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Read Ebook: Cronaca di Fra Salimbene parmigiano vol. I by Salimbene Da Parma Cantarelli Carlo Translator

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Ebook has 462 lines and 120588 words, and 10 pages

a. 1226

Coepit sub Innocentio, Cu sumque sub Onorio Perfecit gloriosum.

Succedens his Gregorius Magnificavit amplius Miraculis formosum.

Raggiar vide Innocenzo l'alma stella, Che sotto Onorio il ciclo ognor pi? bella Comp? gloriosa.

Gregorio a lor successe, e a niun secondo, Per opre e per virt? mostrolla al mondo Maravigliosa.

Parimente l'anno stesso morirono nel territorio di Canossa Ugolino da Fogliano e Guido da Baiso.

a. 1227

L'anno 1227 fu gran caristia di biade e di ogni vittovaglia, sicch? lo staio del frumento si vendeva 12 sino a 15 soldi imperiali correnti; lo staio della spelta 5, 6 soldi imperiali; lo staio della melica 8 soldi imperiali, e la libbra di carne di maiale 12 soldi imperiali.

a. 1228

a. 1229

Turpius ejicitur, quam non admittitur hospes.

All'ospite l'onor ben pi? si toglie Se si discaccia, che se non s'accoglie

La suora espulsa si rec? dunque e stette al cospetto del visitatore, che era a mensa in casa dei frati che ivi abitavano; e colle lagrime agli occhi gli rifer? quanto le aveva detto la Badessa. Il visitatore, udite queste cose, si alz? turbato dalla mensa, and? e scomunic? la Badessa, perch? perseverando nella sua durezza chiudeva le viscere della piet? ad una sua consorella, che era stretta da dura necessit?. E prendendo per mano la tribolata suora la consol?, e la ricondusse seco a Genova, e preg? la Badessa e le suore di quel monastero ad accoglierla per amore di Dio e suo, avendo gi? loro prima parlato della malignit?, della durezza, dell'avarizia e della foll?a della Badessa di Chiavari. Tali cose avendo udito le suore del monastero di Genova, si mossero a compassione della loro consorella, e la abbracciarono festosamente. In quel monastero poi vi era una suora vecchia molto e divota e di gran merito presso Dio, a cui dispiacque assai il contegno di quella Badessa verso una suora tribolata e gi? collocata in convento. Ed essendo gi? di quel d? sera avanzata, e le altre suore andate a letto, essa s'inginocchi? davanti all'altare, e con molte lagrime preg? Iddio....... Il visitatore mand? subito un messo velocissimo a Chiavari per sapere che cosa fosse accaduto a quella badessa: e la trov? morta, maledetta, scomunicata e senza assoluzione. Nell'intervallo tra la partenza del visitatore e l'arrivo del messo, Cecilia, Badessa di Chiavari, cominci? a malare gravemente e svenir di languore; e soffrendo dolori di pi? maniere, si pose a letto, si ridusse agli estremi, e cominci? a gridare: Io muoio. Sorelle correte, aiutatemi, datemi qualche rimedio. Accorsero le suore incontanente, e, com'? dovere, ebbero compassione della loro Badessa. Della salute dell'anima sua non si fe' cenno, di confessione non se ne parl?. Le si strinse la gola, e appena poteva trar respiro. E quando s'accorse che moriva, disse alle suore adunate: Andate e ricevete quella suora; andate e ricevete quella suora; andate e ricevete quella suora. Per lei Iddio mi percosse; e in cos? dire spir?........ Ricordo che essendo io a Lione, ove era anche Papa Innocenzo IV, arrivarono alcuni frati Minori di Bordeaux a dire al Papa che le suore dell'Ordine di S. Chiara di Bordeaux avevano eletta suora Cecilia, sua nipote, a loro Badessa. E il Papa ne diede loro lettera di conferma, dicendo che andassero a ritrovarla a Parma. Ma l'Eletto di Parma, nipote del Papa, e fratello della prenominata donna, essendo pur esso a Lione, e avendo saputo la cosa, si present? al Papa e fece annullare la data conferma. E forse, se fosse andata col?, si sarebbe diportata meglio tra forestieri che in mezzo a parenti e conoscenti. Ora ripigliamo il corso della nostra storia, e incominciamo l? dove la lasciammo. L'anno 1229, segnato anche pi? su, Nazario di Ghirardino di Lucca fu Podest? di Reggio, e fece fare il ponte e le imposte di porta Bernone. Allora si cominci? a cinger di mura la citt? di Reggio. E fece fare cento braccia di muraglia, dalla detta porta in gi? verso porta S. Stefano. Cos? successivamente ogni anno gli altri Podest? fecero duecento braccia di muraglia finch? la citt? tutta fu murata. Per?, per la frequenza delle guerre, qualche anno rest? interrotta la continuazione del lavoro. Questo Nazario ha il suo ritratto in pietra sopra la porta Bernone, fatto fare da lui stesso, ed ha in Reggio la sua statua a cavallo. Fu bel cavaliere e ricco assai; mio conoscente ed amico quando io dimorava a Lucca nell'Ordine de' frati Minori. Donna Fior d'Oliva, sua moglie, era bella, paffuta e mia famigliare e devota. Era di Trento, moglie di un notaio, da cui ebbe due bellissime figlie; e Nazario la rap? al marito suo quando fu Podest? a Trento, e, consentendolo essa, la condusse a Lucca, e mand? sua moglie, che viveva ancora, in un certo suo castello, dove stette sino alla morte. Nazario mor? senza figli, e lasci? molte ricchezze a quella donna, che in seguito si marit? a Reggio, e, come mi disse, fu ingannata. E l'ebbe in moglie Enrico figlio di Antonio di Musso, e vive ancora oggi, festa di S. Lorenzo, marted?, 1283, anno in cui scriviamo queste cose. Tutti e due costoro, cio? Nazario e Fior d'Oliva fecero molto bene ai frati Minori di Lucca, quando la Badessa di Gattaiola dell'Ordine di S. Chiara provoc? e aizz? tutta Lucca contro i frati, calunniando gli innocenti. E cagione ne fu che frate Giacomo da Iseo non la voleva assolvere perch? non si comportava bene nel suo ufficio. Essa era figlia di una fornaia di Genova, e il suo governo era turpe, crudele e disonesto. E, per assicurarsi meglio quel ministero, era larga di regaluzzi e di leccornie a giovani, e a uomini, e a donne secolari, specialmente a chi aveva qualche parente nel monastero. Ai quali eziandio andava dicendo: I frati Minori non mi vogliono dare l'assoluzione perch?...... E cos?, come ? detto, calunniava gli innocenti. Ma mentiva apertamente. Tuttavia essa fu assolta, e i frati ricuperarono il loro onore e la loro buona fama, e la citt? la sua calma.

a. 1230

L'anno 1230 si celebr? in Assisi un capitolo generale de' frati Minori, e si fece il trasporto del corpo del beato Francesco il giorno 25 Maggio, e frate Giacomo da Iseo, che agli inguini e ai genitali era tutto guasto, riacquist? sanit? completa. Molti altri miracoli degni d'essere narrati fece in quel giorno Iddio per mezzo del suo servo ed amico Francesco, che potrai conoscere leggendo la sua biografia.

a. 1231

L'anno 1231, ai 14 di Giugno, Venerd?, il beatissimo padre e frate Antonio spagnuolo, che era nel convento di Padova, nella quale citt? l'Altissimo magnific? il suo nome per mezzo di quel Santo, abbandonando in Arcella il corpo alla dimora di tutte le reliquie mortali dell'uomo, vol? felicemente alla sede degli Spiriti celesti. Questi fu dell'Ordine de' frati Minori e compagno del beato Francesco, e, se ci baster? la vita, ne riparleremo e ne tesseremo pi? ampiamente le lodi altrove.

a. 1232

L'anno 1232, ai 16 di Ottobre, sabbato, fu rotto e messo in fuga il Marchese di Cavalcab? da Bonacorso da Pal? e da quei di Sesso presso Mancasale.

a. 1233

Ave Maria -- Clemens et pia, Gratia plena -- Virgo serena: Dominus tecum -- Tu mane mecum. Tu benedicta in mulieribus, Quae peperisti pacem hominibus Et angelis gloriam.

Et benedictus fructus ventris tui, Qui coeredes ut essemus sui, Nos fecit per gratiam.

Ave, Maria -- Clemente e pia, Di grazia piena -- Vergin serena: Iddio ? teco -- Tu resta meco. In fra le donne -- Tu benedetta All'uom portasti -- Pace perfetta E gloria agli Angeli.

E benedetto -- Lo Figlio tuo Che di far parte -- Del regno suo Larginne il merito.

Ora parliamo degli eminenti predicatori, che furono famosi al tempo di quella divozione: ed anzi tutto di due dell'ordine de' Predicatori, cio? di frate Giovanni da Bologna, nativo di Vicenza, e di frate Giacomino da Seggio, oriondo di Parma. Imperocch? il beato Domenico non era ancora canonizzato, ma era morto e sotterra, come si canta in una prosa:

Iacet granum occultatum, Sydus latet obumbratum; Sed plasmator omnium

Ossa Ioseph pullulare, Sydus iubet radiare In salutem gentium.

Sta un grano ancor sepolto. Sta un astro in ombra involto: Ma il Dio che suscita

Or Giuseppe a morte invola, Or dell'astro l'ombra assola, E salva i popoli.

E Giovanni giovanneggia E ballando caroleggia, Or tu salta, vola, sali, Tu ch'al cielo batti l'ali; Saltan questi, saltan quelli, Saltan pur mille drappelli; Danzan donne in giro, in coro Danza il Sir del Bucintoro ecc.

Per arar mio campo bene Aggiogar due buoi conviene: L'uno in dono dal Prelato, Cos? l'altro mi sia dato.

Altra volta, quand'era alla Corte, volendo fare un presente ad un certo Cardinale, fece fare dodici pani bianchissimi, grossi e belli, di cui la fornaia gliene rub? uno. Nullameno mand? gli undici restanti con una cartolina, che diceva;

No, non sgradir questo mio tenue dono Se dodici gli apostoli non sono; Ch? Giuda, e forse di scherzar s'intese, La birba di fornaia se lo prese.

Un'altra volta ancora avendogli l'Arcivescovo mandato un regalo di pesce senza vino, disse:

Un piatto l'Arcivescovo m'invia Con entro il pi? bel pesce che si dia. No, non l'accetto, se con lui non viene Un vin che grilli e fumi per le vene.

Parimenti in altra occasione fece questi versi:

Queste rispetter? vacche ch'han tratte La nave trionfal del sacro patto; Ma il mondo reo con un nefando eccesso Ingrato al merto lor le mangia a lesso

Un'altra volta gli fu porto del vino molto annacquato. E cominci? a dire:

In questo nappo mio ch'or or s'empieo Misti in amplesso son Teti e Lieo: Un Dio con una Dea si mesce e avvince, Che maggiore di lui lo slomba e vince. N? l'uno nulla val, n? l'altra un punto, Se l'un coll'altra insiem trovi congiunto, Frema dunque Lieo nell'inguistare, E Teti baci il suo Nettuno in mare.

Parimente in altra occasione improvvis? i seguenti versi intorno al vino:

Vino, vinel, vinella al desco ? data; Lungi da me sta femmina scempiata: Lungi da me l'eunuco suo germano; M'innondi il padre lor che ? Dio sovrano Che pizzica, che morde, ed un latino Fa le lingue parlar vivo, divino.

Cos? pure egli accusato dal suo Arcivescovo di tre colpe, cio?; di essere donnaiolo, giuocatore e taverniere, fece in versi una sua giustificazione che diceva;

Aestuans intrinsecum -- ira vehementi In amaritudine -- loquor meae menti, Factus de materia -- vilis elementi, Folio sum similis -- de quo ludunt venti. Cum sit enim proprium -- viro sapienti Super petram ponere -- sedem fundamenti, Stultus ego comparor -- fluvio labenti Sub codem aere -- nunquam permanenti. Feror ego veluti -- sine nauta navis, Ut per vias aeris -- vaga fertur avis. Non me tenent vincula -- nec me tenet clavis Quaero mei similes -- et adiungor pravis. Mihi cordis gravitas -- res videtur gravis; Iocus est amabilis -- dulciorque favis. Quidquid venus imperat -- labor es suavis, Quae nunquam in cordibus -- habitat ignavis Via lata gradior, -- via iuventutis; Implico me vitiis -- immemor virtutis Mortuus in anima -- curam gero cutis, Voluptatis avidus -- magis quam salutis. Praesul discretissime, -- veniam te precor: Morte bona morior, -- dulci nece necor; Meum pectus sauciat -- puellarum decor, Et quas tactu nequeo, -- saltem corde mecor. Rest est paratissima -- vincere naturam? In aspectu virginis -- menten esse puram? Iuvenes non possumus -- legem sequi duram, Leviumque corporum -- non habere curam. Quis in igne positus -- igne non uratur? Quis Papiae commorans -- castus habeatur? Ubi Venus digito -- iuvenes venatur, Oculis illaqueat, -- facie praedatur. Si ponas Ipolitum -- hodie Papiae, Non erit Ipolitus -- in sequenti die. Veneris in talamos ducunt omnes viae Non est in tot turribus -- turris Alachiae. Secundo redarguor -- etiam de ludo: Sed cum ludus corpore -- me dimittat nudo, Frigidus exterius -- mentis aestu sudo. Tunc versus et carmina -- meliora cudo. Tertio capitulo -- memoro tabernam; Illam nullo tempore -- sprevi nec spernam, Donec sanctos -- veniente cernam angelos Cantantes pro mortuis -- requiem aeternam. Poculis accenditur -- animi lucerna; Cor imbutum nectare -- volat ad superna. Mihi sapit dulcius -- vinum de taberna Quam quod aqua miscuit -- Praesulis pincerna. Loca vitant pubblica -- quidam poetarum Et secretas eligunt -- sedes latebrarum. Student, instant, vigilant -- nec laborant parum, Et vix tandem reddere -- possunt opus clarum. Student, instant, vigilant -- poetarum chori, Vitant rixas pubblicas -- et tumultus fori; Et ut opus faciant -- quod non possit mori Moriuntur studio -- subditi labori. Unicuiqe proprium -- dat natura donum; Ego versus faciens -- bibo vinum bonum, Et quod habent purius -- dolia cauponum. Vinum tale generat -- copiam sermonum: Unicuique proprium -- dat natura munus Ego nunquam potui -- scribere ieiunus. Me ieiunum vincere -- posset puer unus. Sitim et ieiunium -- odi quasi funus. Tales versus facio -- quale vinum bibo. Nihil possum facere -- nisi sumpto cibo, Nihil valent penitus -- quae ieiunus scribo. Nasonem post calicem -- carmine praeibo. Mihi nunquam spiritus -- poetriae datur, Nisi prius fuerit -- venter bene satur. Dum in arca cerebri -- Baccus dominatur In me Foebus irruit -- et miranda fatur Meum est propositum -- in taberna mori Ut sint vina proxima -- morientis ori. Tunc occurrent citius -- angelorum cori. Sit Deus propitius -- mihi peccatori. Ecce meae proditor -- pravitatis fui, De qua me redarguunt inservientes tui. Sed eorum nullus -- est accusator sui, Quamvis velint ludere -- saeculoque frui Iam nunc in praesentia -- praesulis beati Mittat in me lapidem -- neque parcat vati, Cujus non est animus -- conscius peccati. Sum locutus contra me -- quid quid de me novi, Et virus evomui -- quod tam diu fovi, Vetus vita displicet -- mores placent novi, Homo videt faciem, -- sed cor patet Iovi. Iam virtutes diligo, -- vitiis irascor; Quasi modo genitus -- novo lacte pascor, Ne sit meum amplius -- vanitatis vas cor. Electe Coloniae -- parce poenitenti, Et da poenitentiam -- culpam confitenti; Feram quid quid iusseris -- animo libenti. Parcit enim subditis -- leo rex ferarum Et est erga subditos -- immemor irarum. Et vos idem facite, -- Principes terrarum. Quod caret dulcedine -- nimis est amarum.

Con un rovello in cor d'ira bollente Meco ragiono in duol colla mia mente. Plasmato d'un vilissimo elemento Somiglio a foglia, che sia scherzo al vento. Al saggio, ? ver, convien saldar sua legge Su quella pietra che in eterno regge; Ma sovra un fiume che mai posa e guizza Lo stolto, che son io, sua sede rizza. Nave senza nocchier cui l'onda aggira, Augel travolto da Aquilon che spira, Non ?ncora mi tien non chiavistello Co' pari miei m'imbranco nel bordello. Ogni grave pensier l'alma mi strugge, E sol dal gioco sua dolcezza sugge. Opra soave sol ne impon Ciprigna, Ciprigna a cor gelato ognora arcigna. Volo per largo in giovanil furore; Guazzo nel male e al bene aduggio il fiore. Morto nell'alma, al corpo sol ridotto, Pi? del piacer che di virt? son ghiotto. Deh! mi perdona, o mio signor preclaro! Ov'? un morir pi? dolce? Ov'? pi? caro? Fior di fanciulle al cor dardi mi scocca, E se 'l tatto non pu?, desio le tocca. Chi pu? domare il cor? Chi la natura? Chi le belle guardar con mente pura? La giovanile et? la legge rompe, E sbriglia il corpo, che qual tauro irrompe. Fu paglia in foco mai ch'arsa non sia? Fu casto niuno mai dentro Pavia? Ove il cinto di Venere t'allaccia, E il guardo, il dito, il volto d? la caccia? Vada pur oggi Ippolito a Pavia, Ippolito diman certo non fia. Venere ha nido in ogni via che scorri, Niuna ? d'Alachia fra tante torri. Poi di giocar, su me, l'accusa grava; Ma quel troppo giocar nudo mi cava, Mi gela fuor, m'infiamma entro la mente, E allor so verseggiar divinamente. M'accusan d'andar troppo all'osteria Fu sempre il mio gran gusto e ognor lo fia Sinch? verran l'angeliche coorti A cantare per me l'inno dei morti. Face dell'alma son del vin le spume, Che per volare al ciel danno le piume. E a me pi? piace il vin della taverna Che 'l pisciarel di vescovil pincerna. Vedi poeta a martellar sull'arte, Chiuso, solingo, starsene in disparte, E suda, dura, veglia e si martoria E in fin ne miete a pena un po' di gloria. Suda e s'affanna de' poeti il coro, Fugge teatri e strepiti di foro; E per comporre un carme imperituro, Dorme anzi tempo tra color che furo. Ad ogni uom suo don le stelle danno: Ed io poeta del miglior tracanno Che spilli a me dell'oste la cantina, Che da facondia ricca, alta, divina, Ad ogni uom suo don le stelle diero; Ed io digiun non so trovar pensiero; E me digiuno anche un fanciullo atterra; Odio sete e digiun pi? che la guerra. Bei versi io detto se il mio nappo ? vasto; E nulla posso far che dopo il pasto. Ciancie da nulla sol, digiuno, io vergo: Dopo i bicchier mi lascio i grandi a tergo. Poetica scintilla non m'accende Se pria buon cibo il ventre non mi stende. Quando nel mio cervello ? Bacco in trono Febo mi fa del suo cantare un dono. Morire all'osteria io bramo e voglio, Per morire tra 'l vin qual viver soglio. Allor verran l'angeliche legioni, E Dio mi tocchi il cuore e mi perdoni. Ed ecco che di quel son reo confesso Che a carico di me le spie han messo: Ma nessuna di lor s? stessa accusa; Eppur di Bacco e di Ciprigna abusa. Ora dunque, o Signore, al tuo cospetto Lanci una pietra qu? contra 'l mio petto, N? d'un poeta il colga o tema o cura, Chi si sente di lor coscienza pura. Ecco quanto so dir a danno mio: Ecco le colpe che il mio sen nutrio. Ora il vecchio si spogli e si rinnove; Ch? l'uom la faccia, il cor lo vede Giove. Gi? gi? virtude adoro, e il vizio fuggo; Quasi rinato nuovo latte suggo, A fin che il cor non serva, or fatto mondo, Ad albergar le vanit? del mondo. Deh! perdona, o Signore, a chi s'emenda; Pari all'error su me la pena scenda. Sommesso al tuo volere umilemente Far? come colui che a pien si pente. Una fiera minor non la molesta Il biondo imperador della foresta. Per voi, o Prenci, ecco un solenne esempio: Incrudelir dall'alto, ? vile ed empio.

a. 1234

Nell'anno 1234 si ebbe tanta neve e ghiaccio in tutto il mese di Gennaio che ne gelarono le vigne e le piante da frutta. E di freddo morirono anche animali selvatici; e i lupi entravano sino entro la citt? di notte, e di giorno ne furono presi, uccisi e sospesi, a spettacolo, nelle piazze delle citt?. E per il gelo eccessivo gli alberi si spaccavano dall'alto al basso, e molte piante perdettero la forza vegetativa e perirono. E vi fu gran battaglia nella diocesi di Cremona fra Cremonesi, Parmigiani, Pavesi, Piacentini e Modenesi da una parte, e dall'altra Milanesi, Bresciani e loro alleati.

a. 1235

a. 1236

L'anno 1236 in Settembre arriv? l'Imperatore Federico, ed invase la Lombardia a malgrado dei Padovani, Vicentini, Trivigiani, Milanesi, Bresciani, Mantovani, Ferraresi, Bolognesi e Faentini. Ma i Cremonesi, i Parmigiani ed i Reggiani co' loro eserciti e duecento cavalieri Modenesi gli andarono incontro. Pass? il Mincio e l'Oglio, prese e distrusse Marcaria mantovana, e poi subito la ricostru? e la affid? da difendere ai Cremonesi. Poi and? coi detti eserciti alla volta di Mantova, e la tenne alquanti d? assediata. Prese Moso della provincia di Brescia, e lo diede anch'esso da difendere ai Cremonesi. E allora quei di Gonzaga restituirono Gonzaga all'Imperatore. Lo stesso anno and? a Vicenza, la prese e la distrusse il 1? di novembre, e fece un concordato con Salinguerra e i Ferraresi. Lo stesso anno la vigilia di Natale i Mantovani corsero all'improvviso sopra Marcaria e la ripresero con tutti i Cremonesi che la difendevano, e molti ne trassero prigionieri a Mantova, molti ne uccisero.

a. 1237

L'anno 1237 Manfredo Cornazzani, cittadino di Parma, fu Podest? di Reggio, e in settembre and? in aiuto dell'Imperatore Federico coi Parmigiani e i Cremonesi coi loro carrocci; e passarono da Castel di Moso, che era in mano dei Cremonesi, e presero Redondesco bresciano e Vinzolo mantovano e Castel Ghedi. E trovandosi ivi l'Imperatore fece pace coi Mantovani, sicch? gli mandarono fanti e balestrieri in aiuto per l'assedio di Montechiaro. E, mentre si recarono alla volta di Montechiaro, incendiarono Guidizzolo. Ed i Reggiani da soli, assediato Carpenedolo lo presero il 5 ottobre, come pure due castelli di Casaloldo, uno che era dei Conti, e l'altro era dei terrazzani di quel luogo; e li misero a fuoco. Parimenti ai 7 Ottobre l'Imperatore strinse l'assedio di Montechiaro, e fu ospitato insieme al suo seguito tra Montechiaro e Calcinato sul Chiese pi? presso a Calcinato. L'11, giorno di domenica, que' di Montechiaro fecero una sortita e diedero battaglia, e nel giorno seguente l'Imperatore complet? l'assedio di Montechiaro dall'una e dall'altra parte, e lo batterono con manganelle e due baliste; e il giorno 22 Ottobre, un gioved?, quei del castello si arresero all'Imperatore; e furono tutti condotti via e messi in prigione. L'Imperatore aveva nel suo esercito molti Saraceni. Cos? ai 2 di Novembre prese Gambara, Castel Gottolengo, Pralboino e Pavone, e furono messi a ruba, a ferro e a fuoco. E prima del d? di S. Martino venne coll'esercito a Pontevico. Allora l'Imperatore ricevette quel suo elefante che aveva a Cremona, sul cui dorso s'ergeva una torre di legno a foggia del carroccio dei Lombardi; ed era quadra e ben formata, e aveva quattro bandiere, una ad ogni angolo, e nel centro un gran confalone, e dentro chi conduceva la bestia con molti Saraceni. Di questa materia ne parla abbastanza il 1? libro de' Macabei... L'Etiopia abbonda di questi animali, la cui natura e le cui propriet? espose a sufficienza frate Bartolomeo Inglese dell'Ordine dei Minori, in un libro che scrisse intorno alla natura delle cose, diviso in dicianove capitoli. Fu chierico grande e spieg? a Parigi in poche lezioni tutta la Bibbia. Nel millesimo stesso suindicato, mentre l'Imperatore era col suo esercito a Pontevico, corsero i Milanesi contro di lui coll'esercito loro, e stettero gran tempo a campo. Allora i bolognesi ai 25 di novembre presero Castel Leone, che era de' Modenesi sulla strada presso Castel Franco, lo smantellarono, e ne portarono a Castelfranco, appartenente ai Bolognesi, il legname, le pietre e le altre cose; e gli uomini che trovarono in Castel Leone li trassero in prigione a Bologna. A Castel Leone vi era una bellissima torre, che cadendo sbatt? con tanta violenza le acque della fossa, che ne lanciarono fuori un luccio bianchissimo, grosso e bello; e fu tosto offerto in regalo al Podest? di Bologna, che era sopra luogo. Ed uno che vide queste cose le raccont? a me una volta che ebbi occasione di passare di l? in sua compagnia. E mentre tutto ci? avveniva, l'Avvocato del Comune di Parma cio? il Giudice del Podest?, che era Modenese, andava su e gi? a cavallo, preceduto da un battistrada, piangendo per la Via di S. Cristina e gridando: Signori Parmigiani, accorrete e aiutate i Modenesi; e vedutolo ed uditolo, io lo presi ad amare, perch? procurava di far del bene a' suoi compatrioti. E per essere pi? facilmente esaudito ripeteva quelle parole, e aggiungeva: Signori Parmigiani, correte e soccorrete i Modenesi, amici e fratelli vostri; sicch? all'udir quelle parole, io ne era commosso sino alle lacrime. Perocch? io andava pensando che Parma era senza uomini; n? erano rimasti a casa che i ragazzi, le ragazze, i giovinetti, le donzelle, i vecchi e le donne. Gli altri erano andati contro i Milanesi, insieme ad altri eserciti, al seguito dell'Imperatore in aiuto della sua impresa. E lo stesso anno ai 27 di novembre i Milanesi furono rotti dall'esercito dell'Imperatore, che ne fece massacro, e perdettero presso Cortenuova il carroccio, cui poi l'Imperatore mand? a Roma. Ma i Romani per oltraggio a Federico lo abbruciarono; mentre egli credeva d'aver fatto cosa loro gradita, e valevole a renderseli favorevoli. In quel combattimento fu fatta grande strage di Milanesi; ed anche il figlio del Doge di Venezia, che era allora Podest? di Milano, fu preso dall'esercito dell'Imperatore, e mandato prigione a Cremona. E cos? l'Imperatore conquist? quasi tutta la Lombardia e la Marca Trivigiana.

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