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Read Ebook: Roma nella memoria e nelle immaginazioni del Medio Evo vol. I by Graf Arturo

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Ebook has 660 lines and 139324 words, and 14 pages

Quando Fra Guittone d'Arezzo rimprovera ai suoi concittadini la miseria in cui da felice e glorioso stato precipitarono per lor colpa, ecco in qual forma esprime il suo pensiero: <>.

In duo dividimus Troiano semine prolem: Una per Ytaliam sumpsit diademate Rome, Altera Theutonica regna beata fovet.

I nemici di un tempo si scopron fratelli:

Romanum fore Troianum natura fatetur, Germanus patriota suus fraterque videtur, Troia suis populis mater utrique fuit.

Questa fratellanza fa sembrare pi? legittimo il trasferimento della potest? imperiale.

Ma e in Italia e fuori molte pur se ne trovano che stimano gloria uguale, se non maggiore, trarre l'origine dalla stessa Roma. Non parlo di quelle cui tale origine ? dalle storie debitamente riconosciuta, ma di quelle che se la usurpano. Aquisgrana si diceva fondata da un Grano, fratello di Nerone; Perugia da un Perus romano. Pisa pretendeva d'essere il luogo dove si pesavano i tributi che dalle varie province si mandavano a Roma, ecc. Il cronista Giovanni d'Outremeuse, instancabile raccoglitore di ogni maniera di favole, parla della citt? di Nimay in Germania, fondata da Numa Pompilio, e di cinque altre citt?, similmente in Germania, fondate da Tarquinio il Superbo.

Non mancano tuttavia esempii di citt? che pretendono farsi pi? antiche, e per? pi? nobili di Roma. Anteriore alla Roma romulea si vantarono Genova, fondata da Giano, Ravenna, fondata da Tubal, Bologna, fondata da Felsino , ampliata da Buono . Secondo che narra Galvagno Fiamma, Milano fu edificata 932 anni prima di Roma. Brescia si vantava fondata da Ercole, Torino da Fetonte; persino Chiusi si reputava pi? antica di Roma. Ma di tutte le citt? d'Europa la pi? antica, secondo gl'italiani, era Fiesole, secondo i Tedeschi, Treveri .

La grandezza e felicit? di cui Roma aveva pi? particolarmente fruito nei tempi migliori della repubblica, e sotto il glorioso reggimento di Augusto, considerate a tanti secoli di distanza, e dal mezzo di una et? piena di turbamento e di travaglio, non solo incutevano maraviglia e rispetto, ma naturalmente ancora facevano nascere di s? un desiderio fervido e generoso che pi? di una volta si tradusse in azione. Crescenzio, Arnaldo da Brescia, Cola di Rienzo pagarono con la vita i loro sogni di repubblica. Se un principe saggio e magnanimo sparge sopra il suo popolo i benefizii del buon governo, si crederanno prossimi a tornare, o gi? tornati, i tempi venturosi dell'antica Roma. Cos? Nasone, parlando, nell'ecloga poc'anzi citata, dell'era di felicit? che novamente arride al mondo sotto il paterno reggimento di Carlo Magno, esclama:

Rursus in antiquos mutata saecula mores; Aurea Roma iterum renovata renascitur orbi.

La rinnovazione dell'impero cresceva forza alle accarezzate speranze; ma il pi? delle volte tale ? la reale condizione delle cose, che pi? che al desiderio non lascia luogo, e questo tanto pi? vivo e pi? impaziente quanto pi? la realt? si mostra disforme dal sogno. Presso Sutri i legati di Roma invitavano Federico Barbarossa a ricondurre gli antichi tempi, a difendere i sacri diritti della eterna citt?, a far piegare novamente sotto la imprescrittibile autorit? di lei la mala tracotanza del mondo: ricordavano come in antico, per la saviezza del senato, per il valore dei cavalieri, Roma avesse esteso la sua dominazione sopra tutte le genti. In una poesia goliardica la stessa Chiesa invoca i Catoni e gli Scipioni perch? sorreggano le sue vacillanti colonne, e tutta la poesia dei Vaganti ? piena del rimpianto e del desiderio del tempo andato. Appena si presentava il destro di rimettere alcuna istituzione antica, o alcun antico costume, si rimetteva, senza punto avvertire che la diversit? dei tempi non consentiva a s? fatte rinnovazioni n? lunga durata, n? prospero evento. Federico II, vinti nel 1237 i Milanesi a Cortenuova, mandava a Roma il Carroccio, e faceva intendere ai Romani di volere il trionfo secondo il costume dei Cesari antichi. Restituito nell'anno 1143 il Senato, di cui nei tempi anteriori poco pi? sussisteva che il nome, rinnovata per opera di Cola di Rienzo la repubblica, si dava principio a una nuova ?ra, quasi si fosse rifatto il mondo.

Ma un sentimento che si leva sopra tutti gli altri, o che tutti gli altri accompagna, si ? quello di una profonda tristezza e di un vivo rammarico al cospetto della formidabile rovina di Roma. Gi? Gregorio Magno, quel Gregorio a cui la storia e la leggenda concordi imputarono, a torto, credo, devastazioni non osate dai barbari, piange amaramente in una sua celebre omelia lo sterminio della Citt?, e ad essa collega la fine del mondo. Potrei di leggieri moltiplicare le citazioni e le testimonianze, ma, poich? dovr? tornare nel seguente capitolo sopra questo stesso argomento, mi terr? pago ora di riportar per intero un carme elegiaco d'Ildeberto di Lavardin, vescovo Cenomanense, morto fra il 1130 e il 1140, carme che da taluno fu creduto opera di poeta classico, e che godette nel medio evo di molta celebrit?. Eccolo, ridotto a lezione pi? corretta che non sia la comune:

Par tibi, Roma, nihil, cum sis prope tota ruina; Quam magni fueris integra fracta doces. Longa tuos fastos aetas destruxit, et arces Caesaris et super?m templa palude jacent. Ille labor, labor ille ruit quem dirus Araxes Et stantem tremuit et cecidisse dolet; Quem gladii regum, quem provida cura senatus, Quem superi rerum constituere caput; Quem magis optavit cum crimine solus habere Caesar, quam socius et pius esse socer, Qui crescens, studiis tribus, hostes, crimen, amicos Vi domuit, secuit legibus, emit ope; In quem, dum fleret, vigilavit cura priorum: Juvit opus pietas hospitis, nuda, locus. Materiem, fabros, expensas axis uterque Misit, se muris obtulit ipse locus. Expendere duces thesauros, fata favorem, Artifices studium, totus et orbis opes. Urbs cecidit de qua si quicquam dicere dignum Moliar, hoc potero dicere: Roma fuit. Non tamen annorum series, non flamma, non ensis Ad plenum potuit hoc abolere decus. Cura hominum potuit tantam componere Romam Quantam non potuit solvere cura de?m. Confer opes marmorque novum superumque favorem, Artificum vigilent in nova facta manus, Non tamen aut fieri par stanti machina muro, Aut restaurari sola ruina potest. Tantum restat adhuc, tantum ruit, ut neque pars stans Aequari possit, diruta nec refici. Hic super?m formas superi mirantur et ipsi, Et cupiunt fictis vultibus esse pares. Non potuit natura deos hoc ore creare Quo miranda de?m signa creavit homo. Vultus adest his numinibus, potiusque coluntur Artificum studio quam deitate sua. Urbs felix, si vel dominis urbs illa careret, Vel dominis esset turpe carere fide.

In una seconda poesia Ildeberto finge che Roma stessa gli risponda. Queste prosopopee sono molto frequenti nelle letterature del medio evo. Roma si dice lieta della sua sorte. Vero ? che, decaduta d'ogni sua grandezza, ella ha quasi perduta la memoria di s? medesima; vero ? ch'? perita la forza delle armi, che precipitata ? la gloria del senato, che rovinano i templi, che i teatri giacciono nella polvere, che i rostri son vacui e mute le leggi, che manca il coraggio ai valorosi, il diritto al popolo, il colono ai campi; ma la presente miseria ? pi? gloriosa dell'antica prosperit?, ma Pietro ? da pi? di Cesare. I Cesari, i consoli, i retori le diedero la terra, Cristo le diede il cielo. Un cristiano, il quale per giunta era vescovo, non poteva ragionare altrimenti; ma la enumerazione stessa, dolorosamente minuta, dei danni sofferti mostra che il bene acquistato non racconsolava interamente del bene perduto. La Roma di Pietro lasciava desiderare talvolta la Roma di Cesare.

E pi? che le mura superbe si ridesideravano gli uomini per la cui virt? Roma era diventata regina del mondo. Il Boccaccio nella gi? citata canzone, li chiama un per uno:

Ove li duo gentili Scip?oni, Ov'? il tuo grande Cesare possente? Ove Bruto valente, Che vendic? lo stupro di Lucrezia, Furio, Camillo, e gli due Curioni, Marco Valerio e quel Tribun saccente, Quinto Fabio seguente, Cornelio quel che vinse Pirro e Grezia, Publio Sempron colla vinta Boezia, Il fedel Fabio, Fulvio, Quinto Gneo, Metel, Marco, Pompeo, Porzio Caton, Marcel, Quinto Cecilio, Tito Flaminio, e il buon Floro Lucilio? Ov'? il gran Consolato, e' Senatori, Ove quel grazioso Ottaviano, Ove il prode Trajano, E Costantino valoroso Augusto? Ove le dignitadi e gli alti onori, Ove quel Tito e quel Vespasiano, E 'l magno Aureliano, E Marco Antonio s? benigno e giusto, Ove il nobile oratore Sallusto, Ove il facondo Cicero primero, E il Massimo Valero, E Tito Livio, e gli altri signor grandi? Dove son l'ali tue che non le spandi?

Nella pi? bella forse delle sue canzoni Fazio degli Uberti introduce Roma, come fa anche nel Dittamondo, a ricordare le glorie antiche e a dolersi della bassezza in cui ? caduta.

Ne' suoi sospiri dicea lacrimando Con voce assai modesta e temperata: -- O lassa isventurata, Come caduta son di tant'altezza, L? dove m'avean posto trionfando Gli miei figliuol, magnanima brigata! Che m'hanno or visitata Col padre loro in tanta gran bassezza. Lassa! ch'ogni virt?, ogni prodezza Mi venne men quando mor?r costoro, I quai col senno loro Domaro il mondo e riform?rlo in pace Sotto lo splendor mio ch'ora si face Di greve piombo e poi di fuor par d'oro. Or di saper chi f?ro Arde la voglia tua s? che no 'l tace. Ond'io far? come chi satisface L'altrui voler nella giusta dimanda, E perch? di lor fama anc'or si spanda. E da Romolo ad Augusto fa vedere al poeta i suoi pi? illustri figliuoli.

Cos? la ragione e il sentimento, il sapere e la fede, la storia e la leggenda, concorrono del pari nella glorificazione della eterna citt?. Quando, per ricevere la corona d'alloro, costume rinnovato dagli antichi Romani, Francesco Petrarca pospone Parigi e Napoli a Roma, il pensiero che lo guida non ?, come a prima giunta potrebbe parere, un pensiero nuovo, proprio dell'umanista, ma ? anzi un pensiero vecchio, familiare a tutto il medio evo, e solo ritemperato nella nuova coltura.

Se non che le voci che nella et? di mezzo suonano intorno a Roma, non tutte sono di ammirazione e di lode. A fianco della Roma antica che vive nella memoria degli uomini, c'? la Roma Nuova, la Roma dei papi, che vive nella realt? delle cose, e quanto quella sembra degna di gloria, tanto questa, a molti, sembra degna d'infamia. Se alcuni uomini religiosi si sgomenteranno di certi ricordi, e imprecheranno ai poeti e ai filosofi pagani, molti pi? s'adonteranno delle vergogne onde Roma papale ? fatta turpe ricettacolo, e malediranno alla corruzione della Chiesa. Quello stesso Alessandro Neckam che abbiam veduto celebrare in versi traboccanti di nobile entusiasmo la Roma degli Scipioni e di Cesare, cos?, in alcuni altri versi, parla della Roma dei pontefici:

Roma, vale, papam, dominos quoque cardines orbis, Romulidasque tuos opto valere, vale. Roma, vale, numquam dicturus sum tibi, salve; Compressas valles diligo; Roma, vale Roma, Jovis montes, alpes nive semper amictas, Hannibalisque vias horreo; Roma, vale. Includi claustro, privatam ducere vitam, Opto; me terret curia; Roma, vale. Romae puid facerem? mentiri nescio, libros Diligo, sed libras respuo; Roma, vale. Numquid adulabor? faciem jam ruga senilis Exarat, invitus servio; Roma, vale. Mausolea mihi non quaero, pyramidasve, Glebae contentus gramine; Roma, vale. Respuo delicias tantas, tantosque tumultus; Cornutas frontes horreo; Roma, vale. Sed ne nugari videar tociens repetendo, Roma, vale, cesso dicere, Roma, vale.

Est modo mortua Roma superflua; quando resurget? Roma superflui, afflua corruit, arida, plena; Clamitat et tacet, erigit et jacet, et dat egena.

E in queste ancora:

Fas mihi dicere, fas mihi scribere, <> Obruta moenibus, obruta moribus, occubuisti. Urbs ruis inclita, tam modo subdita, quam prius alta; Quo prius altior, tam modo pressior, et labefacta. Fas mihi scribere, fas mihi dicere <>. Sunt tua moenia vociferantia, <>.

N? men severo si mostra Galfredo Malaterra benedittino :

Fons quondam totius laudis, nunc es fraudis fovea; Moribus es depravata, exausta nobilibus, Pravis studiis inservis nec est pudor frontibus: Surge Petre, summe pastor! finem pone talibus. In un poema latino sopra san Tommaso Becket si legge:

Dudum terras domuit, domina terrarum colla premens plebium, tribuum, linguarum; nunc his colla subjicit spe pecuniarum; aeris fit idolatra dux christicolarum.

Ci? che pi? fieramente si rinfaccia a Roma ? la voracit? insaziabile.

Roma dat omnibus omnia, dantibus omnia Romae,

sentenzia con incisiva brevit? il gi? citato Bernardo Cluniacense. E un Vagante soggiunge:

Roma manus rodit, si rodere non valet, odit.

Un'altra accusa capitale si ? quella di menzogna:

Quid Romae faciam? Mentiri nescio, dice con non meno acuta brevit? un anonimo, ed altri ripetono. I trovatori di Provenza non risparmiarono nemmen essi la citt? decaduta e corrotta, e Guglielmo Figueiras, il pi? popolaresco fra tutti, compose un terribile serventese:

De Roma qu'es Caps de la dechasensa On dechai totz bes.

Cessati i clamori del medio evo contro Roma papale, cominciano quelli degli umanisti e poi dei protestanti.

CAPITOLO II

La rovina di Roma non si compie in un tratto: otto secoli ci vogliono e l'opera devastatrice di trenta generazioni per condurla al punto in cui il Rinascimento inoltrato l'arresta. Dice Ildeberto Cenomanense, di cui ho riportato i versi qui di sopra, che gli dei non valevano a distruggere la fattura degli uomini.

I barbari, parlando in generale, pensarono pi? a far bottino che a demolire; anche gl'incendii suscitati dalle loro mani non furono cos? esiziali ai monumenti come fu poi l'opera lenta e sistematica degli stessi Romani. Teodorico mostra per le moltissime fabbriche di cui ancora andava superba Roma al suo tempo, la pi? viva sollecitudine; vuole che si spendano in loro beneficio i denari provveduti a tal uopo, e ne domanda conto; loda Simmaco pei molti nuovi edifizii da lui costruiti, e fa riparare del proprio il teatro di Pompeo. Certo i successori suoi non imitarono s? nobile esempio; ma, se non fecero bene, non si pu? dire nemmeno che facessero male; ond'? che ai tempi di Carlo Magno i monumenti dell'antica Roma, tuttoch? danneggiati e guasti dai terremoti e dagl'incendii, rimangono ancora pressoch? tutti in piedi. Molto pi? rapida fu la decadenza morale ed economica. Gi? ai tempi di papa Vigilio , nell'interno della citt?, che non contava pi? di 50000 abitanti, erano campi seminati, e pascoli per bestiame. Nel 556 Pelagio I scrive a Sapaudo vescovo di Arles, perch? induca il patrizio Placido a mandar denari e vestimenta, e nel 557 riscrive, perch? sieno mandate a Roma le vestimenta comperate, <>, dic'egli, <>.

Nobilibus quondam fueras costructa patronis; Subdita nunc servis, heu male, Roma, ruis. Deseruere tui te tanto tempore reges: Cessit et ad Grecos nomen honosque tuus, Constantinopolis florens nova Roma vocatur; Moribus et muris, Roma vetusta, cadis. Transiit imperium, mansitque superbia tecum; Cultus avariciae te nimium superat. Vulgus ab extremis distractum partibus orbis, Servorum servi nunc tibi sunt domini. In te nobilium rectorum nemo remansit; Ingenuique tui rura Pelasga colunt. Truncasti vivos crudeli vulnere sanctos; Vendere nunc horum mortua membra soles. Iam ni te meritum Petri Paulique foveret, Tempore iam longo Roma misella fores.

Gli avanzi sparsi qua e l?, ingombrati in parte di nuove costruzioni cresciute loro addosso o ai fianchi, o profanati, come ancora oggid? il teatro di Marcello, dall'esercizio di sordide arti meccaniche, non serbavano pi? traccia dello splendore di un tempo, ma erano pur sempre

L'antiche mura ch'ancor teme ed ama, E trema il mondo quando si ricorda Del tempo andato e 'ndietro si rivolve.

Nel 1433 Ciriaco d'Ancona conduceva in giro per Roma l'imperatore Sigismondo, e vivamente si doleva con lui della distruzione degli antichi monumenti: <

Aspicite haec, meritumque malis advertite numen>>.

Enea Silvio Piccolomini, che poi fu papa sotto il nome di Pio II, compose sopra lo stesso doloroso argomento i seguenti versi:

Oblectat me, Roma, tuas spectare ruinas Ex cuius lapsu gloria prisca patet. Sed tuus hic populus muris defossa vetustis Calcis in obsequium marmora dura coquit. Impia ter centum si sic gens egerit annos Nullum hic inditium nobilitatis erit.

E Giano Vitale questi altri:

Aspice murorum moles, praeruptaque saxa, Obrutaque horrenti vasta theatra situ: Haec sunt Roma. Viden' velut ipsa cadavera tantae Urbis adhuc spirent imperiosa minas? Sentimenti simili a questi si trovano espressi da Lazzaro Bonamici, da Fulvio Cardulo, da Cristoforo Landino, da Francesco Quinziano e da cento altri poeti del Rinascimento.

Quando si scopriva loro dinnanzi la citt? eterna, i pellegrini intonavano un canto la cui prima strofa sonava cos?:

Dopo ci? entriamo nel vasto e popolato regno delle leggende.

La fondazione di Roma.

Porcio Catone, Varrone, Fabio Pittore, Dionigi di Alicarnasso, Solino, altri parecchi, ci conservarono le numerose leggende che intorno alle origini della citt?, certo sino da tempi antichissimi, si vennero formando nella fantasia popolare. Queste leggende, di cui non debbo qui discorrere di proposito, passarono nel medio evo, raccoglitore curioso e sollecito delle pi? disparate finzioni, e ben presto ebbero a trovarsi in nuova compagnia. Sono senza numero le cronache e gli altri libri d'ogni maniera in cui si ricordano i primi che vennero in Italia a fondare citt? e regni sul luogo stesso dove sorse poi Roma: Saturno, Giano, Italo, Roma, Ercole, Tiberi, ecc.

La leggenda ? singolarmente logica ne' suoi procedimenti. Stabilito che le sorti di Roma erano intimamente collegate con le sorti del cristianesimo, e riconosciuto che la fondazione della citt? era stata, sin dai primordii della storia dell'uman genere, contemplata dalla Provvidenza, ragion voleva che la leggenda si prolungasse innanzi e indietro, nel futuro e nel passato, sino a quegli estremi termini a cui la storia stessa, cos? com'era figurata e limitata nel dogma, le poteva concedere di pervenire. Per una parte dunque la leggenda si stende sin quasi alla catastrofe del gran dramma dell'umanit?, il Giudizio Universale: l'Anticristo porr? fine al sacro romano impero. Per un'altra essa rimonta indietro sino a No?.

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