Read Ebook: Țara mea by Marie Queen Consort Of Ferdinand I King Of Romania Iorga Nicolae Translator
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Ebook has 31 lines and 2168 words, and 1 pages
AVANCINIO AVANCINI
NOVELLE LOMBARDE
Il ratto di Sabina.--La passione di G. C. Storia di Matteo Vento. Una vittima.--Novella invernale.--Giustizia per tutti. Maometto.--L'orologio di pap? Gedeone. Don Bonomo ? senza cena.--Pap? Gedeone ha ceduto. Le redini di Brunello--Le nozze.
MILANO
CASA EDITRICE DELLA CRONACA ROSSA
DEL MEDESIMO AUTORE
IN PREPARAZIONE:
PROPRIET? LETTERARIA
PREFAZIONE
Non deve parer soverchia presunzione in me il titolo che pongo al mio libro.
Ho vissuto lungamente, da fanciullo, su le Alpi e, pi? tardi, nella campagna milanese. Il continuo contatto e la paziente bench? spesso incosciente osservazione mi agevolarono il mezzo per istudiare a fondo le costumanze di questi luoghi, onde le mie novelle sono ispirate alla verit? pi? che tessute dalla fantasia. Certamente chi ad esse voglia chiedere emozioni violente si trover? ingannato. Bench? lo Zola in Francia ed un poco il Verga in Italia abbiano dipinto la classe dei contadini a foschi e tetri colori, io invece, umilissimo, non ho saputo ritrovarvi che le passioni pi? semplici e naturali, non ispoglie talora di una graziosa attrattativa e destinate ad accaparrarsi, anzich? ad alienarsi, la simpatia delle persone le quali passano per c?lte ed intelligenti. Non presumo, con questo, lanciare una vana frecciata alla scuola dell'uno o dell'altro dei celebri autori ch'io prima nominai. No, no. Mi basta conchiudere che, fortunatamente, i nostri contadini lombardi non sono ancora corrotti come i francesi, o i siciliani, o i napoletani, secondo le notizie che ne danno quegli scrittori; e, finch? no'l sono, giudico ridicolaggine immaginarli diversi.
Se l'interesse di un'opera d'arte ? in relazione col grado di verosimiglianza che l'artista ha saputo donarle, non debbono mancar d'interesse le mie modeste novelle, specchio fedele della realt?. Ed io anzi mi sono meravigliato spesso che altri, prima e pi? valente di me, non pensasse a descrivere i miei paesi ove pur durano tante consuetudini ignorate alla maggior parte degli italiani, le quali hanno un profumo di verginit? caro all'anima, ispiratore di sentimenti affettuosi.
La seconda delle osservazioni concerne il mio stile. Ne ho adottato uno semplice come il tessuto delle stesse novelle, corrispondente dunque alla indole loro. Nel dialogo riprodussi, talvolta, alcune forme espressive e caratteristiche dei nostri dialetti settentrionali o, meglio, lombardi, specialmente in ci? che riguarda la costruzione del periodo: ma fu solo per dare colorito efficace alla narrazione e non, proprio, per ismania di novit?. Le novit?, in questo, come in ogni altro genere, di buon grado io le abbandono a coloro che sperano di rendersi notevoli con una originalit? conseguita ad ogni prezzo; gloria facile a chi abbia talento, ma breve assai pi? che la sua vita.
Il ratto di Sabina.
Ai Frani si conosceva gi? da tutti che Giovan Bello era venuto da Zeno dei Martinetti a domandargli la figlia in isposa. Per? non avevano visto niente, perch? Giovan Bello capit? di sera: in montagna gli affari si combinano sempre dopo calato il sole, per risparmio di tempo. Fu Zeno stesso che, alla mattina, entrato da Bortolo, raccont? come era andata la faccenda. Giovan Bello, buon giovane per il resto, si trovava tuttavia in condizioni cattivissime; era stato carbonaio cinque anni e poi, in causa d'una disgrazia indispettendosi e abbandonando il mestiere, aveva cominciato a scender fino a Bergamo, lungo le valli, in qualit? di spaccalegna. Se i tempi fossero stati migliori, avrebbe potuto guadagnar molto: ma per intanto bisognava contentarsi di affrontar sacrifici immensi con pochissimo frutto, oltre di che nell'inverno gli toccava rimanere a braccia conserte, mangiandosi fin l'ultimo quattrino su l'osteria, o al pi? lavorando qualche piccolo oggetto in legno, industria che esige un certo talento non comune a chiunque. In conclusione: il partito per Sabina era tutt'altro che splendido, almen per allora; forse col tempo si combinerebbe qualcosa, quando i negoz? di Giovan Bello andassero meglio; ma non conveniva per? che Sabina si legasse a lui, nel rischio di restar zitella per tutta la vita. ? una realt?; la gente di campagna ama poco il celibato: per far camminare la baracca, ? necessario alle famiglie sbarazzarsi de' figliuoli ed i figliuoli bisogna che si facciano presto un'altra famiglia: una ruota cos?, colpa d'essere poveri.
Ma con istupore di molti Sabina in Lizzola non apparve punto commossa e turbata; col bene che voleva a Giovan Bello e che era a cognizione di tutti, ella avrebbe dovuto mostrarsi meno indifferente alla sua sventura, quantunque gi? apparecchiata ad essa: non ci si capiva niente e si conveniva, in genere, che la fanciulla non era tale da crucciarsene ed ammalarsene, che le donne sono fatte a questo modo e che bisogna prenderle a questo modo. A merenda Sabina usc? del cortile con le sue capre e, attraversato il paese, venne ai prati come se nulla fosse; aveva per? un fazzoletto nuovo, colore azzurro scuro, in testa; e, quando Marchetto Bolco la ferm? per discorrere, gli disse qualche parola in furia poi se la svign? ghignando e battendo col bastone il dorso alle sue bestie. Arrivata al pend?o, si sdrai? tranquillamente su l'erba e, presa una calza, lavor? a fronte bassa, gettando nella vallata le note limpide di una graziosa canzonetta. Il sole di settembre, senza calore, piuttosto rosso, moriva alla sua sinistra dietro i picchi: dirimpetto le montagne erano gi? completamente nell'ombra e il Serio, illuminato proprio per il lungo da quei pallidi raggi, scintillava come argento percotendo i macigni delle rive.
Apparve Giovan Bello col suo cagnaccio peloso e gli stivaloni da viaggio; era in maniche di camicia e, per buona precauzione, portava la scure in ispalla.
--Sicch? dunque?--domand? a Sabina inoltrandosi.
--Sicch? dunque?--disse anch'ella per unica risposta, accompagnando la parola con un moto assai espressivo del capo.
--Cosa faremo noi?--prosegu? Giovan Bello.
--Ci? che vi piace. Non tocca a me decidere. Guardate a quello che fanno gli altri, diamine!
--Vorrei vedere io!
--Non hai paura?
--Che paura d'Egitto quando non si opera male! Sapete bene che non c'? d'aver paura. Scommetto che il vecchio ha subodorato ogni cosa e s'imagina ci? che stiamo per tentare. Ma vi accerto io che non si intrometter?! gli convien troppo tacere e fingere di non accorgersi. Anche mio zio Zancastro ha agito cos? con mia cugina Petronilla; ? un male di famiglia l'avarizia: per non dar fuori la dote, inventano mille scuse e se la prendono con chi non ha colpa. Ma io me ne infischio di ci?; sfido anche il diavolo: ander? via, porter? via tutto quello che potr?: ne sono in diritto. Nel mio caso farebbero cos? anche le altre, se non peggio, e poi....
Da questo momento si avvicinarono e parlarono sotto voce. Il sole tramontava ed essi erano ancora nella medesima posizione; a Lizzola suon? l'avemaria: si divisero e Giovan Bello, portandosi alla Roncaglia, cammin? verso Bondione mentre Sabina ritornava a casa.
La sera Zeno, ch'era solito andare da Bortolo, stette in casa anch'egli. Si ritirarono nella stalla e chiacchierarono tutti insieme dopo aver recitato il rosario. Erano molto seri; pareva che ci fosse burrasca per aria: se ne aspettava da un momento all'altro lo scoppio. Ma invece Zeno fu buonissimo: carezz? alquanto sua figlia e la guard? con insistenza, ostentando un poco di emozione. Le donne filavano silenziose e, in certi momenti, non si udiva che il soffio delle capre o il rumor secco dei fusi. Per giunta il cielo di fuori si rannuvol? e caddero alcune goccie di pioggia.
A mezzanotte circa si decisero finalmente a coricarsi. Zeno per il primo sal? di sopra, salutando Sabina come non faceva mai: quindi lo seguirono anche le donne, con un grande fracasso di zoccoli, dopo aver disposto le rocche fra un travicello e l'altro del soffitto. Stavano cos? bene l? entro, che si sarebbero fermate sino all'alba: ma poich? il capoccia non voleva, bisogn? obbedirlo. Sabina rest? l'ultima, dovendo come al solito chiudere gli usci e preparare il mastello per mungere: nel compiere questa operazione pianse, chi sa per quali pensieri, e poi levatasi gli zoccoli pass? in mezzo al cortile. Era buio pesto; soffiava un vento freddissimo: dalla finestrola al primo piano scendeva il raggio d'un lumicino e le donne, camminando sul pavimento di assi, lo facevano scricchiolare.
Sabina entr? nel pollaio e vi prese due grossi involti depostivi dopo cena: ripass? per il cortile mentre nella casa vicina sbattevansi alcuni usci e rimbombavano alcune voci, poscia si rinchiuse nella stalla. Suon? mezzanotte a Bondione: il vento portava in su quei rintocchi ad uno ad uno, quali vibr?ti, quali appena sensibili, come se venissero da campanili a diverse distanze.
Ben tosto giunse Giovan Bello con Marchetto Bolco ed il somaro di lui. Il somaro aveva i piedi coperti di paglia perch? non facesse rumore contro il selciato; sul dorso portava un sacco e, poich? gli ebbero attaccato gli involti di Sabina, ella vi sal? adagiandosi come sur una seggiola. Tutti e tre s'incamminarono senza parlare; Marchetto lev? di tasca una piccola lanterna cieca e l'accese, quindi svoltarono a manca, dirigendosi verso Valle di Flesio: l'asino era guidato da Giovan Bello che gli aveva afferrato il morso e se lo conduceva di fianco.
Fuori del paese la fanciulla, strettasi bene in un panno, diede nuovamente in escandescenze contro suo padre. Il vecchio doveva essere senza cuore per cimentarla ad un simile passo; certamente lo aizzavano le cognate: i tempi, s?, erano cattivi, ma per? tutti dicevano a Lizzola ch'egli nascondeva la borsa di sotto al pagliericcio e, d'altronde, con una figlia che vuol prendere marito bisogna sacrificar qualche cosa. Si ? per questo al mondo; ella al posto di lui sarebbe stata diversa: e se un giorno le nascessero figlioli...
Intanto la pioggia cadeva a catinelle: il somaro sdrucciolava lungo i sentieruzzi umidi ed i due uomini si avvilupparono entro il mantello. Viaggiavano da pi? ore cos? e Sabina si faceva a poco a poco malinconica. Era stabilito che ella si ricovrerebbe in una vecchia capanna di carbonaio da Giovan Bello preparata appositamente, entro i boschi di Passevra; ed appena il curato di Passevra avesse terminato le pubblicazioni , si sposerebbero con l'aiuto di Dio. Giovan Bello aveva a Passevra una camera ed un letto matrimoniale: con un poco di pazienza, lavorando entrambi, si arriverebbe a riempire i vuoti della cassa e, se ella era povera, tanto meglio: non potrebbe mai rinfacciargli nulla. Pervennero alla capanna: era molto umida e vi si respirava un acre odore di abbruciaticcio o di cenere spenta; distesero il sacco per terra, sopra un mucchio di foglie acquistate in antecedenza: accesero il fuoco per asciugarsi, legarono l'asinello ad un palo della soglia e, datogli un pugno d'avena, fecero l'inventario della roba portata. C'erano quattro camicie per donna, una camicia da uomo ricamata, sette paia di calze greggie, un abito quasi nuovo di percallo, tre lenzuola, tre fazzoletti, grembiali, sottane, corsetti di maglia ed altri cenci insignificanti. Dopo di che contarono i denari: Giovan Bello dichiar? che possedeva due marenghi e sei fra
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