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Read Ebook: Ricordanze by Rapisardi Mario

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Ebook has 432 lines and 33620 words, and 9 pages

In quell'ora di festa al tuo romito Casolare venn'io: dolce ai soffrenti Dei soffrenti ? il ritrovo. Al limitare Corsemi incontro il povero mastino Adulandomi intorno E ai piedi miei sdraiandosi supino. Deserto era il cortile, E su l'incolta ajuola, Gi? dolce cura di tua man gentile, Morian le frondi e i fiori; Solo su l'infrequente uscio, ondeggiando Al dolcissimo orezzo vespertino, Qualche pallido fior piovea da' rami Il lento gelsomino. Pensosa e taciturna Al tuo vegliato capezzal sedea L'addolorata madre, Spesso volgendo il ciglio A una pietosa immagin di Maria, Che ha tra le braccia il figlio. Lesta intorno venia L'affettuosa tua sorella intesa Ai pietosi servigi; in su la porta Siede il buon genitore e sottovoce Ripiglia il fratellino, Che corre dietro all'infedel micino.

De la lucerna al tremolante raggio Vidi il bianco tuo fronte e il fuggitivo Lume degli occhi tuoi E le diffuse chiome E l'aereo sorriso. Oh! dimmi, a quali Fantasime di ciel guardi e sorridi, Candida giovinetta? Qual ti lusinga mai viso e splendore Di sempiterni lidi, Che ad occhio di felici Iddio contende? Qual su le tacit'ali Invisibile a noi spirto d'amore Per le sedi degli astri amor t'insegna? Dunque di questa nova Primavera terrena, Ove pi? agli occhi tuoi vita non splende, Ne fuggirai per sempre? Dunque sol dura prova D'infinito dolore Degni del ciel ne rende? Deh! se per lunga pass?on si trova Oltre i lacci del fango amore e luce, Al luminoso e santo Volo, o fanciulla mia, tu mi sia duce, Ch? amore io cerco, e lungamente ho pianto!

A GHITA.

Fior d'albicocco, mandorla non colta, Grappolo d'uva che s'indora al sole, Spiga di grano tra le foglie accolta, Mazzo di gelsomini e di v?ole, Gelso che mette il fior la prima volta, Cestolin di ciregie e d'azzaruole, Mela appi?la, dattero sul ramo, Ghita gentil, cor del mio core, io t'amo!

Dal muricciol de l'orto abbandonato Sente il rovo l'aprile e mette il fiore; Cos? dal gelo del dolor serrato L'aura de l'amor tuo sente il mio core. Rondinella che torna al nido amato, Posa in sul ramo e pispiglia d'amore; Quand'io specchio nei tuoi quest'occhi in pianto, Ghita gentil, dal cor mi sgorga il canto.

Canto, ma dentro al cor lunga e secreta M'arde un'ansia, un desio che il cor mi sugge; Come vana di sogno immagin lieta, Ogni pi? cara illus?on mi fugge; La giovinezza mia mesta ed inquieta Pe 'l deserto del mondo erra e si strugge; Arido ? il labbro mio, trepida ? l'alma, Dolce mia Ghita, garzuolin di palma.

Pur, finch? te vedr?, dolce e sereno Del mio nebbioso giorno unico raggio, Il desiderio del mio cor fia pieno, Sar? sparso d'un fiore il mio v?aggio. Ha le perle e i coralli il mar nel seno, Le notti han gli astri, ha le rugiade il maggio; Senza il tuo sguardo e il tuo sorriso, o pia, Non avria stella o fior la vita mia.

E quando lungi dal tuo niveo fronte Lungi mi sbalzeran mie sorti avare, Uccellin diverr? che passa il monte, Pesce diventer? che passa il mare; Verr? a cercarti appo il lucido fonte, Girer? di tua porta al limitare; Muoia con gli astri, o co 'l sol nasca il giorno, Gentil mia Ghita, io ti verr? d'intorno.

E se stanca una volta e infastidita Del vegliante amor mio ch'arde e non spera, Negli occhi io ti vedr?, dolce mia Ghita, E trar debbo in dolor la vita intera; Farfalla io diverr? lieve e romita, Che cerca i fiori al d?, la morte a sera, Farfalletta gentil, ch'? per costume Di morire girando attorno al lume.

A UN SEGATORE DI PIETRE.

Con l'ostinato filo Del tuo pigro strumento Il duro sasso esercitando vai, assiduo segatore, N? per sole o per vento Da la lunga, penosa opra ristai, A cui tua sorte misera ti danna, Ma l'egro petto e il dorso Sopra la sega stridula affatichi; Solo di quando in quando, A l'ardua lama agevolando il corso, Versi nel sasso con la bugia canna, Sciolta ne l'acqua la mordente arena, Malinconicamente mormorando La nota cantilena.

Al monotono suono Di tua lenta fatica, Che la tarda del tempo opra somiglia, Da le mie ciglia si dilegua il miele Del dolcissimo sonno mattutino Di rosee larve apportator fedele. Su le tiepide piume Snodo le membra non ben deste ancora, Guizza il notturno lume Morente a la parete, Gi? tremano le liete Rose de l'alba a lo spiraglio incerto; Odo il festante grido De le rideste vie E il rumor lieto dei carri balzanti, Sento gli allegri canti De l'amorosa rondine che suole Sotto la gronda mia pendere il nido; A la nota bottega, Cantando una canzone, Il garzoncel s'avvia; Per la frequente via Passan belando sotto al mio balcone Le capre mattutine, E con assidua ressa La stridula campana de la pieve Chiama i fedeli a messa.

Quindi sorgo, e tergendo In schietta onda la faccia, Schiudo i vetri custodi, e anch'io cantando Il nuovo aprile e il fresco aer saluto. Ma se da tanta immagine di cielo, Ove cerco di mia vita la luce, Pallido segatore, a te mi giro, Di repentino gelo Pensierosa tristezza il sen mi vince, E ne l'intimo cor gemo e sospiro:

Quale colpa o fortuna A s? diverso fato obliga e preme Nostra dolente umanit? raminga, Ch'altri scarno e cencioso Sul duro solco si travagli e sudi, E altri, d'ozio fastoso E d'opulenza e di splendor si cinga? Dunque ? destin, che a' faticosi studi Pi? vil merc? si renda? E che tanta di noi parte migliore D'inedia eterna e di dolor languisca, E altri del suo soffrir gioco si prenda?

Povero segatore, a noi non lice Investigar la sacra ombra che chiude Tanto nume di Dio. Forse la prova Di cotanto dolore E de l'onesta poverezza i pianti L'occulta stancheranno ira del cielo; Ch? ormai splendida e nova Di santa civilt? stagion migliore Ne impromettono i fati. A pi? sublime Vol, non pi? visto altrove, Poggia l'umano ingegno; uguale e piana Da la superba cattedra discende A popolar convegno L'agevole Sc?enza, e a tutti ? schiusa, Quanta concessa ? in terra, Felicit?. Su la contesa soglia Pi? non mendica il provvido lavoro Di ricche orgie i rifiuti, Ma a s? stesso ? tesoro. Ecco, vegg'io Co 'l vetusto patrizio il fabbro um?le Confondere la destra, E civilt? di miti usi maestra Chiama fra tutte genti arbitro il merto. Sorge dal fango, in nome Di Lui, che l'onorate opre f? sante, La derelitta povertade, e come Pioggia che le morenti erbe rinnova, Sugli adusti mortali Uguaglianza ed amor distendon l'ali.

Gittai due fiori al vento Due piccioletti fior da un gambo uniti; Gir?r, gir?r sui zeffiri un momento, Caduti son, ma non si son partiti.

Sovra lo stesso stelo, Sovra la stessa zolla, a la stess'ora, Bevvero insiem le miti aure del cielo, Trem?ro al nembo e salut?r l'aurora.

Poi tolti a la serena Terra e dal vivo cespite recisi, Vissero insiem l'estrema ora terrena, Son morti entrambi e non si son divisi.

E vuoi tu mai, fanciulla, Che lontano da te vivere io possa? Il destin presso a te mi di? la culla, Vuo' che amor presso a te mi dia la fossa.

Batte il notturno vento a la campagna L'ondeggiante oliveto, e su le prime Nevi de la montagna Passa la fredda luna. Da le materne cime Cade la foglia inaridita e smorta, E de la corta vigna Su 'l gelido v?al saltan le lepri. Fra gl'ispidi ginepri de la siepe S'acquatta il cacciatore, Mentre con l'importuno Raglio il disturba dal vicin presepe Il povero asinel freddo e digiuno.

L? su 'l romito calle, Dove s'incrocia la petrosa via, Splende la lampa tremula Su 'l povero altarino di Maria. Passa tremante e mesto il contadino Su 'l nodoso baston curvo le spalle; Dal chiuso pecorile Lo provoca uggiolando a la lontana L'indocile mastino; Egli guardingo passa, E mormora una prece e fa un inchino.

Vede intanto da l'erta L'accesa fenestrella De la capanna misera e deserta, E pe 'l noto v?ale allunga il passo; Ode il murmure incerto e la faccenda De la sua famigliola, E sente al petto lasso Un secreto piacer che lo consola.

Cos? verso un'ignota iri di pace Tende l'umana vita, Ch? sulla terra squallida e fugace Fiore non porta aprile Di salde foglie e di profumo eterno. Pari a larva sottile Di sogno mattutino Fugge il piacer di nostra istabil sorte, E perpetua ne incombe ala di verno; Ma da la cieca fronte Il mensognero vel scioglie la Morte, Ed al redento spirito Schiude del vero il libero orizzonte.

Ah! tu dillo, o secreta Visitatrice del mio cor dolente, Dolce fanciulla aerea, Tu lo ridici al povero poeta! Che ti valse il clemente Riso del nostro cielo E il lampo degli azzurri occhi sereni Ed il trapunto velo Ed il voto d'amore, ond'eri avvinta, Or tu lo sai, che cinta Di sempiterni raggi, Qual fior su lago tremulo, L'onda d'eternit? vedi e v?aggi.

Pria che degli anni il gelo T'inaridisse il core, o pia fanciulla, a te fu caro il cielo. Cos? esotico fiore, Chiuso in vetro geloso, a l'aere immite Sporge la cima tenera, Cerca il suo cielo, e muore; Uccello doloroso Pellegrinante per stranio paese Cerca cos? il cortese Nido del suo riposo; Cos? striscia lucente Di fuggitiva stella Guizza e dilegua a la pupilla intenta; Oh! non dite ch'? spenta, Non dite ch'? per lei l'ultima sera, Dite che viva e bella Corre ad illuminar pi? lieta sfera.

Io doloroso e solo De la memoria tua ravvivo il canto, E di celesti immagini Il mio lungo aspettar queto e consolo. Oh! dimmi, o pia, quanti di questi ancora Sono serbati a me giorni di pianto? Quanto per questa tenebra Affaticando andr? gli occhi miei lassi Desiderosi de l'eterna aurora? Ah! tu mi guardi e passi, Mi guardi e passi, e la serena fronte Al pianto mio s'imbruna . . . . E fischia il vento intanto, e dietro al monte Cade la fredda luna.

AD A. SALVINI

nel regalargli un esemplare della Palingenesi.

A te che sai le amare. Gioie de l'Arte e i trepidi Sogni, a cui l'ardua fida ala il pensier, A te non fian discare Queste vegliate pagine, Che la sacra spirommi aura del Ver. Se da la mesta e bruna Vita, a pi? belle e vivide Sfere poggiare il vol seppi talor, ? pregio e non fortuna, Che su 'l mio fronte pallido Segga una fronda di sudato allor. Su quelle sfere, dove Spiran del bello i liberi Entusiasmi ed ? perpetuo april, Ivi di grazie nuove Tal?a sorride, e d'attici Fiori diffonde il suo peplo gentil. Scherzano a lei d'intorno La gioia alata e il florido Riso d'alme serene unico re; A l'immortal soggiorno, Sacro a le Grazie ingenue, L'empio livor mai non appressa il pi?. Ma la suave e mesta Malinconia, che l'anime Tempra ne l'onda d'un etereo duol, Cinta di bianca vesta Ivi s'aggira, e a l'aure Geme siccome vedovo usignuol. Ivi te vidi, o altero Spirto che il dotto interpreti Dei figli di Tal?a riso immortal; E teco era il severo Genio, cui di Melpomene Sovra l'itale scene arma il pugnal. Di lieti plausi un suono, Dolce compenso al vigile Culto de l'Arte, intorno a te vol?, E su l'etereo trono La sacra musa italica Nuova luce da' bruni occhi raggi?! Or m'odi. E s'io libai Unqua de l'alme C?riti Al negato a' profani inclito altar, Son degno, e lo mertai, Che tra il fragor dei plausi Oda tu pur ne l'alma il mio pregar. Lascia a le franche scene Le v?te larve e gli orridi Mostri che infame vita hanno quaggi?; A noi l'aure serene, Gli astri ed i fior consigliano Arte pi? mite e men facil virt?. Di fole e di chimere Regno non han le italiche Muse, d'almo pudor cinte e di vel; N? soffron, che a le nere Trame del mondo l'improbe Scuse sian manto di piet? crudel. Osa! Ed allor che al santo Aere ritorni e a' limpidi Regni de l'Arte, unico mio sospir, Di' ch'io deserto in pianto Vivo; ma intatta e vergine Serbo la cetra, e m'? grato il morir.

SOLE D'INVERNO.

A C. REINA.

Cari mi siete, o colli, Quando nel verno vi saluta il sole, Quando con l'alba tremano L'argentee brine su l'erbette molli, E su le siepi imbrunano Il ridestato calice Le tenere v?ole.

Sul tort?oso calle, Dove il cardo le foglie ispide muta, Va saltellando il passere, E fra il timo s'inseguon le farfalle; Dal povero tugurio Il legnajuolo affacciasi E il caro sol saluta.

A la cadente porta, Col suo grembial pi? bianco de le nevi, Siede co 'l mento tremulo La vecchiarella derelitta e smorta, E da la r?cca tenue Traendo il sottil canape, Fila i suoi giorni brevi.

O tu che solo allegri Il silenzio di mia casa infrequente, E d'amicizia il balsamo Spargi su' giorni miei dolenti ed egri, Godiam tra il verno gelido La dolce ora fuggevole Di questo ciel ridente.

Forse, o chi sa? ne l'ombra Che lungamente mi ravvolge il core, Forse tra l'ansia e il dubbio, Che i propositi tuoi tarda ed ingombra, Come a quest'erbe tremule, Un raggio di letizia Ne mander? il Signore.

E allor che queta ? l'onda, E pi? belli i suoi fiori april dipinge, Noi lascerem quest'Etna E il biondo golfo e la petrosa sponda; E andrem sicuri e unanimi, Ove de l'arte il fervido Sogno gentil ne spinge.

Noi cercherem la riva Dove pi? specchia il ciel l'onda tirrena, Dove armonia son l'aure, E di voci d'amor l'aura ? pi? viva; Dove vestita d'iridi S'asside l'incantevole Partenop?a sirena.

A l'inconteso corso Di nostra prora ardente Fuori de l'acqua emergono Gli amorosi delfin l'argenteo dorso; Fuggono l'onde; suonano L'aure, le piagge olezzano De l'appennin ridente.

A te daran colori Il cielo azzurro e la flegrea marina, Le nubi del Vesuvio, Di Capri i lidi e di Sorrento i fiori; A me la fredda cetera Avviveran le tiepide Aure di Mergellina;

E canter?. Ma dove Spingi il tuo volo, o instabile speranza? Il pianto mio dimentichi E i lunghi affanni e le durate prove? Ahi! ne la solitudine Di questo umano esilio Solo il dolore ha stanza.

Signor, che a queste brume Doni del sole il provvido sorriso, Toglimi al dubbio gelido, Che a l'ingenua mia fede ammorza il lume! Deh! ch'io non pi? ne l'orrida Nebbia, che il cor m'intenebra, Gema da te diviso!

Io rapir? l'incenso Di queste fragolette mattutine, La mite ala del zeffiro Che il mar cheto sorvola e il cielo immenso; Rapir? un raggio a l'iride E la sottile, argentea Falda di queste brine.

E come fior che a sera Con le fragranze al ciel s'apre la via, Eterno, istabil atomo, Cercher? la mia sede e la mia sfera; Ch? in mezzo a questa tenebra, Il veggio, il sento, o spirito, Non ? la sede mia!

ULTIMO AUTUNNO.

Passa il ramingo augello Su l'umil vigna allor che muore il giorno, E posa il volo a un tremulo arbuscello; Ma poi che mira intorno La campagna deserta E pi? incerta la luce a l'occidente, Mestamente guardando, il vol dispiega, E con pietoso grido Miglior campo procaccia e miglior nido.

Cos?, gi? presso al fine Del mio fatal pellegrinaggio in terra, In voi fermo un istante il fianco lasso, Dolci colli materni, Di cui l'imbalsamata aura pi? volte Nel cor la fuggitiva alma contenne. Ma vano or torner? vostro sorriso A questa vita stanca, E allor che al soffio de l'estremo autunno Cadran le foglie dal materno stelo, E col manto di gelo Si caler? da l'Etna il verno rio, Cadr?, cadr? pur'io, E caler? su me gelo di morte; O verdi colli, addio!

Pur grato al cor mi scende Vostro tacito aspetto e la notturna Aura e il sorriso de le stelle incerto. Spesso muto e deserto, allor che trema Su per le argentee ulive Il verecondo albore De la luna imminente, erro il viale Del contiguo giardino, O l? m'assido a canto D'un piccioletto fonte, arido come Questi occhi miei cui pur negato ? il pianto. Quindi a la lunga io sento Dal vecchio campanile Russar querulo il gufo Ed ondeggiare al vento Del mesto legnajuol la cantilena. Brillano a la serena Le sparse lucciolette, Ed aggrappato al suo materno tufo, Il monotono trillo Siegue con ressa il solitario grillo.

Allor questa noiosa Creta e mia vita dolorosa oblio; E gi? mi par che sciolta D'ogni colpa mortal la dis?osa Ala spinga pe 'l ciel l'anima mia, Chiara qual sole e libera qual vento. Ma qual voce e lamento Da questa nova, luminosa via Chiamarmi a nome e richiamarmi io sento? Maria, dolce Maria, Non turbarmi quest'ora! Ah! ch'io non vegga Quei pensosi occhi tuoi, che fur gi? tanto Universo per me, ch'io non li vegga Per mia cagione in pianto! Ahi! de la vita lieta, Breve pur troppo e pur suave e cara, L'ora pass?, pass? qual fuggitivo Sonno di cacciatore; Lunga stagion di pianto e di dolore Per me segu?, per te gioia e festivo Fulgor di tede e amore.

Vedi, sul labbro mio pi? non s'accende Giovin raggio di gioia, entro a la stanca Alma pi? non esulta La bella giovinezza, Ed anzi tempo la mia chioma imbianca. Da l'affannato petto Fugg? l'alma salute, e la vitale Aere sin la vitale aere s? cara Nel travagliato cor tarda discende. Funesta ala di notte D'intorno a la mia dolce arpa si stende, E l'auree corde son disperse e rotte. Sol'una ancor sol'una Corda rimane a la dolce arpa mia; E allor che ne la bruna Fossa cadr? quest'egra argilla oppressa; Si spezzer? pur essa, E flebilmente suoner? Maria.

Or mi lascia, in piet?. Come a ritrovo Di libert? e di pace a morte, io corro; N? gi? son'io sdegnoso Di mia sorte immatura, N? a te, cieca Natura, Qual suole ignobil volgo, Le mie vane querele E il pianto mio rivolgo! Ben tu su noi crudele Sempre fosti, o Natura; e un fiore un solo Fior sul tramite mio mai non scord?ro Le primavere tue vane e fugaci, E con sorriso amaro Ai lunghi affanni e a mia virt? schernisti. Ma se a quest'occhi miei la luce or neghi, Pianger debbo i tuoi soli e la tua possa? Forse, se omai quest'ossa Con muta e disperata ira calpesti, Speri, che intero io resti Nel guancial freddo de l'oscura fossa?

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