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Read Ebook: Roma nella memoria e nelle immaginazioni del Medio Evo vol. I by Graf Arturo

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Ebook has 660 lines and 139324 words, and 14 pages

ROMA NELLA MEMORIA E NELLE IMMAGINAZIONI DEL MEDIO EVO

ARTURO GRAF

Prof. Straord. di Storia comparata delle Letterature romanze nella R. Universit? di Torino

Roma caput mundi regit orbis frena rotundi.

TORINO ERMANNO LOESCHER 1882

ROMA e FIRENZE presso la stessa Casa.

PROPRIET? LETTERARIA

Torino -- VINCENZO BONA, Tip. di S. M.

VRBI

AETERNAE

PREFAZIONE

L'aver di tanto arricchito il patrimonio delle singole scienze di quanto, dal Rinascimento in poi, non lo arricch? tutta intera l'et? che ci precede, ?, senza dubbio, gloria principalissima del nostro secolo; ma ? gloria ancor maggiore l'aver riconosciuto che il dominio della scienza ? cos? vasto com'? vasto lo stesso dominio dell'essere, nella infinita variet?, e nella interminabile consecuzione delle forme, e che non v'?, sia nel mondo fisico, sia nel mondo morale, fatto cos? lieve, n? cos? fuggitiva parvenza, che non meriti studio, e non contenga in s? qualche parte della verit? che si cerca.

Poniamo da banda le discipline che si esercitano intorno alla natura fisica, e guardiamo, per quanto ? lecita una separazione cos? fatta, a quelle che, dato alle parole il pi? largo significato, si chiamano morali e storiche. Quali avanzamenti in breve giro di anni! e quanto diversi da quelli dei non lontani predecessori nostri, sono i principii direttivi ed i metodi che guidano e sorreggon noi nell'indagine! Non ? ancora un secolo la critica dissolvente dei razionalisti, tutta involta nelle lotte vive e negl'interessi pratici del tempo, pareva intendesse di deliberato proposito, a restringere sempre pi?, a menomare, a sfaldare il tutto insieme dei fatti in che consiste la vita varia della umanit? e il complicato processo della storia, e a privarsi degli ajuti pi? efficaci a penetrarne il secreto. Si abbattevano le religioni senza cercar le cause e le leggi del loro nascere, fiorire e scadere; si combattevano le superstizioni perch? dannose, senza sapere propriamente che cosa fossero, a che altro accennassero, perch? perdurassero; le letterature e le immaginazioni popolari s'ignoravano, o, in nome del buon gusto e della ragione, si deridevano; se accadeva di dover riferire una ingenua finzione, una tradizione nata sulla gleba o sul lastrico, una immaginosa leggenda, non si faceva senza prima domandarne scusa al lettore, volta in beffe la cosa.

Tutt'altro modo si tiene ora da noi, e la scienza nostra ha dismesso ogni sprezzatura antica. Cercare il vero cos? nelle minime come nelle massime cose, non ispezzare con elezioni e con esclusioni consigliate dall'arbitrio le grandi unit? della natura e della storia, ? legge suprema di ogni nostra indagine, e condizione indispensabile di buon successo. I linguaggi pi? rozzi ed inorganici, i miti pi? semplici, gl'ingenui racconti di popolazioni non ancora uscite di fanciullezza, i canti e le confuse memorie dei nostri volghi, le credenze religiose pi? assurde, le pi? pazze superstizioni, le povere cantilene con cui dalle nutrici si allettano al sonno i bambini, queste, ed altrettali forme ed espressioni del pensiero nascente, del sentimento indistinto, sono da noi con amorosa diligenza raccolte e studiate; e in tutte queste menzogne cerchiamo e troviamo la verit?. Come negli organismi pi? umili il naturalista rintraccia le leggi della vita fisica, cos? noi in questi rudimenti le leggi della vita intellettuale e morale, e ad ogni passo che moviamo su questa via vediamo mutarcisi dinnanzi gli aspetti della storia, e sorgere nuove e pi? larghe apparite.

On court, h?las! apr?s la v?rit?: Ah! croyez-moi, l'erreur a son m?rite!

Se non che noi siamo oramai proceduti pi? oltre. La poesia, alcune volte sovrana, della leggenda, commuove senz'alcun dubbio gli animi nostri; ma il pregio poetico, non ? gi? a nostro giudizio, il pregio suo principale, o almeno, non ? pi? il solo. Chi della leggenda non vede altro aspetto che quello della menzogna conosce assai malamente qual essa sia; giacch? ogni leggenda ha due aspetti; l'uno che guarda l'esterno, cio? il mondo, ed ?, ma non in tutto sempre, l'aspetto della menzogna, l'altro che guarda l'interno, cio? lo spirito, ed ? l'aspetto della verit?. Ogni leggenda ? necessario portato dello spirito che l'ha prodotta, e a giudicare della struttura, della economia, delle tendenze di quello spirito porge i pi? sicuri e pi? pregevoli indizii. Inoltre, ogni leggenda, quando siasi largamente diffusa, quando vada vestita di molta autorit?, diventa essa stessa un fatto storico, e una forza che interferisce e si compone con l'altre forze ond'? promosso e guidato il corso della storia. La leggenda della guerra di Troja spande il suo spirito ed i suoi influssi su tutta l'et? pi? gloriosa della storia greca.

Chi pertanto disse la leggenda essere la storia ideale, non disse vero se non in parte; la leggenda ? ancora storia reale. Tanto che l'esser suo di leggenda non ? riconosciuto, essa pu? offuscare la verit? ed esser causa di errore; ma riconosciuto che sia, essa diventa, per contrario, principio di critica e d'interpretazione. Non si pu? sperare di cogliere il carattere esatto e la giusta significazione di certi fatti storici, se questi, oltrech? nei documenti e nelle relazioni autentiche, non si rintraccino ancora nelle finzioni cui diedero origine. Le numerose leggende raccoltesi intorno al nome e alla persona di Carlo Magno sono, in certo qual modo, una effusione della storia certa di lui; e noi solamente allora intendiamo a pieno l'importanza storica del suo operato quando ne vediamo crescere e perpetuarsi nella leggenda la fama gloriosa. Mi sarebbe agevole di moltiplicare gli esempii in prova di quanto dico; ma uno ne addurr? che pu? valere per tutti. Ognuno sa quanta parte abbia nella vita del medio evo il sentimento religioso, e come, senza la chiara cognizione di tal sentimento, quella vita non possa essere intesa a dovere. Di molti storti e parziali giudizii sul medio evo ? cagione appunto il non sapere quali fossero l'indole e le necessit? di quel sentimento, che s'inframette per tutto, e tutto allora segna del proprio carattere. Noi possediamo numerose storie, e alcune eccellenti, della Chiesa, dei concilii e dei canoni, del dogma e delle eresie; ma una storia della credenza religiosa, popolare e comune, immaginosa ed essenzialmente affettiva, considerata fuori delle stretture del dogma, e dei rigidi confini della chiesa ufficiale, non fu fatta per anche. E questa ? veramente la religione che vive e che opera. Alla coscienza cristiana, sino da tempo antico, non bastarono n? i libri canonici, n? i dogmi con lungo e faticoso studio fermati dalle supreme potest? ecclesiastiche; il sentimento prorompeva da ogni banda e si ricomponeva in figure, in simboli, in finzioni d'ogni maniera. Di fronte alle scritture canoniche sorgeva la schiera dei libri apocrifi; dove nella storia autentica era un silenzio che lasciava insoddisfatta la devota e premurosa curiosit? dei credenti, la tradizione viva, nata del sentimento di tutti, metteva una voce e una memoria. Si rifaceva la storia della creazione, si rifacevano le storie della Vergine e della fanciullezza di Cristo, si rinarravano, col sussidio di nuove testimonianze, i fatti meravigliosi della Passione. Poi venivano le Vite dei Santi, opera della poesia non meno che della fede, creazioni in gran parte libere, dove il sentimento poteva espandersi e dar figura e corpo di realt? agl'ideali suoi pi? sottili e pi? reconditi. La religione popolare nel medio evo ? fatta per un terzo di dogma, e per due terzi di leggenda, e chi questa leggenda non considera, e non ricerca nelle sue ragioni e nelle sue forme, non conosce quella religione, e non pu? conoscere la vita del medio che ? ad essa cos? strettamente legata.

Nelle pagine che seguono io discorro delle leggende e delle immaginazioni d'ogni maniera cui diedero argomento nel medio evo. Roma antica e la sua storia indimenticabile. Non preoccuper? qui il mio soggetto, n? dir? cose che il lettore potr? trovare pi? opportunamente trattate nel primo capitolo di questo volume. Desidero solamente si sappia che io non iscrissi il mio libro, frutto di pi? anni di perseverante lavoro, per servire al diletto e ad una oziosa curiosit?; ma bens? per giovare, come per me si poteva meglio, a questi studii cui va meritamente crescendo di giorno in giorno il favore, e pi?, mi duole il dirlo, fra gli stranieri che non fra noi. Le finzioni onde il medio evo venne popolando la storia di Roma mi sono sembrate non indegno argomento di studio, e non immeritevole dell'altrui attenzione. In esse vive e si palesa lo spirito di quell'et? inquieta e fantastica cui travagliarono ideali eccedenti fuor d'ogni misura le condizioni della vita reale; ed io esponendole, commentandole, illustrandole, non ho creduto far altro se non aggiungere alla storia di quella et? un capitolo nuovo.

Chi ha qualche pratica di cos? fatti lavori, intender? di leggieri quale fatica mi sia costata quest'opera. Le mie ricerche dovevano estendersi sopra libri d'ogni generazione, stampati e manoscritti, e che in nessuna biblioteca del mondo si potevano trovare insieme riuniti. Quindi la necessit? di ripetuti viaggi e di pi? o meno lunghe dimore, non solo nelle principali biblioteche d'Italia, ma in quelle ancora della rimanente Europa.

Dell'ordine e del modo da me tenuto nello scrivere d? dimostrazione, senza che io ne ragioni altrimenti, il libro stesso. Se nel riferire passi di scritture edite o inedite ho largheggiato, non credo di dovere per ci? invocar l'indulgenza dell'erudito lettore. In poesia e in istoria leggendaria i testi sono fatti, e nulla v'? che possa farne adeguatamente le veci.

Nei lunghi giorni consumati in pazienti e penose indagini un pensiero mi sorreggeva e mi alleggeriva il c?mpito; il pensiero di quella gloriosa citt? che da venticinque secoli assiste imperitura alla drammatica vicissitudine della storia, e vede dalla polvere della signorie cadute e delle morte generazioni rifarsi senza fine i suoi misteriosi destini. Mi tornavano in mente gli anni, lontani oramai, vissuti tra le sue mura, e le impressioni indelebili della sua maest? ricevute fra quelle ruine superbe di memorie e parlanti. Un affetto riconoscente scalda nell'animo mio quei cari ricordi, ond'io ne do, come posso, una prova. La storia certa della citt? regina, nel tempo antico, nell'et? di mezzo, nella et? presente, fu scritta per modo che poca speranza pu? rimanere ad altri di meglio: in questa parte io nulla poteva dare; ma un libro delle sue leggende io tentai di comporre, e a questo godo di potere scrivere in fronte il nome venerato di ROMA ETERNA.

La Gloria e il Primato di Roma.

Durante tutto il medio evo l'immagine dell'antica Roma, cinta dello splendore della sua gloria incomparabile, ? presente alla memoria degli uomini.

Quanto pi? i tempi sono calamitosi, quanto pi? aspra la vita, tanto pi? sollecito e appassionato par che si drizzi il sentimento verso quell'indimenticabile paragone d'ogni grandezza, tanto pi? ardente pare che vi si appunti il desiderio. I destini di Roma non avevano pari nel mondo. Decaduta dalla signoria politica, vinta, conculcata, la citt? regina risorge armata di nuova potenza, e, fatta centro della fede, riconquista sui popoli un nuovo dominio, pi? sicuro e pi? formidabile dell'antico. La storia presente si ricongiunge alla passata: l'unit? sussiste, turbata s?, ma non interrotta dagli esterni travolgimenti, e si manifesta, e s'impone agli spiriti. Restituito l'impero d'Occidente, si riprender? come se nulla ci fosse stato di mezzo, la serie degl'imperatori, si creder? trasmessa direttamente in Carlo Magno, traverso ai despoti di Bizanzio, la potest? imperiale. Roma ? piena delle proprie rovine, quasi ad ammonire altrui della caducit? d'ogni cosa terrena; ma ferve tra quelle una vita nuova, che si spande all'intorno; e regna negli animi una credenza che Roma, sortita dalla divina provvidenza ad essere la reggitrice perpetua dell'uman genere, non pu? morire, ed ? serbata a vedere la consumazione dei secoli. In mezzo alla crescente barbarie, tra il frastuono della vita disordinata e battagliera, nei silenzii dello spirito ingombrato d'ignoranza, la voce dell'antica citt? suona insistente come un richiamo e un segno di riconoscimento. Principio e fonte d'ogni potest?, Roma ? il simbolo della universale cittadinanza, ? la patria comune in cui tutti si riconoscono. Disfatta l'unit? reale dell'impero, sciolti i vincoli di soggezione che legavano i popoli conquistati alla citt? dominatrice, il sentimento di quella unit? e di quella soggezione rimane vivo negli animi, e se ne genera come una tradizione di comunanza fra genti che seguiranno da indi in poi ciascuna il suo particolare cammino. Le antiche province dove si parla latino formeranno, sotto il nome di Romania, una specie di entit? geografica ideale, e romani si diranno, di fronte ai barbari, gli abitatori di essa discesi dagli antichi soggetti di Roma, e romana sar? ciascuna lingua nata dalla variazione del latino rustico. Dalle invasioni dei barbari pi? e pi? secoli passeranno, sar? dileguato ogni vestigio della civilt? latina, nuovi interessi e nuove fedi avranno occupato il mondo, e il fantasma di Roma, ritto in mezzo alla cristianit?, trarr? pur sempre a s?, da ogni parte, l'ammirazione e l'ossequio. Gl'influssi che tacitamente essa diffonde formano come un'atmosfera morale in cui tutti respirano. L'ammirazione per gli uomini e per le cose cresce di giorno in giorno e diventa un culto, la poesia se ne ispira, la leggenda ne nasce.

La storia non presenta altro esempio simile a questo di sollecitudine viva ed universale per le cose d'una et? passata e per una gloria irrevocabile. Giacch? qui non si tratta punto dell'interesse erudito che, per un esempio, muove noi moderni allo studio metodico delle forme pi? disparate dell'antica civilt?, a cui ? al tutto estranea la vita nostra; n? quella sollecitudine somiglia punto all'entusiasmo misto di pedanteria che scalda il petto agli umanisti; ma ? una sollecitudine ingenua, e direi quasi nativa, per cose che si credono appartenere ancora in qualche maniera al mondo dei vivi. Pel medio evo Roma non ? solamente il passato, ? ancora il presente e l'avvenire. L'impero esiste in diritto, e qualche volta anche in fatto, e una vaga speranza che i tempi felici e gloriosi possano ancora tornare non si spegne in tutto mai. ? questa la speranza che accende l'animo e muove il braccio di Arnaldo da Brescia e di Cola di Rienzo.

Premesse queste brevi considerazioni generali, su cui non giova che io mi trattenga pi? a lungo, facciamoci ora ad esaminare un po' particolarmente come nel medio evo si ricordasse la grandezza di Roma, e quali sentimenti, e quali atti si generassero dal ricordo.

Roma caput mundi, primo pastore beata;

e il distico:

Roma decus, mutata secus quam prima fuisti, Roma caput mundi super omnes omne novisti,

si trova riportato in molte scritture. A quel titolo glorioso Alcuino raccosta la seguita ruina:

Roma caput mundi, mundi decus, aurea Roma, Nunc remanet tantum saeva ruina tibi;

Vidi, vidi caput mundi instar maria et profundi 'vorax guttur siculi;'

Roma caput mundi est, sed nil capit mundum.

Il primato di Roma ? riconosciuto da tutti, Italiani e non Italiani. Vulgario, nel X secolo, cos? lo afferma:

Roma caput mundi, rerum suprema potestas, Terrarum terror, fulmen quod fulminat orbem, Regnorum cultus, bellorum virida virtus, Immortale decus solum, haec urbs super omnes.

De Rume oi Hasteins parler E Rume oi forment loer, Qu'en tut le munt, a icel iur, N'aveit cita de sa valur;

Ne sont que trois matieres a nul hom entendant, De France, de Bretaigne et de Rome la grant,

Douce gent, ?s croniques de Saint-Denis en France Voit-on moult de merveilles; mais sachiez sans doutance Celles de Romme sont de trop plus grant sustance.

Rutilio Numaziano aveva gi? detto, apostrofando Roma:

Fecisti patriam diversis gentibus unam, . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Urbem fecisti, quae prius orbis erat.

Primitus Europae mea pagina serviet, in qua Roma stat, orbis apex, gloria, gemma, decus. Urbe titulis claris tam laetis clara triumphis, Quondam bisseno Caesare tuta fuit. Haec genuit Magnum tam magni nominis, Eurus Imperio vidit regna subacta suo. Haec genuit Brutum, qui victor ab urbe tyrannum Expulit, iste pater urbis et orbis erat. Victorem Magnum genuit Carthaginis altae, Fulsit in hac geminum sidus uterque Cato. Urbe Boethius hac consul, Symmachusque senator Fulsit, sub Fabio consule laeta fuit. Quis non miretur linguam Ciceronis, et ausus Tantos, eloqui maximus auctor erat. Artis rethoricae fuit arx, fons, manna, columna; Cessit et invitus huic Catalina ferox. Clarus avos fulsit hac urbe Sallustius, isti Par aliquis, nemo major in urbe fuit.

E cos? seguita per molti altri versi predicando le lodi dell'antica Roma, ma poi soggiunge il biasimo che si merita Roma papale. N? men caldo di entusiasmo ? il linguaggio che Amato di Monte Cassino usa nel poema da lui composto in onore di san Pietro e Paolo:

Orbis honor, Roma splendens decorata corona Victorum regum, discretio maxima legum, His simul et multis aliis redimita triumphis O victrix salve; cuius super ethera palme Pulcre scribuntur, et quam colit undique mundus. Que vox, quis sapiens, vel que facundia verbi Quisque tuas laudes poterit replicare poeta? Grecus et Hebreus, si barbarus atque Latinus Hec pertemptarent, tantus labor hos maceraret. Gratia que terra poterit vel inesse potestas, Quam tua precellens dominatio non sit adepta? Tu retines sceptrum super omnia sceptra timendum, Tu nosti gentes armis redomare furentes. Que sis, quam prestane Cicero dictamine narrat, Cui similis nullus describitur atque secundus. Et Livius Titus, Lucanus in ense peritus Egregiusque Maro magnusque poemate Naso, Et vir mirificus Varo quem fovet iste Casinus, Et plures de te scripserunt plura poete. Ex te qui cunctum meruere subdere mundum, Et processerunt ex te qui iura dederunt. Tu titulum dextra gestas et dona sinistra: His concedis opes, his et largius honores, Hec quia magna facis mundi regina vocaris.

O fior d'ogni citt?, donna del mondo, O degna, imperiosa monarchia.

Le ricordanze che si serbavano dell'antichit? suggerivano naturalmente questi pensieri; ma ad accrescere il gran concetto che si aveva di Roma giovavano inoltre non poco le scoperte non infrequenti di monete, di statue e di vasi preziosi, e le maestose rovine sparse su tutta la faccia dell'Europa.

Dic homo qui transis, dum portae limina tangis: Roma secunda vale, Regni decus imperiale; Urbs veneranda nimis, plenissima rebus opimis, Te metuunt gentes, tibi flectant colla potentes, In bello Thebas, in sensu vincis Athenas.

Il sentimento e l'amor della gloria non erano cos? scarsi e cos? freddi nel medio evo come da taluno si va dicendo. La fede e la sapienza che da lei s'inspirava, raccomandavano, ? vero, il disprezzo dei beni e delle grandezze della terra, ma non riuscivano a soffocare le naturali cupidigie dell'anima umana, nobili od ignobili che fossero. Poter essere paragonato a qualcuno di quegli illustri figliuoli di Roma, fulmini di guerra, o maestri d'ogni dottrina, i cui nomi avevano vita immortale nelle storie, stimavasi lode maggiore d'ogni altra, e l'adulazione, pi? ingenua che servile, alcune volte la largiva con manifesto compiacimento. Quando il Poeta Sassone vuol celebrare nel pi? degno e solenne modo l'alte virt? e i gran fatti di Carlo Magno, ecco in quali parole prorompe:

Ob hoc, mirificos Karoli qui legeris actus, Desine mirari historias veterum. Non Decii, non Scipiadae, non ipse Camillus, Non Cato, non Caesar maior eo fuerat; Non Pompeius huic merito, vel gens Fabiorum Praefertur, pariter mortua pro patria.

Quando Fra Guittone d'Arezzo rimprovera ai suoi concittadini la miseria in cui da felice e glorioso stato precipitarono per lor colpa, ecco in qual forma esprime il suo pensiero: <>.

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