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Read Ebook: L'eresia nel Medio Evo by Tocco Felice

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Ebook has 568 lines and 156919 words, and 12 pages

L'ERESIA NEL MEDIO EVO

STUDI

DI FELICE TOCCO

IN FIRENZE G. C. SANSONI, EDITORE 1884

PROPRIET? LETTERARIA

Firenze -- Tip. G. Carnesecchi e figli.

ALLA

CARA E VENERATA MEMORIA

MIO PADRE

AVVERTENZA

Messomi a studiare i rapporti tra la filosofia scolastica e la contemporanea eresia, se non ho trovato quello che a prima giunta supponevo, mi venne fatto in compenso di formarmi un'opinione ben netta sulla genesi e sul corso delle molteplici s?tte eretiche. Il risultato di questi studii pubblico nel presente libro, che per conseguenza non ?, n? vuol essere una storia degli eretici, e molto meno un trattato dommatico sull'eresia.

Firenze, marzo 1884.

INTRODUZIONE

Il Medio Evo, che a torto da amici ed avversarii fu detto l'era della concordia e della pace, ebbe a soffrire non meno dell'et? nostra profondi e dolorosi travagli. Codesta unit? delle menti e degli animi, produttrice secondo gli uni di opere grandiose, segno secondo gli altri di fiacchezza e torpore, fu sempre e dovunque vagheggiata, giammai conseguita. N? ci verr? mai fatto di trovarla nei tre periodi, in cui vanno divisi i secoli che corrono da Carlo Magno a Carlo di Boemia.

N? men libera ed ardita ? la scuola opposta dei Nominalisti. Il concetto dal quale partivano Roscellino e i suoi seguaci, affatto discorde da quello dei Realisti, ? il seguente: la sostanza prima ? l'Individuo; gli universali sono astrazioni che la nostra mente forma togliendo ed isolando ci? che han di comune gl'individui, e lungi dall'essere la vera realt?, non hanno maggior consistenza del suono che li esprime. Se il Realismo menava dritto al concetto di sostanza unica, di cui gl'individui son gli accidenti, il nominalismo in quella vece di conseguenza in conseguenza riescir doveva alla dottrina dell'originalit? degli individui, o in altre parole all'atomismo. Tali erano i due indirizzi della speculazione di quel tempo, i quali, mutati nomi e fattezze, si sono conservati sino ai nostri giorni. Ma e l'uno e l'altro sistema eran guardati con sospetto dagli ortodossi, cui non isfugg? che sotto l'apparenza dell'accordo si nascondesse un grave dissidio tra la Fede e la Filosofia. Ben fu tentata una via di mezzo tra i due opposti estremi, la quale sembrava s'accordasse meglio colla tradizione; ma il tentativo non ostante la piet? e l'ingegno di Anselmo di Aosta fall?; n? a torto gli scolastici posteriori ebbero a temere che l'idealismo dell'arcivescovo di Canterbury non fosse meno avventuroso degli altri sistemi, n? sapesse tenersi egualmente lontano dal misticismo degli uni e dal razionalismo degli altri. E questi erano infatti gli scogli, nei quali rompeva la speculazione di quel tempo, in cui i filosofi, non usi ancora a infingersi, come fu stile dei secoli posteriori, traevano dai loro principii, saldi argomenti a trasformare i dommi e le dottrine tradizionali.

Cos? i Realisti, al cui misticismo nessun mistero ripugnava, tra le nebbie della credenza popolare s'argomentavano di scoprire le proprie teorie. E restaurando il vecchio metodo dell'interpetrazione allegorica, gi? tanto usato ed abusato dai gnostici, nel domma della trinit? videro simboleggiato un ciclo cosmogonico, e nella redenzione l'eterna durata dell'effetto garentita dal perenne intervento della causa. Ed anche i nominalisti alla lor volta, bench? non spiccassero voli cos? alti e ben lontani si tenessero dal nebuloso speculare degli avversar?, non cessavano per tanto dallo studiare i dommi religiosi, n? meno uso facevano dell'interpetrazione allegorica. Le loro spiegazioni, non elaborate certo nel grande stile dei realisti, eran pi? piane e sarei per dire volgari, ma meglio confacenti secondo loro a far luce piena dove pi? s'addensava l'ombra del mistero.

Se non che era vano sperare che colla punizione del filosofo si potesse soffocare la libert? del pensiero, la quale in quella vece si levava pi? fiera e minacciosa dalle violenze patite. Colla morte di Abelardo non per? l'indirizzo razionalistico, e Bernardo Silvestre trova nel platonismo inteso a modo suo la soluzione dei problemi religiosi; Guglielmo di Conches attacca la superstizione come la peggior nemica del progresso intellettuale; persino Gilberto Porretano; dal 1142 vescovo di Poitiers, costruisce una dottrina della trinit? cos? poco ortodossa, che vien costretto a ricredersene innanzi al concilio di Rheims del 1148.

Contro il mal dissimulato razionalismo di questi filosofi seguita sempre a combattere S. Bernardo, e non meno fieramente di lui i Vittorini Ugo Riccardo e Gualtiero. Quest'ultimo principalmente non perdona n? a filosofi, n? a teologi, ma nello stesso biasimo coinvolge con Abelardo e col Porretano, i due dottori Pietro Lombardo detto il Maestro delle sentenze, ed il discepolo Pietro di Poitiers, che raccolsero in trattati scolastici ed in forma dialettica esposero la somma del sapere teologico. Se non che l'opposizione di codesti mistici ? una ben debole diga contro l'irrompente fiumana. Realisti e nominalisti seguitano a battagliare, e tra gli opposti estremi nascono tanti sistemi intermedii, che a noverarli tutti si stanca Guglielmo di Salisbury. E sovra tutti mira ad innalzarsi quest'uomo singolare, questo discepolo di Abelardo, che pare appartenga ad altra epoca, ed assai prima del Petrarca professa come un culto per l'antichit? classica, ed in mezzo al cozzo di tanti dommatismi vorrebbe rinnovare l'antica Accademia. Cos? al primo periodo della scolastica non manca neanco la nota critica. E non pi? due indirizzi soli si contrastano il dominio delle menti, ma quattro, il realistico, il nominalistico, il mistico, lo scettico.

Era ben naturale che i dottori della Chiesa, i quali s'adoperavano a metter d'accordo la scienza colla fede, si volgessero a combattere questo punto dell'averroismo. Ed Alessandro e Alberto Magno e S. Tommaso si fecero a dimostrare esser le teoriche di Averro? non pure false in s? medesime, ma in aperta contraddizione colle dottrine aristoteliche. N? si pu? negare che la interpetrazione pi? conforme allo spirito dell'aristotelismo ? quella appunto, che abbraccia l'Aquinate, secondo la quale l'intelletto attivo ed il passivo sarebbero bene una stessa cosa, stantecch? l'uno ? in potenza quello che l'altro ? in atto; ma e l'uno e l'altro s'han da tenere come funzioni dell'anima: onde lungi dall'essere unico l'intelletto, o attivo o passivo che sia, si rompe in quella vece in tanti intelletti singoli, per quante anime dar si possano. Se non fosse cos?, l'anima umana non sarebbe gran fatto diversa dalla parete su cui cadono i raggi luminosi; e come la parete, bench? illuminata dal sole, non vede, cos? l'anima nostra bench? rischiarata dall'Intelletto agente non intenderebbe nulla di nulla. E se non ? lei che intende, cos? neanco ? lei che vuole e opera, ma quell'Essere dal quale spiccia la fonte della intelligibilit?.

? indubitato adunque che S. Tommaso vide molto pi? addentro dei commentatori neo-platonici ed arabi. Ma quel pericolo che crede di sfuggire da un lato, gli si presenta dall'altro. Imperocch? a quel modo che l'intelletto attivo s'identifica col passivo piuttosto secondo lo spirito che la lettera della psicologia aristotelica, cos? pure s'ha a dire lo stesso dell'intelletto passivo rispetto alla fantasia ed alla percezione sensibile. E come Aristotele dice che senza il fantasma non potrebbe svolgersi l'intelletto, cos? ? impossibile che l'anima abbia funzioni e vita propria, ove mai si sciolga da quel corpo che in lei ingenera sensazioni e fantasmi. Lo Stagirita senza dubbio tenne per mortale l'intelletto passivo, e ove mai l'attivo ed il passivo son la medesima cosa, con qual diritto affermeremo dell'uno ci? che dell'altro si nega? All'acume dell'Aquinate non isfugge questo pericolo, dal quale s'argomenta di scampare, ammettendo nell'anima una misteriosa tendenza verso il sensibile, la quale perdura sempre anche quando s'infrangono i lacci corporei. Questa tendenza ? come un corpo interno, del quale l'anima non si sveste mai; onde n? il sentimento n? i fantasmi le verranno mai meno, ed ? per sempre assicurata la base su cui poggiano le pi? alte potenze intellettive e pratiche. Teorica codesta, strana quant'altra mai, e per giunta non nuova ed attinta a quella stessa fonte neoplatonica, dalla quale rampollava la teorica degli intelletti, separati, che S. Tommaso ripudia. Se non che ella era un espediente inevitabile non solo per sottrarsi alle conseguenze estreme della teorica dell'unit? degl'intelletti; ma per conciliare altres? l'immortalit? dell'anima colla teorica dell'individuazione.

A rinfocolare le ire avr? contribuito senza dubbio l'antico livore tra Domenicani e Francescani; ma il problema intorno a cui disputavano non era meno grave di quello degli universali, e qualunque soluzione si accettasse veniva a rompere contro le barriere della teologia. In verit? lo Scotismo, che, mettendo il principio d'individuazione nella forma, ha l'aspetto di un Realismo pi? compatto, cade in quelle conseguenze panteistiche, che vedemmo non iscompagnarsi mai dalle intuizioni realistiche. N? il Dottor sottile se ne dissimula il pericolo, ma aperto e risoluto gli va incontro dichiarando di tornare alla posizione dell'abborrito Avicembronio, e rappresentandosi il mondo tutto come un albero bellissimo, la cui radice e seme sia la materia prima, le foglie gli accidenti, le frondi e i rami il creato corruttibile, il fiore l'anima umana, ed il frutto la natura angelica. Ma neanco ? mondo di peccato il Tomismo, nel quale le dottrine filosofiche solo per via di espedienti artificiosi son messe d'accordo coi dommi tradizionali. Cos? ad esempio se Averro? seguendo Aristotele dimostra l'eternit? del mondo, S. Tommaso non ardisce di provare il contrario, ma s'argomenta di mettere in salvo la fede collo stabilire che non tutto ci? che si crede debba essere dimostrabile e conoscibile. Parimenti ei non sconfessa le conseguenze della sua teorica dell'individuazione, ed interpetrando a suo modo la tradizione, ammette che la natura angelica, comecch? destituita di materia non sia capace di differenze individuali, bens? delle sole generiche e specifiche. Ma dell'anima umana non osa dire altrettanto, e per salvarne ad ogni costo l'individualit? escogita quella teorica della tendenza al sensibile, di cui abbiam fatta parola. A tale dovea ridursi una mente eletta, come quella dell'Aquinate; segno evidente che il dissidio tra il contenuto filosofico ed il dommatico ? ben superiore alla volont? degli uomini, e quel semirazionalismo, che vuol comporre in armonia le pi? opposte tendenze, riesce invece a dirimerle di vantaggio. Onde alcuni contemporanei si argomentarono di battere una via diversa dalla tomistica.

Ci? che non muore, e ci? che pu? morire Non ? se non splendor di quell'idea Che partorisce amando il nostro Sire. Ch? quella viva luce che s? mea Dal suo lucente, che non si disuna Da lui, n? dall'Amor che in lor s'intrea, Per sua bontate il suo raggiare aduna, Quasi specchiato, in nove sussistenze, Eternamente rimanendosi una. Quindi discende all'ultime potenze, Gi? d'atto in atto, tanto divenendo, Che pi? non fa che brevi contingenze; E queste contingenze essere intendo Le cose generate, che produce Con seme e senza seme il Ciel movendo. La cera di costoro e chi la duce Non sta d'un modo, e per? sotto il segno Ideale poi pi? e men traluce: Onde egli avvien che un medesimo legno Secondo spezie, meglio e peggio frutta. E voi nascete con diverso ingegno. Se fosse a punto la cera dedutta E fosse il cielo in sua virt? soprema, La luce del suggel parrebbe tutta. Ma la natura la d? sempre scema Similemente operando all'artista Che ha l'abito dell'arte, e man che trema.

Forma e materia, congiunte e purette Usciro ad atto che non avea fallo Come d'arco tricorde tre saette. .

Ed ? quindi ben naturale che gli spiriti eccelsi affrettino coi loro voti il giorno della risurrezione, ch? anche nelle loro anime pure v'? quella tendenza irresistibile verso il corpo, che ammetteva l'Aquinate:

Il corpo adunque non pu? essere considerato come talmente estrinseco all'anima, che ella se ne possa spogliare o vestire come d'un abito, e debbono andar messe tra le fole le utopie platoniche e neoplatoniche della preesistenza e trasmigrazione delle anime, se pur sotto il velame di questi miti il grande filosofo non abbia voluto far trasparire una verit? pi? peregrina.

N? questo solo ? l'errore dei platonici, e degli interpetri platoneggianti di Aristotele, ch? non contenti di avere cos? decisa o staccata l'anima dal corpo, dividono ancora l'anima stessa in parti tanto opposte fra loro, che, in luogo di frammenti di un tutto solo, sembrano al contrario diverse totalit?, o anime separate. I fatti pi? ovvii della esperienza psichica stanno contro questo

error che crede Che un'anima sovr'altra in noi s'accenda; E per? quando s'ode cosa o vede, Che tenga forte a s? l'anima volta, Vassene il tempo e l'uom non se ne avvede. .

Per lo che alla teoria psicologica fondata sulla separazione assoluta delle facolt?, bisogna sostituire quella pi? giusta di Aristotele e S. Tommaso, che fa svolgere le facolt? superiori dalle inferiori; essendo la radice di queste potenze

un'alma sola Che vive e sente e s? in s? rigira. E perch? meno ammiri la parola, Guarda il calor del sol che si fa vino Giunto all'umor che dalla vite cola; .

E se tutte le facolt? dell'anima si svolgono le une dalle altre, anche l'intelletto passivo segue la stessa legge, n? v'ha teorica pi? assurda dell'averroistica che

fe' disgiunto Dall'anima il possibile intelletto: .

Come pure ? assurda la dottrina delle idee innate e la reminiscenza platonica; perch?

Esce di mano a lui che la vagheggia Prima che sia, a guisa di fanciulla Che piangendo e ridendo pargoleggia, L'anima semplicetta che sa nulla, Se non che, mossa da lieto Fattore, Volentier torna a lui che la trastulla. .

Potremmo continuare per un bel pezzo a notare le pi? evidenti coincidenze tra le teoriche tomistiche e le dantesche e non pure in metafisica, ma in etica, in teologia, in esegesi biblica. In un sol punto Dante discorda dal suo maestro, nelle quistioni politiche, dove il dissidio ? tanto pi? aperto per quanto pi? pieno fu l'accordo nelle altre dottrine.

Ma non a torto ei protesta di far parte da s?, ch? le sue dottrine politiche, non del tutto conformi a quelle dei ghibellini, s'inspirano a quello spirito umanistico, che fra non molto far? rinascere la tradizione ed il culto dell'antichit?. Per Dante la storia antica non era chiusa peranco, n? poteva chiudersi giammai; imperocch? la Provvidenza affid? al popolo romano il primato su tutto il mondo, n? altra gente per alte virt? e gesta gloriose se ne rese pi? degna, n? accadr? mai che questa veneranda compagine dell'antico stato si dissolva. Al popolo romano adunque appartiene di diritto l'imperio, ed ei solo pu? commetterne a Cesare l'esercizio. Non il pontefice, non i principi tedeschi sono di diritto gli elettori dell'imperatore, ma solo il popolo di Roma. Questa teoria bastava a combattere tutte le prentensioni guelfe; imperocch? se l'imperatore non deve al papa la elezione sua, non ? obbligato a riconoscer da lui la sua autorit?. Ma essa non era nata soltanto da un intendimento polemico, n? si pu? dire che sia un sogno da poeta. Fra non molto Ludovico il Bavaro, convocata un'assemblea popolare nel Campidoglio chieder? la corona imperiale, che per solenne plebiscito gli sar? conferita. E pi? tardi campione dei creduti diritti di Roma si lever? un uomo singolare, il quale assunto il dimenticato nome di tribuno, affermer? l'autorit? sua e il non vano suo potere di contro al papa e all'imperatore. E gli uomini pi? celebrati del suo tempo gli crederanno, ed il padre dell'umanismo, gl'indirizzer? una delle sue pi? belle canzoni, e gli scriver? lettere di calda ammirazione, e per cagion di lui si raffredder? coi Colonna, vecchi suoi amici e protettori.

Il concetto grandioso dell'Impero, vagheggiato da Dante, era ben presto venuto meno, talch? Marsilio da Padova al di sopra della maest? imperiale mise la sovranit? del popolo.

E gi? da gran tempo le idee degli stessi Ghibellini s'erano profondamente modificate. La lotta tra Bonifacio e Filippo il Bello scoppiata per quelle stesse ragioni che tante volte avean messi alle prese il papato e l'impero, mostrava ben chiaro che nelle lunghe lotte combattute non era in gioco soltanto l'impero, ma gli stati tutti. Il pronostico di Federico II si avver? ben presto, e la primogenita della Chiesa vide torcere contro di s? le stesse armi, che avean ferita a morte la casa sveva. Se non che ciascuno stato difendendosi in questi contrasti colle sole sue forze, acquistava piena consapevolezza della sua indipendenza non pure dalla chiesa, ma benanco dall'impero. A quel fittizio organamento imperiale, che sotto le sembianze di un vasto accentramento celava in realt? lo sparpagliarsi di mille signorie feudali, sottentravano ora le monarchie autonome, o gi? formate, o in via di rapida formazione. L'individualismo che in filosofia era rappresentato dalla scuola dei nominalisti, in politica si ripercuoteva nella costituzione degli stati autonomi. Ed all'acuto sguardo dello scrittore del dialogo gi? citato non isfuggirono questi gravi mutamenti. <>. Cos? l'Imperatore non vien pi? riconosciuto come la suprema autorit?, intorno a cui gravitano i re ed i principi, come pianeti intorno al sole. L'impero non ? pi? lo stato per eccellenza, ma uno stato tra gli stati, il quale per giunta ha minore forza delle potenti monarchie che lo circondano. Questa era gi? da gran tempo la vera condizione di fatto, ma prima d'ora non s'era mai apertamente dimostrato che la condizione di fatto rispondesse all'intima ragione del diritto. E per fare questa dimostrazione occorreva che le menti sgombrassero l'errore del vecchio realismo di dar corpo e consistenza agli astratti concetti.

Che fan qui tante pellegrine spade? Perch? il verde terreno Del barbarico sangue si dipinga?

Riassumiamo. In tre periodi si divide il movimento intellettuale del Medio Evo. Nel primo di essi mentre il Realismo promuove o si associa con quelle s?tte religiose, che giovandosi dell'allegoria, trasformavano le credenze tradizionali, il Nominalismo dall'altra parte vien penetrato da tutte le tendenze razionalistiche di quell'et?. Nel secondo si costruisce quel mirabile sistema, nel quale debbon comporsi tutti i dissid? dell'et? precedente, ed a norma del quale s'hanno a stabilire immutabili rapporti tra la scienza e la fede, lo stato e i sudditi, la chiesa e l'impero. Questo sistema non domina solo, e non pure vien combattuto da molti filosofi contemporanei, ma anche quelli, che ne accettano le dottrine fondamentali, ricusano poi le pi? importanti conseguenze nel campo politico. Nel terzo periodo infine la dissoluzione della scolastica trae seco la rovina di quel grande edificio politico e religioso, che fu la gerarchia medievale. Ma in tutto questo lungo corso di tempo non mancarono profonde agitazioni religiose. Ed abbiamo citate gi? molte sette ereticali, i Catari, i Valdesi, gli Arnaldisti nel primo periodo, i Gioachimiti nel secondo, i seguaci di Michele da Cesena nel terzo. Quali rapporti hanno queste eresie colle speculazioni filosofiche e coi moti politici del Medio Evo? Nel corso del nostro lavoro esamineremo l'origine ed il carattere di tutte queste eresie, e dopo siffatto studio forse ci verr? fatto di rispondere al difficile quesito.

LIBRO PRIMO DALL'ERESIA ALLO SCISMA

CAPITOLO I

I CATARI

Dall'eresia dei Catari, che fu senza dubbio la pi? vigorosa ed infesta al cattolicismo, ha da prender le mosse chi voglia conoscere l'origine ed il corso delle opposizioni religiose nel medio evo. Noi adunque esporremo per sommi capi i dommi del Catarismo, e toccato in seguito dell'origine e della diffusione di questa setta, diremo infine delle altre che vi si annodano.

Il sistema cataro si pu? riassumere in questi brevi tratti. Dacch? il mondo ribocca di mali non pu? essere tutto opera di uno spirito buono e provvidente. Le cose buone, che non sono certo le sensibili, le ha create Iddio; ma le cattive, le vane, le transitorie non le fece lui, bens? uno spirito perverso che stamp? nel loro disordine l'impronta della malvagit? sua. Naturalmente non tutti i catari la pensavano ad un modo. Alcuni, come Giovanni di Lugio, non pure ammettevano quest'opposizione tra il cielo e la terra, ma la tenevano per eterna; perch?, dicevano, se non cessano le opposte cause debbono durare anche i due ordini di effetti; onde ? falso che col tempo possa sparire il mondo visibile, e che il Dio della luce sia mai per riportare piena vittoria sul suo rivale. Altri meno rigidi, come i Bogomil ed i Catari di Concorrezo, riducevano di molto l'importanza del minor creatore attribuendo al buon Dio la creazione di una parte del mondo visibile, come a dire i quattro elementi, e credendo fermamente nel finale trionfo del bene sul male. Ma tutti si accordavano nel dire il mondo opera di un genio malefico, sia che l'avesse creato lui stesso di pianta, o coll'ajuto del Dio buono.

E al pari del mondo anche l'uomo ? fattura dello spirito del male. Se non che l'uomo, secondo la psicologia neoplatonica accolta dai catari, ? formato di tre elementi, il corpo, l'anima e lo spirito; e se si pu? ammettere che il corpo ed il principio che lo vivifica siano fattura del Dio delle tenebre, lo spirito per fermo, che ? puro intelletto e volont?, vanta origine pi? nobile, n? altri pu? averlo creato se non il Dio della luce. Lo spirito dell'uomo dunque non ? diverso da quelle creature angeliche ed immortali, che il principio buono crea ab aeterno nella pienezza dell'amor suo; l'anima per contrario ? tutt'uno colla funzione stessa del corpo organico, e quando l'organismo si dissolve, perisce anch'essa. Ma come mai ha luogo questo accozzo di elementi cos? disparati? Per qual misterioso consenso gli opposti principii del bene e del male, che agiscono sempre a ritroso, or cooperano nella creazione dell'uomo?

Questo difficile problema vien risoluto in vario senso dalle s?tte catare. Ed alcuni come i Bogomil, credono che il diavolo, creato l'uomo dal fango, non potendo trattenere l'anima nel plasmato organismo, chiedesse al Dio della luce uno spirito fra quelli da lui creati, che valesse a raffrenare gl'impeti della ribelle. Ed il compiacente Dio, non si sa perch?, piegatosi alle preghiere del suo nemico, gli fu largo del richiesto aiuto. Altri pi? accorti, non a Dio, ma allo spirito stesso ed alle sue colpe attribuiscono la ragione della caduta; ma non riescono certamente per questa via a vincere le difficolt?. Imperocch? difficilmente i Catari possono menar buono che un Dio perfetto immetta nelle sue creature la funesta possibilit? del peccare, tanto che la maggior parte di loro nega risolutamente la libert? dell'arbitrio; onde se questo spirito pecc? non fu certo per elezione, ma per necessit? di natura; e la ragion del male per tal guisa risalirebbe sempre al Creatore stesso, che si voleva a tutti i costi scagionare. A sfuggire questa evidente contraddizione si adoperano i Catari, per mezzo di miti. E molti tra essi, immaginano che il Dio delle tenebre accompagnato dai suoi demoni desse la scalata al cielo, e vinto l'arcangelo Michele, che gli contendeva il passo, di viva forza ne togliesse la terza parte delle creature celesti, che cacci? nei corpi degli uomini e dei bruti. Altri, non meno fantastici dei primi, avvisano che il diavolo non delle violenze si fosse valso, ma dell'astuzia; e con promesse e lusinghe avesse indotto nel peccato gli angeli del cielo. Ma n? gli uni dichiarano come mai al Dio del male si debba attribuire maggior potenza che a quello del bene; n? gli altri spiegano come creature perfette possano cos? facilmente divenir gioco delle astuzie di uno spirito malefico.

Ma o traducianismo o trasmigrazione che sia, ? necessaria certo a queste s?tte una ipotesi, che assicuri la continuit? dello spirito e spieghi e giustifichi i secolari dolori dell'umanit?. La storia dei quali ? raccontata da tutte le s?tte catare presso a poco nello stesso modo. Da quell'ora funesta, esse dicono, che trionfarono le arti dello spirito maligno, gli angeli sedotti non ebber pi? riposo. Scacciati dal Cielo, dimenticarono e la patria e l'origine loro, n? altro Dio riconobbero da quello infuori che li avea tratti a rovina. Ed a lui s'inchinarono tremanti e vittime cruenti offersero per calmarne il furore e la bieca avidit? di sangue. Cos? nacque la legge mosaica; cos? il demone corruttore usurp? per buona pezza il posto del buon Dio, ed ebbe autorit? di codice sacro il vecchio Testamento, da lui ispirato, e nel quale ben disvel? la sua indole volubile, crudele e menzognera. E codesto inganno sarebbe durato ancora, se il principio del bene, riscossosi alla fine, e risoluto di por fine al regno del suo rivale, non avesse mandato il suo diletto figlio per insegnare agli uomini la schietta verit?.

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