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Read Ebook: Sognando by Serao Matilde

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Ebook has 42 lines and 21928 words, and 1 pages

BIBLIOTECA POPOLARE CONTEMPORANEA

MATILDE SERAO

SOGNANDO

PROPRIET? LETTERARIA

Reale Tipografia dell'Edit. Cav. N. GIANNOTTA

Premiato Stabilimento a vapore con macchine celeri tedesche

CATANIA - Via Sisto 58-60-62-62 bis - - CATANIA

SOGNANDO

No, giammai la vita inspir? in noi tante inquietitudini, tanti sospetti, tanti timori: giammai noi fummo tanto oppressi dal peso dell'esistenza, e giammai lo trovammo cos? affannoso, cos? duro, cos? minacciante. La funzione del vivere, pensando, sentendo, agendo, ci sembra un continuo problema da risolvere, e l'aver compiuto altre ventiquattr'ore del nostro viaggio, ogni sera, ci d? quasi un senso di sollievo, mentre l'aprir gli occhi alla luce, ogni mattina, ci d? un senso di smarrimento, come se ci misurassimo impotenti a trascorrere la nuova giornata. Ogni passo che noi facciamo, ci sembra arrischiato: ogni fermata ci sembra mortale. Ogni nostro movimento ? da noi troppo discusso, troppo vagliato, e noi andiamo egualmente dalla inerzia al pentimento, dall'azione al pentimento. Quanto migliaja di generazioni d'uomini trovarono facile e piano, a traverso il tempo, lo spazio, a traverso tutte le pi? varie condizioni, appare a noi irto di ostacoli, talvolta insormontabili: le pi? semplici azioni che esseri fatti di sangue e di nervi come noi compirono spensieratamente, sempre, per secoli e secoli, sembrano a noi talmente difficili da lasciarci scoraggiati. La scelta di una carriera, l'abbandono del cuore a un amore, un grande viaggio, una novella intrapresa, un matrimonio, un subitaneo cangiamento di cose, d'idee, di consuetudini, c'immergono nelle pi? amare dubbiezze, ci tolgono ogni equilibrio, spesso ci riducono alla ignavia morale, facendoci rinunziare a risolvere i problemi pi? incalzanti dell'esistenza. Chi ? pi? spensierato, oramai? Mentre tutte le invenzioni della scienza, tutte le leggi della politica, tutte le manifestazioni dell'arte sono dirette ad appianare le difficolt? dell'esistenza, ogni giorno di pi? quest'esistenza pare un orribile nodo gordiano che ? impossibile di sciogliere e che niuno ? tanto audace da tagliare. Noi non vediamo innanzi a noi che erte montagne da ascendere, mentre deboli sono i nostri polmoni e fiacche sono le nostre gambe: non vediamo che deserte pianure da valicare, sotto il sole cocente, pianure senz'acqua e senza oasi, mentre gi? le nostre fauci son disseccate: noi non vediamo che un mare in tempesta da traversare, mentre gi? pende in brandelli la vela della nostra nave senza timone. Ma che ci ? accaduto, dunque? Com'? che abbiamo dimenticato la scienza della vita? Come va che l'arte del vivere non ? pi? nota? Chi ci ha tolto questa scienza e quest'arte? Chi diminu? e sperper? le nostre forze? Chi ha spezzato in noi la molla della nostra energia? Quale mano ha strappato a noi il velo che ci nascondeva la verit? e ci ha resi timidi, trepidanti, quasi vili? Chi, chi ha ingrandito, innanzi a noi, la possanza della vita e ha ammiserito la nostra possanza?

? la fredda ragione che tanto fece. ? la voce della ragione quella che vi parla, troppo spesso e forse unicamente, all'orecchio, e che vi dice, gelidamente, quanto voi siate impari all'avversario, nella lunga milizia che ? l'esistenza. La fredda ragione v'invita a guardare in voi stessi, a misurarvi, a pesarvi, a calcolarvi; e voi sentite tutta la penuria del vostro vigore, le inevitabili eredit? di debolezza che sono nella specie, le miserie del sangue e delle fibre, le limitazioni implacabili che mette la natura e che mette Iddio, le cadute fatali della volont? innanzi agli istinti che non si domano, le strettoie dove l'uomo si agita, e che la ragione, la fredda ragione, vi descrive, come la catena del galeotto che si porta sino alla morte. Parla al vostro orecchio la fredda ragione e vi mostra lo spettacolo della vita senza velo, senza aureola, nella sua nuda verit?; e voi vedete che siano le vane promesse della giovent?, i fallaci giuramenti della passione, le lusinghe ingannatrici dei trionfi umani, le brevi ed egoistiche gioje dell'et? virile, i tornanti amari ricordi della maturit? e le tristissime decadenze della vecchiaja. Ah essa parla, parla tanto, parla troppo, la ragione, e vi mostra, s?, la via della virt?, ma ve ne dichiara anche tutte le spine pungenti, tutte le asprezze dolorose, tutte le privazioni inenarrabili, e, questa via lunga, ve la fa vedere senza poesia, senz'attrazione, senza fascino, attossicante alla bocca e al cuore come l'assenzio, senza altre consolazioni, senza estremi compensi. S?, ? vero, la ragione vi assegna, rigorosamente, quello che ? il vostro dovere: ma questo dovere ve lo infligge in tutta la sua austerit?, in tutta la sua crudelt?, in tutta la sua amarezza; ma quello che v'impone di fare, la ragione, cio? il vostro dovere, essa ve lo mostra cos? brutto, cos? disadorno, cos? disgustoso, che l'uomo si copre il volto con le mani, per non vedere: e la mortale fiacchezza lo colpisce e lo atterra. Tutto il congegno sociale, cos? bizzarro, cos? stravagante, cos? imperfetto, ma che non si potrebbe mutare, forse, che in peggio, la ragione ve lo smonta, innanzi, nelle sue ruote, e voi ne osservate tutti i traviamenti fatali, tutte le ingiustizie necessarie, tutte le infamie inevitabili e voi provate l'orrore mortale dell'uomo dinanzi ad una macchina mostruosa che lo deve schiacciare. Questo fa, la ragione. ? il suo c?mpito. Essa deve dirvi la verit?; e non importa che questa verit? sia il vostro dolore e la vostra morte.

In un limpido raggio di luna che penetra nella foresta, sotto i grandi alberi dove si ? addormentato il canto degli uccelli, mentre mille insetti notturni frusciano dolcemente, sovra un prato di erbe e di fiori, dorme Titania la bionda, regina delle fate. Bianca, tenue, quasi vaporosa, nella sua veste che pare di argento, velati i begli occhi azzurri da le sottili palpebre, Titania la bionda giace, sui fiori, tutta molle del chiaror lunare che pare tessa una trama scintillante intorno al candido viso e alla leggiadra persona. La foresta manda sospiri e profumi; poco lontano ? Atene. Oberon, marito di Titania, marito tenero e dispettoso, malcontento che Titania si sia rifiutata a un suo lieve capriccio, decide di infliggerle una singolare punizione. Egli distilla sugli occhi di Titania dormiente un succo possente, un magico filtro: per esso, risvegliandosi, Titania amer? follemente il primo essere che incontreranno i suoi occhi, quale che sia questo essere, bello o brutto, elegante o triviale, intelligente o stupido: per questo filtro mirabile, la prima persona che apparir? a Titania la bionda, le sembrer? dotata di una bellezza sovrumana, e ogni suo atto, il pi? volgare, ogni sua parola, la pi? semplice, saranno per Titania una musica soave, un gesto incantevole. Titania la bionda si risveglia, come trasognata: e innanzi ai suoi occhi appare Bottom, un tessitore, un grosso bestione, che si ? smarrito nella foresta, dove, coi compagni, artieri ateniesi, veniva a concertare una commedia, visto che questa povera gente, oltre a tirar la spola, a menar la pialla e a battere il ferro sull'incudine, si industriava anche a recitare, per guadagnar qualche soldo, sopra un teatrino di tavole. Bottom, fra costoro, ? il pi? goffo: brutto, stupido, con grosse orecchie asinine, egli resta anche pi? imbecillito di fronte a Titania la bionda, la esile e lieve regina delle fate, innamorata di lui. La mal?a di Oberon agisce, e la creatura che danza la notte sui prati, fra il coro delle sue ninfe, la creatura che beve la rugiada nel calice di un fiore, abbraccia il grosso bestione, rivolgendogli le pi? appassionate parole, e gli carezza le orecchie asinine amorosamente. Bottom ? stato trasformato dal filtro miracoloso: tutto quello che gli manca, il filtro glielo d?: la sua goffaggine, il suo cretinismo, la sua bruttezza, colorite dagli occhi di Titania in cui il filtro agisce, prendono la parvenza della grazia, della bellezza, della seduzione; e tutta la foresta con i suoi fiori, i suoi profumi, le sue musiche arcane, s'inchina a colui che divenne il signore della sua regina: e le ninfe e i folletti e Titania istessa, trasvolante nel bosco come un'ombra leggiera, s'inchinano a colui che l'incanto fece bello come un dio!

Quale uomo potrebbe continuare a vivere, se la sua immaginazione non rifacesse intorno a s? la vita? Quale donna consentirebbe a vivere, se la sua immaginazione non le nascondesse le laidezze ond'? cosparsa la esistenza e non le infondesse il coraggio di esistere? Sublime potere della fantasia! Per essa, il povero lavoratore che passer? i suoi anni fra la fatica e gli stenti, lasciando di travagliare solo per morire, si creer? del suo lavoro e delle sue privazioni un dovere colorito di tutte le lusinghe di un nobile sacrificio; per essa, il povero impiegato che trascina la sua vita fra aride e mal compensate umili funzioni, vedr? il suo lungo cammino trasformato dal sogno in pace famigliare, coi figli benedicenti alla bont? segreta e costante del padre; per essa, la povera donna mal maritata, sofferente sotto un giogo che la ragione le mostrerebbe assurdo, ma che la fantasia le trasforma in un poetico dovere di onest? e di fedelt?, potr? compiere il suo triste viaggio senza errare, col cuore solitario, ma racconsolato; per essa l'uomo, che sent? mancare in s? e attorno a s? le forze e le occasioni che lo dovevano condurre a una meta agognata, sentir? meno velenose, meno pesanti le delusioni di chi sbagli? la sua strada; per essa la fanciulla che am? invano, che non fu amata, che vede tolta a s? la miglior parte della vita muliebre, cio? l'amore, cerca altri moti pi? altruistici e pi? caritatevoli, di espandere l'ardore non corrisposto del suo cuore; per essa, pel prodigioso potere della fantasia, tutte le esistenze misere, senza conforti materiali, senza conforti morali, -- sono innumerevoli, ahim?, queste esistenze, -- sopportano quietamente la loro desolazione e quasi ne traggono origine di serenit? e di felicit?. Sui nostri chiusi occhi, nel sonno, Oberon gitta la sua arcana mal?a; e l'anima nostra, trasportata dall'azione bizzarra del filtro, non si cura della congerie di tristezze disseminate lungo il corso degli anni, e trova in s? la energia della lotta e della vittoria. Senza fantasia, chi potrebbe amare la vita dove ? l'immondo contatto degli sciocchi e dei perversi, dove s'agitano le passioni pi? odiose e pi? nauseanti, dove la mancanza di fede, il tradimento, l'abbandono colpiscono le anime pi? degne, dove sono tutte le caducit? e tutti gli errori? Chi, senza fantasia, potrebbe subire l'insulto dei potenti, l'indifferenza della folla, la ingratitudine degli amici? Chi, senza fantasia, potrebbe veder morire in s? ogni speranza e fuori di s? ogni desiderio? Chi, senza fantasia, potrebbe patire, sacrificarsi, vivere di abnegazione e di abnegazione morire?

E felici, invidiabilmente felici, coloro in cui la fantasia assurge alla costante forma del sogno. Temperamenti caldi e, talvolta, delicatissimi: caratteri pieni di passione irrompente e, spesso impacciati e taciturni: anime piene di poesia e, per lo pi?, inabili a esprimere quello che ? la loro ricchezza spirituale: fibre spesso molto gracili, ma che appariscono sostenute da una fiamma interiore: parvenze di uomini, di donne, spesso molto semplici, spesso molto austere, spesso inascoltate in ogni loro grido di gioia e di dolore: cuori dove prende origine, dall'amore, dalla malinconia, dalla tristezza, dalle lagrime che non sgorgano, il sogno, il sogno che trasporta, che trascina, che travolge: costoro, tutti costoro, per gli occhi che leggono oltre le chiuse fronti, portano il suggello di un dono speciale, prezioso, che fu loro concesso dal Signore. Non ? necessario, perch? questa nobilissima facolt? del sogno si esplichi, che la mente sia dotata di grande intelligenza: non ? necessario che il cuore sia saturo di sentimenti eroici: non ? necessario che il carattere possieda qualit? vigorose e combattive: no, perch? si possa vivere sognando e sognando morire, non si deve essere n? un grand'uomo, n? una grande donna, n? un artista trionfale, n? uno scienziato mondiale. No! La madre che, nella casa solitaria, ogni sera culla il suo bambino, e quando egli si addormenta, si curva, lo benedice e resta immota a guardarlo, mentre l'ora passa ed egli non se ne accorge, ? trasportata da un sogno di amore e di orgoglio nel quale suo figlio le appare gi? grande, florido, bello, dolce, sereno, amato, stimato, ammirato: il villano che si ferma, un minuto, guardando il campo che egli ha seminato con la buona semente, ? trasportato dal sogno del futuro pane che la Terra gli dar?, fecondata dal suo lavoro: l'operaio che ribad? i chiodi sulle tavole robuste della nave che andr? via, lontano, sui mari, sente nella ingenua anima il sogno di questa forza che egli crea, umilmente e oscuramente, e nel giorno del suo varo, convulsamente, l'operaio piange, di gioja, di tenerezza, vedendola, come nel suo sogno, partire! E cento e mille altri, nelle case borghesi, nei tuguri, nei palazzi, sui monti e sulle pianure, nelle popolose citt?, nei centri solinghi di provincia, nei piccoli borghi perduti nella campagna, sognano ad occhi parti un sogno piccolo o grande, un sogno di gloria o di benessere, un sogno di odio o di amore, un sogno di bont?, un sogno di rassegnazione, un sogno di piet?. L'uomo che passa accanto a voi nella via, e che trascorre, quasi senza vedervi, porta in s? un sogno che vi ? ignoto: la pallida donna che solleva la portiera pesante di una chiesa e s'inginocchia innanzi alla immagine di Maria, porta in s? un sogno di dolore, forse, e forse di pentimento: il gentiluomo che s'inchina, cortese, squisito, innanzi a una donna, e pare galante e spensierato, sogna, forse, un sogno di gelosia e di furore: la dama che si covre di brillanti e appare fulgida nella festa dove trionfa il piacere, nasconde forse nell'anima un sogno di pace, di solitudine, di silenzio, inaccessibile: il banchiere gajo e vittorioso che vi stringe la mano sorridendo e sparisce, sogna, forse, il distacco da questo vecchio povero mondo europeo dove niuno fa pi? fortuna, dove tutti impoveriscono: la fanciulla che tace e pensa, quando intorno a lei si narrano i fasti dalle grandi nozze, sogna, forse e senza forse, l'altare che la vedr? inginocchiata nella candida veste, mentre ella quasi si curva sulla visione, per scorgere il viso del misterioso sposo che non le ? apparso ancora: la donna che legge, nelle pagine di un romanzo, nelle cronache di un giornale, l'urto terribile o truce della passione amorosa, abbandona il libro, il foglio sulle ginocchia, e sogna quello che non le fu, che non le sar? mai concesso, vivere e perire per un amore.

Oh potenza evocatrice del sogno, in chi sa sognare! Basta aprire un cassetto gi? chiuso da anni e guardare l'indirizzo di una lettera, per rivedere, s?, per rivedere come se fossero vivi, i cari occhi materni che mai seppero guardarvi senza dolcezza: basta contemplare un fascio di fiori campestri, per sognare il grande silenzio delle vaste distese solinghe, sotto il cielo stellato, nelle notti di estate: basta odorare un noto profumo per vedersi apparire innanzi un volto sfiorato dal dolore, che gi?, da molti anni, sparve dal mondo, e le cui treccie nere odoravano di quel profumo: basta udire il fischio di un treno che passa, per creare il sogno di una fuga: fuga interminabile, chi sa dove, chi sa quando, in un paese che non si ? mai visto, che esiste, forse, solo nel sogno: basta il verso nostalgico e disperato di un poeta per creare un sogno di dolore e di disperazione. Potenza creatrice del sogno! Forme, linee, espressioni mai scorte, che non si scorgeranno mai: voci, parole, musiche che le nostre orecchie di carne non udiranno mai: emozioni, volutt?, ebbrezze che le nostre fibre terrene non saprebbero sopportare: alte felicit? e alte sciagure, pi? grandi di ogni avvenimento estremo: improvvise ricchezze, improvvisi trionfi, improvvise glorie che non ci saranno mai date: tutta un'altra vita e mille vite, insieme ardenti, vibranti, tumultuanti, conducenti all'apogeo di ogni sensazione e di ogni sentimento. O fortunati coloro in cui il sogno tanto opera! Il sogno distende fra i sognatori e la vita come un velario, come una nuvola, e il fortunato essere si avanza in questa specie di custodia immateriale, in quest'atmosfera spirituale isolante; e fra i veli del suo sogno, fra la bianca nuvola che lo avvolge, nella solitudine che lo assorbe, il fortunato pu? abbandonarsi alla sua profonda e cara visione, pu? come Issione struggersi di amore, di dolore, di folle ardore, senza che nulla di quanto esiste, nella verit?, lo strappi al suo sentimentale delirio!

Assai, assai pi? invidiabili coloro in cui, quale leva magnetica, il sogno diventa operoso. Pu?, spesso, la societ? positiva non saper risparmiare a questi sognatori il suo disprezzo; ma nella intimit? del suo spirito, la societ? positiva invidia loro questa forza capace di sollevare le montagne; ma la vita e la morte di questi sognatori operosi finisce per istrappare un lungo grido di rimpianto e di ammirazione persino in coloro che li derisero. Che importa poi ai sognatori operosi la derisione, il sogghigno, la beffarda incredulit?? Coloro cui fu data questa suprema risorsa dell'intelligenza e del sentimento, coloro che portano in s? questo divino segreto, sono coverti di uno scudo fatato, scintillante, simile a quello su cui si spezz? la lancia di Telramondo senza giungere al petto di Lohengrin. Ogni anno, centinaja di deboli donne, soggette a tutte le fralezze del sesso, entrano negli ordini religiosi militanti, e partono per le scuole, per gli ospedali, pei campi di battaglia, per le missioni nei paesi pi? inospiti e pi? selvaggi: e prese dal loro sogno di fede e di carit?, esse combattono, decimate dalle malattie, dalle fatiche, dai climi perversi, dagli uomini perversi, e dove dieci sono cadute, venti, cento ne arrivano; e questa catena di nobilissime sognatrici giammai s'infrange, continuamente si prolunga. Ogni anno centinaja di giovani, di uomini maturi, di vecchi, entrano nei gabinetti della scienza e si curvano a interrogare tutti i misteri della natura e della vita, e impallidiscono sopra il microscopio, e perdono i loro occhi, la loro salute, semplicemente per portare un piccolo contributo alla verit?; e spesso intiere esistenze si consumano, cos?, ignorate; e spesso i loro sforzi nulla raggiungono; e spesso la lotta ? cos? inane, cos? acre, cos? tormentosa che essa li uccide, in pieno sogno di passione scientifica. Ma dove tanti perirono, altri, altri portanti nella mente questa visione fulgida, vengono ancora, lottatori accaniti, lottatori indomati, sino a che, un giorno glorioso, il sogno di tutti loro sia compiuto da un solo e la umanit? possa dire di aver vinto, ancora una volta, il morbo e la morte. Ogni anno, ogni anno, in cento anime si svolge il sogno di viaggi in regioni non ancora percorse da piede d'uomo civilizzato: il grande sogno nordico, fra le nevi eterne del polo, fra le immortali bianchezze dove i giorni senza sole succedono alle albe livide e muojono nelle candide notti spettrali; e il sogno dell'Africa, sotto quella Croce del Sud che tanti occhi ansiosi interrogarono nelle notti di marcia, e che parve loro la mistica stella che condusse i Re nella peregrinazione verso Soria, questi due sogni immensi e profondi, affascinanti e travolgenti, tolgono alle ricchezze, agli agi, alla patria, alle famiglie, cuori ed anime di sognatori sublimi. Invano essi languiscono di sonno, di fame, di malattia, fra i ghiacci che fanno scricchiolare la nave prigioniera: invano dieci, dodici muojono col? nel settentrionale estremo vedovo sito di silenzio e di gelo. Altri vi saranno che andranno, vinti dal sogno, a immolarsi, a cadere. Invano, la terra d'Africa si copre dei pi? nobili cadaveri di soldati, di marinai, di scienziati, di scrittori, di principi, di avventurosi: invano, ogni giorno, ? la notizia di una nuova tragedia. Altri ancora, dalla Francia, dalla Germania, dall'Inghilterra, vi vanno, vi andranno ancora, poich? questo sublime sogno pare riceva un alimento prodigioso e misterioso dal sacrifizio, dal sangue, dalla morte. Infuria dappertutto la collera delle classi meno felici, meno fortunate contro coloro che tengono nelle mani tutti i poteri della Terra; ma dovunque sono donne di cuore, dovunque sono anime gentili muliebri, piccole e grandi associazioni di carit? si formano, e ogni miseria morale, ogni infelicit? fisica trova la mano che soccorre e che carezza, il sorriso che consola e che assolve, il ricovero che custodisce il sonno e l'innocenza, la protezione che sorveglia e che redime. Immensi dolori agitano il mondo: ma il sogno di carit? che affratella le donne di ogni paese e di ogni condizione, ha tale soffio ardente e vivificante, che esse sole, esse, le oscure e grandi anime sognanti, portano nei cuore il segreto che risolve il dolore umano!

E il letto di morte dove posa la sua testa stanca l'uomo che visse e and? verso la tomba per un sogno di fede, di bont?, di gloria, di grandezza, ? pieno di pace finale per l'agonizzante. La monaca che muore uccisa dal tifo, il missionario che finisce, ferito dalla zagaglia barbara, lo scienziato che ? avvelenato dai farmachi che maneggia, l'inventore che ? stritolato dalla sua macchina, il viaggiatore che cade di freddo sulla tolda della nave confitta nella banchina di ghiaccio, l'esploratore che ? ucciso dalle febbri o dalla lancia di un selvaggio, la dama che muore di una malattia presa nelle sue opere di carit?, muojono in pieno sogno senza destarsi dalla loro nobile visione, e d?nno la loro vita senza rammarico, rassegnatamente, serenamente, sentendo di aver vissuto per qualche cosa di grande, sentendo di aver vissuto per qualche cosa di nobile!

Se non a tutti ? concesso arrivare a queste altitudini operose di sogno, tutti possiamo, per?, mettere, in noi e attorno a noi, la poesia di un sogno. Nello stretto giro di una piccola casa, nel piccolo limite di un'esistenza tranquilla e sconosciuta, nel breve ambiente di un amore, di una devozione nascosta, di una missione celata dell'anima, l'uomo, la donna possono creare un sogno che li aiuti a vivere, che li aiuti a soffrire, che insegni loro a godere, che li conduca serenamente all'estremo loro giorno. Facciamo un sogno della nostra vita, quale che essa sia, luminosa o tetra, deserta o popolosa: facciamo un sogno vivido e invincibile della nostra esistenza, e le sue vicende aspre ci sembreranno facili e gradite e i suoi dolori sopportabili e purificanti. Sogniamo di esser buoni, sino alla morte: sogniamo di amare, sino alla morte. Sogniamo, sino alla morte, non di esser felici noi, ma di render felici quelli che amiamo!

La donna ispiratrice

Fioriva luminoso e fragrante calen d'aprile in Firenze; quando io ebbi, pur ora, la ventura di passare col? pochi giorni. Nelle limpide e bionde ore mattutine, le vie erano piene di una folla lietamente affaccendata, dolcemente ciarliera e le donne recavan fiori fra le mani, e non so quale fluida gioia di vivere inondava del suo benessere le persone e le cose. Sull'antico Ponte Vecchio, nelle bottegucce degli orafi, le contadine di Fiesole e di Signa si fermavano a comperare gli ori leggeri e scintillanti, ancora simili, nella forma, ai monili del Trecento, gli ori che doveano adornare il bruno collo di felici spose, e i rudi loro uomini, quasi balzati da un quadro di Masaccio, contrattavano il largo anello nuziale: mentre con passo ritmico, via andavano le fanciulle straniere, cariche di bei gigli fiorentini, di ranuncoli bizzarri, di fini mughetti, andavano pallide e delicate figure di creature esotiche, ignote a noi, figure sparenti in un sogno di belt? e in un segreto desiderio di amore!

Anche, in quelle ore prime, nero e bianco si erge nel sole il Duomo, purissimo di sentimento mistico, purissimo di pensiero d'arte: la gente ondeggia intorno, col riso negli occhi, e Arnolfo di Lapo contempla il cielo onde gli venne l'ardore e la forza del suo nobile lavoro. Dentro, le penombre si allungano sotto le antichissime volte: ed ? con un senso di stanchezza dolce che le ginocchia si piegano, nel tempio meraviglioso, ed ? una lenta, lunga, cheta preghiera che sgorga dall'anima silenziosamente inebbriata. Duplice, interiore, muta ebbrezza, che viene dalla fede rinnovellata nelle pi? fresche e pi? limpide sorgenti, che viene dalla belt? dell'arte: estasi taciturna che sospinge lo spirito sovra vette sublimi. Ombre vagolano, assai, pianamente, per la vastit?: accanto ai vecchi pilastri su cui si appoggiarono le spalle dei padri antichi fiorentini, ancora erano anime cristiane: e con cauti passi i visitatori si aggirano, salutando, ogni tanto l'altare, ove i sacerdoti cantano le liturgie della giornata. Qui, sui gradini della Confessione, presso l'immenso messale miniato schiuso sopra un alto legg?o di legno scolpito, due persone s'inchinano, insieme, accanto. Vengono di lontano, costoro: hanno lasciato il freddo e grigio loro paese, cercando il sole per benedire il gentile e soave idillio del loro sponsalizio, cercando di soddisfare la loro sete di vivere, non solo alla passione santificata innanzi a Dio, ma alla venust? delle cose, alla indicibile leggiadria della natura. La donna ? uno stelo sottile, tutta piena di grazia pudica, una bionda gracile e fragile, sotto la veletta bianca che soffonde anche pi? il fine viso: l'uomo ? pi? pensoso e pi? terreno.

E ancora, a traverso il tempo, il fascino si perpetua, in quelle anime non italiche, in quei cuori che sentono cos? diversamente da noi: essi pregano, ? vero: ma, quasi inconsciamente, l'amore si fonde nel pensiero religioso e le due mani degli sposi si uniscono, senza che la gentile stretta tenerissima offenda la santit? del tempio, ove sorride benignamente Santa Maria del Fiore. E a chi guarda, senza beffarda curiosit?, a chi guarda con simpatia, la piccola innocente scena d'amore, la visione antica riappare, la visione degli amori di un tempio, quando il Poeta vide la sua donna nel tempio e la guard? e l'am?, mentre ella pregava. O roride mattinate di Pasqua, con le campane sonanti nell'aria chiara, con quei canti di donne e di fanciulli, o vesperi di maggio tutti coloriti di roseo e di zaffiro, voi vedeste il Poeta innamorato e voi vedeste Beatrice, questa benedetta, questa donna della salute, questa gentilissima! I nostri torbidi occhi moderni, afflitti e inariditi da tanti mediocri spettacoli, i nostri poveri occhi cos? disgustati e cos? stanchi, non possono evocarvi, Beatrice, Beatrice, in questa cara ora, nel Duomo, che fugacemente: voi apparite e sparite e noi non possediamo la magica parola che vi trattenga innanzi a noi!

Cos?, nella notte chiara, ? dolcissima cosa sedersi sotto la loggia dove l'immenso talento di Orcagna profuse i suoi tesori e guardare il cielo come la bronzea Giuditta lo guarda, e fissare gli occhi sulla piazza ove s'erge il palazzo della Signoria. L'aria ? fresca, il silenzio ? profondo: il profilo leggiadro e forte che il grande Donatello lasci? all'ammirazione delle genti, pare pi? puro e pi? vivo. Allora, se da un fascio di fiori giacente, accanto a voi, sale un profumo primaverile, se qualcuno vi ripete un verso del Poeta, o semplicemente questo verso vi canta nell'anima, siete voi, voi sola, Beatrice, voi che riapparite, pi? lenta nell'incesso, pi? molle nell'andare, giovinetta vestita di vermiglio e dalla cinta gemmata, donna che sapevate cos? passare e salutare, portando via il cuore del vostro poeta. Oh queste apparizioni hanno bisogno della notte alta e solitaria, del grande silenzio dove vegliano da secoli i palazzi e le statue, hanno bisogno di anime umili ed esaltate insieme da tutte le poesie, queste apparizioni sono concesse a chi crede ancora nelle cose del cuore. Ah voi l'abitate ancora, Firenze, o Beatrice, eternamente congiunta in paradiso al vostro Poeta: voi, bellezza, voi, amore, voi, candore, voi, musa, voi, ispiratrice, siete sempre l'anima muliebre dove si assorbe e si esplica la verginalit?, la grazia, la mitezza fiorentina: voi lasciate vagare la vostra ombra amorosa e familiare, in queste vie ove egli vi ador?, perch? noi conoscessimo ancora, sempre, la verit? profonda e fulgida, la sola verit?, che non vi ? di poeta senza amore e che nulla vi ? di grande, nel mondo, senza la donna, senza la ispiratrice.

Certo, non tutte potettero rassomigliare alla sublime fanciulla fiorentina, che presto la morte rap? al mondo e colloc? nella gloria del Signore, dove il suo poeta la rivedette, dove la raggiunse. Certo un essere cos? giovanilmente perfetto, cos? datore di ogni bene, cos? fatto per attraversare semplicemente la terra, per ritornare al Cielo, mai pi? riapparve nel mondo. Ma ci? non importa. La donna ispiratrice pu? non essere bella, ma avr? sempre la grazia che conquide e che meglio conquide: pu? non essere giovane, ma trovare nell'amore il filtro che le rid? l'ora bella e piena di giovinezza: pu? il suo cuore essere stato maltrattato dalla vita, ma le donne sanno, dove ? il balsamo che tocca e che sana: pu? avere l'anima abbeverata di amarezza, ma essere pi? forte dei veleni che prepara l'esistenza. Che importa! La donna ? quello che vuole. Nel campo dello spirito e del sentimento, ella pu? invocare da Dio e volere fortemente tutti i miracoli che vivificano, che trasformano, che risuscitano, che mutano l'essenza dell'anima, che rifanno tutto un cuore. Ella pu? quel che vuole, se vuole. Ricordatevi, ricordatevi, voi che avete vissuto, come me, voi cui interessa lo spettacolo dello spirito, ricordatevi quante volte, in nome di un'idea, per un sentimento, perfino per un interesse, voi vedeste mutarsi completamente un cuore muliebre, e dove era la perversit?, ritornare la ingenuit? pi? sapiente, pi? conscia, e dove era la secchezza e il gelo, nascere ogni fiore di dolce colore, di dolce fragranza: ricordatevi, voi cui il problema dello spirito umano tormenta i buoni occhi osservatori, quante volte vi parve di veder nascere un'anima, novellamente, un'altra anima, e ve ne meravigliaste grandemente. Tutti i miracoli sono concessi a una donna, quando l'agiti dentro lo stimolo irresistibile di un ideale: tutto esso pu? sperare, felice taumaturga, in onore di un affetto, sia odio, sia amore. Io credo che si pu? nascere Salom? e diventare Maria Maddalena, nascere Dubarry e diventare Carlotta Corday, nascere Cleopatra e diventare Beatrice!

Ma non tutti gli uomini possono essere poeti: Dio concesse questo dono fatale a pochi eletti, a poche aquile capaci di fissare il sole, ma, talvolta, destinate a morire fulminate. In cento altre forme, in cento altre manifestazioni del pensiero e dell'azione, lo spirito dell'uomo pu? volare nei cieli della grandezza. Da secoli l'umanit? si dibatte contro i problemi che la turbano e l'attraggono irresistibilmente: e il piccolo gruppo di pensosi, a traverso il tempo, ? cresciuto, cresciuto: dove uno ? morto, dieci sono nati: un combattente ? caduto, cento novelli guerrieri si sono avanzati. Legioni di smorti e pure ardenti lavoratori passano le loro giornate, curvi dai travagli che d? l'esercizio della scienza e dell'arte; schiere di ostinati ricercatori, allora manipoli, adesso schiere, domandano allo studio paziente e tenace, uno dei segreti dell'esistenza che una suprema ironia continua a nasconder loro, beffardamente sogghignando; il mondo racchiude, oramai, falangi di apostoli che rinunziando, con gli occhi serrati per non cedere alle tentazioni, a ogni comune bene, gittano la loro vita, perch? il destino dei loro fratelli sia meno grave, meno doloroso: tanto che quest'audace e misera umanit?, ieri ancora inconscia, ma gi? inquieta, ? oggi in un incessante spasimo di pensiero, in un febbrile movimento che mai si possa. Colui che, nel silenzio della notte, tenta fermare nel verso l'impeto di una passione, la luce d'un'idea, colui che dove tutto ? tenebra, innanzi a s?, vede sorgere una immagine e tremante di gioia e di paura, vuol renderla in tutta la sua vivezza, colui che vuol mettere, nel nobile crogiuolo della forma lirica, tutto quello che freme in lui e che palpita intorno, il poeta, infine combatte una battaglia solinga e disperata, simile a quella di Giacobbe con l'Angelo: e la vittoria ha con s? cos? alte lusinghe, che ? poco dare per essa la forza, l'amore e la vita. Ma le lotte di tante altre anime di artisti, di scienziati, di filosofi, di mistici, d'inventori, ma le torture che sono inflitte a costoro dalle cose nemiche e dagli uomini nemici, anche hanno il loro singulto che schianta il petto, anche hanno il loro grido lungo e roco, che fa impallidire chi lo ascolta. E spesso, tutta questa pugna ? inutile e le vigorie degli uomini si sciupano, si disperdono in vani tentativi: spesso, colui che cerca, nulla trova: spesso, quando egli ha trovato, si accorge che quanto chiedeva e ha ottenuto, ? inane, spesso il premio raggiunto, ? destinato a onorare chi non l'ottenne: la vicenda delle cose umane ha sanguinose ingiustizie, delusioni terribili, scherni che fanno impazzire. Ah non solo il poeta pu? essere un eroe e pu? essere un martire; non solo! Il mondo ha altri martiri e altri eroi: pi? umili, pi? buoni, pi? oscuri; una folla di martiri e di eroi. Il poeta ha, nella vita e nella morte, un'ora di apoteosi: questi altri eroi, spesso, non l'hanno mai, e la polvere delle loro ossa tormentate, torna alla terra, oscuramente!

Ebbene, ognuno di questi uomini di pensieri e di volont? ha avuto la sua Musa, la sua ispiratrice; la tradizione sublime, la sublime eredit? di Beatrice ? passata nelle vene di tante altre donne, quasi tutte ignote: accanto a ogni anima che tent? strappare i veli crudeli che ci celano ancora tanta parte dell'ideale, vi ?, sempre, noi lo sappiamo, sebbene nessuno ce lo abbia detto, vi ? sempre un'altra anima, vi ? un sorriso, vi ? un bacio, vi ? la donna, la donna che ispira, anche se la sua mente sia angusta, anche se il suo mondo spirituale sia meschino, anche se ella sia fatta di semplice belt?, anche se ella non sia bella, ma piaccia, anche se ella non piaccia, ma ami! Ride, perfida, dalle tele la donna che Giorgio Barbarelli am? e odi?, insieme, ma che gli dette, pi? largo e pi? umano, il senso dell'arte, onde il nome di Giorgio ne tiene alto il suo posto, nella pleiade veneziana: in una piccola via di Trastevere, una guida, un amico, vi mostra la finestretta donde la Fornarina attendeva, nei vespri di Roma, il suo Raffaello. Ella lo uccise, dicono: ma, veramente, ella rivel? al freddo e purissimo cultore dell'arte classica, all'adoratore della bellezza, greca, una belt? viva e parlante, una suffusione di grazia e di sorriso che solo l'amore potea ispirare: e se egli ? vero che mor? per lei, egli mor? bene e la morte fa sapiente, colpendolo quando gi? il suo genio aveva dato tutti i suoi frutti, quando egli aveva detto la sua pi? grande parola. La vanit? maschile dichiara pomposamente che il grande Leonardo non am? nessuna donna: ma nel Louvre di Parigi sorride misticamente e sensualmente la sua Gioconda, sorride con tanta finezza tanta malizia tanta seduzione e tanta perversit?, che si comprende come questo ritratto di Monna Lisa, durasse, nientemeno, cinque anni e il cav. Giocondo, suo marito, assai s'impazientisse di questa lunghezza.

Il beato Angelico ha vissuto una vita di purit? e di fede, piegato in adorazione davanti ai suoi ideali mistici: la storia, la critica non trovano nell'esistenza di questo piissimo artista la traccia di una sola donna. Eppure vi ?! Ed ? la Madonna, la ispiratrice di frate Angelico, la Madonna, che dolcemente gli appariva, nelle sue notti senza sonno, sulle colline fiorite di Fiesole, la citt? etrusca: ? la Madonna che appariva al suo fedele, circondata dagli angeli oranti e cantanti le glorie del Signore e della Vergine! E se bene si guardasse in tutte le esistenze dei grandi, se si potesse ficcare lo sguardo in tutte le ore della loro vita, si troverebbe una figura feminile che li accompagna nel viaggio, che, forse senza neppure intenderlo, ? la ragione segreta del lavoro e delle loro opere. Figure velate, ? vero. Chi le conosce? Chi ne ricorda i nomi? Nessuno. Sono lunghe teorie di creature avvolte nei veli del mistero: sono processioni di anime di cui nessuno seppe la storia. Amarono, furono amate, ecco tutto: e forse non amarono abbastanza, non abbastanza furono amate, ma vissero nella casa dove un uomo di genio, di pensiero, di azione, visse, ma furono le compagne, le mogli, le amanti di un guerriero, di un conquistatore, di un filosofo, di uno scienziato, di un'artista, ma furono, accanto a lui, il simulacro della feminilit?, il simbolo di Beatrice. E colui che le sogna, colui che sa che esse esistettero, anche se niuno ne ha fatto menzione, colui che induce la loro vita, colui che le indovina, figure immobili e sorridenti, figure fedeli, forse e, forse, infedeli, ma sempre piene di fascino, colui che intuisce la loro grazia e il loro potere, le vede, come sono state, nelle mille espressioni di mille vite diverse, negli amori e nelle passioni, negli affetti e nelle adorazioni, nelle tenerezze e negli entusiasmi, le vede, angeli, donne, femmine, talvolta, fatte per la felicit? e fatte per la tortura ma esse sole sorgenti di tortura e sorgenti di felicit?: le vede, legate a un uomo coi vincoli creati dall'amore, dal capriccio, dalla consuetudine, forse anche dal disprezzo e dall'odio: le vede, le pi? alte, quelle che intesero tutta la loro missione, vivere perch? egli raccolga tutte le dolcezze e tutte le ebbrezze, costoro, le dirette nipoti di Beatrice: le vede, le altre, quelle che non seppero comprendere, ma, almeno, si lasciarono amare, ma, almeno, misero tutta la loro bellezza in omaggio di un'arte o di una scienza. Che importa, se neppure il loro nome ? giunto sino a noi? Che fa, un nome? Che dice una storia? Esse hanno esistito: la pruova della loro vita ? nelle opere degli artisti e dei pensatori, degli scienziati e dei mistici. Esse hanno vissuto, giacch? l'umanit? ha avuto le sue alte cime, giacch? l'uomo ? stato grande. Pallide donne, rosee fanciulle, volti consunti dagli anni e dai dolori, fronti candide che non furono mai solcate da tristezze, cuori macerati nelle lacrime, bocche che seppero solamente baciare, esse furono: popolane amanti e costanti, grandi dame purissime e altiere, borghesi gentili e semplici, donne d'amore appassionate e crudeli, monache smorte sotto il biancore delle cuffie; innamorate, amanti, spose, mogli; tenere, dure, amorose, folli, spietate, adoratrici, adorate, viventi tutta una vita accanto a lui, o passandovi solo un giorno: apparendogli nel nimbo di una poesia quasi sovrumana e sparendo subito, per sempre, o servendolo umilmente, nella schiavit? desiderata e voluta dell'amore.

Talvolta, una linea di una statua, il colore di un quadro, una pagina di prosa, un verso parla di loro: talvolta, nulla. Ma in tutta la loro espressione e in tutta la loro suggestione di belt? o di grandezza, parlano i poemi e i quadri, parlano le statue e i libri, parlano le grandi scoperte e le grandi invenzioni, parlano le guerre vinte e i paesi conquistati, narrando la istoria grande della ispirazione feminile. Gli uomini dicono che una donna ? incapace di fare un capolavoro. Forse: non lo so. So che vi ? una donna, in ogni capolavoro di un uomo.

Ma non tutte le donne possono essere innamorate, amanti, spose, mogli. Avete osservato quanto e troppo si parli dell'amore, in questo nostro tempo, e come questo elemento unico, egoisticamente attragga tutti gli sforzi degli artisti e tutte le ricerche degli psicologi? Avete notato come la passione che pure considera e riassume tutti gli ardori di tutti gli effetti, sia monocorde, nel mondo moderno, sia la sola passione d'amore quella che ci occupi e ci preoccupi, tutti quanti, attori e spettatori, soggetti di cronaca e cronisti? Avete considerato che il mondo moderno non si degna studiare la donna che nei soli rapporti del sesso, nella sola manifestazione amorosa, trascurando tutto il resto? Ama, non ama, non pu? amare, non vuole amare, non deve amare, non sa amare, non pu? vivere senza amare, muore di amore, muore per amore; ecco le sole questioni che opprimono gli studiosi e gli artisti. Ma dunque, non sa e non deve fare altro la donna, e veramente non sa e non fa altro, questa nostra donna? Null'altro? Ma dunque ella non esiste pi?, in tutti gli altri suoi affetti, ella non ? pi? una figlia amorosa, ella non ? pi? una sorella amorosa, ella non ? pi? un'amica amorosa, ella non ? pi? una cristiana pregante, ella non ? pi? una donna che pensa, che sente, che vive, oltre l'amore? Possibile? Possibile? E giacch? nessuno psicologo, ahim?, nessun artista, ha potuto negare la tremenda verit? ed ? che l'amore sia un sentimento breve e fallace, un sentimento pi? degli altri soggetto a tutte le miserie, ed a tutte le caducit? umane giacch? le limitazioni, le imperfezioni, le delusioni dell'amore non le pu? negare nessuno, giacch? esso, sovra tutto, ? breve, breve, breve, vuol dire che la esistenza feminile conta solo, nel mondo sentimentale, per due anni, per un anno, per sei mesi? E le donne che non riescono a essere amate, le donne che non riescono ad amare? Non esistono costoro? ? possibile? E quando non si pu? pi? n? amare, n? essere amate di amore, bisogna, dunque, veramente morire? Solo l'amante ha diritto di vivere, solo l'amante, ? oggetto di analisi nei romanzi e nei trattati di psicologia? E la madre, signori, signore, la madre? La madre che ? madre, sempre, col suo cuore, da venti anni sino alla morte, la madre il cui sentimento non teme il tempo, non teme il tradimento, non teme l'abbandono, la madre che ama, che ? amata, oltre la tomba? La madre, il cui sentimento ? rafforzato dall'istinto, pi? vero, pi? innegabile, la madre che ama con le sue viscere e col suo cuore, la madre il cui amore ha mille forme, mille furori, mille ardori, mille follie? O psicologi, o artisti, o figli, o ingrati!

Prima ispiratrice! Quando appena appena gli occhi del fanciullo si schiudono, intendendolo rudimentalmente, allo spettacolo del mondo, ? la madre che gli addita la semplice belt? delle cose: pi? tardi, egli ne comprender? il senso, pi? tardi, egli ne afferrer? tutti i significati, ma la impressione primiera, quella che uno sguardo sapiente e dolce gli indic?, rimarr? come sorgente eterna di ammirazione. Quando appena appena il cuore del fanciullo comincia a palpitare, amando qualcuno, ? un cuore palpitante che si appoggia sul suo, ? una parola tenera che gli spiega le ragioni e gli scopi dell'amore, ? una guida amorosa che gli insegna perch? si deve amare e come si deve amare. Quando l'aspetto dei cieli immensi e le vivide stelle, e tutto l'organismo mirabile del creato e dell'uomo si rivelano confusamente al bimbo, la madre, prima ispiratrice di fede e di piet?, gli dice come Iddio volle questa grandezza a lui simile, come lui sublime. Spesso, nella infanzia, coloro che furono, pi? tardi, destinati a essere le fiaccole dell'umanit?, non d?nno segno d'ingegno pi? vivace: spesso, il loro mondo interiore, gi? esistente, non sa esprimersi. Ah che la madre vede quello che gli altri non vedono. Ah che essa sa quello che gli altri non sanno; ella ha il presentimento ed ella ha lo spirito profetico; e ci? che, pi? tardi, meraviglier? il mondo, non la stupisce! A questi figliuoli che gi? portano impressa sulla fronte il mistico suggello dell'idea, a questi figli che furono segnati dallo spirito, a questi fanciulli fatali, i cui occhi gi? cercano alla vita quello che essa non pu? dar loro che pi? tardi, per forza, per violenza, le carezze materne vanno pi? pietose, pi? soavi, gi? lenienti i primi segreti sussulti. Ah chi li conosce, questi primi sussulti dei fanciulli che saranno artisti e pensatori, chi li conosce e chi ne freme, di terrore e di orgoglio, se non voi, madre! Queste prime ansie che conturbano l'adolescenza e la rendono infinitamente triste, quando la coscienza dell'ingegno soffoca di emozione il giovanetto, voi le raccogliete, o madre! Siete voi che comprendete e cercate placare le subite e bizzarre ribellioni di uno spirito che si sprigiona dalla mediocrit?, le malinconie lunghe e ingiustificate dei quindici anni, e la selvatichezza scontrosa e le fughe da tutti i contatti volgari: voi che intendete il segreto delle notti gi? trascorse alla lettura e allo studio, il segreto della mano che disegna e che cancella, il moto della mano che cerca sui tasti, qualche cosa che non giungo a precisare! Il primo aprirsi, sgomento e inebbriato dell'animo del vostro fanciullo, quando batte sul cuore l'arte e batte la scienza, quando il pensiero gi? martella nella testa, ? spiato da voi e voi ve ne spaventate e ve ne inebbriate, come vostro figlio, e voi avete negli occhi la sua stessa luce di paura e di felice meraviglia, voi madre sua, madre di questo ingegno che si ? svegliato e che vibra, madre di quest'anima che grandegger?, domani!

Prima ispiratrice! Le opere di giovinezza cos? folte di cose e cos? ingenue, cos? ricche di energie accumulate e cos? simpaticamente inesperte, cos? audaci e cos? innocenti, queste opere di giovinezza, ritengono tutta la ispirazione materna. Vi spira dentro una tenerezza che, ahim?, sparir? successivamente, poich? la vita ? amara ed ? anche amara l'arte: vi ? un candore affascinante che non resister? ai morsi dell'esistenza, ma che forma la delizia delle opere di giovent?: vi ? una bont?, riflesso, eco, della bont? materna. Uno scrittore, un'artista giovanile pu? essere violento, se il suo bel sangue ricco ribolle, non sar? mai crudele; pu? essere aggressivo, non sar? mai spietato; pu? essere appassionato, sar? sempre casto, poich? alle sue spalle, avanti a lui, la mano materna, la voce materna, la parola materna ancora guidano il suo intelletto. Purtroppo, purtroppo, tutto ci? ? destinato a dileguarsi, a perire: i roventi ed essicanti aliti del mondo distruggono questa rugiada, distruggono questo balsamo. Ma esso fu: ma nel cuore del pi? perverso artista, ma nell'anima del pi? gelido pensatore, ancora, talvolta, tutto si penetra di dolcezza, tutto si colorisce di bont? e il nome materno, mai sar? da essi nominato senza il miracolo gentile.

CARLO GOZZI E LA FIABA

Il nobile e appassionato eroe, la dolce e amorosa eroina teneramente conversano d'amore, Truffaldino e Brighella scambiano i soliti lazzi sul loro famoso appetito e sulla loro famosa poltronaggine, quando un tremuoto scuote la scena, tuona, lampeggia e innanzi agli occhi stupefatti della coppia sentimentale, innanzi alle due maschere popolari appare un negromante, o una fata, o un genio, o una statua che con tono fatidico pronuncia una sentenza crudele contro la felicit? degli innamorati, sacrandoli a un imminente avvenire di lacrime e di disperazione. La radice di questa sentenza ? in qualche antico delitto commesso dal padre o dal fratello dell'eroe e che costui deve amaramente scontare; ? in qualche misteriosa secolare pena che uno spirito superiore va espiando e per la cui fine ? necessario il sacrificio e, talvolta, la morte dell'eroina; ? in una contingenza bizzarra di fati avversi per cui, quasi senza ragione, i due fedeli debbono vedere ferocemente contrastato e forse ucciso il loro amore. Le anime dell'eroe e della eroina cercano ribellarsi subito al dolore, alla divisione, alla miseria: ma ? una ribellione debole e breve: l'uomo, la donna, chinano il capo e si apprestano alla gran pruova, anzi alle grandi pruove, giacch? il destino, per bocca di una di queste statue, di queste maghe, di questi genii, chiede loro cose complicate, lunghe, terribili, che confinano con l'impossibile, che, spesso, sono impossibili. Chinano il capo: e le maschere, loro servi, loro confidenti, loro ministri, si abbandonano alle pi? meste facezie, alle burlette pi? funebri, seguendo anche essi la sorte atroce dell'eroe e dell'eroina.

E qui il meraviglioso, cominciato con l'apparizione sorprendente di quel cancelliere degli spiriti, lettore di stranissime sentenze, che ? uno stregone o una fata, questo meraviglioso si esplica, ampiamente, turbando la mente e la esistenza dei personaggi gozziani. Oramai tutte le leggi comuni della natura sono sciolte: il tempo, lo spazio non esistono pi?: i tre mondi si confondono: le belve parlano, l'acqua canta e suona, i morti leggono dei libri, le donne diventano uomini e gli uomini si mutano in istatue. Cos?, anche nel mondo morale degli affetti, tutto si sconvolge, gli amanti pi? folli vilipendono le amate, le mogli scacciano i mariti che adorano, le madri gittano nelle fornaci i figli. Tutto accade: tutto, cio? quello che ? strano, ma anche quello che ? impossibile, viaggi di migliaia di miglie in poche ore, risurrezione di morti, ringiovanimento di vegliardi, palazzi sorti in una notte e crollati in un minuto, battaglie combattute in un attimo e in meno di un attimo perdute o vinte. A traverso questi paesaggi stupefacenti, questi mondi disorganizzati e folli, questi prodigi impensati e inauditi, questi sentimenti escogitati e contradittorii, gli eroi e le eroine di Carlo Gozzi seguitano la loro terribile vita di tormenti, affrontando tutti gli ostacoli e sopportando tutte le pene, agonizzando di dolore o di stanchezza, invocando il cielo, imprecando al cielo, passando per tutti gli stadii pi? alti della disperazione: la loro esistenza non somiglia pi? a quella di nessuna creatura umana, ed essi vanno, vanno, dominati dal Fato, in lotta con esso, impari lotta con un potere cos? forte e cos? segreto.

E come poteva permettere ci? il conte Carlo Gozzi, il patrizio di antica stirpe dalmata, il patrizio che s'inchinava reverente a Venezia e alla serenissima? Carlo Gozzi non solo era un signore, di nascita, ma teneva moltissimo al suo nome e alla sua razza: non solo era un conservatore in arte, ma era tale anche in politica: non solo era un patriotta, ma era un patriotta accanito e focoso. Il tremuoto che squassava tutte le vecchie cose lo stupiva e lo sgomentava: ma lo sgomento massimo era per il suo paese, per questa adorata Venezia che portava nel sangue e nelle ossa, come la pi? grande delle passioni. Codino, s?, venti volte codino, ma non codino di chiacchiere vacue, non codino di poco temibili proteste, non codino silenzioso e pauroso, ma codino arrabbiato e focoso, codino pugnace e implacabile. Carlo Goldoni non parve solamente a Carlo Gozzi un novatore del teatro: ma gli parve un novatore ribelle, un commediografo che volesse continuare sul teatro la esecranda opera della Enciclopedia e della rivoluzione francese. Autore drammatico egli stesso, comprendeva bene quale costante e invincibile propaganda potessero fare certe teorie propalate dal palcoscenico: e il non essere il Goldoni un teorico della verit?, ma un dipintore esatto e geniale, il dare con forme semplici tutto un nuovo contingente di protagonisti presi dal popolo, il rendere con l'azione i vizii e la debolezza estrema della nobilt? veneziana lo rendeva anche pi? pericoloso. Carlo Gozzi odi? Goldoni come un nemico della patria, e l'opporsi a lui gli parve un atto di buon cittadino, di fedele suddito della Repubblica morente. Una rabbia profonda sorse dalle viscere dell'uomo contro l'uomo e il letterato tent? una difesa disperata!

INDICE

Sognando Pag. 1

La donna ispiratrice 47

Carlo Gozzi e la fiaba 107

OPERE di M. SERAO

Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, correggendo senza annotazione minimi errori tipografici.

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