Read Ebook: Storia degli Italiani vol. 02 (di 15) by Cant Cesare
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Ebook has 705 lines and 121048 words, and 15 pages
STORIA DEGLI ITALIANI
PER CESARE CANT?
EDIZIONE POPOLARE RIVEDUTA DALL'AUTORE E PORTATA FINO AGLI ULTIMI EVENTI
TORINO UNIONE TIPOGRAFICO-EDITRICE 1874
Gli schiavi. -- Guerre civili.
Se la giustizia non ? una legge eterna, ma deriva da patti sociali e da decreti, non pu? concernere se non coloro che stipularono; lo straniero sar? un nemico, e ciascuno potr? ucciderlo a voglia; i vinti si manderanno per le spade, se pure non si trovi pi? utile il servarli pei proprj bisogni, e perch? facciano tutto ci? che al vincitore talenti. Cos? logicamente veniva stabilita la maggiore delle iniquit?, e l'ulcera delle societ? antiche.
Lo schiavo non ? persona, ma cosa: perci? non ha rappresentanza nel consorzio civile, non pu? deporre in testimonio, non citare in tribunale, non aver nozze legittime n? figli proprj, non testare; natural suo erede ? il padrone, che subentra ad esso negli altrui testamenti. Il proprietario solo potea chieder ragione d'un insulto fatto a' suoi schiavi, e contro lui dirigevasi l'azione per colpe di questi. Poteva il dominio d'uno schiavo appartenere ad uno, ad un altro l'usufrutto; e il padrone a sua voglia batterlo, crocifiggerlo, affamarlo, far ogni infamia del corpo di esso. La legge calcola con ispietata precisione i compensi per la sua perdita o pel deterioramento: -- Chi senza diritto uccida uomo o quadrupede domestico appartenenti ad altri, paghi al padrone il valore massimo che questo oggetto ha da un anno. Non si deve solamente tener conto del valer corporale, ma anche se la perdita dello schiavo cagioni al padrone un danno maggiore del valor proprio dello schiavo. Se il mio schiavo fu istituito erede, e fu ucciso prima che per ordine mio accettasse l'eredit?, bisogna, oltre il prezzo, pagarmi l'ammontare dell'eredit? perduta. Se di due gemelli, o di due commedianti, o di due musici fu ucciso l'uno, deesi valutare e il prezzo del morto e lo scapito che la uccisione di lui port? nel valore del sopravivente, come se s'uccida una mula d'una coppia, o un cavallo di una quadriga. Quello cui fu ucciso lo schiavo, pu? scegliere fra il procedere in via criminale, o il ripetere un'indennit? in forza della legge Aquilia>>. Eccovi un'altra contraddizione di quella sapienza legale: comprendere nel diritto di natura le bestie, mentre negava la personalit? agli schiavi.
Erano questi addotti sul mercato da pirati o da speculatori, che li disponeano in una trabacca a varj scompartimenti simili a gabbie, ignudi, colle mani avvinte e in fronte un cartello, portante le loro buone e ree qualit?. Entro gallerie interne si esibivano i prescelti. I forestieri, di cui non si poteva garantire la docilit?, presentavansi con piedi e mani legate e col pileo in capo. Il compratore espone al negoziante: -- Mi fa bisogno d'un mugnajo, di un torcoliero, d'un segretario per lo scrittojo, d'una donna pel letto, di un cane per la porta, d'un pedagogo per mio figlio>>: guarda, palpa, esamina la forza e l'intelligenza: il venditore ? obbligato dichiarare le malattie e i difetti, se riottoso, se solito a fuggire o andar girellone. Pi? tardi fu stabilita una tariffa secondo l'et? e la professione; sessanta soldi d'oro per un medico, cinquanta per uno scrivano, trenta per un eunuco minore dei dieci anni, cinquanta se maggiore. Cittadini di gran virt? speculavano sull'educarli; Catone li comprava meschini ed ignoranti, poi fatti robusti e destri li rivendeva: Pomponio Attico ne formava letterati.
Alcuni erano schiavi pubblici, per lo pi? fatti in guerra e che appartenevano allo Stato o alla citt?, con annuo assegno perch? attendessero ai pubblici lavori, ai bagni, agli acquedotti, alle miniere; oppure servissero i generali e i magistrati anche per corrieri, carcerieri, manigoldi. A peggior condizione trovavansi gli schiavi privati, i quali nelle case esercitavano ogni ministero; essi agricoli, essi mandriani, essi pastori, essi canovaj, cuochi, spenditori, barbieri, bagnajuoli, sarti, calzolaj, cacciatori, giardinieri, funamboli, commedianti, architetti, pittori, ragionieri, medici, veterinarj, tutto. Uno si teneva legato alla porta acciocch?, fui per dire, abbajasse al venire di qualche forestiero; altri dovevano gridare le ore, umani oriuoli; altri macinavano, e un gran disco attorno al collo gl'impediva di recarsi alla bocca qualche pugno di grano; quali correano avanti il padrone per istrada a fargli dare il passo; quali annunziavano le visite; questi, ai piedi del padrone, tergevano dai tappeti orientali le sordide traccie dell'intemperanza di esso; quelli servivano da sonatori, da impudichi, da buffoni, al qual uopo alcuni sin da fanciulli erano stretti con cinghie e serrati in astucci per modo che non potessero svilupparsi. Giulia d'Augusto aveva un nanerottolo ed una schiava non pi? alti di due piedi. Pregiatissimi erano pure gli ermafroditi, talora artifiziali. Seneca ci addita torme di ragazzi che, all'uscire dai banchetti, nelle camere aspettavano oltraggi alla natura. Legioni intere di corrotti, provenienti principalmente dall'Asia e da Alessandria, che somministrava i pi? famosi per isfrontatezza di costumi e vivacit? di spirito, erano disposti secondo il paese ed il colore con tant'arte, che in tutti vedevasi corporatura snella, volto fiorito della prima lanugine, n? mai uno di capellatura liscia confondevasi con quelli di crespa. Alcuni non viaggiavano che col viso bisunto, perch? il sole e il freddo non intaccassero la dilicata pellicina. Plinio e Quintiliano raccontano con quali arti infami si celavano i difetti di quelli destinati ad infimi piaceri, e con quali erbe si ritardavano gl'indizj della pubert?.
Uno schiavo robusto fruttava al suo padrone da venticinque centesimi il giorno; e riceveva al mese venti litri di grano e venticinque di vinello, fatto con aceto, acqua dolce e acqua di mare fracida, secondo la ricetta di Catone. Il lavoro degli schiavi era preferito, perch? non come i liberi restavano ogni tratto interrotti dal servizio militare.
In qual modo trattati fa orrore il pur pensarlo. Quei che lavoravano i campi, aveano i capelli e le ciglia rase: quei che portavano i padroni nelle eleganti lettighe, trascinavansi dietro le catene. Palla, accusato di complicit? con alcuni liberti, dimostr? che non comunicava con essi se non per segni o per iscritto. Antonio e Cleopatra sperimentavano sopra gli schiavi i veleni. Pollione ne fe gittar alle murene uno che gli ruppe un vaso: del che lo rimbrott? Augusto, il quale non pertanto fece appiccare all'antenna uno che gli aveva mangiato una quaglia. Ai lunghi pasti si facevano assistere, digiuni, in piedi, e guai se avessero tossito, starnutato, sospirato, anzi pur mosso le labbra. Alcuni ricreavano le cene con atroci combattimenti, e i padroni applaudivano, fischiavano, e dicevano: -- Fatti lontano, canaglia, che il tuo sangue non mi chiazzi la tunica>>.
Cos? degradati da inumana severit? o da turpi favori, vittime della sensualit? prima ancora che si svegliasse l'istinto, senza coscienza d'altro dovere che del soddisfare il padrone, anzi prevenirne i desiderj onesti o infami, cresceano nell'abitudine dell'intrigo, della menzogna, del furto. La notte poi erano chiusi in ergastoli o grotte, su giacigli o per terra ammonticchiati uomini e donne. Fatti vecchi o incurabili, si portavano all'isola d'Esculapio sul Tevere, col? abbandonavansi a morire. Claudio imperatore pens? riparare a quest'ultima crudelt? col decretare che il servo cos? esposto rimanesse libero: e allora i padroni gli uccisero.
Il senatoconsulto Silaniano dei tempi d'Augusto portava che, quando un cittadino si trovasse ucciso da uno schiavo, tutti gli altri schiavi di lui si mettessero a morte. Essendo Pedonio Secondo, prefetto di Roma, ucciso da uno schiavo per gelosia di un basso amore, quel mandare a morte quattrocento schiavi innocenti eccit? qualche susurro: ma il giureconsulto Cassio, gran conoscitore del giusto e dell'ingiusto, si alza in senato, e rimbrotta cotesti novatori: -- E che! cercheremo noi ragioni quando gi? pronunziarono gli avi, pi? saggi di noi? Possibil mai che fra quattrocento schiavi nessuno avesse notizia dell'uccisore? eppure nessuno lo rivel?, n? arrestollo. Voi dite che periranno degli innocenti: ma quando un esercito che manc? di coraggio vien decimato, i prodi come i vili non corrono la ventura? In ogni grand'esempio v'? qualcosa d'ingiusto; ma l'iniquit? commessa verso alcuni uomini ? compensata dall'utilit? che tutti ne traggono>>. E per tale ragionamento salvata la dignit? della legge, quei miserabili furono menati al supplizio fra una doppia ala di soldati e fra le urla del popolo che malediceva la legalit?.
Altri orrori ci rivela Costantino Magno l? dove, guidato dai nuovi lumi della religione dell'avvenire, proibisce di appiccare gli schiavi, di precipitarli dall'alto, d'insinuare il veleno nelle loro vene, n? di bruciarli a lento fuoco, o lasciarli basir dalla fame, o putrefare dopo sbranatine i corpi.
Per le donne vi andava connesso il prostituirsi o ai brutali signori, o agli indistinti consorti, o ai dissoluti nei lupanari, aperti come un altro guadagno avventizio dei padroni. Il severo Catone avea prefisso una tassa per gli amplessi delle sue schiave. E dopo che giovani erano state esibite alle ubriache volutt? dei convitati; vecchie, s'insultava al loro obbrobrio, imprimendo osceni motti sul seno avvizzito. Inoltre esse doveano sopportare i capricci delle dame: e mentre queste s'adornavano, molte tenevansi loro attorno, nude sin a mezzo il corpo, intenta ciascuna ad un particolare ornamento; la signora aveva in pronto un aguto, col quale pungerle nelle braccia o nel seno ad ogni lieve mancamento, o quando l'arte loro non fosse da tanto d'emendarle i difetti della natura o di rinverdirne la bellezza.
Quella monotonia di patimenti era interrotta una volta all'anno, quando, nell'orgia de' Saturnali, gli schiavi ricuperavano una momentanea libert?, quasi per sentire pi? grave la severa disciplina abituale.
Eppure questi infelici, dalle istituzioni, dai pregiudizj e dalla consuetudine posti fuor della legge civile e dell'umana, erano la parte attiva delle nazioni antiche, indispensabili alla sussistenza di tutti. Scrittori e statisti s'accordano a riguardare come qualcosa d'ignobile e disonorante il lavoro e l'industria: Cicerone trova indegna d'uom libero qualunque professione laboriosa, a mala pena eccettuando la medicina e l'architettura; il commercio tollera sol quando rechi ingenti guadagni: fin l'agricoltura non ischermiva dal disonore gli operaj dipendenti. La classe attiva era dunque tutta di schiavi: Varrone classifica gli stromenti dell'agricoltura in vocali, cio? gli schiavi, semivocali, cio? le bestie, e muti, cio? le cose inanimate; Aristotele vi dice che <
Che pi?? il servo e il liberto erano gli amici, i confidenti, il tutto. Gli amici non s'incontravano che al f?ro o nella gozzoviglia; venerate non amate erano le mogli: lo schiavo, al contrario, era un animale istrutto, fedele, intelligente meglio ancora del cane; seguiva il padrone in ogni dove, gli prestava mille servizj da cui un libero rifugge, il ricreava colle buffonerie, gli componeva le orazioni con cui farsi applaudire in piazza o al senato, gli radunava i testi con cui vincere le cause, i passi di cui compaginare un libro; e cos? aspirava all'affrancazione. Fatto liberto, ottenuto il berretto, poi la toga, poi l'anello, riusciva ancora pi? utile al suo padrone, che gli aveva comunicato il proprio nome, che lo considerava come interamente devoto al suo vantaggio o ai capricci suoi negli uffizj domestici, ne' pericoli, nei piaceri, nelle faccende proprie e dei clienti.
La legge dovette porre limiti all'affrancazione: richiedeva che lo schiavo avesse almeno trent'anni, e venti il padrone: chi possedesse dieci schiavi poteva emanciparne solo la met?; un terzo chi n'avea da dieci a ventisette; da ventisette a cento, un quarto; al di l? di quel numero soltanto un quinto, e in niun caso pi? di cento. N? l'emancipazione veniva da sentimento di eguaglianza morale o di umana fraternit?, ma da capriccio, da orgoglio, da corruzione: le schiave compravanla coll'arti che oggi rendono infami le libere; i liberti diventavano ministri di sedizione, di brogli, di misfatti ai ricchi, codazzo ai loro passeggi, ornamento ai loro funerali.
Tanti erano questi infelici, che nelle case pi? grandi stipendiavasi un nomenclatore per tenerne a mente i nomi. Crasso possedeva cinquecento muratori che noleggiava a opera; un avvocato andando ad arringare, traevasene dietro un nembo; nel campo di Cepione, su ottantamila soldati contavansi quarantamila schiavi; in coda alle legioni di Cesare nelle Gallie ne venivano tanti, da metterle un giorno a pericolo; Cajo ne possedeva cinquemila; e se anche esitiamo a credere che moltissimi Romani ne possedessero le dieci e fin le venti migliaja, sappiamo che quattrocento schiavi cedette con una villa al figliuol suo una vedova africana privata, la quale riserbavasi per s? la maggior parte del patrimonio; e ci rimane il testamento ove Claudio Isidoro querelasi che, pel molto perduto nelle guerre civili, non lasciava che quattromila cencinquantasei schiavi, cinquemila seicento paja di bovi, venticinquemila teste di bestiame minuto, e seicento milioni di sesterzj. Erasi una volta proposto di dare agli schiavi un abito particolare; ma i prudenti avvertirono che troppo pericolo sovrastava se essi avessero con ci? potuto vedere quanto pochi erano i liberi.
? egli vero che senza industria non pu? sussistere una societ?? ? egli vero che l'industria deve esercitarsi solo da schiavi? La servit? ? dunque un diritto naturale, un assioma politico; non sapevasi figurare un consorzio civile senza questa infelicit?; gli schiavi stessi, qualora insorsero, non negavano la giustizia della loro condizione, ma solo protestavano contro gli eccessi dei padroni. Per? di tempo in tempo era dovuta una soddisfazione all'umanit?, una protesta contro la nequizia, un principio di giustificazione alla Provvidenza.
La Sicilia massimamente reputava sua prosperit? l'avere molti servi, i quali erano marchiati con un ferro da cavallo rovente, e oppressi d'ogni peggior trattamento, fuorch? nelle annuali feste Argirie istituite da Ercole. I possessori ricchissimi e superbi, che ne compravano ergastoli interi, per risparmio di spesa gli avvezzavano a rubare, assaltare alla strada, invadere villaggi. Armati con mazze, lance e noderosi randelli, avvolti in pelli di lupo, e accompagnati da grossi mastini, viveano a cielo aperto di ladronaja e di minaccie. I pretori non osavano mettervi freno vigoroso, per rispetto ai loro padroni, che essendo cavalieri romani, e perci? arbitri de' giudizj, avrebbero potuto, chiamandoli a sindacato, fare scontar caro l'adempimento del loro dovere.
Tra quei padroni si segnalava per ricchezza ed arroganza Damofilo di Enna, che possedeva ampie campagne, molto bestiame, moltissimi servi, e <
Per quanto curvi ed avviliti dai patimenti, si risentirono quei miseri dell'eccesso di essi, e fatta un'intelligenza, si levarono coll'impeto di chi spezza una durissima catena.
Roma, gi? quando medit? il primo sbarco in Africa , avea fatto leva di quattromila Sanniti, obbligandoli al remo; i quali repugnando, s'accordarono con tremila schiavi per far movimento, e minacciarono la quiete de' loro tiranni: ma Errio Potitio, ch'e' s'erano preso per guida, li trad?. Alla fama della nuova sollevazione in Sicilia, risposero tutti gli schiavi, cui la servit? lasciava parte dell'anima: in Asia un Aristonico, spacciandosi figlio d'Eumene II re di Pergamo, chiama gli schiavi a libert?, e accozza un grosso esercito; nell'Attica insorgono ventimila cavatori di miniere; altri a Delo, altri nella Campania; in Roma cencinquantamila servi congiurano. N? proclamavano gi? la liberazione e l'eguaglianza degli uomini, voce che dovea tardare un secolo e mezzo a sonare da una capanna e da un patibolo; solo volevano scuotersi di dosso l'intollerabile giogo.
Tra gli schiavi di Sicilia viveva un Euno, nativo di Apamea in Siria; pratico d'incanti e divinazioni, dava ad intendere gli si rivelasse l'avvenire prima in sogno, poi anche desto; or maneggiava ferri roventi, or esalava fiamme per la bocca, ammirato dall'ignoranza. Vantava gli fosse comparsa la Gran Dea Sira, predicendo ch'egli diverrebbe re; e lo ripeteva ai compagni ed al padrone Antigene, il quale spassandosi di tal fantasia, soprannominollo il re, e per tale mostravalo a' suoi amici, domandandogli come avrebbe trattato questo e quello, giunto ch'ei fosse al trono; Euno rispondeva cose or bizzarre or sensate, e la brigata rideva, e gli gettava alcun che de' rilievi del pingue banchetto.
Maturata la sommossa, gli ammutinati si ricordano dell'indovino e del re; corrono ad Euno per consultarlo, ed egli prestigiando risponde che gli Dei consentono, anzi incorano alla ribellione. Facilmente si crede quel che piace: quattrocento schiavi restringonsi, ed esserne capo chi poteva meglio di Euno? Dal quale guidati, irrompono in Enna, mandando a macello e stupro, non perdonando a fanciulle o a matrone: altri schiavi fanno turba, scannano i proprj padroni, ajutano a trucidare gli altrui: Damofilo e sua moglie, da una villa vicina strascinati in citt?, sono esposti sul teatro, quivi regolarmente giudicati, poi ad obbrobrio ucciso l'uomo, Megalide abbandonata alle squisite vendette delle ancelle. Solo fu risparmiata una loro fanciulletta che, quando vedeva maltrattati i servi, li compativa, li soccorreva in prigione, li curava infermi, li pasceva affamati.
Euno, gridato re da senno come prima era per chiasso, assume diadema e porpora, dichiara regina sua moglie, chiama s? Antioco e Sirj i sollevati; sceglie a consiglieri i pi? destri e accorti; e propone di uccidere tutti gli Ennesi, eccetto quelli che sappiano o vogliano fabbricare armi. Fra tre giorni ebbe a' suoi comandi mille settecento uomini, armati alla meglio, e si diede ad infestare il paese colla brutalit? d'un branco, in cui d'uomo non erasi alimentato che l'istinto della vendetta. Cresciuto sin ad avere diecimila combattenti, os? affrontare in campo Lucio Ipseo, indi altri generali romani, e pi? d'una volta ne part? vincitore; poi con accortezza trasse a s? Cleone cilice che in altra parte ammutinava gli schiavi, e un mese dopo l'insurrezione trovossi fin ducentomila guerrieri, ed assal? Messina, da cui per? lo respinse il console Calpurnio Pisone.
Siffatte turbe ragunaticcie, se hanno impeto per avventarsi alla vittoria, agevolmente sono raggirate dalla politica scaltrezza, o superate dalla calcolata disciplina. Le sommosse che accennammo in altri luoghi, restarono soffocate col pronto accorrere e cogli atroci supplizj. In Sicilia Rupilio Nepote assedi? Taormina , riducendola a tali strettezze, che l'uno mangiava l'altro; e quando il siro Serapione ebbe tradita la r?cca, i rifuggiti in essa furono, dopo orribili tormenti, dall'alto di quella precipitati. Enna pure per tradimento fu presa, dopo ucciso Cleone in una tremenda sortita, e ventimila Sirj trucidati. Euno, cui mancava il valore indispensabile a un capo d'insorgenti, fugg? con seicento uomini, i quali vedendosi irreparabilmente inseguiti, si uccisero l'un l'altro; ed egli, preso in una grotta ove erasi ricoverato col cuoco, il panattiere, il bagnajuolo ed il buffone, fu gettato nelle prigioni di Morgantina, ove mor? consunto dai pidocchi. Rupilio ridusse in quiete la Sicilia, nel modo che ognuno pu? pensare.
Tumulti minori rinnovavansi tratto tratto per Italia, pi? pericolosi perch? i Cimri aveano passato le Alpi, e risvegliavano la spaventosa memoria di Brenno. A Nocera trenta servi insorsero, e furono puniti; ducento a Capua, e perirono. Tito Minucio Vezio, cavaliere romano di ricchissimo padre, s'innamor? d'una schiava altrui, e non potendo vivere senza di lei, l'ebbe a sue voglie pel convenuto prezzo di sette talenti attici. Venuto il giorno del pagamento, non trovandosi denari, chiese trenta giorni di proroga; scaduti i quali, n? essendo ancora in grado di soddisfare, e andando ognor pi? pazzo della schiava, pens? ricorrere alla violenza. Comprate a respiro cinquecento armadure, e portatele in campagna, eccit? quattrocento schiavi ad ammutinarsi, ed a capo loro prese la corona, maltratt? i suoi creditori, invase le ville, arrotando chiunque volesse, uccidendo chi rifiutasse, dando asilo ai servi fuggiaschi. Il senato fu pronto ai provvedimeti, e Lucio Lucullo dopo molta resistenza vinse Minucio, il quale si uccise: i suoi seguaci furono morti, eccetto Apollonio che gli avea traditi.
Allorquando Cajo Mario s'apparecchiava a campeggiare i Cimri, avuta dal senato autorit? di chiamare ajuti d'oltremare, ne chiese a Nicomede II re di Bitinia: ma questo rispose non esserne in grado, perch? la pi? parte de' suoi sudditi erano stati rapiti dagli esattori e venduti schiavi. Allora il senato proib? che verun libero, di nazione alleata al popolo romano, venisse ridotto schiavo in provincia; quelli gi? ridotti, fossero dai proconsoli e dai pretori vindicati in libert?.
Poco stante si ode che ottanta altri levarono tumulto, e ucciso Publio Clonio cavaliere, ingrossano ogni giorno attorno al monte Capriano; e imbaldanziti che il pretore non osasse attaccarli, scorrono di vicinanza in vicinanza, e cresciuti ad ottocento ben in arnese, sconfiggono il perfido Titinio. Sono ormai seimila, e creano re un Salvio , valente aruspice, sonatore di tibia e guidatore di pompe. Lasciando le citt? come luoghi di mollezza e memori del servaggio, egli divide i redenti in tre squadre, con capitani che battano la campagna, e il saccheggio portino a un luogo stabilito: e trovatosi duemila cavalli e ventimila pedoni feroci nel fresco acquisto della libert?, assalta Morgantina, volge in rotta i Romani dopo avutone seicento uccisi e quattromila prigionieri, giacch? avea promesso la vita a chiunque cedesse le armi.
Dalla vittoria duplicatogli l'esercito, batte francamente la campagna, e annunzia la libert? a quanti vivono schiavi in Morgantina. Quivi l'eguale promessa avevano fatta i padroni; onde gli schiavi in citt? combattendo ostinati, respinsero Salvio: ma perch?, cessato appena il pericolo, fu dal pretore abolita la promessa dei padroni, gli schiavi delusi uscirono in frotta per unirsi ai sollevati.
Altri ancora levarono il capo a Segesta, al Lilibeo, altrove. Atenione cilice, forte della persona e astrologo, in cinque giorni ne adun? mille: ma prudentemente non accoglieva tutti i fuggiaschi, sibbene i soli valorosi; gli altri persuadeva a rimanere agli uffizj, e procurargli vettovaglie e informazioni. Voleva ancora fosser rispettati il territorio e gli animali d'un regno che a lui era promesso dagli astri. Con meglio di diecimila uomini assedi? il Lilibeo, ma vedendolo inespugnabile, disse che le stelle il consigliavano a levarsi tosto d'attorno a quella fortezza; ed ecco in quel punto entrar nel porto vascelli, portando coorti maure in ajuto degli assediati, che, sortiti di notte, assalgono i rivoltosi e ne fanno macello; fatto che crebbe ad Atenione la fama di profeta.
Non occorre descrivere la condizione del paese. Chiusi i tribunali, ognuno faceva il suo talento: anche i liberi ridotti a povert? rompevano ad ogni eccesso: nessuno s'affidava ad uscir dalle mura. Salvio a Leontini radun? trentamila uomini, celebr? la festa degli eroi Pal?ci, principalmente venerati in Sicilia; pose residenza nel forte di Triocala, attorno a cui fabbric? una citt? con fossa e f?ro e palazzo, vi elesse un consiglio, e assunse i littori e le insegne della maest?. Di l? questo re degli schiavi, emulo degli eroi, mand? ad Atenione volesse unirsi con esso: e quegli posponendo la dignit? all'utile comune, venne con tremila de' suoi, mentre gli altri scorrazzavano i campi dilatando la sollevazione.
Roma sent? necessario di finirla con un colpo decisivo, e sped? Lucio Licinio Lentulo con quattordicimila Romani, ottocento Bitinj, Tessali, Acarnani, seicento Lucani, altrettante reclute. Atenione, invece di attenersi alla guerra per bande, in cui deve consistere la tattica de' sollevati, in campo aperto con quarantamila schiavi scese a battaglia presso Scirtea. La disciplina prevalse: ventimila restarono uccisi, gli altri dispersi: Atenione, ferito, stette fra i cadaveri sinch? la notte fugg?, e Triocala fu cinta d'assedio. Gli scoraggiati parlavano di rimettersi alla misericordia de' padroni; ma i pi? risoluti li persuadono, -- ? meglio vender cara la vita, che consumarla fra lenti spasimi insultati>>: e colla forza della disperazione precipitatisi sui Romani, li sbaragliano e respingono da Triocala.
Gneo Servilio, surrogato nel comando, a nulla profitt?; mentre Atenione, succeduto al morto Salvio, prosperava la fortuna degli schiavi. Ma a loro danno movevano i consoli stessi Cajo Mario e Manio Aquilio, che rincacciano i rivoltosi, li vincono pi? volte, e uccidono lo stesso Atenione; diecimila avanzati rifuggono a luoghi forti, ma ne sono snidati. Un milione di schiavi diconsi periti in quella guerra. Pi? non ne restavano che mille, attestati con Satiro; e quando si arresero, dalla romana magnanimit? furono condannati a combattere colle fiere. Vollero almeno morire nobilmente; e come si videro messi nell'arena colle armi usate a tale battaglia, dispostisi presso gli altari, intrepidamente si uccisero l'un l'altro: Satiro per ultimo si confisse la spada nel petto, con grandissimo divertimento del senato e del popolo romano.
Guerra Giugurtina. Mario e i Cimri. Guerra Sociale.
Lo spettro dei Gracchi era spesso evocato a turbar la quiete de' nobili, i quali aveano creduto assicurarsi il dominio coll'ammazzarli. Opimio fu chiamato a render ragione de' cittadini uccisi, ma n'and? assolto per diligenza di Papirio Carbone. Il giovane Claudio Grasso accus? Carbone perch?, da amicissimo de' Gracchi, si fosse v?lto a patrocinarne l'assassino; e talmente lo incalz?, che quegli prevenne la condanna coll'avvelenarsi.
Miglior vindice del sangue de' Gracchi contro i patrizj sorgeva la gente nuova, e tra questa formidabile Cajo Mario. Nacque di basso luogo in Arpino, e tardi venuto in conoscenza della corruzione e della pulitezza di Roma, conserv? sempre dell'irto e del silvestre. Saper di greco mai non volle, dicendo ridicolo imparar la lingua d'un popolo schiavo; niente d'arti, niente di letteratura. Militando a Numanzia, mostr? severa disciplina quando negli altri si rallentava, e tal valore, che Scipione, interrogato un giorno chi potrebbe succedergli nel comando, batt? sulle spalle di Mario, dicendo, -- Forse costui>>. Se ne infervor? l'ambizione dell'Arpinate, il quale costretto a spianarsi la via da s?, come chi nasce senza avite clientele, pazient? e soffr? lunghe ripulse, finch?, col patronato de' Metelli, consegu? la questura, poi il tribunato. Allora propose una nuova maniera di dare i voti, per cui il broglio restasse impedito: ed il console Cotta avendolo citato a giustificarsene in senato, Mario vi entr? minacciandolo se non desistesse dall'opposizione; e perch? Metello presidente lo appoggiava, il fece arrestare, sebben suo protettore.
Tale ardimento lo diede a conoscere ai padri e alla plebe per uomo inaccessibile a paure ed a riguardi; e viepi? allorch? non dubit? avversarsi il vulgo coll'opporsi ad una gratuita distribuzione di grano. Malgrado i contrasti fatto pretore, sbratt? la Spagna dalle masnade; poi reduce a Roma, e sposata una dell'insigne famiglia Giulia, prese parte agli affari pubblici, invece di ricchezze, d'eloquenza, di politici scaltrimenti adoprandovi carattere di ferro, instancabile pertinacia al lavoro, ed un vivere popolesco.
Senatori e cavalieri spartivansi allora la padronanza; ai senatori le magistrature e l'autorit? politica; ai cavalieri il denaro, le terre, i giudizj; e gli uni connivendo alle trascendenze degli altri, cospiravano a tenere mortificati i plebei. Mario, villano ricalzato, ed inavvezzo agli strepiti del f?ro, male orzeggiava tra i due venti, e mostravasi inetto alle intelligenze e pusillanime nei maneggi civili quanto intrepido in una giornata campale. Conobbe dunque che le guerre erangli necessarie per poter primeggiare; e non gliene mancarono in Roma.
Dominava questa allora, oltre l'Italia propria, le nove provincie che enumerammo . Sul rivaggio meridionale della Gallia era primamente approdata la civilt? greca ai tempi favolosi di Ercole, che dicono fondasse Monaco , cio? solitario in mezzo a quella barbarie. Da poi una colonia di Massalia era venuta a fabbricarvi Marsiglia, la quale estendendo il dominio, fond? Karsiki, Kitharista, Olbia colla cittadella di Heyron; pi? lungi stabilirono Antipoli , cio? citt? avanzata; e ben presto Nicea , cio? la vittoria, a ricordo d'un insigne combattimento co' natii. Per? di questi mai non acquistarono l'amore, e i Marsigliesi in nuovo bisogno contro de' Liguri chiesero ajuto ai Romani, le cui legioni furono per la prima volta condotte di l? dell'Alpi da Fulvio Flacco, l'amico de' Gracchi. Sestio Calvino suo successore, riuscito con migliore prosperit?, vi fond? la citt? di Aix ; Licinio Crasso piant? una colonia a Narbona, al cui porto stanziava la flotta, e dirigevasi il commercio d'Italia, d'Africa e di Spagna, a scapito di Marsiglia. Quinto Fabio, vinti gli Allobrogi e gli Arverni, ridusse la Gallia meridionale in provincia consolare , dove cio? un console doveva arrivare ogni anno coll'esercito. I Baleari, pirati e fautori dei Cartaginesi, sempre indocili al giogo, furono sterminati tutti, di trentamila che erano, e nelle due grand'isole si fabbricarono le citt? di Palma e Polenzia: Quinto Metello vi tradusse coloni, e trionf?. Anche Cecilio Metello, ambendo gli onori del trionfo, invase la Dalmazia senza ragione, e senza ostacolo la soggiog?, e n'ebbe trionfo.
Per gran tempo questa famiglia de' Metelli tenne il primato in Roma: dodici di essa in dodici anni si trovano consoli o censori o trionfanti, e Quinto il Macedonico ? menzionato dagli storici per istraordinaria felicit?. Nato illustre in illustre patria, robusto a prova delle maggiori fatiche, ricco l'animo di belle qualit?, ebbe donna savia e feconda; ben colloc? le figliuole e ne abbracci? i fanciulli; vide consoli tre de' quattro figli, e i due che ora abbiamo detto furono soprannominati il Balearico e il Dalmatico pei loro trionfi; merit? egli stesso il titolo di Macedonico, e favori, onori, dignit?, comandi, quanti pot? desiderare. L'insulto che dicemmo usatogli dal tribuno Atinio e la nimicizia con l'Africano Minore sono i soli dispiaceri che lo colpissero: ma il primo gli torn? in gloria; e quando Scipione fu morto, egli disse a' figli suoi: -- Andate e onoratene i funerali, ch? non ne vedrete di un cittadino pi? grande>>. Principe del senato, mor? calmo in tarda vecchiezza, portato al rogo dagli insigni suoi figliuoli.
Domata Cartagine, i Romani ridussero a provincia la Zeugitana, e le poche citt? marittime del sud-est che all'emula erano rimaste fedeli. Restavano indipendenti la Mauritania, estesa dal Mediterraneo alla Getulia e dall'Atlantico al fiume Molokath , regnata da Bocco; e la Numidia, che ridotta tutta sotto il re Massinissa, teneva da esso fiume alle frontiere di Cirene. Micipsa, figlio di questo, vissuto sempre ligio ai Romani, morendo lasci? due figliuoli, Jemsale e Aderbale; e perch? della fresca et? loro l'intraprendente nipote Giugurta non si prevalesse per ispogliarli, questo pure chiam? a parte dell'eredit?, rammentando i tanti benefizj prestatigli, e raccomandandogli i giovani cugini. Parentela, riconoscenza, che contano mai per un ambizioso? Giugurta, intrepido in campo, scaltro in consiglio, fiero per natura, primo a ferire il leone in caccia o il nemico in battaglia, erasi acquistato l'amor del popolo, cui facilmente affascina l'aspetto della forza; mentre, praticando coi Romani, si persuase non esservi cosa che da loro non si potesse ottenere a denaro. Compratosi dunque a Roma parecchi amici, risoluto omai di regnar solo, uccide Jemsale, e circonviene con insidie e con aperta guerra Aderbale, il quale, spogliato del regno, cerca rifugio a Roma.
Infido asilo per chi non vi recava che la ragione! Ben egli al senato enumer? i benemeriti di Massinissa e la scelleraggine di Giugurta, e come federato ne invoc? la protezione; ma Giugurta avea mandato non tanto a scolparsi, quanto a spendere e spandere oro. Fece effetto, e quantunque pochi onesti sorreggessero Aderbale, i pi? ricusarongli il chiesto patrimonio, e fu spedito chi fra' due superstiti dividesse il regno, e raccomandasse a Giugurta di rispettare il cugino. Giugurta, quantunque nella spartizione sapesse a denaro farsi attribuire la parte migliore, mal soffriva compagni nel regno, ed assalse Cirta capitale di Aderbale. In questo emporio dell'Africa aveano stanza e banco molti mercadanti italiani; onde il senato romano, udito il costoro pericolo, decret? d'inviar tosto un esercito. Frattanto una nuova deputazione, alla cui testa Scauro presidente del senato, uomo di severit? catoniana, cita a Utica Giugurta, il quale presentatosi, e uditi i rimproveri e le minaccie, v'oppone frivole scuse, e incolpa Aderbale d'aver attentato a' suoi giorni. Potenza dell'oro! l'integerrimo Scauro gli mena buone le ragioni, e tornasi a Roma. Giugurta incalza l'assedio; e Aderbale, persuaso dagli Italiani a conservarsi in vita, ch? certo Roma lo rimetterebbe in istato, rende la citt?, salve le persone; Giugurta promette, poi tosto scanna Aderbale e tutti i mercadanti italiani.
Ne fremette ogni buono; pure i comprati da Giugurta sarebbero riusciti a coprire d'un sasso il grave misfatto, se Cajo Memmio tribuno non avesse svelata la turpe venalit? de' patrizj: -- Sono quindici anni che tu, o popolo, sei zimbello di pochi; lasci scannare i tutori de' tuoi diritti, invilire il tuo animo; prendi paura di quelli che dovrebbero tremare davanti a te. Non ti eccito a respingere l'ingiustizia colle armi: non n'? mestieri ove bastano i loro vizj per ruinare costoro. Uccisi i Gracchi col pretesto che aspirassero a farsi re, molti popolani andarono proscritti, incarcerati, quanto piacque non alla legge, ma al capriccio di qualche nobile. Dianzi tu t'indignavi in secreto di vedere il tesoro dilapidato, le imposte de' re e dei popoli carpite da alcuni nobili, in possesso delle maggiori dignit? e di sfondolate ricchezze, e che dopo tradito ai nemici le leggi, la maest? dell'impero, tutti i diritti divini ed umani, non che mostrar vergogna, ostentano i loro sacerdozj, i consolati, i trionfi, quasi onoranza recassero quando usurpati. Schiavi comprati ricusano sopportare le ingiustizie de' padroni: e voi, Romani, nati a comandare, soffrite la servit?? Or chi sono costoro che invasero la repubblica? gente di mostruosa cupidigia, colmi di sangue e di misfatti, che della buona fede, dell'onore, della piet?, della virt?, del vizio fanno traffico; pi? sono rei, e pi? tengonsi sicuri; il terrore che seconda il fallire, invase le vostr'anime fiacche, mentre costoro dai desiderj, dagli odj, da' timori stessi sono congiunti non in amicizia, ma in cospirazione. Se fu gloria ai vostri padri acquistare il diritto, ? dovere a voi il conservarlo. Procedete contro costoro che vergognosamente tradirono la repubblica al nemico: procedete regolarmente e per testimonj, non soffrendo una pace che lascia a Giugurta l'impunit?, a pochi ricchezze immense, alla repubblica obbrobrio e scorno. E mi rassegnerei a vedere impuniti cotesti ribaldi se l'indulgenza non divenisse vostra ruina: perocch? non toglie loro il poter nuocere in avvenire, e voi dovrete o combattere per la vostra libert?, o cadere schiavi. Essi vogliono dominare, voi esser liberi: qual componimento ? possibile? N? essi soltanto dilapidarono il denaro pubblico, smunsero gli alleati, colpe ormai troppo comuni; ma al vostro peggior nemico tradirono l'autorit? del senato, la maest? dell'impero; la repubblica fu venduta a Roma e nel campo>>.
La plebe commossa trasse a s? quella causa, e il senato impaurito decret? la guerra, e l'affid? al console Calpurnio Bestia. Ma costui la considerava come un traffico, e menava seco Emilio Scauro, disposto a vendersi anch'esso: onde, fatte alcune dimostrazioni vigorose, accettarono a colloquio Giugurta, gli concedettero pace con larghe condizioni, e il senato la ratific? per rispetto a Scauro o per complicit?.
Restava per? la tremenda voce popolare, e il tribuno Memmio cita Giugurta a Roma perch? si giustifichi. Questi, omai scaltrito con quali armi combattere, si presenta: Memmio gli intima in giudizio di nominar quelli che compr? a denari; ma l'altro tribuno Bebio gli vieta di parlare. Che pi?? essendo la parte d'Aderbale vigorosamente sostenuta da Massiva suo cugino, il re numida fa assassinare costui nel bel mezzo di Roma; poi andandosene, si volge a guatarla, ed esclama: -- Oh citt? da vendere, purch? trovi un compratore!>>
Riprese le ostilit?, procedono lente sotto al console Albino e a suo fratello Aulo: il primo con Calpurnio Bestia, Opimio Nepote ed altri ? esigliato come reo di corruzione; l'altro non campa da Giugurta se non passando coll'esercito sotto la forca. A riparare tanta onta fu spedito Cecilio Metello, che inaccessibile all'oro e alla piet?, mena guerra a sterminio, usa l'armi stesse di Giugurta, corrompendone i famigliari; sicch? costui ridotto ai confini del gran deserto, chiede patti. Come gli ? imposto, d? ventimila libbre d'argento, cavalli, armi, tutti gli elefanti e i disertori, de' quali tremila sono o scannati od arsi vivi o mutilati; ma quando ode intimarsi di venire egli stesso al proconsole, esclama, -- Uno scettro ? men grave che le catene>>, e ripiglia la guerra, disciplina i Get?li, e solleva contro de' Romani suo suocero Bocco re di Mauritania.
A gran pro di Metello venne l'avere per luogotenente Cajo Mario, che provvido e prudente pi? di qualunque altro, superava pur tutti in frugalit? e pazienza, e si cattivava i soldati col mangiare del loro pane, partecipare alle fatiche loro e ai pericoli, sicch? tornando in Italia essi ripeteano non si finirebbe quella guerra se non capitanando Mario. A ci? egli aspirava, secondo avealo lusingato la predizione del vincitor di Cartagine, e ordiva di soppiantare Metello: a malgrado del quale ottenuto il consolato, lo accus? a Roma di trascinar una guerra, che a lui bastava il cuore di finire d'un colpo. Le lungagne di quella spiacevano ai cavalieri che vedevansi interrotti i traffici, sicch? appoggiarono Mario: lo appoggi? il vulgo, che egli primo arrol? alla milizia umile per essere venuti meno i proprietarj, e che egli lusingava col lanciare insolenti arguzie contro l'antica nobilt?, disonorata dalle sue azioni in faccia agli uomini nuovi che sorgevano per merito proprio.
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