Carmelitane Scalze; nel 1688, essendo caduta la basilica Naboriana, detta poi di San Francesco, fu rialzata con maggiore eleganza e maest?; e nel 1698 si fabbricarono i nuovi sepolcri dell'ospedale Maggiore, essendo il maestoso portico di essi stato perfezionato ventisette anni dopo da Giambattista Annone, ricco mercante di seta, che non avea prole. Infine, in occasione del solenne ingresso del cardinale arcivescovo Federico Visconti, fu demolita l'antica facciata del Duomo, che rimaneva tre arcate pi? interna della facciata presente.

Mentre, essendo tolta ogni speranza di successione, declinavano rapidamente la salute e la vita del re di Spagna Carlo II, l'ambizione delle principali potenze di Europa non fu lenta a predisporre macchine e leghe onde ripartirsi i possedimenti della vasta monarchia spagnuola; e gi? fino dal mese di marzo del 1700, dopo una negoziazione di due anni, il re di Francia avea conchiuso un trattato col re d'Inghilterra e gli Olandesi, in cui, tra l'altre disposizioni, aveasi convenuto che il milanese fosse dato al duca di Lorena invece della Lorena, che dovea incorporarsi alla Francia. Ma diversi erano i titoli che si allegavano dai sovrani esteri, e specialmente dal re di Francia e dall'imperatore, in appoggio delle loro pretese, e giova di riferirli brevemente.

Le mutate circostante persuasero le potenze guerreggianti a' pensieri di pace. Al qual fine, i loro plenipotenziari, nel mezzo dell'inverno, si unirono in congresso ad Utrecht, e, dopo nove mesi di trattative, fu dapprima conciliata una sospensione d'armi, seguita poscia dalla pace, conchiusa l'11 aprile del 1713. Il 2 di questo mese entr? in Milano l'imperatrice, che dalla citt? di Barcellona andava a raggiungere il consorte in Vienna, lasciando abbandonata la Catalogna ai suoi nuovi destini. Le tennero dietro varie migliaia di esuli spagnuoli; per provvedere alla cui sussistenza, fu staccato dal milanese il Finale, venduto alla repubblica di Genova per un milione e duecentomila pezze da lire cinque di Milano, riservato il vano titolo di feudo all'Impero. Distratto il principe Eugenio nella nuova guerra in cui erasi impegnato l'imperatore in sussidio de' Veneziani contro il Gran Turco, nel corso della quale l'accostumata sua prodezza ed intelligenza si distinse colla vittoria di Petervaradino, indi colle conquiste di Temeswar e di Belgrado, risolvette di rinunziare al governo dello Stato di Milano; laonde fu supplito dal conte Luigi di Vendome, poscia da una real giunta dei primari magistrati, e in fine dal principe Massimiliano Carlo di Lewestein, che incominci? il suo governo nel gennaio del 1717. L'avvenimento pi? rimarchevole ne' fasti di quest'anno per la felicit? della casa austriaca, e per il futuro bene de' popoli, fu la nascita dell'imperiale arciduchessa Maria Teresa, accaduta il 13 maggio. <>.

La prima intrapresa del governatore principe di Lewenstein in Milano, fu la costruzione del teatro di corte, che era stato consunto dalle fiamme il 5 gennaio 1708, e che, dopo avere sussistito per quasi sessant'anni, soggiacque ad un'uguale sciagura il 24 febbraio del 1776. N? d'altro pot? occuparsi, essendo sorpreso dalla morte il 26 dicembre dello stesso anno. Questo fu il nono governatore morto durante il suo governo, dopo estinta la linea de' duchi sforzeschi. Gli otto antecessori furono il cardinale Caracciolo, il duca di Albuquerque, il marchese d'Ayamonte, il conte di Fuentes, don Ambrogio Spinola, il cardinale Trivulzi, don Luigi Ponze de Leon, e il marchese d'Olias e Mortara. Lewenstein fu tumulato in San Gottardo; gli antecessori lo furono in Duomo, a Santo Stefano, alla Scala, alla Pace, a San Celso, ai Cappuccini di porta Vercellina. Gli fu dato in successore il conte Gerolamo di Colloredo, che giunse al suo posto sul finire della primavera del 1719. Egli cinse di sbarre la fossa interna della citt?, a difesa de' passeggieri, e, dopo sei anni di buon governo, part? in cattivo stato di salute per recarsi a morire a Vienna, succedendogli il maresciallo conte Daun.

Ne' decorsi trentasei anni vide la citt? di Milano un solo nuovo arcivescovo, monsignor Benedetto Erba Odescalchi, gi? nunzio apostolico in Polonia, e poco dopo promosso al cardinalato. Egli fu eletto il 18 aprile 1712 in luogo del defunto cardinale Giuseppe Archinto, e resse la Chiesa milanese per anni ventiquattro, finch?, nel 1736, reso inabile per un insulto apopletico, rinunzi? al pontificato. Nell'anno seguente alla sua installazione diede questo prelato il conservatorio di Santa Sofia all'istituto della Visitazione, ed aperse il collegio degli Obblati missionarii annesso alla insigne chiesa di Rho. Sotto di lui fu aperto da' Barnabiti in Milano, nel 1723, il collegio de' Nobili, col nome di collegio imperiale; nel 1724 si stabilirono le Orsoline presso Santa Maria alla Porta; nell'anno seguente si ? fabbricata la chiesa di Campo-Santo, e infine nel 1735 si viddero erette le chiese di San Bartolomeo e di San Pietro Celestino, e ridotta a compimento quella di San Francesco di Paola, tutte col disegno dell'architetto Marco Bianchi, romano, il quale colle linee curve e coi cartocci, bench? non disgiunti da una certa maest?, rese un abbondante tributo al cattivo gusto che andava allora dilatandosi nella pratica dell'architettura.

Mentre i supremi comandanti della lega nemica, radunati in Pavia, divisavano di progredire nelle operazioni militari coll'occupar Modena e Reggio, riservando il facile conquisto di Milano come una conseguenza dell'assicurata vittoria, giunse loro un ordine pressante della corte di Madrid di eseguirlo di preferenza e senza ritardo. Ci? procedeva dall'impazienza della regina Elisabetta di accelerare lo stabilimento dell'infante suo figlio, e procurargli un dovizioso appanaggio; e con questa improvvida risoluzione si lasci? il campo alla fortuna austriaca di risorgere in Italia. Occupate pertanto le rive del Ticino, il conte di Gages fece avanzare l'esercito verso Milano, dove il 16 dicembre entr? il generale di Camposanto con molti fanti e cavalli e parte degli equipaggi del principe, e in egual tempo due altri corpi furono spediti a prender possesso di Lodi e di Como. Mancando ancora la grossa artiglieria per intraprendere l'assedio del castello, munironsi di palafitte le strade interne che a quelle conducevano, e le due vicine porte della citt? vennero murate. Il vicario di Provvisione co' delegati civici si trasfer?, il 18 dicembre, a Magenta, per adempire alla solita cerimonia della presentazione delle chiavi all'infante don Filippo, il quale nel giorno seguente entr? con gran pompa nella citt?. ? inutile il dire che la popolazione si mostr? giuliva e plaudente, che la nobilt? e le magistrature ai presentarono al novello principe col sorriso sul labbro e con sommo rispetto, e ch'egli accolse i loro omaggi con graziosa clemenza. Questi uffici e siffatte dimostrazioni sono di tutti i tempi; fu per? speciale di quella circostanza la grida pubblicata il 24 dicembre dalla Giunta interinale allora instituita, con cui fu aumentato il valore di tutte le monete correnti, e valga per saggio il filippo stabilito al prezzo di lire otto: col qual ordine il nuovo governo fece prova di essere ignorante o truffatore.

Ma bench? gli Spagnuoli fossero in possesso della capitale e si estendessero per un gran tratto di paese, gli Austriaci tenevano, oltre il castello di Milano, Pizzighettone, Cremona e Mantova; il re di Sardegna occupava la cittadella di Alessandria, e il principe di Lichtenstein erasi ritirato col suo corpo verso Trino e Crescentino, donde poteva agir di concerto coll'esercito austro-sardo non molto di l? discosto. Inoltre l'imperatrice regina, pacificatasi opportunamente sulla fine di dicembre col re di Prussia, si trov? libera di spedire copiosi sussidii di gente in Italia; i quali, a malgrado de' rigori dell'inverno, giunsero in febbraio sul mantovano, e senza far posa, oltrepassato il Ticino, recaronsi al campo del principe di Lichtenstein. Con tali aiuti il principe, unitamente ai Piemontesi, ha potuto sorprender Asti, liberare Alessandria, riprender Acqui e stringere i nemici tra Gavi e Novi, senza per? essere riuscito a toglier loro le comunicazioni col Genovesato e coi Napoletani. Da un altro lato il tenente maresciallo conte Pallavicino, che comandava nel mantovano, avanzossi alla destra del Po verso Guastalla, rinforz? la parte dell'esercito ch'era nel cremonese, e ricuper? Modena. Nel corso di queste operazioni, che andavano rendendo sempre peggiori le sorti della federazione nemica, l'infante don Filippo passava il tempo in Milano, ristorandosi dai disagi de' campi ne' tripudii delle feste e de' teatri, finch?, avendo gli Austriaci riacquistato Codogno e Lodi, e spinte le loro scorrerie fino alle porte di quella metropoli, il generale conte Gages fu costretto, nella notte precedente al 19 marzo, di annunziare al real principe la necessit? di una pronta partenza; la quale fu eseguita nell'alba seguente con tale precipitazione e scompiglio, che, se fosse avvenuta dopo la perdita di una battaglia campale, non poteva essere pi? disastrosa. Cos?, dopo soli tre mesi di effimera occupazione spagnuola, torn? la Lombardia sotto il dominio austriaco, e tosto riassunse le cure del governo la real Giunta, che il conte Pallavicino avea eretta nella citt? all'atto di abbandonarla. I primi ordini da quella emanati, che ora, per i posteriori esempi, sarebbero riguardati per abituali ed indifferenti, riuscirono allora di sorpresa nel pubblico. Prescrivevasi in uno di essi che, nel termine di tre giorni, dovessero notificarsi tutti gli effetti, danari o mobili spettanti agli Spagnuoli, e che presso alcuno degli abitanti esistessero; e, con altro, erano dichiarati invalidi e nulli tutti gli atti seguiti nel tempo dell'invasione nemica. E a questa nullit? fu data una s? precisa esecuzione, che, avendo l'infante don Filippo, ad istanza della contessa donna Clelia Grillo Borromeo, dama allora celebre per coltura e vivacit? di spirito, fatta grazia della vita a un chierico Didino, condannato alle forche per causa d'omicidio con ruberia, volle il senato che si eseguisse la sentenza. Si ? proceduto altres? con molto rigore contro le persone che prestarono favore ai nemici; e diverse ne furono punite con varie pene, tra le quali si conserva ancor viva la ricordanza del conte Giulio Antonio Biancani, uno de' questori del magistrato ordinario di Milano, che da una commissione speciale, autorizzata dall'augusta sovrana, fu condannato al taglio della testa ed alla confisca de' beni, come disertore e fellone.

Se la perdita di Genova fu cagione della disgrazia del generale Botta Adorno, il non averla ricuperata port? il richiamo del comandante supremo, conte di Schulembourg, cui venne sostituito il conte di Traun, e del ministro plenipotenziario, conte Gian Luca Pallavicino, caduto forse in sospetto per essere di nascita genovese, entrambi partiti per Vienna a render conto del loro operato. Per il governo della Lombardia fu creata una real Giunta, composta del gran-cancelliere, conte Beltrame Cristiani, stato assunto a questa carica fino dal 1744, dai presidenti del senato e dei magistrati ordinario e straordinario, ed altri otto soggetti. Lasci? il Pallavicino fama d'uomo disinteressato e magnifico, ed eguale la mantenne allorch?, di l? a tre anni, restituito in grazia, torn? alla primiera carica in Milano. Nel triennio intermedio a questi due suoi governi, la carica congiunta di governatore e di capitano generale della Lombardia austriaca fu coperta dal conte Ferdinando Bonaventura di Harrach, venuto il 19 settembre. Egli fu un buonissimo signore, senza fasto, umano, amico dell'ordine e della tranquillit?, nemico delle novazioni. La contessa di lui consorte, giovane, vivace, e anche bella e galante, diffuse l'allegria nel paese, e introdusse la moda di cavalcar le dame anche in citt?, e di girare pe' palchi le maschere al carnevale.

? gradito incarico allo storico imparziale, dopo di aver dovuto narrare i vizi e gli errori de' potenti e la conseguente oppressione e l'impoverimento de' popoli, di poter talvolta ricreare la mente propria e quella de' lettori colla rappresentazione di tempi meno infelici, e col racconto di un genere di pubblica amministrazione pi? consentaneo alla dignit? e al ben essere degli uomini. Questa lode ? meritamente dovuta al regno di Maria Teresa, la quale, a malgrado delle lunghe guerre da cui era bersagliata la monarchia, si mostr? costantemente intenta a dar migliori ordini ai varii rami del suo governo. E fu in ci? provvidamente secondata dalla sorte, mentre, avendo risoluto di liberarsi del referendario Bartenstein, che colla sua prepotente arroganza avea svergognato la diplomazia austriaca sotto Carlo VI, assunse, nel 1753, al supremo ministero il conte, indi principe Antonio Venceslao di Kaunitz-Rietberg. Questo grand'uomo, nato nel 1711, che resse con gloria per lo spazio di quasi quarant'anni i consigli della casa d'Austria, era dotato di molto ingegno, d'uno zelo instancabile e d? somma integrit?; abile negoziatore, profondo dissimulatore senza parerlo, impenetrabile ne' suoi secreti, ma ricco d'amor proprio, e perci? presuntuoso ed altiero: cos? ci ? descritto dal Coxe sulla fede de' documenti ufficiali del ministero inglese. Ei possedeva a tal segno la confidenza della sua sovrana, che, essendo ella piissima, ha potuto tuttavia intraprendere e compire con mano ferma le riforme pi? delicate nelle materie ecclesiastiche. Per ci? che concerne la Lombardia, il compimento del catastro delle propriet? fondiarie, come base della giusta ripartizione del principale tributo, occup? le prime cure dell'imperatrice regina. Questa grande opera, tentata quasi due secoli prima dagli Spagnuoli con informi elementi, instaurata nei primordii della dominazione austriaca, era rimasta interrotta, dopo la spesa di pi? milioni, per le vicende belliche del 1733. Fu riassunta nel 1749 coll'erezione di una nuova Giunta del censimento, cui fu dato a presidente un dottissimo giureconsulto, Pompeo Neri, espressamente chiamato dalla Toscana, ove copriva la carica di secretario del consiglio di reggenza. Nello stesso tempo fu questi incaricato di esaminare i mezzi pi? opportuni per una sistemazione del corso delle monete, colla quale fosse posto rimedio al gravissimo danno che si soffriva dal pubblico per il valore arbitrario di esse. A tal fine molte conferenze e molti esperimenti furono allora eseguiti, di concerto colla real corte di Torino, dove un altro gran ministro, il conte Giambattista Bogino, fece ogni sforzo perch? il provvedimento da adottarsi fosse a comune beneficio esteso a tutta l'Italia. Per? le corte viste e le piccole gelosie fecero riuscire a vuoto la saggia proposizione; onde questo gravissimo oggetto, rimasto allora deserto, con principii pi? sicuri, ma circoscritto alla sola Lombardia, fu poscia sistemato soltanto nel 1778.

Forse il caso e forse la precoce antiveggenza dell'imperatore Giuseppe II a raffermare gli animi de' sudditi, fu cagione del primo viaggio che fece quel sovrano in Italia. Partito da Vienna sul fine di febbraio, sotto il nome di conte di Falkenstein, che conserv? sempre ne' viaggi successivi, trascorse senza fermarsi a Mantova e Firenze, e fu diritto a Roma con piccolissimo s?guito, dove dopo Carlo V nissun altro cesare erasi mostrato. L'improvviso arrivo, la modestia dell'accompagnamento, l'affabilit? de' modi, il rifiuto d'ogni pomposa onorificenza furono argomenti di generale sorpresa e meraviglia. Giuseppe II, osservate le cose pi? insigni di Roma, e di Napoli, visitate le nuove fortezze costruite sull'Alpi dal re di Sardegna, si trattenne nel ritorno nella sua Lombardia nel 23 giugno al 15 luglio. Egli vi si fece ammirare come amico dell'ordine e della giustizia, desideroso del pubblico bene, nemico degli abusi, di un'attivit? straordinaria, e singolarmente ricco di utili cognizioni. E poich? i fatti parziali sono talvolta pi? istruttivi di un'intera storia, cos? non ? da tacersi che quel sovrano, il quale, appena ebbe dalla madre nella prima giovent? il potere di ordinare tutto ci? ch? concerneva l'esercito, ad imitazione del sistema prussiano, volle introdotta la coscrizione militare in tutti gli Stati austriaci, ad eccezione de' Paesi Bassi, dell'Ungheria, del Tirolo e del Milanese. Avendo, nella visita de' monasteri fatta in Milano, osservato che le monache non occupavansi se non di poco utili esercizi, mand? ad esse una gran quantit? di tela affinch? ne preparassero camicie per i soldati. Una inclinazione guerriera, associata ad un istinto di beneficenza e di novit?, fu infatti il caratteristico di questo sovrano.

Gli effetti di un tal regime illuminato e benefico erano rapidi e progressivi. La popolazione accrescevasi; le moderate imposizioni, e l'impiego della parte di esse eccedente le spese dello Stato, in opere pubbliche di strade, canali, fabbriche di ogni sorta, nell'arricchire le biblioteche, i musei, i gabinetti scientifici, in sovvenzioni e premii a promovere l'agricoltura e le manifatture, diffondevano l'istruzione, l'agiatezza e la prosperit? in tutte le classi: beati tempi, allora non conosciuti, n? apprezzati abbastanza, non tanto per la naturale abitudine degli uomini di adattarsi al bene con indifferenza, quanto per l'apatia propria dei Lombardi, e che, per la forza di pi? secoli di pessimo governo, era divenuta in essi una seconda natura. Tuttavia fu questa vinta dalla forza de' benefizi; e i Milanesi, che avevano gi? dato prova di affettuosa sensibilit? verso la loro sovrana quando nel 1767 era stata posta dal vaiuolo in grave pericolo della vita, accorrendo in folla ai tridui, che allora celebraronsi in tutte le chiese, mostrarono un sincero dolore all'inaspettato annunzio ch'essa avea cessato di vivere per idropisia di petto il 29 novembre del 1780. Essa avea settantatre anni, quaranta de' quali ne trascorse tra le cure del governo de' vasti suoi dominii. Si mostr? costante e prudente, non meno nella contraria che nella prospera fortuna. Economa per abito, sapeva all'opportunit? essere liberale. Fu zelante osservatrice della religione, e amante della giustizia; ma diede un'importanza eccessiva alle minute pratiche di quella, e si mostr? talora intollerante; dava pure facile orecchio alle segrete delazioni, e con predilezione occupavasi de' piccoli affari. Ebbe perci? alcuna volta a lagnarsi di essersi ingannata nelle sue scelte, e che le sue intenzioni fossero state male intese o mal eseguite. Con tutto ci? il regno di Maria Teresa ? il secolo d'oro dei popoli della casa d'Austria. In essa si estinse l'illustre casa d'Absburg, dopo per? di essersi quasi propaginata e gi? riprodotta in quella di Lorena, ora regnante. Il conte Gherardo d'Arco, Paolo Frisi e monsignor Turchi ne scrissero l'elogio, e ognuno di questi dotti uomini vi si mostr? quale doveva essere, colto e giudizioso patrizio, scrittore filosofo, frate panegirista.

L'indole del successore, l'augusto Giuseppe II, inclinato fervidamente a beneficare i suoi sudditi, temper? il danno della fatal perdita; se non che l'impeto e la precipitazione con cui soleva operare, resero spesso spiacevole, e talvolta agli occhi del volgo travisarono il beneficio. Con non lunghi intervalli si susseguirono tre altre morti, che per la Lombardia furono memorabili. La prima ? quella del ministro plenipotenziario conte di Firmian, avvenuta il 20 giugno del 1782. Alcuna cosa gi? si disse del di lui carattere, al che poco rimane ad aggiungere. La sua autorit?, che ne' primi dieci anni fu sufficientemente estesa in molti oggetti di minuto dettaglio, si attenu? dopo la venuta del reale arciduca. La di lui bont? permise che alcuni suoi scrivani favoriti abusassero della sua confidenza. Coloro che confondono la bibliomania coll'amore delle lettere, il tennero e il dissero un mecenate. I Milanesi lo compiansero. Fu sostituito al conte di Firmian il conte di Vilzek, personaggio mediocre al pari di quello, e che lasci? fama di non aver fatto n? bene n? male. Nel seguente anno mor? pure il cardinale arcivescovo Giuseppe Pozzobonetti, dopo di avere presieduto alla chiesa milanese per il lungo corso di anni quaranta: prelato saggio, attento e unicamente occupato del sacro suo ministero. Il 1.? settembre dell'anno medesimo gli fu dato in successore monsignore Filippo Visconti, in di cui lode baster? il dire che ne' tempi burrascosi successivi al 1796 egli si merit? di essere pubblicamente difeso da un vecchio filosofo, il conte Pietro Verri, contro le forsennate invettive de' demagoghi rivoluzionarii. Non molto dopo mor? l'insigne letterato e matematico Paolo Frisi, che non potendo soffrire gl'incomodi di una fistola dolorosa, si sottopose ad un'operazione che in brevissimi giorni, in ancor fresca et?, il trasse al sepolcro. Il poc'anzi citato conte Verri, di lui amico, suppl? alla solita noncuranza della citt? onorata dalla nascita e dagli studii di quell'uomo illustre, tessendo di lui un nobile elogio, ed ergendogli un modesto monumento in Sant'Alessandro, chiesa de' Barnabiti, alla di cui congregazione aveva il defunto appartenuto per qualche tempo.

Fece Giuseppe II due nuovi viaggi in Italia, l'uno in quest'anno, l'altro nel successivo. Nel primo corse fino a Roma, dove ricus? il ricambio di onorificenze che il papa voleva prestargli per quelle a lui usate in Vienna due anni addietro. Conchiuse per? con esso un concordato, col quale fu conceduta ai duchi di Milano la nomina ai vescovati e ai beneficii della Lombardia austriaca, che prima spettava alla Santa Sede. Stipul? pure colla Toscana, il 4 dicembre, a favore della Lombardia stessa, un trattato per le reciproche successioni de' sudditi nei due Stati, del pari che erasi precedentemente stabilito colla Francia e la Prussia, col governo Sardo e colla repubblica di Venezia. Egli si trattenne in Milano dal 19 febbraio al 9 marzo. L'ultimo viaggio fu limitato alla Lombardia, con una permanenza di soli sette giorni: la pi? lunga fu quella del primo viaggio nel 1769, che ne dur? ventuno. In quest'anno vendette l'imperatore al papa i possedimenti della Mesola nel Ferrarese per novecentomila scudi; e il re e la regina di Napoli, visitando per piacere l'Italia, si trattennero in Milano dal 1.? settembre al 23 luglio, festeggiati con sontuosa magnificenza. Prima di partire da Vienna per il suo secondo viaggio, lasci? Giuseppe II ai capi dei dicasteri aulici la legge de' suoi voleri, che, tradotti dal tedesco, circolarono allora per l'Italia. Appare in essi ad ogni passo il suo amore per l'ordine, per il buon servigio e per il pubblico bene; e, nella certezza di farne un gradito dono ai lettori, si riportano in fine di quest'ultimo capitolo .

L'imperatore in que' viaggi raccoglieva e maturava gli elementi per compire le sue riforme. Intanto le parti di esse ch'erano gi? in corso presso il ministero, andavansi successivamente pubblicando e mettendo in esecuzione. Erano queste d'ogni specie, scientifiche ed economiche, di beneficenza e di polizia, civili e religiose, e si estendevano dai minimi ai massimi argomenti. A rendere pi? comune l'arte di frenare e regolar le acque, che in ispecie devastavano frequentemente il mantovano, fu eretta una cattedra d'idrostatica ed idraulica. Perch? i piccoli commercianti di seta non fossero pi? posti nella necessit? di vendite precipitose, s'institu? un Monte o Depositorio delle sete, da cui, mediante un tenue pro, potevano avere in prestito quasi l'intiero loro capitale per alimentare le successive speculazioni. Fu proclamata la tolleranza dell'esercizio delle diverse religioni separate dalla Chiesa romana. Si proib? di ricorrere a Roma per le dispense agl'impedimenti canonici de' matrimoni; indi fu stabilita su quest'oggetto una speciale legislazione. Si tolse pure alla corte di Roma la collazione de' benefici, restituendola ai vescovi diocesani per quelli in cura d'anime o portanti dignit? capitolare, e attribuendo quella de' semplici al governo; e tutti per concorso. E di tolleranza, e di matrimoni, e di benefizi, e di ricorsi a Roma si tratt? di nuovo in successivi ordini, chiarendo, modificando, confermando. Anche l'universit? di Pavia ebbe confermati ed ampliati i suoi regolamenti. E i monti di Piet? che esistevano per antica istituzione in varie parti dello Stato, e in particolare quello di Milano, furono riorganizzati, estesi e muniti di provvide norme.

Questo generale sconvolgimento, e ricostituzione degli ordini di uno Stato, non operatasi nella sola austriaca Lombardia; anzi non fu che l'applicazione ad essa di quanto erasi gi? posto in pratica nella Germania. I motu-propri, gli editti, le istruzioni, i regolamenti, i decreti furono col? del pari cos? varii e moltiplicati, che colla loro unione si form? una raccolta assai voluminosa. N? queste altres? erano le sole cure che occupavano l'ardente, inquieto e risoluto animo del sovrano. Nel breve e tumultuario suo regno di dieci anni, egli impegn? gravi discussioni coll'Olanda per la libera navigazione della Schelda; assistette nell'acquisto importantissimo della Crimea l'imperatrice delle Russie, che male il rimerit?; drizz? le pi? diligenti macchine politiche ad impossessarsi della Baviera in cambio de' suoi Paesi Bassi, e ne rimase deluso per l'astuzia e l'opposizione del vecchio re di Prussia; e mentre gi? trovavasi in gravi imbarazzi per la ribellione dei Fiamminghi, la brama di partecipare colla Russia allo smembramento della Turchia l'impegn? improvvidamente in una guerra disastrosa e disgraziata che divor? uomini e tesori, per i cui danni inestimabili non ebbe specie di compenso, e nel corso della quale l'onore dell'armi fu appena salvato dalla vittoria sociale di Rimnick, e dalla presa di Belgrado, seguita il 9 ottobre 1789. Fu questa una scarsa consolazione all'animo afflitto e abbattuto dell'imperatore per l'offeso amor proprio, per la delusa ambizione, per le perturbazioni e disobbedienze interne, essendo esausti e malcontenti i popoli, pi? provincie rovinate dalla guerra, e voto l'erario. I disagi del corpo nei campeggiamenti militari, ai quali infaustamente ha voluto prender parte nella guerra turchesca, la soverchia applicazione agli affari, e le angustie e le afflizioni morali aveano logorato la robustezza del suo fisico temperamento, e lo ridussero a morire di consunzione il 20 febbraio del 1790, essendo appena giunto all'et? d'anni quarantanove. Sembra che Giuseppe II avrebbe dovuto essere fra i sovrani il pi? facile ad essere giudicato, perch? fece pi? fatti; pure fu quello su cui i giudizi rimasero pi? divisi, perch? le sue opere erano talvolta fra s? contraddicenti, e perch? le passioni, una religione male intesa, e gli offesi interessi presero parte a que' giudizi. Tutti si accordano nell'attribuirgli un carattere dispotico, inflessibile, irrequieto, novatore. Era economo e temperante, avea modi disinvolti e famigliari, e discorsi insinuanti. In generale le sue intenzioni furono migliori che i fatti, e questi migliori dei modi usati nell'eseguirli. Chi disse ch'egli avea voluto procurare la felicit? dei sudditi a colpi di bastone, disse il vero con acerbe parole. Uno de' primi suoi atti fu, nel 1780, l'abolizione della servit? feudale ne' suoi Stati della Germania. Fece costruire a grandi spese strade e canali, incoragg? il commercio e le manifatture, e rese aperte e libere le comunicazioni tra le provincie. Protesse, senza ostentarlo, le lettere e le scienze in tutti i suoi Stati, institu? cattedre, scuole, biblioteche, o accrebbe le esistenti; promosse la libert? della stampa e la pubblica istruzione; e, per una delle sue abituali contraddizioni, proib? ad ognuno dei suoi sudditi il visitare paesi esteri prima di aver compito i ventisette anni. Non ostante la sua filantropia, le sue massime diplomatiche si trovarono al livello di quelle de' gabinetti di Berlino e di Pietroburgo. Ebbe pure rimprovero di simulazione e di doppiezza, non meno nelle relazioni cogli esteri che coi propri sudditi. Il molto bene che fece e le sue utili riforme, bench? duramente eseguite, male accolte, contrastate, e in parte rivocate, furono un seme che fruttific? largamente, e un frutto certissimo e indistruggibile sar? quello per cui la magia e la tirannia delle opinioni vennero dissipate per sempre. Pi? amara fu la ricompensa raccolta dall'autore di tanti cangiamenti, mentre n'ebbe dispiaceri infiniti, e prima di morire vidde ne' varii suoi dominii disdegnate le sue riforme, generale il malcontento per i danni di una guerra sconsigliatamente intrapresa e peggio condotta, e, sordo, ma sensibile, fra i sudditi un fermento, che esprimeva il bisogno di cangiar sorte.

Restituire la calma fra i popoli, metter fine alla guerra e ad ogni spesa straordinaria, ristaurare le fonti della rendita, furono le prime cure di Leopoldo II, giunto a Vienna il 12 marzo. Dopo di aver formato nel lungo governo di venticinque anni la felicit? della Toscana, egli recava sul trono austriaco la pi? bella riputazione di un sovrano filosofo e filantropo, ed ebbe in questa il miglior mediatore per riuscire nel suo intento. Eletto il 30 settembre all'Impero, ricevette il 15 novembre la corona d'Ungheria, e part? da Buda pienamente riconciliato con quella generosa nazione. Ristabil? come pot? e gli parve la sua autorit? nelle province belgiche; e nell'estate seguente ferm? la pace co' Turchi, con restituir loro Belgrado e le altre conquiste. In questa sistematica riconciliazione del sovrano co' suoi sudditi la Lombardia non fu trascurata. I corpi civici furono invitati ad esporre in iscritto le loro rimostranze, e queste furono recate a Vienna dai deputati loro, col? espressamente chiamati. N? tardarono ad essere conosciute le sovrane risoluzioni. La congregazione dello Stato di Milano, abolita nel 1786, venne repristinata. Si confermarono le prerogative ai corpi civici. L'amministrazione de' luoghi pii fu restituita ai capitoli e alle congregazioni, conservato in Milano il corpo elemosiniere. Soppresse le intendenze politiche provinciali, ne furono delegate le incombenze ai pretori; cos? la polizia di Milano pass? nelle attribuzioni del capitano di giustizia. Fu modificato il regolamento per le scuole normali, e queste rese gratuite indistintamente. A tali provvidenze segu? dappresso una nuova sistemazione del governo, coll'erezione di una conferenza governativa e la repristinazione del magistrato politico camerale, cui furono aggregate le attribuzioni del soppresso consiglio. Anche i Mantovani furono rimandati contenti, coll'essersi separata l'amministrazione della loro provincia da quella del Milanese, alla quale era stata aggregata sei anni avanti, colla sola dipendenza dal governo generale della Lombardia. Ho creduto di dover esporre con un preciso dettaglio la storia sommaria della legislazione austriaca in questo paese, incominciando dal regno di Maria Teresa, per pi? ragioni. Primieramente perch? finora questo lavoro non era stato fatto; inoltre perch? corre di quella una confusa celebrit?, mentre i contemporanei in generale, per la rapida successione, e l'affastellamento delle cose, se ne formarono un'idea poco diversa da quella del caos; e finalmente perch?, oltre qualche nascita o morte di persone illustri, e qualche caso o istituzione patria, le fasi e i fatti dell'amministrazione interna sono i soli elementi per la storia di uno Stato di provincia. Ch? se quelli tra i miei lettori, non avvezzi a siffatte discussioni, a questa parte della mia narrazione si saranno annoiati, io confesso con verit? che ben pi? di essi mi sono annoiato scrivendola.

N? egli, n? il popolo sapevano che salutavansi per l'ultima volta. Non era per anco tornato a Vienna che s'avvide della mala riuscita delle pratiche da lui mosse per frenare il torrente della rivoluzione di Francia a difesa di sua sorella e di un cognato che sedevano su quel trono, e d'essersi tirato addosso la guerra che voleva evitare. Essendo in quest'angosciosa agitazione d'animo, egli esal? in Vienna il 1.? di marzo l'ultimo fiato, in tre soli giorni di malattia, dopo due anni del nuovo regno, e circa quarantacinque di et?. Chi il disse morto di malattia di petto, chi di dissenteria; e come ? costume del volgo nel giudicare delle morti precipitose dei grandi, non manc? chi pretese di attribuirla ad una causa straordinaria. Egli lasci? i popoli pi? tranquilli, ma angustiati dalle esigenze dei preparativi guerreschi, e agitati per la prospettiva di un procelloso e sinistro avvenire. E non s'ingannarono; mentre l'eredit? che da lui conseguirono il successore e i sudditi furono ventidue anni di guerre distruggitrici e di calamit? senza fine e senza esempio. Fu principe di carattere pacifico, affabile, amante dell'ordine e dell'economia. Col suo fratello e antecessore ebbe comune il rimprovero di essere stato troppo amico delle novazioni e troppo minuzioso ne' regolamenti, come la lode di avere fondato tra i popoli un migliore governo. Pi? del fratello rispett? la pubblica opinione, e non meno fermo di lui, si mostr? pi? avveduto e pi? prudente. La stima che lasci? di s? come imperatore, fu inferiore a quella che aveasi acquistato come gran duca. A giustificare questa differenza possono allegarsi pi? cause: la brevit? del nuovo regno, la confusione e gli imbarazzi in cui l'ha trovato, la somma difficolt? de' tempi, che preludevano al pi? grande sconvolgimento politico, e alla successiva pi? grande catastrofe che abbia mai veduto il mondo; ma quando si osservi che ne' fatti pubblici di que' due anni non fece mostra Leopoldo di alcun lampo di quel genio che sfavill? di s? bella luce nella Toscana, sembra potersi accostare di pi? alla verit?, dicendo che il nuovo teatro delle sue azioni fu per esso troppo vasto; e avvenne di lui ci? che sarebbe accaduto nel regno delle belle arti a Giulio Clovio, miniatore eccellentissimo, se la sorte lo avesse costretto ad eseguire le gigantesche imprese di Michelangelo.

FINE DELLA STORIA.

Sono gi? tre anni dacch? ho assunto il governo della monarchia, e in questi con non poca fatica, sollecitudine e pazienza ho esposto i miei principii e le mie intenzioni; n? mi sono accontentato di ordinare agli altri, ma ho lavorato io stesso per scoprire e bandire i pregiudizi derivati da inveterate consuetudini. Quindi ho cercato d'insinuare a tutti l'amore che nutro per il bene generale dello Stato.

Ho dato a tutti i capi dei dipartimenti la mia confidenza, e tutta l'autorit? sopra i loro subalterni, come pure la scelta dei medesimi. Ho per? sempre ricevute le rappresentanze e sentita la verit?, che mi ? sempre cara, non solo dai presidenti, ma anche dagli altri; e a quest'oggetto sono sempre stato pronto a sentire i loro rapporti e dilucidare i loro dubbi.

Ma oltre di ci?, trovo di mio dovere, per quel vero zelo che in tutte le operazioni ho consacrato al bene dello Stato, di seriamente promuovere l'adempimento di quelle massime e di quegli ordini che non senza mio dolore veggo ancora tanto negletti; dal che ne deriv? la necessit? di emanare tanti replicati comandi: perch? i capi de' dipartimenti eseguiscono cos? meccanicamente e servilmente le loro incombenze, che, ben lontani di aver di mira il bene dello Stato e di farlo intendere a chi conviene, altro non fanno che quel puro necessario, che appena basta per non essere processati e deposti dai loro impieghi.

Perci?, chiunque brama continuare nel mio servigio nei dicasteri aulici ed in provincia, come presidente, vice-presidente, cancelliere, consigliere, capitano circolare, intendente, ec., tanto nell'economico, come nel civile o militare, dovr? esattamente uniformarsi ai seguenti miei ordini:

Questi sono i principali soggetti che regolano l'amministrazione di uno Stato; ed appunto perch? non pensano che a s? stessi in particolare, e mai al bene in generale, perci? giudicano con massime falsissime del maneggio degli affari.

Lo stato militare ? composto di pi? migliaia di persone formate e mantenute per il bene dello Stato. Il poco di salario che hanno, lo consumano nel paese; il poco che il paese loro somministra in natura, cio? nutrimento, vestiario, ad eccezione di pochi capi, si produce, si manifattura e si fabbrica in paese: anzi il congedo dei soldati procura alle arti e all'agricoltura un maggior numero di mani e le facilitazioni dei matrimoni. Le finanze non vengono da me considerate sotto lo stesso aspetto che vengono prese dal maggior numero; ma lo considero che, siccome le imposizioni e l'uso delle pubbliche entrate dipende dall'arbitrio del sovrano e del dipartimento delle sue finanze, cos? ogni individuo che ha delle possessioni ed ha mezzi di procurarsi la sussistenza nel paese, non dee confidare con cieca fiducia il suo patrimonio lasciatogli dai parenti o acquistato col suo sudore e industria nelle mani del sovrano; ma al contrario deve soltanto contribuire ci? che ? assolutamente necessario per mantenere l'autorit?, la sicurezza, l'amministrazione della giustizia, l'interno buon ordine e l'avanzamento di tutti il corpo, del quale ognuno forma una parte. Io credo adunque che, eccettuati i surriferiti oggetti, il monarca non debba prodigare nulla, ma che debba levare le contribuzioni nel modo meno gravoso, e badare al bene dello Stato in tutte le sue parti; ch'egli sia obbligato di render conto a tutti e a ciascuno individuo dell'uso delle finanze, e debba rinunziare perfino alla predilezione verso certe persone, anzi verso gli stessi bisognosi, sebbene sia questa una delle principali virt? di chi ? benestante, perch? il sovrano non ? che un puro amministratore delle rendite dello Stato; e nel resto, non gli ? lecito di soccorrere i bisognosi che col suo proprio patrimonio, in qualit? di particolare.

Che se, dopo d'aver provveduto all'esigenza della monarchia in tutte le parti, potesse il principe fare delle riguardevoli diminuzioni nelle imposte, egli ? obbligato di farlo, mentre ciascun cittadino non ? obbligato di contribuire che per il puro necessario e non per il superfluo dello Stato.

Cos? un presidente delle dogane deve considerare i dazi come un puro mezzo di regolare il commercio e l'industria nazionale, e deve riflettere che la diminuzione eventuale della finanza daziale viene sicuramente e doppiamente ricompensata, allorch? avr? accresciuti i mezzi dell'interna industria de' sudditi, e promossi i loro vantaggi con giusta distribuzione.

Quindi la mira del presidente di finanze deve solamente tendere a proibire i contrabbandi, e diminuire l'introduzione delle merci forastiere, siccome dannosa al mantenimento dei sudditi. Cos? il direttore delle miniere deve considerare la produzione de' metalli come una fabbrica nella quale ciascun lavoratore o possessore delle miniere ha il diritto di ritrarne il suo maggiore profitto, senza essere sforzato di rinunziare alla sua propria convenienza per fornire una maggior quantit? di metallo o di sale.

Cos? finalmente il giudice non deve aver di mira tanto la forma, quanto l'esercizio della giustizia; e siccome la parola giustizia comprende in s? la maggior equit?, cos? deve pensare al pi? sollecito e meno dispendioso servizio dello Stato.

Questo ? il dovere de' superiori verso i loro subalterni. Quelli che sono poi in egual rango e carattere fra di loro, devono avere la stessa attivit? e assiduit? negli affari e lavorare insieme d'accordo, senza puntigli di preminenze o d'etichette. Devono trattare frequentemente e convenire fra di loro, e uno instruire l'altro, senza lamentarsi l'uno dell'altro; anzi dimenticarsi di tutto per far avanzare l'affare di cui si tratta. Essi devono scambievolmente perdonarsi le loro debolezze, compatirsi a vicenda, trattarsi da amici e da fratelli, e tutti tendere di conserva al medesimo scopo.

In occasione di tali ricerche specialmente debbono rettificarsi le liste de' buoni diporti degli ufficiali, con rilevare la stima che godono presso il pubblico i diversi impiegati. Nella stessa conformit? i comiti o vice-comiti e i capitani circolari debbono invigilare sopra i commissari circolari, e giudici loro sottoposti, e fare la visita ogni anno sul luogo, formando dappertutto la lista de' buoni e perfetti uffiziali, massimamente sopra i due seguenti punti, cio?, se hanno eseguito accuratamente i comandi, e se siano uomini ragionevoli e giusti; giacch? que' signori che non possono amministrare personalmente i loro beni, e perci? debbono affidarsi ai loro prefetti e fattori, facendosi mallevadori delle loro azioni, saranno dalla corte obbligati di congedarsi, qualora si trovino in essi dei disordini.

Queste sono in breve le mie intenzioni, all'eseguimento delle quali mi obbliga il dovere e la persuasione. Io sar? il primo a metterle in pratica sicuramente, ed il proprio mio esempio servir? a comprovare lo realt? delle mie parole. Chi dunque pensa come penso io e come deve pensare un vero servo dello Stato, si dedicher? intieramente al di lui servizio, mettendo da parte ogni particolar riflesso; e allora comprender? facilmente la forza de' miei principii, e non trover?, come io non la trovo, difficolt? nell'eseguirli.

Quegli per? che non aspira se non all'utilit? e onorifico annesso al suo impiego, e che considera il servizio dello Stato come una cosa accessoria, far? meglio disimpiegarsi a tempo e rinunciare ad una carica per la quale egli non ? fatto e della quale non ? degno, essendo necessario per il bene dello Stato di avere un'anima fervorosa, e rinunciare totalmente a s? stesso e ai suoi comodi.

Questo ? tutto ci? che trovo opportuno di far sapere a tutti, acci? il tanto essenziale governo dello Stato venga, da ognuno che sar? destinato a promuoverlo, portato alla sua perfezione.

TAVOLA GENERALE

DELLE COSE PI? OSSERVABILI CONTENUTE IN QUEST'OPERA

Abiti de' dottori collegiati e delle matrone alle nozze di Lodovico il Moro, II, 18.

Abruzzo, vi guerreggia Sforza, padre di Francesco, II, 16.

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