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Read Ebook: L'eresia nel Medio Evo by Tocco Felice

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Ebook has 568 lines and 156919 words, and 12 pages

Ma o traducianismo o trasmigrazione che sia, ? necessaria certo a queste s?tte una ipotesi, che assicuri la continuit? dello spirito e spieghi e giustifichi i secolari dolori dell'umanit?. La storia dei quali ? raccontata da tutte le s?tte catare presso a poco nello stesso modo. Da quell'ora funesta, esse dicono, che trionfarono le arti dello spirito maligno, gli angeli sedotti non ebber pi? riposo. Scacciati dal Cielo, dimenticarono e la patria e l'origine loro, n? altro Dio riconobbero da quello infuori che li avea tratti a rovina. Ed a lui s'inchinarono tremanti e vittime cruenti offersero per calmarne il furore e la bieca avidit? di sangue. Cos? nacque la legge mosaica; cos? il demone corruttore usurp? per buona pezza il posto del buon Dio, ed ebbe autorit? di codice sacro il vecchio Testamento, da lui ispirato, e nel quale ben disvel? la sua indole volubile, crudele e menzognera. E codesto inganno sarebbe durato ancora, se il principio del bene, riscossosi alla fine, e risoluto di por fine al regno del suo rivale, non avesse mandato il suo diletto figlio per insegnare agli uomini la schietta verit?.

Ma chi ? mai questo figliuolo prediletto? ? forse tutt'uno nella sua essenza col Padre, come insegna il domma del Concilio Niceno? No. I Catari riconoscono due soli principii, il Dio del bene e quello del male, e all'infuori di questi non ammettono altre divinit?. Onde Cristo si deve considerare come un angelo, o se vogliamo un arcangelo, che scende in terra per ricondurre nella diritta via gli smarriti fratelli. Quest'opinione evidentemente riproduce l'arianesimo, e per questo rispetto i catari furon chiamati ariani, sebbene fossero pochissimi i punti di contatto tra cotesti eretici, ed i catari oltre alla dualit? di natura tra Padre e Figliuolo insegnassero altres? essere il corpo di Cristo affatto apparente non reale. L'Arcangelo, essi dicevano, mandato a salvare gli uomini non avendo peccato come gli altri angeli scacciati dal Cielo, non deve e non pu? assumere un vero corpo umano; ch? n? di pena egli ? meritevole, n? d'altra parte sarebbe possibile la compenetrazione di uno spirito puro coll'immonda fattura del Diavolo. Cos? i Catari insieme all'eresia di Ario rinnovarono il docetismo gnostico. L'eresia ariana e la docetica sono agli antipodi, stantech? la prima ponendo maggior peso all'elemento umano in Cristo, ne assottiglia talmente la parte divina da ridurla all'influsso o ispirazione profetica; la seconda, invece rilevando l'elemento divino attenua di tanto il lato umano che lo tiene per vana apparenza . Eppure non ostante l'aperto antagonismo e l'una e l'altra opinione vengono accolte di conserva nel Catarismo. Il quale se non crede alla realt? del corpo, molto meno pu? prestar fede alla passione e morte di Ges?. Ben s'argomentarono gli adoratori del falso Dio di troncare sul labbro del Cristo la parola rivelatrice; ma non accorgendosi gli stolti dell'inganno orditogli, misero a morte quel che non potea morire, un corpo etereo, nel cui velo ben presto riapparve il Maestro ai discepoli per confermarli nella nova fede.

Ma se la dottrina delle preghiere pei defunti, e quelle del Purgatorio strettamente connessavi non potevano essere accolte dai Catari, pei quali l'espiazione sta nel migrare dell'anima da un organismo nell'altro, molto meno accetto dovea lor tornare il domma della risurrezione della carne. Imperocch? in esso s'attribuisce allo strumento, col quale si opera, la pena o il premio proprio solo dell'operante, e si glorifica e mette quasi a paro del puro spirito il corpo, che ? fattura del Dio malvagio. Parimenti sembra loro strano che si attribuisca ad un elemento di questo basso mondo, come l'acqua, una virt? santificante; ma pi? assurdo ancora pare loro il battesimo dei bambini, ai quali si somministra un sacramento quando non ancora sono in istato di accoglierlo; onde il pi? importante atto della vita religiosa, qual ? quello di riconoscere in altri il credente nella propria fede, diviene una cerimonia affatto vana ed esteriore. N? meno irragionevole ? il culto delle imagini, le quali contrariamente allo spirito del Cristianesimo non si tengono per simboli degli Enti spirituali che rappresentano, ma per oggetti forniti di un potere magico e miracoloso. Nello stesso modo che s'intende per casa del Signore, non il cuore del credente, ma l'edifizio fabbricato di pietre e mattoni, e superbamente decorato di marmi e d'oro. E per tal guisa si falsa il significato delle cose, e non si dubita di fare onore alla croce, che fu ed ? uno strumento d'ignominia.

Chi ha seguita l'esposizione delle dottrine dommatiche dei Catari potr? di leggieri indovinare il carattere severamente ascetico della loro morale, e delle pratiche religiose. Se il mondo ? opera dello spirito del male, qualunque affetto o desiderio che maggiormente vi leghi lo spirito penitente, lo allontana dal sospirato termine dell'espiazione. Il vero cataro adunque, a simiglianza del divino Maestro, non possiede n? case, n? campi, n? altre ricchezze; tutto l'aver suo mette in comune cogli altri, e va campando miseramente la vita col lavoro delle sue mani.

Ed al pari delle ricchezze ei condanna gli onori e la possanza, intorno alla quale si affatica la vana ambizione degli uomini, non risparmiando guerre sanguinose o arti fraudolenti per conquistarla. Ma la guerra ? opera violenta, che i seguaci del cattivo demone possono desiderare ed imporre nel loro furore, non certo le miti creature del Dio buono, i quali invece la condannano sempre, anche quando provocata dagli altri, o fatta a propria difesa. E non meno della guerra riprovano l'uccisione del proprio simile cos? da negare financo ai poteri pubblici il diritto di mettere a morte i cittadini che infrangono la legge. Questi eretici in mezzo ad una societ? efferata e violenta predicavan l'abolizione del patibolo. I costumi dei Catari sono miti; e solo contro il proprio corpo incrudeliscono, n? per rintuzzare gli appetiti perdonano a digiuni e mortificazioni, di parchissimo vitto si contentano, e severamente proibiscono il nutrimento animale, perch? non ? lecito uccidere gli animali, e distruggere l'organismo ove pu? essere trasmigrata un'anima peccatrice. E non meno dei piaceri delle mense il cataro sa vincere gli allettamenti del sesso, n? s'illude che alcuna differenza corra tra congiungimento e congiungimento, n? stima il matrimonio meno illecito della venere vaga. Imperocch? e l'uno e l'altra menano alla stessa conseguenza di ritardare pel corso di nuove generazioni il ritorno delle anime alla lor patria celeste.

Molto pi? difficile a spiegare ? il divieto del giuramento, il quale era cos? assoluto che un Cataro dichiarava agli inquisitori non giurerebbe anco se col giuramento suo potesse convertire gli uomini tutti al Catarismo. Che fosse assolutamente proibita la menzogna ? naturale. Il diavolo ? di sua natura falso e bugiardo, e chi lo imita non pu? entrare nel regno del buon Dio. S'intende anche che il rigorismo cataro possa per l'amore della verit? condannare financo la menzogna pietosa e la necessaria; ma perch? s'ha da avere in orrore il giuramento, anche quando nell'interesse della giustizia e dello Stato serva a stabilire la verit?? Questo senza dubbio ? uno dei tanti tratti caratteristici di quel misticismo nebuloso, che per elevare la Divinit?, la circonda di silenzio e mistero impenetrabile. L'Ente Supremo dagli gnostici ? chiamato ????? e ???? , e dagli gnostici e neoplatonici insieme ??????? . Non diversamente lo concepiscono i Catari, ai quali sembra per conseguenza una profanazione che non solo si ardisca di nominarlo invano, ma lo si chiami a testimone nelle nostre meschine contese.

Della gerarchia cattolica la Chiesa Catara non conservava se non due gradi, i vescovi ed i diaconi. Ogni vescovo avea con s? due ministri, uno maggiore, l'altro minore. Alla morte del vescovo gli succedeva il ministro maggiore, il quale era ordinato e consacrato dal minore. Per togliere questo assurdo pi? tardi si decret? che il vescovo stesso ordinasse colui che dovea succedergli.

L'origine del Catarismo ? molto oscura, onde ogni scrittore si crede in obbligo di combattere i suoi predecessori, ed escogitare una nuova congettura. Lo Schmidt, che scrisse la migliore storia del Catarismo, opina esser nata questa eresia spontaneamente presso i Bulgari sul cominciare del secolo decimo. Ei ricorda che non appena convertiti i Bulgari al Cristianesimo nell'862 da Cirillo e Metodio, l'opera di questi missionarii fu ben presto intralciata da due dissidii che dilacerarono in quel torno la Chiesa cristiana orientale. Il primo dei quali fu dovuto all'antica rivalit? tra Roma e Costantinopoli, rinfocolata poi dall'essersi il re Bogoris rivolto al Pontefice Romano per missionarii che compissero l'opera di Metodio. Il secondo dissidio nacque tra gli Slavi convertiti da qualche secolo che usavano la liturgia latina, e quelli recentemente conquistati alla fede da Metodio, ai quali il Papa avea concesso l'uso della lingua nazionale. Sino alla morte di Metodio la scissura fu soffocata, ma rinacque subito dopo, ed i Greco-slavi ebbero a cedere ai prepotenti latini. Si aggiunga che gli Slavi non potevano obbliare cos? presto l'antica religione, tanto vero che nell'869 il Concilio di Costantinopoli fu costretto d'interdire ai Traci e Macedoni, convertiti sin dal settimo secolo, le rimembranze dell'antico culto. Non ? improbabile che in tale stato d'incertezza tra l'antica e la nuova fede, da questa prendessero l'idea monoteistica, e tramutassero i loro antichi Dei nel diavolo, che avea tanta parte nelle prediche dei missionarii del medio evo. C'est au milieu de ces circonstances que parut parmi les Slaves, peut-?tre d?s le commencement du dixi?me si?cle, l'h?r?sie du dualisme Cathare. Est-ce une opinion trop hasard?e, si nous admettrons que ce syst?me sortit de quelque couvent greco-slave de la Bulgarie, dont les moines, irrit?s de l'invasion d'un culte qui r?pugnait a leur nationalit?, et se livrant en m?me temps ? des speculations tour ? tour subtiles ou fantastiques, ?taient arriv?s ? la conclusion que deux principes se partagent le gouvernement du monde, et que pour ?tre pur il faut affranchir l'esprit de toutes les entraves de la cr?ation mat?rielle? .

Questa ipotesi non pare che spieghi pienamente l'origine del Catarismo. Potrebbe benissimo renderci conto del culto reso in segreto agli antichi dei, trasformati in demoni, come accadde dovunque la religione cristiana fu innestata a tronco pagano; ma non ci spiegherebbe come mai si attribuisse al demone tanto potere, da farlo creatore dell'universo materiale. N? molto meno ? facile ad intendere come in mezzo a popolazioni semibarbare, appena convertite al Cristianesimo, nascesse il pensiero di paragonare la nuova religione non alla propria, ma alla mosaica, e quest'ultima considerare come l'opera di un Dio maligno. Nei primi secoli del Cristianesimo, in quei centri cosmopolitici che erano Alessandria ed Antiochia, ove il pensiero filosofico greco venne tante volte a contatto col misticismo orientale, si comprende benissimo come nascessero le audaci speculazioni dei gnostici. Ma non si capisce egualmente come siffatto movimento intellettuale dovesse aver luogo tra popoli, che non poteano ancora assimilarsi l'antica coltura.

Del resto lo Schmidt stesso non pu? fare a meno della tradizione manichea. Quand on songe que les souvenirs du manicheisme s'?taient conserv?s longtemps dans les couvents de l'orient notre opinion ne doit pas para?tre d?nu?e de toute probabilit? . Nelle quali parole egli riconosce essere il Manicheismo la prima fonte onde attinsero i Catari, il che non esclude che altri rivoli secondarii vi si mescolassero per via. In tutti i grandi movimenti religiosi accade quello che notammo del Catarismo, nel quale intorno al nucleo della dottrina dualistica si aggrupparono le pi? vecchie eresie, che viveano tuttora occulte e dimenticate nelle lontane solitudini dei pensatori. E per tal guisa si form? un insieme di dommi non molto omogenei, ma il cui contrasto sfuggiva all'acume dei recenti alleati. Noi gi? trovammo pi? su accanto alle tradizioni ariane della distinzione sostanziale tra Padre e Figlio le fantasticherie docetiche sul corpo apparente di Ges?. Ed insieme alle mistiche descrizioni del regno celeste, e della trasmigrazione delle anime le polemiche di Claudio di Torino contro l'adorazione delle immagini, e quelle pi? radicali di Berengario contro l'Eucaristia. Ma non perch? queste continue aggiunte dieno una nuova impronta al Catarismo, non per questo s'ha da sconoscere la sua stretta parentela coll'antico manicheismo, il quale non ispento dalle persecuzioni rifioriva prima in Ispagna per opera di Priscilliano, e pi? tardi in Armenia coi Paoliciani; di l? si diffuse tra gli Slavi; e dalla Bulgaria pel tramite dei commerci pass? in Italia, e quindi in Francia.

Toccato dell'origine studiamo ora la DURATA, DIFFUSIONE, ed INTENSIT? del movimento cataro.

Dall'Italia, come dicemmo, l'eresia pass? in Aquitania, e Tolosa fin dai primi tempi fu il centro della sua diffusione. Di l? s'avanz? nel Perigord, nel vescovado di Limoges, nella marca di Poitiers, risalendo su sino ad Orleans, ove trovammo a capo degli eretici alcuni sacerdoti, grandemente stimati per la loro piet?. Ben presto oltrepass? la Loira, talch? il vescovo di Chalons, Rogero , chiese a Wazon vescovo di Liegi se in vista del pericolo imminente non si dovesse procedere rigorosamente contro gli eretici. Abbiamo tuttora la risposta del pio prelato: Dio non vuole la morte, ma la conversione dei peccatori; e la sola pena consentita dal Vangelo contro gli eretici sta nell'escluderli dalla comunione dei fedeli. Questa lettera porta la data del 1048, e la pena che in essa vien suggerita fu nel fatto comminata l'anno appresso dal concilio di Reims. Tanto rapidamente s'era diffusa l'eresia nel nord della Francia, ove gi? sin dal 1025 s'ebbe notizia di eretici, principalmente a Reims, a Liegi, Arras e Cambray!

L'Inghilterra fu salva dall'eresia. Ben tentarono di penetrarvi verso il 1160 alcuni catari, volgarmente detti pubblicani , non ammontanti a pi? di trenta, tutti di nazione e lingua tedesca, e guidati da un tal Girardo, il solo tra loro che sapesse di lettere. Ma furono scoperti e segnati nella fronte da un marchio d'infamia, e poscia battuti a verghe ed espulsi dalle citt?, e proibito a chiunque di ospitarli. Perirono per la campagna di freddo e fame, vittime anch'essi devote e coraggiose della loro fede; ma altri dopo di loro non ritent? l'ingrata prova.

Questa tolleranza per? cess? ben presto in tutti i paesi. Il cardinale Pietro di San Crisogono, legato del papa nel Tolosano, condann? un Morand, ricco signore seguace e protettore dell'eresia, alla confisca dei beni ed alla distruzione delle case. E costui se volle salvarsi dalla miseria, ebbe a sconfessare solennemente la sua fede, e subire l'ignominioso castigo della fustigazione. Parimenti in Italia si serba memoria di un vescovo Guarnasia, legato dell'imperatore Enrico VI, che confisc? per ordine imperiale i beni dei patarini di Prato e ne distrusse le case. Ottone IV, in un suo decreto del 1210 contro gli eretici di Ferrara, e gli statuti di Verona: che rimontano secondo il Ficker, al di l? del 1218, prescrivono l'esilio degli eretici e la distruzione delle loro case. Questa stessa pena dell'esilio ? prescritta nella legge di Federigo II del 1220.

Dopo poco altro tempo le cose volsero in peggio. Il papa chiedeva dall'imperatore una pi? energica repressione dell'eresia, e Federigo, che avea rinnovato contro la Chiesa l'antica guerra per l'indipendenza dello Stato, per tema non lo si sospettasse di poca ortodossia, acconsent? a mutare la sua prima legge. Strana ironia della storia! Quell'Imperatore che tenne pi? fermo contro le pretensioni di Roma, e presso i contemporanei era tanto in voce di miscredente ed epicureo, da non trovar grazia neanco presso il gran poeta ghibellino; quell'imperatore che avea ai suoi servigi gente di diversa credenza, saraceni non meno di cristiani, egli per lo appunto ? il primo a sancire la pena del rogo contro gli eretici, e in servigio della Chiesa vien meno alle pi? fondamentali norme del diritto vigente. E nel luogo dei vescovi stati fin oggi i giudici naturali delle eresie acconsente che entrino i frati predicatori, facendoli almeno per la Germania legati imperiali; n? dubita di sancire le pi? aperte infrazioni della regolare procedura, ammettendo la testimonianza del correo o del delatore, e tollerando che si tacesse nei giudizii il nome del testimone. Un altro passo ancora, e non ci meraviglieremo pi? che colla morte del reo non si estingua l'azione penale, ma seguiti il processo contro i defunti, perch? gli eredi ne scontino la pena.

Le ragioni finora addotte delle fortune del Catarismo mettono capo in quello spirito di opposizione alla Chiesa stabilita, per cui la nuova eresia facendo causa comune con tutte le antiche prende l'aspetto di una purificazione della coscienza religiosa. Ma oltre a questo elemento critico e negativo dobbiamo distinguere nella nuova religione un altro elemento, non meno importante, voglio dire l'ascetismo, pel quale non solo va d'accordo col Cattolicesimo, ma lo supera, offrendo cos? nuovo e pi? sostanzioso pascolo alle anime mistiche. La Chiesa catara sottoscrive di gran cuore alla massima cattolica che tre sono i nemici dell'uomo, il mondo, il demonio, la carne; ma ne trae le estreme conseguenze. Fra i tre nemici, ella dice, che sono uniti contro l'anima, corre di certo un rapporto di parentela, e come l'anima, per malvagia che sia, ? dappi? della materia, cos? delle tre potenze avverse la maggiore ? quella del demonio; le altre si possono considerare come sue ausiliarie, o meglio sue geniture. Ed eccoci in pieno dualismo. N? vogliamo tacere che questa trasformazione favoriva per soprammercato certe tendenze, molto comuni nel Medio Evo, ed anche oggi non estirpate del tutto, come a dire la fede nell'esistenza ed efficacia di spiriti malefici, che non solo assalgano gli eremiti del deserto, ma si caccino nelle popolose citt?, mescolandosi in tutti i negozii, e talvolta nascondendosi negli angoli delle case. ? stato gi? notato come in queste superstizioni diaboliche rivivesse l'antico culto pagano. Per lo che non a caso si estesero e dilargarono col rifiorire degli studii classici, n? solo nel Medio Evo ma pi? ancora nella Rinascenza si cred? follemente alle streghe e agli ossessi.

Non far? dunque meraviglia che il Catarismo rispondendo a cos? diverse tendenze faccia tanti seguaci. Alle anime, avide di libert?, offre di sottrarsi al ferreo giogo della gerarchia; alle travagliate dalla sventura svela il mistero dell'infelicit? umana, e promette la fine del doloroso pellegrinaggio. Le menti vigorose alletta coll'interpetrazione allegorica dei dommi, che tornano pi? ostichi alla ragione; le inferme seduce rafforzando le loro credenze nel diavolo, e giustificando le pi? strane e paurose superstizioni. Non per tanto i due elementi, che rilevammo nel Catarismo, non cessano di essere eterogenei. Ch? l'uno tende, come dicemmo, alla purificazione del contenuto religioso, l'altro per lo contrario favorisce la superstizione; l'uno coll'andare del tempo riescir? alla reintegrazione della vita, l'altro ad una condanna di essa pi? cruda e recisa che non avesse fatto il Cattolicismo. Questi elementi adunque, cos? discordi, dovranno separarsi. Gli spiriti pi? geniali, e desiderosi di una vera rinnovazione religiosa lasceranno cadere l'ascetismo dualistico, importazione affatto orientale, e serberanno invece l'altra parte, frutto dei pi? grandi pensatori dell'occidente come Claudio di Torino, Agobardo di Lione, Berengario di Tours. Per tal guisa nascono i Valdesi.

CAPITOLO II

I VALDESI

Il bisogno polemico di fare apparire i Valdesi nella luce pi? fosca, e di attribuire loro anche gli errori dualistici per meglio combatterli, fuorvi? il Gretser. E l'opposto disegno condusse allo stesso errore gli scrittori protestanti, come il Basnage, l'Abbadie, il Monastier. I quali tutti sostenevano anch'essi l'identit? di Valdesi e Catari, ma credevano che le dottrine dualistiche, attribuite a questi ultimi, fossero una invenzione dei loro persecutori. Eppure la verit? non era difficile ad appurare, perch? le testimonianze pi? antiche non lasciano dubbio che i contemporanei sapessero gi? ben distinguere la setta catara dalla valdese. Cos? il Sacconi dopo avere esaminato le dottrine dei Catari, e le varie s?tte in cui si dividono, serba un capitolo a parte ai valdesi, di cui parla come di una eresia tutt'affatto diversa, e che a nessuno verrebbe in mente di confondere colle precedenti. Parimenti Stefano di Borbone distingue chiaramente i poveri di Lione, che ebbero e nome e dottrina da un tal Valdense, dai Patarini o Bulgari, che ei fa risalire direttamente a Mani e chiama senz'altro Manichei. Pi? esplicito ? Guglielmo di Puy Laurent che nella sue cronaca dice: nelle provincie narbonese ed albigese erano alcuni ariani, altri manichei, altri infine valdesi o lugdunesi, i quali tutti sebbene dissenzienti tra loro cospiravano pur contro la Chiesa cattolica. I Valdesi eran quelli che pi? acutamente disputavano contro gli altri eretici. Oltre a codesti autori bisogna citare Alano che consacra ai Valdesi il secondo libro della sua opera ed il Moneta che non ignora esserci Valdesi pi? vicini ai Cattolici dei Catari.

? adunque fuor di dubbio che i Valdesi non si possono accomunare coi Catari, e per la concordia delle pi? antiche testimonianze e per l'evidente disformit? delle dottrine. Ma queste differenze non ci debbono far dimenticare i punti di contatto.

I Valdesi non meno dei Catari adducendo il testo evangelico: che dal frutto si conosca l'albero, sostenevano concordemente la Chiesa cattolica non potersi dire la vera chiesa di Dio. Inoltre i Valdesi al pari dei Catari condannavano qualunque possesso; ed i primi si chiamarono perci? Poveri di Lione che a somiglianza di Valdo spogliaronsi dei loro beni, e reputavano indegni seguaci di Cristo quei sacerdoti, che accettavano pingui prebende e regalie. Per lo stesso motivo doveano condannare il potere temporale dei Papi, e Valdesi e Catari solean dire che da quel giorno in cui Silvestro accolse l'infausto dono di Costantino la santit? primitiva venne meno e la Chiesa di Cristo si tramut? nella donna dell'Apocalisse. N? solo in queste massime pratiche sono d'accordo e Catari e Valdesi, ma in molti punti dottrinali di grave momento. Dimostrammo gi? a suo luogo che i Catari per nascondere il loro ascetismo orientale sotto sembianze razionalistiche, solevano accogliere le pi? disparate dottrine eterodosse. E ben per tempo i Valdesi li seguirono per questa via. Vogliamo tra tutte ricordare questa, che ci viene attestata da una delle fonti pi? antiche, dall'abate di Foncaldo. Dio, essi dicono, ripetendo le parole dei Catari, non pu? albergare in una casa, fatta colle mani dell'uomo; n? fa d'uopo andare in chiesa per adorarlo. Lo s'adora con maggior frutto nelle stalle, nelle camere, ch? dappertutto il figliuolo pu? invocare l'aiuto del padre suo.

Accanto dunque a notevoli differenze s'hanno pur da ammettere non poche analogie tra i Catari ed i Valdesi. Ed io non dubito che tra le opposte opinioni dei vecchi e dei nuovi espositori debba aprirsi la via una pi? moderata, che si tenga egualmente lontana dalle esagerazioni dell'una e dell'altra parte, ed ammettendo pure una diversa origine pei Catari e pei Valdesi riconosca l'azione efficace che gli uni esercitarono sugli altri. Sarebbe veramente strano che una agitazione cos? profonda, come quella dei Catari, non avesse prodotta una moltiplicit? di s?tte, come accadde pi? tardi al tempo della Riforma. Quando il sentimento religioso ? sovreccitato, e la forza della tradizione ? svigorita dall'urto delle nuove dottrine, ? vano sperare l'unit? di opinioni e nell'un campo e nell'altro. Dal contrasto tra quelli, che voglion distrugger tutto, e gli altri, che tutto intendon conservare, senza dubbio nasceranno non uno, ma parecchi partiti mediani che si avvicineranno qual pi? qual meno ad uno degli estremi. Cos? accadde che dal fondo dell'eresia catara emergessero tante eresie di cui avremo a parlare in seguito, e perfino gli Ebrei trassero partito da quell'arruff?o, gli Ebrei, che sono pure i meno atti al proselitismo religioso, e che in quel tempo, in cui si diffondeva una eresia pi? avversa della stessa Chiesa Cattolica al Mosaismo, parea poco prudente si rinzelassero. Ma videro i figli d'Israello propizia l'occasione, e dalla dottrina ariana, accettata dai Catari, della diversit? di natura delle tre persone trassero la conseguenza che Cristo non valendo dappi? degli altri profeti del Vecchio Testamento, non avrebbe potuto distruggere la legge mosaica, la quale vige sempre in tutto il suo rigore; epper? chi vuol salvarsi ha da osservare il sabato e circoncidersi. Se dunque l'agitazione religiosa era cos? intensa che persino gli ebrei speravano di trovar seguaci tra i cristiani, ed anch'essi al pari dei Catari si appellavano contro la Chiesa romana al Nuovo Testamento ed ai Profeti, qual meraviglia che pullulassero altre s?tte pi? o meno affini tra loro, ma tutte egualmente avverse alla Chiesa ufficiale?

Contro queste argomentazioni si potrebbe addurre il fatto rilevato da tutti gli storici moderni, che i Valdesi nascono in Lione, dove l'eresia catara, per quanto si sappia, non ? mai penetrata; n? io voglio dubitare del fatto, n? addurr? le solite ragioni contro le prove negative. Ammetto benissimo che l'impulso del moto valdese sia partito da Lione e per opera di un uomo, che certo non apparteneva alla setta catara. Ma questo moto dove si propaga, dove diventa pi? largo e minaccioso? Nei paesi dove fervea l'agitazione catara, e le discussioni religiose commoveano gli animi e le menti. Ivi l'eresia valdese si stacc? definitivamente dalla Chiesa romana, e form? un corpo di dottrine in parte tolte dal catarismo, in parte a lui ostili. Ivi fece il maggior numero di seguaci, sottraendoli alla setta rivale, ed ? ben certo che senza questi aiuti efficaci le idee del novatore lionese sarebbero state, come quelle di Claudio, seme senza frutto. Qual'? dunque la vera patria dell'eresia valdese? Il luogo dove nasce e donde ben presto fu scacciata o gli altri dove s'organizza, prende consistenza e perdura? Anche prima dei valdesi gli eretici Pietro di Bruys ed Enrico aveano fatto gran seguito nelle provincie di Arles e di Tours, gi? devote da gran tempo al catarismo. In seguito gli Enriciani stendendosi sino al Reno posero il loro quartiere generale in Colonia, ove sappiamo gi? da Evervino che pur s'adunava gran copia di Catari. Lo stesso fatto accadde in Lombardia, ove l'eresia catara si era divisa e suddivisa in tante s?tte, che al dir di Stefano di Borbone, parecchi vescovi rappresentanti ciascuno una frazione, riunitisi per trovar modo d'intendersi, riuscirono invece a scomunicarsi a vicenda. In questo paese cos? travagliato dai dissensi religiosi ebbero ben presto molti seguaci i Valdesi, e fin da principio si divisero anche essi in s?tte parecchie. Alcuni col nome di Poveri di Lione serbarono anche l'antica dottrina della povert? assoluta; gli altri, che si dissero Poveri Lombardi, pare che transigessero su questo punto dei possessi; altri negando il bisogno di speciale consacrazione, sostennero tutti gli uomini buoni potersi dire ministri del Signore, gli uomini, ben inteso, non le donne; altri scartarono come assurda questa ultima restrizione e cos? di seguito. Qual prova pi? convincente di questa che mostra come i Catari ed i Valdesi camminino di pari passo?

Dell'azione che l'antica eresia catara esercit? sulla nascente valdese fanno sicura testimonianza alcune dottrine che non hanno nessun nesso coi dommi fondamentali dei Poveri di Lione. Noi gi? ne abbiamo ricordato uno, che in nessun caso n? per alcuna necessit? sia lecito torre la vita al suo simile fosse anche per difendere la propria vita, o per la conservazione dello Stato o della Chiesa. Si comprende che in opposizione alla Chiesa, inspiratrice delle crociate contro gli eretici, questi dovessero mettere in rilievo l'orrore dell'omicidio. Ma la condanna illimitata della pena di morte ? un retaggio cataro, perch? i nuovi manichei come gli antichi proibivano severamente l'uccisione di ogni vivente, tanto d'un pollo come d'un uomo. Un'altra dottrina non propria di Valdesi ? l'assoluto divieto di giurare, attestato concordemente da Stefano di Borbone, Alano, Pietro di Vaux Cernay e Rainero Sacconi. Che questa proibizione cos? rigorosa, bench? possa giustificarsi con citazioni bibliche non risponda allo spirito che informa l'eresia valdese, lo prova il fatto, che cadde nel protestantesimo. E se i Valdesi v'insistono tanto da farne il cardine delle loro dottrine, ? dovuto senza dubbio alla tradizione catara. Ch? i Catari, al pari dei gnostici antichi, aveano tanto in orrore il giuramento da metterlo a paro colla menzogna. Ed anche intorno alla menzogna i Valdesi ereditano dai Catari la massima che il nasconder la verit? sia un peccato mortale non meno grave dell'omicidio; n? valgono circostanze o buone intenzioni a scemarne la portata.

Un'altra traccia si riferisce al matrimonio. Dicemmo gi? come e perch? i Catari condannino il matrimonio, n? pongano nessuna differenza tra l'unione legittima e il concubinato. I Valdesi rifiutando la metempsicosi non potevano avere gli scrupoli dei Catari, e non solo tenevano per sacramento il matrimonio, ma tornando ai tempi patriarcali avvisavano, secondo un'antica fonte, non essere peccato torre in moglie la sorella o la cugina. Il che spiega come nel Protestantesimo si sia tolto l'obbligo del celibato pei sacerdoti. Ci? non pertanto ? cos? stretto il legame tra Catari e Valdesi, che questi ultimi, se pur non condannano il matrimonio, lo tengono molto da meno del celibato. N? vietano che quandochessia la moglie si separi dal marito per attendere ad una vita pi? austera; ma invece lodano questa che nel linguaggio cattolico si chiamerebbe infrazione di un vincolo sacro. Secondo l'anonimo di Passau vanno pi? in l?, e tengono addirittura per peccato mortale il coniugio, quando almeno non vi sia speranza di prole. Si direbbe che mal tollerando il matrimonio, cercano tutte le vie per frapporgli ostacoli. Similmente s'erano adoperati gli Enriciani, che come vedremo sono i pi? prossimi precursori dei Valdesi; ed aveano anch'essi proibite se non le prime almeno le seconde nozze. Tutte queste prescrizioni, che ripugnano allo spirito della Riforma, e che ben presto cadranno, non si possono spiegare se non ad un patto, che si ammetta un influsso cataro nella formazione della nuova eresia. Parmi adunque fuori di controversia, che sebbene l'eresia valdese si distingua profondamente dalla catara e indipendentemente da questa sia nata, pure crebbe e si diffuse per l'aiuto datole dai Catari, e per questo intreccio delle due eresie nell'una sono penetrate dottrine proprie dell'altra, e fu possibile che gli storici posteriori non le sapessero pi? distinguere.

Resta ora da discutere l'altra quistione del tempo in cui nacque la Chiesa valdese.

In questa sentenza convengono ormai tutti gli scrittori pi? autorevoli. Solo il Muston non si d? per vinto, e con nuovi argomenti rincalza l'antica sua tesi, che i Vaudois delle valli piemontesi e pel dialetto che parlano e pei libri che scrissero si chiariscono molto pi? antichi di Pietro Valdo, ed indigeni dei luoghi, ove da tanti secoli abitano. Ma la teoria del Muston, che il dialetto valdese sia d'origine schiettamente italiana, e non provenzale contraddice ai risultati pi? certi della filologia neolatina, come ha dimostrato un'autorit? ben competente, il prof. F?rster di Bonn. E la quistione dell'antichit? dei Valdesi si pu? dire ormai con certezza risoluta nel senso delle fonti cattoliche.

Ma se ? vana la pretensione dei Valdesi di far rimontare la loro setta sino ai tempi di papa Silvestro, non ? punto falso per lo contrario, che nei secoli passati si scoprano qua e l? segni precursori delle nuove eresie. La continuit? della Chiesa valdese dai tempi apostolici sino a noi ? una favola; la lenta preparazione delle sue dottrine nei secoli anteriori ? un fatto storico. Cos? non a torto i Valdesi adducono tra i loro predecessori Claudio, cappellano di Ludovico il Pio, e vescovo di Torino dall'822 all'839. Certo le sue opinioni iconoclastiche non lo metton fuori dalla Chiesa cattolica, ch? le decisioni del concilio Niceno del 787, non che accolte negli Stati occidentali, furono invece respinte nel concilio di Francoforte del 794; e lo stesso Carlo Magno e molti prelati non dissimulavano la loro avversione al culto delle immagini. Ma ? strano che Claudio proscriva perfino l'adorazione della Croce, rappresentante agli occhi suoi, come a quelli dei Catari, non un pio ricordo della passione di Ges?, ma uno strumento d'ignominia. Questo difetto di ogni senso pel simbolismo religioso non ? per? il tratto che pi? raccosta il vescovo di Torino ai moderni valdesi; perch? pi? della stessa condanna del culto delle imagini, le ragioni che adduce per sostenerla arieggiano al fare protestante. Lui move la tema che il volgo, confondendo il simbolo col simboleggiato, insieme li adori ricascando nell'antico paganesimo. A questo timore s'aggiunge il convincimento, che si debba inchinare solo al Creatore non alla creatura per grande che sia, e a Dio solo rivolgerci senza l'inutile scorta d'intermediarii; onde insieme al culto delle imagini proscrive anche l'invocazione dei Santi e le litanie. Non col metterci nel seguito dei Beati noi partecipiamo alla loro beatitudine, ma coll'attingere alla stessa fonte di giustizia e di carit? assoluta, a cui attinsero quelli. Siffatta condanna di usi e riti tradizionali vien giustificata dalla profonda differenza che corre tra l'essenza della religione e le sue manifestazioni storiche; che per quanto pura ed elevata ? la prima, altrettanto imperfette e facili a corrompere son le seconde. E l'essenza intima della religione non ? aperta a tutti, bens? a pochi ingegni privilegiati, come quello di Agostino, cui il nostro Claudio, al pari dei Protestanti, mette al di sopra degli altri padri della Chiesa. ? per questo appunto che la spiritualit? della religione ideale si offusca nel corso della storia, ? necessario che di tempo in tempo nascano coraggiosi prelati, i quali combattano senza tregua gli errori, e faccian rifiorire la purit? primitiva. In questi pensieri ? racchiusa in germe non solo la riforma della dottrina cattolica, ma benanco un'ulteriore trasformazione razionalistica.

La verit? non s'ha da cercare nelle studiate accuse dei polemisti, ma nelle ingenue parole della vecchia cronaca, il cui autore pur non credendoci, ci parla della fama di santit? e di scienza che accompagnava il novatore. E per testimonianza degli stessi cattolici gli eretici o manichei o petrobusiani o che altro fossero, appunto per questo ottenevano presto il favor popolare, che di contro alla mollezza della maggior parte del clero menavano una vita austera e faticosa. Pellegrinavano di paese in paese, sempre stranieri dovunque, non possedendo in alcun luogo o un tetto o un campo per s?, solleciti soltanto della salvezza delle loro anime, non altro tesoro portando seco, fuor dell'invitta fede che li animava. In olocausto alla quale essi sacrificavano la lor vita, gittandosi lieti e volenterosi nelle fiamme. Costanza eroica, degna dei primi martiri del Cristianesimo, e non ultima causa del rapido dilatarsi delle dottrine eterodosse!

Gli ? vero, che Evervino parla qui dei Catari, ma egli stesso ci narra di altri eretici, i quali pur non accettando i principii dualistici, evacuant sacerdotium Ecclesiae et dannant sacramenta praeter baptismum solum et hunc in adultis.... in suffragiis sanctorum non confidunt .... orationes vel oblationes pro defunctis annihilant.

In queste condizioni sorge Pietro Valdez, ed il primo atto del suo apostolato ? di spogliarsi delle male accumulate ricchezze. E lasciata alla moglie, secondo la cronaca laudunense, tutta la sostanza immobiliare, dotate convenientemente le figlie che chiude in un convento, il resto dei suoi averi distribuisce tra i poveri. Lo stesso cronista ci racconta che infierendo in quel tempo la carestia per la Francia e la Germania, il Valdez soleva distribuire pane e carni a chiunque gli capitasse. Cos? la fama della sua carit? si spargeva di citt? in citt?; tutti i bisognosi facevan capo a lui, e per soccorrerli ei spendeva l'ultimo denaro. Ben si maravigliavano gli amici, e lo tenevano per pazzo, ma egli seguendo la sua via, nel dar fondo a tutto il suo, stimavasi affrancato da una grande servit?. Per tal guisa il mercatante di Lione cresciuto tra gli agi e le mollezze si compiacea di tornar povero, ed accattava anche lui battendo alle porte dei compagni antichi. Quanta differenza dai prelati della Chiesa, che non istanchi di accumulare ricchezze, misuravano la dignit? del loro ufficio dallo splendore delle vesti e dal lusso degli equipaggi!

Il primo punto dunque dell'insegnamento di Valdez ? la povert? volontaria, principale mezzo di salute. I Patarini ed i Catari sull'autorit? degli stessi testi evangelici avean sostenute le medesime dottrine, facendone un'arma potente contro la simonia del clero. Ma mentre i Catari obbligano anche i perfetti a vivere del lavoro delle proprie mani, e vietano severamente l'accattonaggio, il Valdez lo predica, e lo inculca col suo esempio come severa prova di umilt?. Per questa ragione i seguaci dell'apostolo lionese accanto alla denominazione di Poveri di Lione si gloriano di portare quella di Umiliati. Pi? tardi questa dottrina della povert? assoluta, e del gran merito dell'accattare verr? ripresa e sostenuta calorosamente dai Francescani.

Le autorit? ecclesiastiche mal tolleravano che dei laici idioti od illetterati non solo usurpassero l'ufficio della predicazione, ma s'adoperassero a spiegare i libri santi, i quali vanno interpetrati e commentati con molta cautela. Talch? lo stesso Alessandro, che avea lodato il voto di povert? fatto dal Valdez, interrogato forse il concilio raccolto nel Laterano nel 1179, viet? a lui ed ai suoi compagni di predicare senza il permesso dell'autorit? ecclesiastica locale. Gi? questa, ben conscia dei pericoli di una predicazione laica, lungi dall'incoraggiarla, l'avea repressa, e Stefano di Borbone ricorda che Giovanni, vescovo di Lione, chiamati a s? i Valdesi, proib? loro di occuparsi della Bibbia e di commentarla e divulgarla per le vie.

Innocenzo al certo poneva differenza tra Catari e Valdesi, e questi come meno eterodossi trattava con maggiore indulgenza. Prova ne sia quel Durando de Osca, capo di una frazione detta degl'Inzabattati, il quale appellatosi a lui dalla scomunica dell'arcivescovo terraconese, non solo fu riammesso nel seno della Chiesa, ma dopo esplicita dichiarazione di fedelt? alla Santa Sede ebbe licenza di conservare il suo istituto. Non trovarono per? eguale accoglienza gli altri leonisti, che non vollero abbandonare le dottrine della predicazione laica, e della libera interpetrazione della Bibbia. Contro costoro Innocenzo tenne duro, e in luogo di essi approv? un altro sodalizio, che pur facendo voti di povert? come i Valdesi, ne respingeva le pericolose dottrine. Questi nuovi zelanti, che col tempo dal loro capo prenderanno il nome di francescani, dicevansi allora poveri minori, e pi? tardi per non andar confusi cogli emuli di Lione si dissero frati minori. E nel concilio lateranense del 1215 i Valdesi furono scomunicati non meno dei Catari e dei Passagini, e condannati al pari di loro al ferro ed al fuoco.

Le persecuzioni si fecero allora pi? feroci, e la societ? valdese si disperse in opposte e remote contrade. Dove sia andato il Valdez non si sa, e il luogo e il tempo della sua morte s'ignora. Certo la sua memoria crebbe venerata tra i suoi seguaci, che lo ebbero per santo cos? da rimproverare i Poveri Lombardi che non credessero all'impeccabilit? di lui, come di nessun altro uomo al mondo.

Dalla condanna del concilio lateranense, o forse anche pi? in su dal giorno in cui Innocenzo respinse le proteste dei Valdesi, cominci? per loro un nuovo periodo, che diremo delle lotte, per distinguerlo dal periodo precedente o delle origini. La differenza tra questi due periodi fu gi? rilevata dal Dieckhoff, che seppe ben classificare le fonti secondo un criterio cronologico. N? so capire il perch? gli scrittori di cose valdesi siensi allontanati dalla via cos? luminosamente tracciata dal loro predecessore. Si pu? ben dire che il Dieckhoff abbia errato in qualche punto secondario, come ad esempio che faccia l'Alano pi? antico di quel che sia; ma non si pu? negare che in Alano e nel Foncaldo la dottrina valdese poco s'allontani dal cattolicismo, e che se ne stacchi molto di pi? nel Borbone, nel Moneta, nel Sacconi, e rompa di tutto punto in Davide d'Ausburgo. Questa disparit? delle fonti ? dovuta al tempo in cui apparvero, ed al successivo sviluppo della dottrina valdese.

Dal principio, come dicemmo, i Valdesi si tenevano per buoni cattolici, n? sapeano intendere il perch? un laico non avesse da leggere ed interpetrare la Bibbia, e gli fosse conteso di spandere presso i popoli la parola del Signore. Non erano forse laici gli apostoli, che andavano di contrada in contrada predicando la buona novella? E non leggiamo nell'antico Testamento che Mos? lungi dal portare invidia ai profeti, desiderava invece che tutti profetassero? Del resto neanco nei nuovi tempi mancarono laici, che predicassero con successo la parola del Signore, e dalla Chiesa non che impediti venner levati sugli altari, come ad esempio il beato Onorato e santo Equizio. I Valdesi non capivano che in una Chiesa costituita gerarchicamente non possano commettersi a chiunque uffici cos? delicati come l'interpetrazione dei sacri testi e la predicazione. Ed attribuivano perci? il divieto all'invidia o alla gelosia del clero, che non volendo abbracciare la povert? voluta dal Cristo, mal tollerava che altri e colla voce e coll'esempio la predicasse. D'una ingiunzione, dettata da motivi siffatti, era dunque lecito e doveroso non tener conto, perch? secondo Pietro non agli uomini ma a Dio bisogna obbedire.

La disobbedienza agli ordini emanati dal Papa e dal concilio fu il primo atto di aperta opposizione dei Valdesi, che provoc? polemiche astiose, e novelle scissure. I cattolici sull'autorit? del concilio lateranense sostenevano che l'ufficio di predicazione spettasse ai soli sacerdoti, e non a tutti, bens? a quelli prescelti dai vescovi. I Valdesi protestavano contro queste restrizioni, e stimavano lecito a chiunque sapesse la parola del Signore il predicarla, senza distinzione n? di sesso n? di et? n? di condizione. E che anche le donne possano esercitare l'apostolato lo provavano coll'autorit? della lettera a Tito, e coll'esempio di una profetessa. Coteste dottrine erano diametralmente opposte, l'una ripeteva il diritto della predicazione dalla scelta del vescovo, l'altra dall'ardore e dalla scienza dell'insegnante. E trapassando dall'insegnamento a tutti gli altri uffici religiosi, l'una dottrina non teneva conto se non dell'ordinazione, l'altra del merito. Dal che seguiva questa conseguenza notevole, tirata dagli Arnaldisti prima dei Valdesi, che solo ai sacerdoti o ministri buoni bisogna obbedire, vale a dire a quelli che nella loro vita e nei costumi loro si mostrano degni seguaci degli apostoli. Imperocch? se il merito solo e non l'ordinazione ? la fonte della dignit? sacerdotale, quelli che nelle opere loro si mostrano impari all'alto ministero, hanno perduto non ostante l'ordinazione ogni autorit?.

Dottrina siffatta ? non solo contraria alla cattolica, che non riconosce altro giudice del sacerdote all'infuori del superiore gerarchico; ma benanco alla protestante, che attribuisce minor merito alle opere che non alla fede. Con tutto questo e gli Arnaldisti, ed i Valdesi la professavano, come ci viene concordemente attestato da fonti antichissime, quali Alano e l'Abate di Foncaldo, la cui autorit? nessuno pu? revocare in dubbio.

Questa dottrina del merito in opposizione all'ordine venne formolata in occasione della predicazione; ma ? ben certo che a non lungo andare si applic? anche ad altre funzioni religiose, prima tra le quali fu senza dubbio la confessione. Che dal sacerdote legittimamente ordinato si ascoltasse la messa, o si ricevesse la cresima non portava pregiudizio alla nuova associazione, la quale si credeva sempre sinceramente cattolica, e nessuno dei sacramenti voleva negare. Ma non era possibile che i membri del nuovo sodalizio si confessassero a sacerdoti cattolici, che faceano ai Valdesi una guerra non meno aspra e spietata che ai Catari. Bisognava dunque svigorire l'autorit? della confessione cattolica, e sostituire a quella un'altra forma che meglio convenisse ai progressi della nova societ?. A tale uopo solean dire i Valdesi, che i sacerdoti cattolici ribelli ai precetti del divino maestro, non potranno assolvere le colpe altrui se prima non si lavano dalle proprie. N? la confessione ? indispensabile, perch? chi perdona non ? sacerdote, ma Dio stesso, e quando a Dio ci rivolgiamo col cuor contrito, che uopo v'ha del sacerdote? Certo il confessore talvolta ci aiuta coi suoi consigli, e cogli ammonimenti suoi; ma quest'ufficio pu? essere disimpegnato da qualunque laico, e la prima confessione cristiana non si faceva in segreto, ma in pubblico, non presso un sacerdote solo, ma presso la comunit? dei fedeli.

Il principio di tutte queste argomentazioni ? sempre il medesimo, che al solo merito si debba attribuire valore, onde soltanto chi s'? saputo rifare nell'intimo della sua coscienza, cos? da detestare le colpe commesse, questo solo sar? perdonato da Dio. Quando manchi la contrizione ? assurdo assolvere, perch? non c'? nulla fuori della coscienza che possa la coscienza purificare. Talch? non s'ha da credere di poter comprare l'indulgenza a denaro sonante, o in qualsiasi altra guisa, che non sia il profondo ed intimo dolore di aver peccato. E se le indulgenze non giovano ai vivi, tanto meno ai morti, i quali non hanno pi? modo di rinnovarsi, essendo chiusa ormai loro la via dell'operare. E ormai sono quel che furono, dannati se vissero male, beati se vissero bene. Insieme colla dottrina delle indulgenze si legano sempre quelle dei suffragi pei defunti, e del Purgatorio; ed i Valdesi che negavano le prime doveano anche riescire alla negazione dei secondi.

Altri punti di quistione par che fossero il battesimo coll'acqua, quello dei bambini, e la indissolubilit? del matrimonio. Intorno ai primi due punti dicemmo gi? altrove, che i Catari al battesimo dell'acqua voleano sostituito quello del fuoco o del calore, e che condannavano recisamente la somministrazione del battesimo a chi non fosse in grado di capirne l'importanza. Era ben possibile che queste due dottrine fossero penetrate nella societ? valdese; ma certo ? che nel convegno di Bergamo pensarono bene di non dipartirsi dall'insegnamento cattolico.

In quanto al matrimonio gi? sappiamo che i Valdesi oltremontani in seguito ad influssi catari preferivano la verginit? allo stato coniugale, e tolleravano che pei bisogni della nova societ? il marito si dividesse dalla moglie anche quando ella non v'acconsentisse. I Poveri Lombardi par che facessero maggior conto del matrimonio, e solo in due casi ne permettevano lo scioglimento, o quando entrambi i conjugi fossero d'accordo a separarsi, o per causa di adulterio.

Queste divergenze per quanto gravi non erano tali che con poche concessioni da una parte e dall'altra non fossero per comporsi. Intorno ad una per? non era possibile l'accordo, e riguardava un punto d'un grandissimo interesse e dommatico e pratico: l'Eucaristia. I Valdesi d'oltremonte bench? ammettessero che a tutti i membri della nova societ? fosse lecito di predicare e di confessare, pure non erano ancora venuti all'estrema conseguenza di permettere loro la celebrazione della messa. Certo ? che essi ascoltavano la messa dei sacerdoti cattolici, e credevano che il miracolo eucaristico si compisse anche quando il ministro fosse indegno di operarlo. Questa opinione era senza dubbio in contraddizione coll'altra pi? generale che nessuna funzione religiosa potesse esercitarsi dal ministro indegno. Ed a rimovere siffatta contraddizione s'adoperavano in diverse guise. Alcuni dicevano che il miracolo della transustanziazione si opera per virt? non del sacerdote, bens? delle parole mistiche da lui pronunziate. Altri sostenevano che se il sacerdote cattivo non potesse celebrare la messa, per la medesima ragione non dovrebbe somministrare il battesimo, mentre ? risaputo che il battesimo ha sempre valore fosse anche dato dalla levatrice. Altri infine non negavano la partecipazione del sacerdote, ma la dicevano sopraffatta ed assorbita dall'opera dell'Uomo-Dio, il quale in fine ? il vero autore del miracolo.

I Poveri Lombardi, che discendevano in diretta linea dagli Arnaldisti, ed alla purit? del sacerdote attribuivano infinito valore, non potevano accettare nessuna di queste versioni dei Poveri oltramontani. Non la prima, perch? se il miracolo eucaristico s'operasse solo in virt? delle parole mistiche, anche il Giudeo od il Pagano potrebbe operarlo. Non la seconda, perch? tra il battesimo e l'eucaristia non pu? correre l'analogia voluta dagli oltramontani, altrimenti anche il laico, anche la donna potrebbe rompere il pane benedetto, laddove per gli oltramontani stessi al solo sacerdote ? commesso quest'ufficio. La terza opinione potrebbe accettarsi, purch? s'aggiunga che oltre all'opera dell'Uomo-Dio per compiere il miracolo eucaristico occorre la preghiera del sacerdote, e che questa preghiera non sar? accolta da Dio quando venga sciolta da labbra impure. Questa terza opinione, non ? dunque la stessa della prima, come dice il Preger, perch? la prima non pu? essere accettata in nessun modo, e la terza con opportune aggiunte viene ammessa. La prima pare una superstiziosa deificazione della parola, la terza rileva s? l'elemento soprannaturale del sacramento, ma non esclude per questo l'elemento umano. Modificando questa terza opinione s'ha la vera che non attribuisce il miracolo eucaristico al solo intervento di Cristo, n? alla sola virt? del sacrificante, ma all'uno ed all'altro insieme. Se mancasse l'opera dell'Uomo-Dio, il sacerdote per degno che fosse, non potrebbe operare tanto prodigio. Come pure se venisse meno l'orazione del celebrante, o, che torna lo stesso, se questa orazione fosse detta da chi non avesse il diritto di dirla, il sacrifizio non si compirebbe neanco. Occorrono dunque i due fattori: il subbiettivo o la bont? del sacerdote, e l'obbiettivo o l'opera del Cristo. Ma pare che quest'aggiunta non sia stata accettata e che la conciliazione fallisse in questo punto delicato. Perch? l'ultima formola degli oltramontani era questa: il sacerdote ordinato dalla Chiesa, finch? sia mantenuto in ufficio dalla grande famiglia dei Cristiani, opera sempre il miracolo eucaristico, o buono o malvagio che sia, e dopo le mistiche parole da lui pronunziate il pane ed il vino si tramutano nel corpo e nel sangue del Signore. I Valdesi non potevano giammai accettare questa dottrina. Forse potevano spingersi all'ultima concessione di attribuire un valore alla comunione, perch? in luogo della preghiera del ministro indegno sottentra quella pi? efficace del comunicando. Ma che l'opera del sacerdote sia pressoch? nulla, e che Dio voglia accogliere sempre la preghiera purch? detta dal sacerdote anche quando impure labbra la mormorino, i Poveri Lombardi non sapeano accettare.

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