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Read Ebook: Storia degli Italiani vol. 02 (di 15) by Cant Cesare

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Ebook has 705 lines and 121048 words, and 15 pages

A gran pro di Metello venne l'avere per luogotenente Cajo Mario, che provvido e prudente pi? di qualunque altro, superava pur tutti in frugalit? e pazienza, e si cattivava i soldati col mangiare del loro pane, partecipare alle fatiche loro e ai pericoli, sicch? tornando in Italia essi ripeteano non si finirebbe quella guerra se non capitanando Mario. A ci? egli aspirava, secondo avealo lusingato la predizione del vincitor di Cartagine, e ordiva di soppiantare Metello: a malgrado del quale ottenuto il consolato, lo accus? a Roma di trascinar una guerra, che a lui bastava il cuore di finire d'un colpo. Le lungagne di quella spiacevano ai cavalieri che vedevansi interrotti i traffici, sicch? appoggiarono Mario: lo appoggi? il vulgo, che egli primo arrol? alla milizia umile per essere venuti meno i proprietarj, e che egli lusingava col lanciare insolenti arguzie contro l'antica nobilt?, disonorata dalle sue azioni in faccia agli uomini nuovi che sorgevano per merito proprio.

Messo a capo dell'esercito di Numidia, prende Capsa e trucida gli abitanti, bench? avessero pattuito la vita; e atterrando continua le vittorie. Dalle quali sgomentato, Bocco chiede l'amicizia dei Romani, e la compra col tradire l'ospite genero, consegnandolo a Silla, che lo sped? a Roma. Correvano ansiosi i cittadini a vedere colui, vivo il quale, non avevano sperato pi? pace; talmente sapea variar di guise, e congiungere all'astuzia il coraggio. Mario lo trascin? dietro al suo carro; e il fremere ch'e' faceva al vedersi incatenato e trastullo alla turba ingenerosa, fece dire ai Romani ch'egli fosse impazzito. Tratto in prigione, per levargli gli orecchini d'oro strapparongli l'orecchio; poi nudo il rinchiusero in un baratro, senza ch'ei proferisse altro se non, -- Com'? freddo questo vostro bagno!>> Col? fra sei giorni mor? di fame. La Numidia fu spartita tra l'infame Bocco e due nipoti di Massinissa, Jemsale e Jarba, riservandosi Roma la parte che lambiva la provincia, e cos? indebolendo col suddividere. All'altro corno della Sirte eransi piantati i Greci, costituendo la Cirenaica; e Apione re di questa lasciolla in testamento ai Romani, i quali la proferirono libera, ed oltre i vantaggi d'un ricco commercio, di l? sorvegliavano l'Egitto, come dalla provincia la Numidia.

Mario da questa aveva asportato tremila settecento libbre d'oro in verghe, cinquemila settecensettantacinque d'argento e ventottomila settecento dramme in denaro. Tale trionfo il rendeva invidiato ai nobili, cui diventava sempre pi? insoffribile quest'uomo nuovo e grossolano, che poneva lo splendore delle azioni di sopra al merito d'un sangue semidivino e di tradizionali ricchezze: viceversa ne pigliavano baldanza i fautori della plebe, talch? allora, per rogazione dei tribuni, fu trasferita in essa l'elezione dei pontefici; stabilito che un senatore degradato dal popolo non potrebbe ripristinarsi dal senato; che qualunque socio latino accusasse un senatore e provasse la colpa, acquisterebbe la piena cittadinanza romana: si rimise in discorso anche la legge agraria, ma una nuova invasione di popoli settentrionali svi? dalle lotte interne, e ringrand? il vincitore di Giugurta.

Delle orde cimriche rimaste di l? del Reno, come altra volta abbiamo discorso , la pi? forte stanziava in riva all'oceano settentrionale nella penisola Cimrica, che oggi chiamiamo Giutland, poco disgiunta dai Teutoni del Baltico. Spostati da una tremenda irruzione del mare, trecentomila guerrieri scesero fin al Danubio traendosi dietro fanciulli e donne, e varcatolo, piombarono sul Norico, e posero assedio a Noreja, chiave dell'Italia verso le alpi Tridentine. Debellato il console Papirio Carbone, l'orda devast? quant'? dal Danubio all'Adriatico, dalle Alpi alle montagne di Tracia e di Macedonia; e onusta di spoglie, si rintan?, dopo tre anni, fra i valloni delle alpi Elvetiche.

Ambroni, Tugeni, Tigurini, trib? galliche ivi stanziate, al vederne il ricco bottino ne inuzzolirono, e insieme con essi precipitarono verso il Rodano sulla nuova provincia romana , e riportarono insigne vittoria presso al Lemano, ove il console Cassio Longino rimase ucciso, e le legioni non camparono che a patti vergognosi. Servilio Cepione, venuto alla riscossa mentre quelli indulgevano alle blandizie d'un clima beato e d'improvvisa opulenza, ripigli? Tolosa, abbandonando al sacco le miracolose ricchezze che i Volci e i Tectosagi vi aveano deposte dagli antichi saccheggi; mille libbre d'oro e quindicimila d'argento dirizz? verso Roma, ma sulla via dispose finti ladroni che li predassero per conto di lui. Tal era la lealt?.

Sopragiungendo per? nuove orde di Galli, s? Cepione, s? Manlio venutogli in soccorso, furono messi in tal rotta, che a gran pena con dieci cavalieri salvarono la vita: sesto esercito romano distrutto da que' Barbari. I vincitori, secondo un voto, per omaggio al dio Belen gettarono nel Rodano l'argento, l'oro, i cavalli, uccisero i prigionieri, misero a desolazione quanto siede fra l'Alpi e i Pirenei. Tornano allora in mente ai Romani i disastri di Allia ed il Campidoglio assediato dai Galli Cimri; consultasi con paurosa superstizione un tal Batabate, spacciatore di vaticinj; si vota un tempio alla Bona Dea; ogni cittadino ? chiamato alle armi; e chi sar? il Camillo che salvi Roma col ferro non coll'oro? chi, se non il generale che allora appunto ritornava incoronato dei lauri numidici?

Per quanto la bellica sia lo stillato delle altre arti, molte volte un rozzo soldato si vide riuscire eccellente stratego. Mario, servendo o comandando, aveva notato i difetti della legione, la quale sin l? erasi considerata come la pi? sublime ordinanza militare; e voltosi a riformarla da capo a fondo, la compose tutta di fanteria pesante, quantunque durassero ancora i nomi di astati, principi e triarj, e a tutti diede abito uniforme; le coorti organizz? in modo, che si adattassero a qualunque terreno. Alla riforma militare accompagn? la civile, perocch? nella legione egli ammise anche i proletarj: passo necessario, dacch? la classe de' coltivatori liberi, di cui sole vasi empirla, si andava sempre pi? esaurendo; e Mario potea dire come Pirro: -- Quel che mi occorre sono uomini robusti; io sapr? farne soldati>>.

A titolo di tali innovazioni, Mario si fece prorogare il consolato, che tenne per altri quattro anni in onta delle leggi, le quali anche questa volta ammutolirono davanti alle armi. L'esercito riordinato condusse in Provenza, e secondando la superstizione, con uno spediente grossolano come lui, si fece da sua moglie mandare una tal Marta, donna vulgare di Siria che indovinava il futuro, e che fingeva suggerire od approvare quel che Mario credesse opportuno. Ma nel tempo stesso abitu? le sue reclute a severissima disciplina e alle fatiche, eseguendo difficilissimi lavori, quale fu il Fosso Mariano, per cui i navigli entravano nel Rodano schivando la melma e le ghiaje accumulate alla foce, e che form? la ricchezza de' Marsigliesi.

Una porzione di Cimri, seguendo il vago istinto del saccheggio, erasi diretta sopra la Spagna; ma trovando ostinata resistenza nei Celtiberi e nel pretore Marco Fulvio, di? volta verso l'Italia per l'Elvezia e il Norico, mentre Galli e Teutoni scendevano le alpi Marittime. Terribili a vedersi per gigantesca corporatura, fiero sguardo, armadure bizzarre, il loro re Teutoboco saltava quattro e fin sei cavalli di fronte, e alteramente sfidava Mario a duello, il quale rispondeva: -- Se sei stanco di vivere, va e t'appicca>>.

Fremeva a quelle sfide la giovent? romana; fremeva allorch? i Teutoni, sfilandole innanzi, le dicevano: -- Noi andiamo a trovare le vostre donne; avete comandi?>> Mario ne reprimeva gl'impeti, ma come videla infervorata dal lungo desiderio della pugna, la condusse ad assalire i Barbari presso le Acque Sestie ed a sconfiggerli interamente. Le donne dei Teutoni, che solevano accompagnarli alla battaglia ed esaltarne il coraggio, vedendoli cedere all'urto, presero le armi e impedirono ai Romani d'invadere l'accampamento, finch? una nuova sconfitta port? quasi a trecentomila il numero dei Teutoni morti o presi.

In questo mezzo i Cimri varcavano le Alpi, scivolando ignudi gi? pel ghiaccio sui loro scudi, all'orlo d'orribili precipizj, quasi sbraveggiando il pericolo e l'intemperie; poi calati pel Tirolo in val d'Adige, smisurati pietroni rotolavano contro il ponte fatto dai Romani, e con sassi ed alberi ingombravano il letto, sicch? l'esercito del proconsole Catulo rest? compreso da tale sgomento, che molti fuggirono senza arrestarsi fino a Roma. Fu tra questi il figlio di Emilio Scauro; al quale il padre mand? dire non gli comparisse pi? davanti, ond'egli s'ammazz?.

I Cimri corsero a baldoria il paese ormai indifeso, e se nel caldo della vittoria si fossero difilati sopra la metropoli, questa versava in estremo pericolo; ma avendo essi data la posta ai Teutoni in riva al Po, quivi s'assisero ad aspettarli. Le delizie del clima italiano, il pane, il vino, la carne cotta, svigorivano la brutale loro fierezza; ed ecco, invece dei Teutoni, giungeva Mario con truppe imbaldanzite dalla vittoria. Avendo i Cimri spedito a dirgli -- Lascia queste terre per noi e gli alleati nostri, se no ci avventeremo su Roma>>, egli rispose -- I vostri alleati pi? non bisognano di terra, giacendo a marcire lungo il Ceno>>. Bojorice lor re neg? fede all'asserto, e venne egli stesso al campo romano per accertarsi che i capi teutoni fossero prigionieri, e per determinare d'accordo il tempo e il luogo al decisivo duello. Fu convenuta la fine di luglio e una pianura nei Campi Raudj, dove i Cimri non poterono spiegare tutte le forze, e dove la disciplina e l'accorgimento di profittare del sole e del vento diedero la vittoria ai Romani. Le donne cimre vestite a lutto, trinceratesi nel campo, chiesero si rispettasse la loro pudicizia, e d'essere consegnate schiave alle Vergini del fuoco: e disdette dell'onesta domanda, uccisero i fanciulli, quindi si appiccarono lasciando i proprj cadaveri in custodia dei mastini, che non poterono esser rimossi finch? non furono sterminati a frecciate.

I bullettini colle solite esagerazioni accertarono la plebe ignorante d'allora e la dotta di poi, che cenventimila Cimri fossero periti in quella giornata, e trecento soli Romani. I prigionieri vennero spartiti come schiavi pubblici fra le citt?, o destinati ai giuochi come gladiatori: e sebbene al console Catulo appartenesse il merito principale, il popolar favore lo attribu? a Mario, cui si resero onori pi? che umani; fu gridato terzo Romolo, paragonato a Bacco. Egli insuperbito non beveva pi? se non nella coppa, di cui diceano si fosse servito quel dio dopo conquistate le Indie; e ottenuto il sesto consolato, poteva quel che volesse: e diceva: -- La pi? parte non esercitano il consolato colle arti onde ve lo chiesero, o Quiriti: da prima attuosi, supplichevoli, moderati, dappoi passano il tempo nella pigrizia e nella superbia. Altrimenti la intendo io, e vedo sopra di me fissi tutti gli occhi. M'incaricaste di far guerra a Giugurta, del che i nobili mi voller male a morte. Vedete voi se convenga meglio affidare l'impresa a uomo di antica stirpe e d'illustri avi, ma di nessun esercizio nella milizia, che tremi e s'avacci, e assuma alcun del popolo per consigliargli quel che deva fare; giacch? le pi? volte avviene che, chi voi nominate capo, un altro capo si prenda. Io so d'alcuni che, fatti consoli, si diedero a legger le imprese degli avi e dei Greci. Ma io, uomo nuovo, le cose ch'essi leggono, le ho vedute; quel ch'essi dai libri, io l'imparai militando. Spregiano essi la mia ignobilit?, io la loro indolenza; a me si rinfaccia la fortuna, ad essi le colpe; e quando agli avi loro si potesse chiedere se volessero aver generato me o loro, non credete risponderebbero voler per figlio chi ? migliore? Qualora vi parlano, non rifinano di vantare gli avi, credendo rendersi pi? illustri per le belle imprese, mentre al contrario son quasi un lume che d? risalto alla loro degenerazione. Di questi vanti io non ne fo, ma posso narrare i miei proprj fatti; non ho da produrre stemmi e genealogie, ma aste, vessilli, premj militari, cicatrici onorate: questi sono i miei titoli, non lasciatimi in retaggio, ma con mio pericolo acquistati. Neppure so parlar con arte, non imparai di greco, ma a ferir nemici, squadronare soldati, null'altro temere che l'infamia, sopportar freddo e caldo, fame e stenti. A questo avvezzer? i soldati, non col lasciare ad essi le fatiche, a me la mollezza, il che vale essere non comandante ma padrone dell'esercito. Mi chiamano zotico perch? non so imbandire lautamente, n? tengo buffone o cuoco a maggior prezzo che il gastaldo; e lo confesso, avendo udito da mio padre che alle donne si addice la forbitezza, all'uomo la fatica; ai buoni occorre pi? la gloria che la ricchezza, meglio gli adornano le armi che la suppellettile. Essi dunque facciano quel che pregiano, amoreggiare, sbevazzare; come da giovani, cos? da vecchi passino il tempo nei bagordi, dati al ventre e ad altro: a noi lascino il sudore, la polvere e siffatte cose, che pi? di quelle ci sono gioconde. Ma essi nol soffrono, e dopo che s'insozzarono di colpe, si usurpano il compenso dovuto ai buoni; e la morbidezza e l'ozio ad essi non sono d'impedimento, son di ruina alla repubblica>>.

Dalla fazione aristocratica, ch'egli non solo compresse ma insult?, Mario fu dipinto come un furibondo, imbramosito di sangue: ma per quanto noi ci sentiamo poco propensi ad adulare gli eroi, scorgiamo in esso una premura pel popolo minuto, pei soffrenti, per gl'Italiani in generale, che ? difficile attribuir sempre a scaltrezza. Di naturale selvaggio, n? mitigato dalla educazione, pure non consigliava la guerra; anzi tratto a tratto sentiva rinascersi desiderio di quiete: se non che in Roma non si giungeva a capo del popolo se non esterminando nemici in folla, ed avvezzandosi nei campi al rigido imperio, al volere dispotico, alle crudelt?. Queste abitudini avea contratte Mario, ma non le bassezze, le infedelt?, la corruttela, troppo comuni fra' suoi contemporanei; l'oro di Giugurta non fece presa su lui; a Silla giovinetto non port? invidia, anzi il volle compagno del trionfo; e quando, fatto suo nemico, fuggendo dai manigoldi il vide ricoverare in sua casa, lo salv?: pure operava da soldato, ed ebbe a dire pi? d'una volta che lo strepito delle armi non lasciavagli badare alla legalit?.

Qui per? nuovi conflitti si preparavano, e non contro Barbari, bens? nell'Italia nostra; alla cui geografia ? opportuno diamo un'occhiata, prima che vada tutta a confondersi nel nome romano.

Le Alpi non ne erano ancora il preciso confine, perocch? tra esse e fin sullo scarco meridionale estendeasi la Rezia, in quelle che or sono valli dell'Ossola, Vogogna, Leventina, Valtellina, Camonica, Trompia, oltre i Breuni e i Tridentini. Gallia Cisalpina nominavasi il territorio che ha le Alpi a settentrione ed a ponente, il Varo a libeccio, a levante l'Arsa, a mezzod? la Macra, gli Appennini, il Rubicone; suddivisa in Cispadana e Transpadana secondo il Po. La regione al nord-est chiamavasi Venezia ed Istria; Liguria, quella al sud-ovest.

I Liguri, fra l'Alpi, l'Appennino, la Macra e il mare, toccavano a levante e a settentrione i Galli, a sud-est gli Etruschi; il Varo a ponente li separava dai Liguri della Gallia, stanziati sulla proda occidentale delle alpi Marittime e sul litorale, col nome di Salj o Saluvj, Oxibj, Deceati, Suetri, Quariati, Adunicati. Ad oriente d'esse alpi Marittime si trovavano i Vedianzi; al settentrione dei due porti marsigliesi di Nizza e Monaco, gl'Intimelj e gl'Ingauni; a levante dei quali trafficava Genua, porto dei Liguri forse indipendente dalle altre trib?. A levante di essa le due rive della Macra popolavano gli Apuani, cui sembra appartenesse Lucca.

Negli Appennini sul piovente meridionale abitavano gli Ercati, i Lapicini, i Caruli, i Friniati presso agli Apuani; sul settentrionale, fra lo Jala e le Alpi, i Vibelli, i Magelli, gli Emburiati, i Casmonati, gl'Illuati, i Celelati, i Cerdiciati; ad occidente sul T?naro i poderosi Statielli; sul corso superiore del Po i Veneni, e alle sue fonti i Vagiani di sangue celto.

Seguendo la curva dell'Alpi, le cui vette erano occupate da genti galliche, nelle valli inferiori s'incontravano i potenti Taurini <>; a settentrione e a levante i Libici sulla Sesia, i Levi sul Ticino. Pi? alto nelle valli dell'Alpi stanziavano i Segusiani sulla piccola Dora; i Salassi sulla Dora maggiore, dove poi Augusto fabbric? Aosta a cavaliero delle due strade dell'alpi Graje e Pennino; i Lepontini, che dieder nome alle Alpi fra il Monterosa e il piccolo Sanbernardo, possedevano alcune citt? nella Gallia Cisalpina, e fino Omegna.

La Gallia Transpadana era divisa fra Insubri e Cenomani: dai primi dipendeano i Marici, abitanti fra i Levi del Ticino e i Vertacomagori, e gli Orobj, stanziati a Novara, Como e Bergamo; i Cenomani s'erano piantati nelle citt?, forse d'origine etrusca, di Brescia colla sua r?cca Cidnea, Verona, Mantova. Al Mincio arrestavasi il dolce parlar veneto, e cominciava l'aspro gallico.

La Gallia Cispadana fra gli Appennini, lo Jala, il Po, l'Adriatico, l'Esi, era tenuta dagli Anamani e da' Boi, colle citt? fiorenti di Placentia, Parma, Mutina, e con Bononia che crebbe sotto i Romani. Sul territorio de' Lingoni rimaneva l'antichissima Spina; Ravenna ebbe vita allorch? Augusto la congiunse col porto e con un canale al Po e all'Adriatico; di Ferrara non ? menzione. Molte citt? della Cispadana erano abitate dai Senoni, e nominatamente Cesena; ma essi spiegavansi principalmente a mezzod? del Rubicone nell'Umbria, ove da loro ebbe nome Senogallia.

La Venezia abbracciava i paesi che tra il Po e l'Adige chinano dall'alpi Carniche al mare Adriatico. A ponente lungo l'Adige aveano avuto dominio gli Euganei, che poi furono confinati nei colli che ne serbarono il nome. La citt? di Atria rammentava gli antichi Etruschi; Padova sul Medoaco fioriva di commercio; aggiungi Aquileja fabbricata dai Romani per difendere quel varco Altino in riva all'Adriatico, Vedino , donde procedendo si trovava la trafficante Emone sulla proda orientale delle alpi Giulie. A settentrione de' Veneti stavano i Carni, a pi? dell'Alpi cui lasciarono il nome. Nella penisola dell'Istria, che l'Arsa separava dall'Illiria, Tergeste acquist? importanza sotto Augusto; Parenzo era porto frequentatissimo quanto l'antica Pola.

Dalla Macra e dall'Utente cominciava l'Italia propria, che possiam dividere in Etruria, Umbria, Piceno, Sannio, Lazio, Campania.

Gli Umbri un tempo si stendeano oltre il Tevere sino alla foresta Ciminia e al Clani, sulle cui rive aveano fabbricato Aarna , mentre i Senoni possedeano molte citt? fra l'Utente e il Rubicone; ma poi i Romani limitarono l'Umbria fra il Rubicone al nord, il Tevere e il mare all'ovest, l'Esi al sud, l'Adriatico all'est, percorso dalla via Flaminia.

Essa Umbria, la Sabina, il paese de' Marsi e de' Vestini chiudendo a occidente il Piceno, dall'Esi a settentrione fino al Matrino a mezzod?, chiamando propriamente Agro Piceno la montagna, Adriano il litorale, Pretuziano la pianura. Ancona, colonia siracusana, servivagli di porto; Osimo di fortezza; Tiora di oracolo sacro a Marte.

Al sud dell'Umbria e del Piceno cominciava il montuoso Sannio, comprendendo quattro popoli fra gli Appennini e l'Adriatico, quattro negli Appennini e nella pendice occidentale. Ed erano i Vestini, colle citt? di Amiterno e Priverno; i Marrucini, con Aterno e Teate ; i Peligni, con Corfinio e Sulmona; i Frentani sul Tiferno, con Lavino, Istonio , Ansano; i Sabini, con Fidene, Nomento, Crustumerio sopra il colle da cui piove l'Allia, Correse presso al Tevere, Regillo, Trebula sul Velino, Reate, e la fredda Nurza presso le sorgenti del Clitunno; i Marsi, a levante del lago F?cino, con Marruzio, Alba Fucezia, Carseoli e Cliterno; gli Irpini sulle colline che scendono ai piani della Puglia, con molte citt?, fra cui Avellino, Aquilonia , la fortissima Romulea, Compsa, Malevento; infine i Sanniti proprj, nel paese alpestre al sud de' Peligni, federazione composta dei Pentri con Telesia, Esernia, Alifa, Boviano; dei Caraceni fra le sterili alture dell'Abruzzo Citeriore; dei Caudini sul dorso occidentale del Taburno; e degli Irpini e Frentani gi? detti.

Del Lazio assai parlammo, e come si dilatasse dal Tevere fino al Liri. Con esso, col Sannio, colla Lucania e col mar Tirreno confinava la Campania, abitata nella pianura dai Campani, nei monti al nord-est dai Sidicini, dai Picentini in quelli al sud-ovest; ubertose contrade, piene di citt?, fra cui Baja e Pozzuoli, villeggiature dei Romani, che non paghi di coprir di casini le falde del vitifero Gauro, fin nel mare ne fabbricavano; Ercolano e Pompej, che doveano conservarsi sotto la lava e i lapilli, piovuti per distruggerle; Casilino sul Vulturno, donde i Romani aveano protetto il Lazio contro Annibale che teneva Capua, citt? primaria a' piedi del monte Tifata; Atella fra questa e Napoli, rinomata per le sue burlette; Nola piazza forte, fondata dagli Ausonj, popolata di Calcidesi, e fabbricatrice di bellissimi vasi.

Entravasi poi nella Magna Grecia, divisa in Apulia, Lucania e Bruzio. La prima comprendeva la Daunia, la Peucezia, la Japigia; e Siponto, Salapia, Aufidena, Bario n'erano citt? fiorenti: dal porto di Brindisi nella Calabria per ducentoventicinque miglia varcavasi in Grecia; poi cedette il luogo a Idrunto . Verso la Japigia gli Appennini si chinano poc'a poco per rialzarsi verso il paese de' Salentini, ove il promontorio Japigio frange le onde jonie, e sostiene la cittaduola di Leuca. Ad occidente sul seno che s'incurva dal capo Japigio al Licinio, fra molte minori ergevasi la dorica T?ranto. Delle interne meritano ricordo il vasto Canusio sull'Aufido, Canne presso Vergello, Venusia gi? degli Irpini, una delle meglio fortificate dai Romani, che di l? teneano guardata l'Italia meridionale. Nella Lucania sul mar Tirreno si trovavano l'ancor prospera Pesto, e dappertutto quelle colonie greche di cui tessemmo la storia. Il Bruzio, nella punta che s'allunga verso Sicilia presentava Scilleo, fortificata contro i pirati etruschi, e Columna, detta dall'estrema pietra migliaria d'Italia.

Non ripeteremo come in tutti i punti opportuni fossero distribuite colonie, e sistemati i popoli con una gradazione di privilegi. Maggiori ne godeano i Socj d'Italia; ma avendo col proprio sangue procacciato la grandezza di Roma, pretendeano essere pareggiati ai cittadini nel dar voto e nell'ottenere gl'impieghi. Era l'unico mezzo di risparmiarsi la poderosa coazione che ? necessaria per tenere popoli nell'umiliazione e nella servit?; ed essi l'aveano sperato ora dagli Scipioni aristocratici, ora dai Gracchi demagoghi, ora dal senato stesso: ma ai patrioti conservatori pareva ne patirebbe la costituzione, la metropoli si affollerebbe di gente accorsa a votare, la quale prevalendo pel numero ai pochi cittadini veri, disporrebbe della pubblica cosa, in modo che Roma perderebbe non che la primazia sugli altri, fin la padronanza di s?. Come dunque conciliare la conservazione delle individualit? di essa colla formazione d'una grande societ? italiana?

Questa da un secolo era la suprema quistione, e vedemmo come vi si maneggiasse la politica abilit? del senato, mediante le elevazioni progressive. Ma le lente provvisioni spiacciono sempre ai partiti, e Mario riassunse ed esager? il concetto de' Gracchi. Essendo stato soccorso validamente dagli Italioti nella guerra contro i Cimri, a molti militari concesse gli onori della cittadinanza, e a tutto il contingente di Camerino; e perch? il senato nel querel?, rispose: -- Lo strepito delle armi imped? d'intendere le parole della legge>>. Propose di distribuire ai federati le terre che i Cimri gi? aveano occupato nell'Italia settentrionale, e che per la vittoria consideravansi divenute di pubblico dominio: a tal modo s'opporrebbe una barriera a future invasioni, e si terrebbero in fede i Lucani, i Sanniti, i Marsi, i Peligni, col? trasportati in colonia.

In tutto ci? Mario, che poco valeva agli intrighi, adoperava la violenza; ad Apulejo Saturnino che chiedeva il tribunato, prest? i suoi soldati, coi quali in mezzo al f?ro uccise il competitore Nonio, fug? gli avversarj, e si fece proclamare. Mario, Saturnino e il pretore Cajo Glaucia formarono allora un dispotico triumvirato, che riaffacci? la legge dei Gracchi, non tanto per favorire ai popolo, quanto per contrariare a Cecilio Metello il Numidico, di cui gi? cliente e beneficato, era allora capitale nemico. Questo, a capo della fazione senatoria, malcontenta anche de' tolti giudizj, repuls? pertinacemente la legge agraria; ma vedendosi soccombere, and? volontario in esiglio, sperando che un giorno la patria ravveduta il richiamerebbe: e la parte di Mario volse e sconvolse la repubblica, colla forza padroneggi? i comizj, assassin? gli oppositori, usurp? i diritti del popolo sotto pretesto di tutelarli, sicch? restava disonorata la causa degli Italiani.

Mario, scarso d'intelletto politico, lasciavasi menare dai due colleghi, che, stile degli arruffapopolo, non cessavano di accaneggiare la corruttela e le tirannie degli aristocratici sovra la povera plebe. Saturnino fece prorogarsi di nuovo il tribunato, e con un assassinio tolse di mezzo Memmio che competeva il consolato con Glaucia, anzi s'impossess? del Campidoglio. Proruppe allora la comune indignazione, e conferito ai consoli autorit? assoluta come nelle congiunture pi? pericolose, Glaucia e Saturnino furono lapidati, richiamato Metello: Mario, che nelle zuffe di piazza mancava dell'intrepidezza mostrata in campo, e che aveva abbandonato i due suoi complici, perdendo cos? autorit? presso gli amici e nemici, si ritir? nella Galazia sotto pretesto di sciorre un voto alla Dea Madre, sentendo che le giornate sue erano le campali, e paragonandosi ad una spada che nella pace arrugginisce.

La riazione allora infier? secondo il solito; e perch? i Socj d'Italia, i quali col domiciliarsi a Roma ne acquistavano la cittadinanza, servivano di stromenti alle sedizioni dei tribuni, Licinio Crasso e Muzio Scevola fecero stanziare che quelli di essi che dimoravano in Roma senz'averne la cittadinanza, tornassero alle patrie antiche, niun riguardo avuto ai legami di parentela, di affari, d'abitudine, contratti da una generazione.

A tutelare i Socj in una riforma pacifica si adoper? il tribuno Livio Druso, uomo destro, eloquente, netto, lontano dalle violenze dei capipopolo, rimasto sempre superiore alla calunnia in una superbia che non lasciavalo mai mancare di dignit?. Promettendo l'architetto costruirgli la casa in maniera che veruna vista la dominasse, -- Costruiscila piuttosto tale che le mie azioni rimangano esposte agli sguardi di tutti>>. Come gli ambiziosi non vulgari, credea bisognasse rinforzare il potere, onde sosteneva il senato contro della plebe e dei cavalieri, ma purch? il senato obbedisse a lui. Ai mali della patria pens? riparare emendando la proposta dei Gracchi. Costoro aveano voluto ridurre i cavalieri, e formare un terzo stato, attribuendo loro i giudizj; ma coll'iniquit? di questi eransi disonorati: ond'egli, per consolidare i conservatori, propose che i giudizj fossero restituiti al senato, compensando i cavalieri coll'ammettervene trecento. Come succede nei partiti moderati, Druso scontent? gli uni e gli altri, e sorse rumore: egli fece arrestare il console, poi, a conciliarsi la plebe, propose si distribuisse il pane necessario agli indigenti col tesoro del tempio di Saturno che conteneva 1,620,829 libbre d'oro.

Lui aveano scelto a patrono i Socj italici; e poich? ogni partito vuol sempre incarnarsi in una persona, lo gridavano italianissimo, speranza della nazione; una volta che ammal?, tutta la penisola echeggi? di voti solenni; ed egli domandava obbedienza cieca, in ricambio della potente protezione. Quando per? propose che ai Socj si comunicassero tutti i privilegi di cittadino, si trov? contraddetto da senatori e cavalieri, e dalla plebe stessa, indignata di veder attentarsi di nuovo all'onore patriotico col convertire i sudditi in cittadini. I Socj, che in folla da tutta Italia erano accorsi a Roma per sostenere il voto del loro protettore, come lo videro respinto, tornati a casa colla vendetta nel cuore, sparsero il dispetto e l'indignazione, l'oltraggio parve nazionale, e venne a divampare la guerra degli Alleati appunto al tempo che tutti pareano scuotere le catene di Roma, gli schiavi, la Spagna con Sertorio, l'Asia con Mitradate.

Gl'Italiani erano divisi d'interessi; e se l'oppressione in qualche citt? riusciva insopportabile, in altre era lenita da privilegi e dalla bont? de' magistrati. A mezzod? i bellicosi Sabellici pareano essersi naturati al giogo: il Lazio godea di molti vantaggi, pur non mancandogli ragione di lamenti: Umbri ed Etruschi sentivansi fiaccati, e riconoscevano Roma perch? aveali difesi da' Cimri e teneva in soggezione i Galli confinanti. Nel cuore stesso di ciascuna citt? cozzavano due partiti, patrizj e plebei, in qualcuna ancora i fautori de' Cartaginesi; e troppo sappiamo come i dispetti parziali impaccino le speranze comuni.

Allora per? s'intesero, si diedero giuramenti e ostaggi; il Sannio, la Lucania erano nell'accordo, e non solo tutto il mezzod?, ma perfino citt? latine alle porte di Roma. -- Per Giove Capitolino , pel sole e la terra, per gli Dei penati di Roma, per Ercole suo patrono, e i semidei che la fondarono, e gli eroi che la crebbero, io non avr? altri amici e nemici che quelli di Druso; nulla risparmier? pel vantaggio di lui, n? padre, n? madre, figliuoli, vita; se per opera sua divengo cittadino, terr? Roma per patria e Druso pel suo maggior benefattore>>.

Questo i moderati, speranti in un pacifico componimento: ma dietro ad ogni capopopolo trae sempre uno stuolo che spingesi pi? innanzi; e i giovani arrisicati, e i militari vecchi, soliti confidar soltanto nella spada, tramano di scannare i consoli di Roma nelle Ferie Latine sul monte Albano. Druso, avutone fumo, ne avvis? il console Marzio Filippo, bench? suo nemico; e questi ripagandolo d'ingratitudine, il fece assassinare. Spirando egli esclamava: -- Chi pi? tuteler? la patria con intenzioni pure quanto le mie?>> I cavalieri ne menarono tripudio; ottennero fossero derogate le leggi di lui, come fatte contro gli auspizj; chiamati in giudizio i presunti suoi fautori, ch'erano il fior del senato; e dichiarato fellone della patria chiunque in avvenire proponesse di comunicare la cittadinanza ai Socj italiani.

A questi dunque, dopo che l'aveano per quarant'anni chiesta invano legalmente, non restava che ottenerla colla sommossa. Lusingati dai demagoghi, gi? avevano estesa una gran rete d'intelligenze, le quali alla morte di Druso proruppero. Il senato, avuto qualche sospetto, mand? qua e l? senatori a chiarirsene: fra questi il pretore Servilio ad Ascoli, sospesa la festa nazionale e prorompendo in superbi rimproveri, esacerba tanto i cittadini, che trucidano lui e quanti Romani colgono, sorprendono le guarnigioni, invadono le armerie e i magazzini, liberano i carcerati che inveleniscono alle vendette. Coi Picentini si uniscono Marsi, Marrucini, Frentani, Peligni, Campani, Irpini, Apuli, Lucani, e principalmente i Sanniti, non fiaccati da venti sconfitte, e dal pretore fin al mandriano cupidi di vendicare il lungo servaggio: aveano capitani prodi e accorti, abituati alle fatiche del campo non meno che ai maneggi del f?ro, primi dei quali erano pei Sanniti Papio Mutilo, e pei Marsi Pompedio Silone. Costui, il pi? operoso in que' preparativi, con diecimila uomini s'avvia per sorprendere Roma e saccheggiarla; ma lasciasi arrestare a mezza strada dalle preghiere di Gneo Domizio.

Le inveterate divisioni del nostro paese aveano convinto gl'insorgenti che non ? possibile formare uno Stato solo, e doversi piuttosto congiungerne i varj in salda federazione. Unironsi dunque nel nome d'Italia, che allora s'estese a pi? lungo tratto di paese, fu scritto sulle loro bandiere, ed appropriato a Corfinio, citt? nei Peligni, munita per capitale, col f?ro, la curia, cinquecento senatori, e dove gli Alleati deposero ostaggi, accumularono armi, e doveano eleggere annualmente dodici generali e due consoli. Cos? il vitello de' Latini opponevasi alla lupa di Roma in una guerra dichiarata giusta fin da uno scrittore romano.

Per verit? Roma avea fedeli i Latini, gli Etruschi, gli Umbri, che poteano somministrarle ventimila combattenti; la Gallia Cisalpina lasciavale levar truppe, cavalli i re numidi, fanti il re Bocco; le darebbero navi Marsiglia e Rodi; nel tesoro due milioni di libbre d'oro; nel senato quella prudenza, ch'? la dote pi? necessaria e pi? rara ai sollevati. Pure i nemici ch'essa dovea combattere erano disciplinati da lei, conscj delle arti e de' secreti di essa; combattevano la terribile guerra di montagne; e se la vittoria avesse arriso ai rivoltosi, tutti i popoli soggetti sarebbero insorti per ridur Roma a' suoi umili cominciamenti, gli schiavi mal compressi avrebbero aggiunto legna al fuoco. Essa dunque pose in opera tutta l'abilit? ferma e ardita del senato; moltiplic? eserciti e generali; il console Lucio Giulio Cesare fu spedito nel Sannio, dandogli per ajutanti Pompeo Strabone padre del Magno, Quinto Cepione, Marco Perpenna, Valerio Messala; l'altro console Publio Rutilio nei Marsi con Publio Lentulo, Cornelio Silla, Tito Tidio, Licinio Crasso e Marco Marcello; quanti insomma godeano fama di avvisati e provveduti in fatto di guerra; e ciascuno col titolo di proconsole comandava una divisione, con arbitrio di operare come e dove gli paresse, dandosi per? mano a vicenda nel dirigere centomila legionarj. Al contrario, gl'insorgenti ancor pi? che a Roma volean male ai magistrati proprj o ai coloni, onde in parziali vendette consumavano l'ardore, e crescevansi il numero de' nemici vicini. Pure cominciarono prosperamente, e i marsi Pompedio Presentejo, il sannita Vettio Scatone respinsero Pompeo da Ascoli, sconfissero Cesare nel Sannio, fugarono Perpenna, dell'esercito consolare uccisero ottomila uomini e Rutilio stesso.

A tal nuova, e al ricevere i cadaveri del console e di tanti senatori portati dagli schiavi, Roma prese il lutto, i magistrati deposero le insegne di loro dignit?, si raddoppiarono le sentinelle e munirono le vie, tutti vestirono il sago, cio? l'abito da guerra. L'esercito di Rutilio fu diviso tra Cepione e Mario, che reduce a Roma viveva inoperoso. Pompedio coi figli e con casse d'oro venne a Cepione in aspetto di rendersi; ma quell'oro era piombo, e i figli due schiavi: ingannato dai quali, Cepione lasci? condursi in una gola, dove al grido di Viva Italia rimase sconfitto e morto. Mario in quella guerra mostr? una lentezza, che per? non si osa imputargli a vilt? o a spossamento; forse non gli reggeva l'animo di combattere questi Italiani, insorti per ottenere a forza quel ch'egli voleva concesso di grazia; fatto ? che si teneva sulle difensive, e quando Pompedio gli diceva: -- Se tu sei quel gran generale che ti reputano, discendi a combattere>>, egli rispondeva: -- Se tu sei quel gran generale che ti reputi, costringimi a combattere mio malgrado>>; e presto a titolo di malattia rassegn? il comando.

Crescevano intanto colle vittorie i Socj, e il nome d'Italia risonava pi? estesamente; Umbri ed Etruschi dal parteggiare con Roma passarono a far parte coi rivoltosi; ed avendo Aponio liberato Acerra, dove Oxinta figlio di Giugurta era tenuto prigioniero, il tratt? regalmente, sicch? i Numidi disertavano a frotte dall'esercito romano, tanto che fu forza mandare in Africa la loro cavalleria. Roma ebbe ajuti dai principi d'Oriente; un corpo di Galli le fu condotto da Sertorio; arm? anche in dodici coorti i liberti per guarnire le citt? marittime, e cos? pot? accampare tutte le legioni contro gli Umbri e gli Etruschi, e vincerli. Ma a grave costo, giacch?, come in tutte le guerre di principj, combattevasi accannitamente. Un corpo di Romani, scontento del generale, gli s'avventa e lo trucida, poi per espiazione si precipita sui nemici, e ne sbaraglia diciottomila; un generale, vinto dai Romani nel Piceno, convita gli amici, e si trucida con essi: quattromila accerchiati sull'Appennino, anzi che cedere, si lasciano morire dal freddo. Giudacilio d'Ascoli viene a soccorrere l'assediata patria; e bench? i cittadini nol secondassero com'era combinato, a capo di otto coorti s'apre la via, entra, passa pel filo delle spade tutti i fautori de' Romani, si difende ostinato; e quando pi? non pu? reggere, d? un banchetto sotto il vestibolo del tempio, bee il veleno, si adagia sul letto; i soldati gli accendono sotto il rogo, <>.

A trecentomila si sommano i periti in quella guerra; ma Roma conobbe che la forza non basterebbe a troncare le teste rinascenti dell'idra. Lucio Giulio Cesare pertanto fece confermare una legge, per cui fossero ascritti alla cittadinanza romana tutti i Latini ed Umbri rimasti in fede; laonde molti si staccarono dalla federazione, e viepi? dacch? la vittoria le si mostrava infedele, e rinasceva in tutte le citt? la fazione romana, rimasta sopita; onde gli Alleati, non vedendo pi? sicuro Corfinio, trasportarono la capitale ad Esernia nei Sanniti. Gi? a Servio Sulpicio e a Pompeo Strabone eransi sottoposti i Marrucini, i Vestini, i Peligni, tradendo il loro capo Vettio. Questi era condotto prigioniero al console, quando un suo schiavo rapisce una spada, lo trafigge dicendo, -- Ho liberato il mio padrone; ora a me>>, e uccide se stesso. I Marsi furono sottomessi, e Pompedio non si sosteneva che a capo di ventimila schiavi redenti, finch? perd? la vita, e dopo tre anni di dura lotta l'Italia soccombea di nuovo a Roma.

Essa affett? di chiamar quella la guerra de' Marsi, come chi chiamasse guerra del Piemonte quella del 1848; e credendo poter essere generosa quando pi? non parea farlo per paura, sulla proposta del tribuno Silvano Plauzio concesse la cittadinanza a tutte le citt? italiane che godevano il titolo di federate.

Concessione illusoria. La legge Giulia erasi proclamata nel caldo della guerra, e pochi erano che volessero venir di lontano a Roma, com'essa imponeva, per farsi inscrivere: soli vennero i vicini, de' quali i ricchi speravano gli onori, i poveri le largizioni attribuite a' cittadini romani. Le citt? federate poi, cui rifletteva la legge Plauzia, eran poche in numero, e neppur tutte ottennero il privilegio. Non ne deriv? dunque se non un affluire a Roma di gran turba di poveri, e il senato intervenne ancora colle sottigliezze legali, e fece che i nuovi cittadini fossero accumulati in otto trib?, le quali votavano per le ultime, e quindi il pi? spesso non erano sentite, giacch? si sospendeva la votazione appena si fosse ottenuta la maggioranza.

Che monta? l'equit? avea trionfato del rigido diritto, e su quel cumulo di cruente ruine era proclamata l'eguaglianza di tutti gl'Italiani; non v'ebbe pi? ostacoli a passare da federati a cittadini, e ridurre a verit? il diritto nominale. Marsi, Umbri, Etruschi, che desiderosi d'esercitare l'acquistato diritto accorrevano dai loro municipj ad empiere il f?ro o il campo Marzio, vedendosi o non consultati o non valutati, fremevano, e domandavano che la concessione divenisse un fatto. Li blandiva Mario o per sentimento italiano o per ambizione, e da Publio Sulpicio tribuno fece proporre che gl'Italiani, i quali avevano ottenuto la cittadinanza, fossero ripartiti fra tutte le trentacinque trib?, e per conseguenza pareggiati agli altri cittadini. Cornelio Silla accorse per impedire la legge, distraendo all'uopo il popolo con solenni feste: Sulpicio per?, armati satelliti, entr? nel tempio di Castore ove stava raccolto il senato, e lo disperse: Silla si rifugg? in casa del nimicissimo Mario, il quale non gli us? oltraggio, ma volle promettesse di sospendere le acclamate ferie. Tolte queste, a Sulpicio riusc? facile di far passare la legge, per la quale Mario sal? in gran favore.

Questa nuova turba, non di cittadini corrotti e svigoriti, ma di campagnuoli robusti, dovea diventare un'arma terribile in mano dei demagoghi; e non avendo n? le tradizioni avite, n? la venerazione per le costumanze romane, n? l'esecrazione pei re, spianava il calle a coloro che omai aspiravano a cangiare radicalmente la costituzione.

Non sembra che Roma sevisse contro i vinti; e quantunque penuriasse a segno da dover vendere alcuni terreni attorno al Campidoglio, che da tempo immemorabile lasciavansi ai pontefici ed agli auguri, non confisc? il territorio de' Socj, eccetto quello degli Ascolani, n? mand? al supplizio che alquanti capi. Il pericolo di veder soccombere Roma prima ch'ella compisse la provvidenziale sua missione di unificare il mondo civile in una sapiente amministrazione, era schivato. L'Italia restavale ancora sottomessa, ma non pi? schiava, e i migliori cittadini verrebbero a questa da altri paesi. Un nome solo abbracciava coloro che prima chiamavansi Latini, Etruschi, Sanniti, Lucani; un solo linguaggio parlavano; e mentre quel di Roma corrompeasi per l'affluenza di tanti forestieri, restava come fisso l'idioma del Lazio. L'avvenire nazionale sarebbe potuto dirsi assicurato, se fra breve questa fusione dell'Italia con Roma non si fosse pur fatta di tutto il mondo coll'Italia, togliendole l'originalit?, il vigore, l'attivit?, facendo che sparpagliasse lontanissimo la vita, invece di concentrarla in s?; per modo che, quando un cozzo esterno ne staccherebbe le provincie, ella, cessando d'essere signora del mondo, neppur rimanesse paese uno e compatta nazione.

Silla. -- Mitradate. -- Prima guerra civile. -- Restaurazione aristocratica.

Ma Roma volgea contro se stessa il ferro, aguzzato contro Italiani e stranieri, prorompendo la inimicizia fra Mario e Silla.

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