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Read Ebook: Storia degli Italiani vol. 06 (di 15) by Cant Cesare

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Ebook has 764 lines and 165191 words, and 16 pages

Del Comune di Brescia trovansi vestigia al 1000: nel 1020 gi? sono citate le concioni pubbliche che si tenevano in San Pietro de Dom, e il banditore comunale, a nome di esso Comune, investiva gli uomini degli Orzi del castello, delle fosse e degli spaldi di Orzi: essi a vicenda promettendo difendere quella r?cca contro chi fosse ardito a disputarne il possesso al Comune di Brescia, presterebbero ogni quindici anni il giuramento, pagherebbero alla madonna d'agosto cinque soldi milanesi. Del 1029 si conosce uno statuto che concerne anche i feudi. Nel 1037, per togliere le contese tra il vescovo e il Comune, pi? di cencinquanta uomini liberi di Brescia si radunano, e Odorico vescovo promette non eriger fortilizj sul colle Cidneo, e cedere al popolo alcuni boschi di Castenedolo e di Montedegno, pena duemila libbre d'oro se fallisca al promesso.

I Bresciani nel 1102 avevano promulgato una legge contro gli usuraj: e due anni appresso Ardizzo Aimone, console di col?, girava per le citt? lombarde onde indurle a federarsi in difesa comune, convenendo nel monastero di Palazzuolo.

D'altro passo erano proceduti i paesi di Romagna. Inviolati da Barbari, aveano essi conservato l'ordinamento quale sotto l'Impero bisantino, con consoli sopra il Governo e i giudizj, e con tribuni che comandavano ai borghesi, distribuiti in scuole militari. Staccati che furono da quello, la difesa venne commessa ai vassalli, e il loro capo assunse l'aspetto generale d'allora, cio? di signore feudale ereditario, e trasse il titolo dalle terre che possedeva. L'ordinamento civile vi si trasform? quando i varj vescovi, che pretendevano alla superiorit?, dopo Ottone il Grande s'inchinarono al pontefice; sicch? a questo rimase la primazia sovra la Romagna, e ai vescovi la giurisdizione e il nominare i magistrati, che, secondo allora solea, retribuivansi con terre feudali. A capo pertanto d'ogni contado aveasi un visconte, sotto cui i capitanei vescovili, indi i vassalli e i valvassori, e da ultimo il Comune dei liberi, i quali formavano il consiglio municipale coi vassalli del vescovo.

Pi? tardi si riscosse la campagna. La conquista dei Barbari aveva arrestato lo spopolamento, prodotto dall'affluire della gente nelle citt?; poi collo stabilirsi dei feudi la politica prevalenza fu trasferita dalle citt? alla campagna. Attorno al castello del barone o al sagrato della chiesa accoglievasi una gente laboriosa, manufattrice, mercadante, che presto cresceva in borgate. I signori, accortisi come potessero vantaggiarne d'entrate e di forza materiale, concessero alcuni privilegi, che non li facevano indipendenti, ma ne cresceano le ricchezze e gli abitanti; e quest'incremento rendeva necessarj nuovi privilegi, per quanto poco garantiti contro la prepotenza. Alcuni anche per bisogno li vendevano, n? denaro mancava ai sudditi per tale acquisto, avessero pur dovuto togliersi il pane di bocca. Altrove non erano concessi ma pretesi, e l'esempio delle citt? ispirava ai campagnuoli desiderio di scuotere la dipendenza, e fiducia di riuscirvi. Rifuggiti in un bosco, sovra un colle, dietro un terrato, sfidavano di col? lo sdegno del signore finch? egli non calasse a ragionevole componimento.

Il parabolano fr? Jacopo d'Acqui ricorda che, al tempo del Barbarossa, molte terre grosse si formarono in Piemonte coll'unire ville: e prima Chivasso, per opera de' Milanesi: poi alquanti rustici, congregati in opposizione ai marchesi di Saluzzo, edificarono Savigliano, che vuol dire savio-villano, per venire dalla servit? di essi marchesi a libert?: altri coll'ajuto de' Milanesi fra la Stura e il Gesso fecero una citt? detta Cuneo, perch? avea tal forma: cos? furono costituiti Fossano, Mondov?, Cherasco, per tenere in freno quei di Asti e di Alba. Nel 1251 molte famiglie di Marmirolo nel Mantovano, trovandosi angariate da Guidone Gonzaga, abbandonarono in unanime concorso la patria, e si mutarono nel paese di Imola: il qual Comune don? loro molte terre colte e incolte, che essi obbligaronsi di mettere a frutto, pagandone annuo censo, e abitando uniti in un villaggio che Imola fabbricherebbe apposta, e che fu Massa Lombarda. Fin dal 1157 il popolo di Marti e quello di Montopoli nel Valdarno inferiore discutevano de' proprj confini, e si citarono i consoli a far dichiarare dai pi? vecchi e probi quali fossero veramente. Firenze, l'anno 1300, decretava si facessero tre terre nel Valdarno superiore, per frenare gli Libertini di Gavelle e quei di Soffena e i Pazzi; le quali furono Terranova, Castelfranco di Sopra e San Giovanni.

Milano nel 1211 concedeva a tutti i contadini e borghesi di accasarsi in citt?, e li faceva esenti da ogni gravezza rurale, e accomunati ai diritti di cittadini, purch? non lavorassero di propria mano la terra, abitassero in citt? trent'anni, eccetto il tempo del ricolto. Imola nel 1221 prometteva la quinta parte degli uffizj a quei di Castello Imolese che andassero accasarsi in citt?. L'anno stesso Bologna prometteva immunit? ai forestieri, e il consolato ad ogni venti famiglie che venissero a formar villa nel territorio bolognese.

Ad alcuni signori le comunit? indissero guerra, poich? il diritto della personale vendetta, allora universalmente riconosciuto, rendeva alle citt? legittimo l'osteggiare i baroni, che fin sotto le loro mura aveano piantato fortifizj; e bandivasi pace alle capanne e guerra ai castelli. I conti d'Acquesena dominavano sei popolose terre in val di Belbo, e sorretti dal marchese di Monferrato e dalle armi, mille soprusi si permettevano sopra i vassalli, ed esigevano una oscena primizia. I terrieri soffersero un pezzo come sbigottiti; poi fecero popolo, e al tocco della campana di Belmonte assalsero determinatissimi le r?cche dei signori, questi uccisero, quelle diroccarono; e difesisi dal marchese Bonifazio mediante l'ajuto degli Alessandrini, trasferirono le proprie abitazioni l? dove la Nizza sbocca nel Belbo, e vi edificarono Nizza della Paglia.

Altre volte non colla forza, ma otteneasi cogli accordi: come i conti Guido cedettero a Firenze i loro castelli per cinquecento fiorini; e come troveremo spesso nel procedere. Ma gli abitanti di Montegiavello, scontenti della dominazione d'essi conti Guido, scesero a stormo dall'altura, e compro un prato sul Bisenzio, vi costituirono il Comune, che poi fu la cittadina di Prato.

Nel 1200 la citt? d'Asti dai molti consignori comprava il castello e il territorio di Manzano, obbligando gli uomini a trasferirsi nel nuovo paese di Cherasco. Nel 1228 Genova comprava dai marchesi di Clavesana i castelli e le ville di Diano, Portomaurizio, Castellaro, Taggia, San Giorgio, Dolcedo, per l'annua prestazione di lire ducencinquantadue genovesi: nel 1233 faceva altrettanto con Laigueglia. Nel 1180 il Comune di Vercelli comprava in moltissime porzioni il castello di Casalvolone.

Converrebbe fare la storia di ciascuna borgata chi volesse dire come le citt? crescevano dalle ruine della feudalit? campagnuola. Alcuni signori abbracciarono spontanei lo stato civile, fosse per maggior sicurezza o per godere l'autorit? che l'opulenza, il dominio antico, le aderenze procacciano sempre in una comunit?; sicch? discendendo dalle minacciose r?cche, giuravano il Comune e fedelt? ai magistrati cittadini, sottoporre i loro terreni alle tasse, servire alla patria colla persona e coi vassalli, e parte almeno dell'anno fissar dimora nelle citt?.

I Transalpini, avvezzi ancora a non vedere nei loro paesi che dominio de' baroni, meravigliavano allo scorgere che le citt? di Lombardia aveano ridotto tutti i signori della diocesi a coabitare; talmente che a fatica si trovava alcun nobile o grande che non obbedisse alle leggi della citt?. Alquanti duravano ancora nei loro castelli, massime ove li francheggiava la montagna, circondandosi di armigeri e di donzelli, per conservare l'antico potere: ma sebbene dissoggetti dai Comuni, non poterono mai costituire una salda aristocrazia, attraversati com'erano dalle altre classi. Restava dunque che sfoggiassero in lusso e in finte prodezze, assaltando un pagliajo od una grancia, o ferendo torneamenti, ovvero empiendo il tempo con giocare alle palle, agli aliossi, alla quintana, e mettersi attorno buffoni, nani, cantastorie, sonatori: finch? impararono a vendere ai pacifici Comuni il valore, cui si erano educati ed esercitati.

A tal modo formaronsi i Comuni; e combinando le idee classiche colle nuove, definivano la citt? essere un convegno di popolo, raccolto a vivere secondo il diritto; e che tutti gli uomini d'una citt?, e massimamente delle principali, devono operare civilmente e onestamente.

Effetti dei Comuni. Nomi e titoli. Emancipazione dei servi.

Se dunque ricapitoliamo la storia del popolo, dopo Carlo Magno ci occorre anarchia e scompaginamento universale; citt? e stirpi discordi; ogni barone, ogni guerriero animato da interessi diversi; non un pensiero della povera plebe. La feudalit? comincia a collegare duchi e conti col vincolo di devozione allo stesso capo e di servizj reciproci; i possessori di allodj, franchi di ogni carico pubblico, indipendenti fra loro e quindi antisociali, consentono o sono forzati a divenire vassalli, cio? a prestare ligezza ad un signore, nella cui protezione trovano un compenso alle servit?, all'omaggio, agli obblighi. L'uomo preferisce sempre lo stato socievole all'isolamento, e il governo feudale offriva la combinazione per allora migliore di sforzi materiali onde organizzare la pace e dirigere la guerra.

Nelle citt? non v'era modo come uno potesse distinguersi: ignote le lettere; a soli nobili le ricchezze; dei gregarj le armi. In conseguenza le plebi rimanevano ancora fuori della societ?, e ad insinuarvele s'industriarono i Comuni, dove conquistati e conquistatori, uomini dipendenti dal re o dal vescovo o dai signori, venivano fondendosi in una stessa cittadinanza, a giurisdizione dei vescovi; poi anche da questi si emanciparono, istituendo il Comune laico. N? era un tremuoto popolare che diroccasse i castelli: essi non domandavano la libert?, ma l'eguaglianza sotto un signore, un freno alla gerarchia feudale, o di potere in questa pigliar posto. Per tal modo la gente bassa diventa un ordine; la ricchezza mobile si erige a fianco alla fondiaria; e il feudalismo, che dianzi era la societ? intera, si restringe a sola la nobilt?.

L'Italia non avea di quei duchi o conti, poderosi quasi piccoli re: l'autorit? regia, annessa all'imperiale, restava lontana e controversa; sicch? le citt? trovarono minori ostacoli a costituirsi, tanto pi? che avevano sugli occhi l'esempio delle marittime. Perci?, caduta la Casa Salica, i Comuni lombardi muovono guerra ai capitanei, togliendo loro le entrate e la giurisdizione di conti, e la esercitano in vece loro. I Comuni si valgono degli imperatori e dei papi per cacciar le picche pi? a fondo nelle viscere de' nemici; e li strascinano nelle microscopiche loro inimicizie; laonde queste parziali associazioni, combinate per salvarsi dalle baronali prepotenze e dal politico scompiglio, vennero ottenendo o conquistando giurisdizione particolare, diritto di guerra e di moneta, governo proprio, insomma a farsi piccole repubbliche. Gli uffiziali, non pi? dai vassalli, ma sono scelti fra' comunisti; onde sottentra l'abitudine agli affari, e ne vengono magistrati da far fronte allo Impero, giuristi che in parlamento potranno pettoreggiare i capi della feudalit?, e dottori alle cattedre, e cherici che saliranno ai vescovadi e alla tiara.

I consoli erano due o pi?: Perugia, che vuolsi gi? facesse guerra a Chiusi nel 1012, a Cortona nel 49, a Foligno nell'80 e 90, ad Assisi nel 94, era governata da dieci consoli nel 1130, quando in piazza San Lorenzo gli uomini dell'isola Palvese fecero la loro sommessione: Bergamo n'avea dodici: Milano sei o sette per ciascuno dei tre ordini di capitanei, valvassori e cittadini: probabilmente anche altrove erano scelti in questa proporzione, ovvero da cittadini e nobili, dove questi costituissero un unico stato, o anche da uno stato solo, che fosse agli altri prevalso. A Firenze furono quattro, poi sei, secondo la citt? era divisa per quartieri o sestieri; ma uno godeva maggior fama e stato, e dal nome di esso qualche cronista notava l'anno.

N? le sole citt?, ma anche borghi e castellari ebbero consoli proprj: e per mille esempj valga Pescia, non ancora citt?, i cui consoli e consiglieri nel 1202 concordavano con quelli delle limitrofe comunit? di Uzzano e Vivinaja intorno all'elezione e alle attribuzioni dei consoli, per evitare le controversie.

Ma la prima rivoluzione dei Comuni pu? considerarsi come aristocratica, tanti elementi signorili abbondarono nella sua composizione, i quali vedremo poi sistemare i governi, dettar leggi a tutto loro pro, combattere pi? valorosamente che non avrebbe saputo una plebe inesercitata. Dipoi si ampli? il Comune a segno, che chiunque avesse pane e vino proprio, esercitasse mestiere d'importanza, o si trovasse agiato di sue fortune, ebbe parte almeno indiretta alla municipale autorit?, e contribuiva ad eleggere i magistrati nel generale convegno degli abitanti. Allora nella classe degli uomini liberi si trovarono accomunati gli antichi arimanni, liberi quantunque non possessori; gli abitanti delle citt? municipali, sempre rimasti indipendenti; i borghesi affrancati delle citt? feudali; gli abitanti sollevati dei Comuni; alfine anche i servi emancipati della campagna.

Ma dalla libert? civile e dall'equit? suprema, ch'? ora il fondamento d'ogni Stato, stavano ben lontane. Dappertutto le persone rimaneano libere in grado diverso; sopra viveva qualche antico arimanno; in alcuni Comuni, sebbene gi? redenti, sussistevano borghesi del re e borghesi dei signori, i primi pi? alteri e in migliore stato, gli altri affrancati s?, ma in mezzo a parenti ed amici tuttavia servili; poi i nobili, i liberi uomini del Comune, del barone, dei privati; ecclesiastici privilegiati, guerrieri assoldati, viventi con diritto straniero.

Tutto ci? derivava dal sistema feudale, che non fu gi? distrutto, come sarebbe avvenuto in una rivoluzione radicale, ma in esso presero posto i Comuni, che perci? si potrebbero chiamare repubbliche feudali; carattere che non vuolsi dimenticare da chi brami intenderne la storia e le evoluzioni. I Comuni entravano nella feudale societ?, traendo a s? i diritti gi? proprj de' signori, come giudizj, imposte, zecca, guerra, e via discorrete: e conseguivano un grado in quella gerarchia, rilevando da re o dall'imperatore, e tenendo sotto di s? altre persone o corpi morali. Il concetto feudale non ammette esistenza indipendente; e per? i Comuni si consideravano vassalli d'un signore, ed obbligati verso lui a certi doveri pattuiti, siccome un uomo. Tale dipendenza non era pi? del cittadino, bens? del Comune; ma coloro che a questo non appartenessero, restavano quasi iloti, senza impiego, n? nomi, n? le esenzioni o i privilegi degli altri. Come membri della societ? feudale, i Comuni aveano il diritto della vendetta privata, in conseguenza la guerra. Ciascuno era poi tenuto a quel solo per cui si era personalmente obbligato; donde una grande indipendenza personale; e il Comune provvedeva non al meglio degli individui, bens? all'oggetto di sua formazione, cio? a francarsi dalle vessazioni.

In conseguenza voleasi garantire la sicurezza o la prosperit? col costituire altri Comuni nel Comune, fossero quelli di nobili, d'ecclesiastici, di borghesi, o i minori di ciascun'arte, o de' singoli quartieri. E ogni Comune avea vita propria, con magistrati, borsa, leggi, tutto ordinato sempre alla propria conservazione, n? cooperante al ben generale se non in gravi contingenze.

Gli elementi stessi ond'eransi formati, doveano sfiancare i Comuni, uscendo da una societ? costituita guerrescamente, e da una sovrapposizione di conquiste. Da ci? confusione e mistura nei diritti; e per tradizione o per usurpamento o concessione o piet?, chi l'uno assumeva, chi l'altro; e v'avea possessi e contratti ed eredit? a legge romana, a salica, a longobarda. Il signore feudale o il vescovo a cui eransi sottratti, conservava diritto ad alcune tasse o a privilegi, e a nominare il magistrato coll'assistenza dei deputati comunali. All'arcivescovo di Milano rimaneva sottomessa la parte di citt? che si chiamava il Brolo; in nome di lui si proferivano le sentenze, quantunque non vi prendesse pi? parte; suo un pedaggio alle porte, sua la zecca: privilegi ottenuti dagl'imperatori, o che forse erasi riservati quando volontario o costretto depose l'autorit? principesca di conte della citt?. Quel di Genova partecipava al governo insieme coi consoli, anche in suo nome faceansi i trattati e si segnavano gli atti, e nel suo palazzo s'adunava il consiglio.

Volta veniva che, nel medesimo Comune, sopra certi reati avesse giurisdizione il conte, sopra altri il vescovo; a questo pagavasi una taglia, a quello una dogana; alla tal chiesa un canone speciale, un altro alla comunit?, un terzo all'imperatore, forse il quarto ad un privato od al Comune confinante. Chi dunque dalla citt? uscisse al territorio, passava sopra uno Stato diverso: da una citt? all'altra v'era la differenza che oggi da regno a regno: che pi?? una citt? era qualche volta divisa in due o fin tre giurisdizioni; una ecclesiastica intorno al vescovado, una regia intorno al palazzo o al castello, una comunale; n? di rado ciascuna era cinta di mura proprie, con porte che si custodivano gelosamente. Qualche villaggio era diviso fra due o pi? condomini, aventi ciascuno diverse gabelle, giurisdizioni distinte: l'universit? godeva privilegio di foro pe' suoi scolari, le maestranze una giurisdizione sopra i loro consociati, il monastero sopra la tal fiera da esso istituita: poi diritti d'asilo, poi immunit? personali. A Como il vescovo riscoteva il teloneo da' fornaj: a Pisa la pubblica pesa era privilegio dei Casapieri della Stadera. Talora diversi Comuni costituivano una sola repubblica senza reciproca dipendenza, com'era in Piemonte la Valsesia, e cos? i dodici cantoni della val di Maira, sottopostisi poi ai marchesi di Saluzzo, e come fin oggi vediamo ne' Comuni de' Grigioni. Talora un Comune ne soggiogava altri, formando pi? estesa signoria.

Uniformandosi a questa natura feudale, anche i Comuni, divenuti persone con privilegi e rappresentanza, assunsero una bandiera propria e uno stemma. I pi? dei nostri ebbero la croce, variamente colorata, partita, campeggiata: Venezia adott? il leone del santo suo patrono; Napoli la sirena; Sicilia le tre gambe che ricordano la forma triquetra dell'isola; Empoli la facciata del tempio di Sant'Andrea, attorno a cui si form? la nuova citt?. Milano aveva l'insegna bianca colla croce rossa; poi ogni quartiere spiegava insegna propria, cio? porta Romana rosso, la Ticinese bianco, la Comacina scaccato rosso e bianco, la Vercellina rosso sopra e bianco sotto, la Nuova un leone a scacchi rossi e bianchi, la Orientale un leon nero. Delle regioni di Roma, quella de' Monti ebbe per insegna tre monti in campo bianco; Trevi, tre spade in campo rosso; Campo Marzio, la mezzaluna in rosso; Ponte, il ponte Sant'Angelo in rosso; Parione, l'ippogrifo in campo bianco; Regolo, un cervo in campo azzurro; Sant'Eustachio, una testa di cervo portante la croce; Pigna, una pigna. Cos? delle otto compagne di Genova quella di Castello avea per arma un castello sopra archi sormontato da una bandiera, avente in campo bianco croce vermiglia; di Maccagnana, partito di azzurro e bianco; Piazzalunga, scudo terzato in palo d'azzurro; San Lorenzo, campo ondato rosso; Portoria, orlo di rosso, e in campo un P; Sosiglia, banda di rosso in campo bianco; Portanuova, inquartato d'azzurro e bianco; Borgo, palato in otto pezzi d'azzurro e argento. Altrettanto dicasi dell'altre citt?.

Sul vago e artistico pavimento della cattedrale di Siena vedesi, fatto nel 1373 a pietre tessellate, un rosone, artifiziosamente intrecciato di nove, oltre quattro tondi agli angoli del quadrato circoscritto; e figura lo stemma di questa citt?, cio? una lupa che allatta due gemelli, e attorno ad essa il nome e i simboli di dodici citt? amiche; il leone per Firenze, il lupo cerviero o pantera per Lucca, il lepre per Pisa, l'unicorno per Viterbo, la cicogna per Perugia, l'elefante colla torre per Roma, l'oca per Orvieto, il cavallo per Arezzo, il leone rampante con rastrello per Massa, il grifone per Grosseto, l'avoltojo per Volterra, il drago per Pistoja; animali diversi da quelli che esse citt? portavano di consuetudine.

Spesso l'arma era parlante: come a Torino il toro rampante; a Monsumano e Montecatino, un monte sormontato da una mano o da un catino; a Barga una barca; a Pescia un pesce coronato. Gli animali stessi dello stemma si mantenevano vivi nelle citt?, come a Venezia e Firenze i leoni, una lionessa a Parma, gli orsi a Berna, Appenzell e Sangallo. Quando i tirannetti s'impadronivano d'un Comune, vi univano il proprio stemma, come i Visconti diedero a Milano la vipera; la quale poi insieme col leone veneto entr? nel petto dell'aquila bicipite austriaca.

Nati dal bisogno sentito di esimersi da ingiuste gravezze, non determinati da mutua fiducia ma da mutuo timore, de' loro poteri non trovandosi in verun luogo la definizione e il confine, i Comuni, siccome si erano congiurati per la difesa, congiuravansi di nuovo per sostenere o una fazione o un capriccio; i signori per ricuperare le giurisdizioni; i mestieri e le universit? per sottrarsi ai pesi ed agli abusi: donde reciproca diffidenza, sfrenato egoismo, gelosia che induceva a ricorrere a particolari aggregazioni di classe o di sella, le quali generano il sentimento di corpo, tanto micidiale al sentimento di patria. Mancando un legame universale fra tanti parziali, si perpetuava la lotta de' vassalli colle corporazioni tra s?, de' confratelli di ciascuna corporazione, delle suddivisioni di ciascun Comune: mancando un freno e una direzione centrale, rompevano a guerre, tenevansi armati nel cuor della pace, edificavano le case a foggia di torri, e l'amministrazione era esercitata in mezzo e coll'aspetto d'un perpetuo stato di guerra.

Fondati non su libert? generali, ma su privilegi esclusivi e reciproca gelosia, tutti i Comuni cercavano prerogative a scapito degli altri; ci? che un tempo avevano praticato i feudatarj, allora lo facevano essi, imponendo pedaggi e taglie ad arbitrio, servizj gravissimi ed obbrobriosi: i magistrati municipali operavano con altrettanta prepotenza che i feudali; i prevalenti voleano soperchiare: gli oppressi se ne rifaceano sopra chi non fosse cittadino: l'oligarchia rinnovava le scene dell'aristocrazia antica; anzi, nel mentre i tiranni opprimevano l'uomo, qui toglievasi qualche volta la vita civile a classi intere; e uno statuto milanese del Comune aristocratico, al nobile che uccidesse un plebeo non comminava che tenue multa.

Mal si andrebbero dunque a cercare fra quei Comuni gli esempj della libert? politica, come oggi la intendiamo; alla quale nulla ? pi? avverso che lo spirito di famiglia e di paese. Onde sottrarsi all'anarchia di piazza, i possessori cercavano stabilire qualche ordine restringendosi col re o coll'antico feudatario, donde i partiti interni, fomite di nuove dissensioni. Altre volte ricorsero a que' signorotti medesimi da cui s'erano emancipati, e questi, unita la forza all'abilit?, riuscirono a costituirsi tiranni. E tanto pi? che bastavano bens? a frangere l'ingrata soggezione, e prevalere al barone e al vescovo; ma allorch? que' signori si collegassero, o venisse contro di loro il re o l'imperatore, l'impeto, comunque volonteroso, di borghesi e mercanti non valeva contro eserciti agguerriti, e bisognava ricorrere a capitani addestrati.

I Comuni dunque a principio crebbero a grande importanza, poi cozzarono tra loro; e se in paesi stranieri, annodatisi intorno al monarca, ebbero meno splendore, ma condussero all'unit? nazionale, qui la impedirono. Come in fatto si sarebbe potuto maturare la coscienza nazionale ove ciascuna comunit? avendo l'occhio soltanto a s?, nella sua piccola indipendenza per nulla brigavasi del ben generale? anche quando nell'universale pericolo le citt? s'allearono, come vedremo nella Lega Lombarda o nella Toscana, il vincolo era troppo lasso, troppo scarsa la civile sperienza, sicch? potessero costituire una regolata federazione.

Nei patimenti aveano i borghesi invigorito il carattere per modo, da sdegnare la servit?: ma ? mai possibile arricchirsi a un tratto di civile sperienza? Furono dunque costretti procedere tentoni, parte servendo alle idee rimaste delle antiche istituzioni municipali, parte imitando l'ecclesiastica gerarchia, poi innovando via via che il bisogno si sentiva o cadeva l'opportunit?. Ma se non riuscirono a coronare l'edifizio civile, niuno corra ad incolparli prima di riflettere che costoro erano un pugno di popolani inermi e disorganati, ignari della guerra come della politica, circondati da villani rozzissimi e incalliti al servire, contrastati dall'autorit? regia, dalla signorile, dalla sacerdotale; talch? ci dee piuttosto toccare di grata meraviglia che essi abbiano osato ripudiare la servit? e aprire la nuova era del popolo.

E immensi furono i vantaggi venuti dai Comuni, chi li guardi meno come rivoluzione politica, che come sociale. Mentre la scala degli antichi proprietarj scendeva dal barone o valvassore fino al semplice fittajuolo, quella dei redenti si elevava dal servo della gleba al semplice libero, talch? le razze servili poterono sottrarsi dalle nobili, per arrivare ad un'amministrazione propria e indipendente. In siffatta comunanza d'uffizj e di servigi ribattezzavansi nel nome di cittadini, disimparavano a tenere come unico diritto la conquista e la forza, e obbligati ad uscire dall'angusto circolo de' personali interessi per provvedere ai pubblici, ripigliavano la coscienza delle magnanime cose.

Coi Comuni crebbe l'importanza delle famiglie e degli individui, e in conseguenza si dovette notarli e distinguerli meglio che non si facesse quando l'uomo non era nulla se non per la terra che possedesse, o pel signore cui apparteneva. L'uso latino de' nomi, prenomi, cognomi e soprannomi, accumulati all'eccesso negli ultimi tempi, cadde coll'Impero; giacch? non rimasero quasi che schiavi d'un nome solo, e stranieri che un solo pure ne usavano. I nomi dei santi ebraici o cristiani prevalsero ben presto, e si applicavano o mutavano nel battesimo, il quale soleasi conferire in et? gi? fatta, ovvero nella cresima; talora le donne lo cangiavano al matrimonio, e frati e monache conservarono fin ad oggi di cangiarlo all'atto del professarsi. E poich? ai costumi antichi sta tenace la Chiesa, oggi medesimo i vescovi non soscrivono che col nome di battesimo, e i frati si distinguono solo dalla patria, come usava al tempo della loro istituzione.

Per quanto scarse fossero le relazioni, ? facile scorgere quanta confusione dovesse produrre l'indicarsi l'uomo col nome soltanto; tanto pi? che, nelle scritture, il nome stesso ci si presenta mozzo, diminuito, accresciuto, storpiato. Vi si rimediava in parte coi soprannomi, dedotti da qualit? personali, dal luogo d'abitazione o di provenienza, dall'impiego, e spesso anche beffardi.

Queste per? erano denominazioni personali, che non si trasmetteano alla parentela. Solo quando i feudi si resero ereditarj verso il Mille, da questi si dedusse il titolo delle famiglie; donde quelli di Ro, di Este, di Romano, di Muntecuccoli: e poich? talora veniva da paesi tedeschi, alterandosi nel tragitto in Italia, n'? scomparsa l'etimologia. Non ? per? sicuro indizio d'antico possesso d'un paese l'averne il cognome, attesoch? spesso plebeamente traevasi dalla terra da cui uno si fosse mutato in un'altra. Ma le famiglie che spingono l'albero genealogico pi? indietro del Mille, e que' cataloghi di vescovi, di cui si nota il casato fin in antichissimo, sono vanit? e imposture.

A molti venne il nomignolo dalla nazione, come Franceschi, Lombardi, Milanesi: a molti pi? dal soprannome d'alcuno, ridotto ereditario, ovvero dalla sua professione o dignit?; onde i Grossi, i Grassi, i Villani, i Caligaj, i Molinari, i Calzolaj, i Sartorj, i Malatesta, i Balbi, i Cavalieri, i Barattieri, i Fabbri, i Cacciatori, i Ferrari, i Cancellieri, i Medici, i Visconti, gli Avvocati, e i tanti Confalonieri e Capitanei o Cattanei. La bella moglie acquist? il titolo ai Dellabella; ai Dellacroce un crociato; il pellegrinaggio a Roma ai Romei e Bonromei: l'amore di re Enzo prigioniero per una fanciulla bolognese ? ricordato nei Ben-ti-voglio; un'invenzione preziosa nei Dondi dell'Orologio. Poi il carretto, la rovere, il tizzone, la colonna, la spada, la luna, la stella che uno assumeva per impresa del torneo o per stemma nelle spedizioni, diventava nomignolo; come il colore bianco, rosso, verde, nero, di cui si divisava nelle comparse, o che distingueva la fazione.

Son dunque i cognomi o aristocratici, dedotti dalla terra o dallo stemma; o borghesi, derivati dal mestiero; o popoleschi, tratti dai soprannomi; e molti rustici, dalla localit? o dalla coltivazione, come i Demonte, Dell'era, Dellavalle, Delprato, Delpero, Dellavernaccia. Si sbizzarr? poi assumendo nomi che consonassero o contrastassero col cognome, onde Castruccio Castracani, Spinello Spinelli, Nero Neri, Buontraverso de' Maltraversi, e somiglianti.

Nei capitoli del 1296 di Federico I d'Aragona pel legno di Sicilia, frequente memoria ricorre di schiavi anche cristiani; del qual tempo anche lettere papali e contratti ne menzionano: tra i Veneziani ne incontriamo eziandio nel seguente, come nel Friuli sottoposto al patriarca d'Aquileja. Del 1365 abbiamo un contratto, ove uno schiavo consente di passare da uno ad altro padrone. Fra i provvedimenti fatti per sostenere la guerra di Chioggia, s'imposero tre lire d'argento il mese per ogni testa di schiavo; anzi nel 1463 i Triestini obbligavansi a restituire ai Veneziani i loro schiavi disertori.

Nei Comuni adunque non s'ebbero i vantaggi rapidi d'una subitanea e radicale rivoluzione; ma neppure la terribile responsalit? d'un'insurrezione fallita. Riuniti per la resistenza, ponendo questa per primo dovere e mezzo e scopo, invece di sistemare aveano a distruggere, invece di fondare sconnetteano. Nella lotta si vince, ma l'odio sopravive e diventa seme di discordie; i dinasti mal frenati si rialzano per soggiogare i Comuni; i re ingrandiscono favorendo questi; la spada prolunga la guerra contro l'industria e la capacit?. Que' mali passarono, ma restano gli effetti; resta la rivoluzione da loro operata, perpetua e legittima come quelle che migliorano la sorte delle classi numerose: lo schiavo non ? pi? cosa, ma uomo, dall'impersonalit? sollevato ad avere nome proprio e responsalit?: n? sforzi e sangue e rovine pajono soverchi a questo fine sacrosanto. Dove a pochi ? data la forza e l'intelligenza, facile ? guidar la moltitudine: dove tanti esercizj s'aprono alle facolt? morali e intellettive, come avviene nelle fazioni, grandemente sono eccitati gl'ingegni, e ne esce una gente operosa, accorta, che cerca e trova mille occasioni di segnalarsi: e l'uomo dall'angustia degl'interessi domestici volgendosi alle pubbliche cose, mentre cresce di pratica, nobilita le passioni, dilata l'accorgimento, scopre e pondera i diritti. Che se a noi Italiani i Comuni non lasciarono una patria, lasciarono la dignit? d'uomini; ed offrono nella storia moderna le prime di quelle pagine, tanto attraenti, dove si vede un popolo travagliarsi contro i suoi oppressori, ingrandire col proprio coraggio, rassodarsi con opportune se non sempre savie istituzioni.

Sciolta la servit? della gleba, raccolti sotto un'amministrazione e una giudicatura sola i tre ordini ridetti cittadini, e da tutti scegliendo i consoli, e una specie di unit? ricevendo dalla supremazia del papa, l'Italia trovavasi in essere di nazione assai pi? che non la Francia o la Germania. Non condensata, ? vero, intorno ad una reggia, ma vigorosamente ripartita attorno ai tre centri d'autorit?, il castello, la chiesa, il palazzo comunale, sarebbe camminata ad altissime fortune se gl'imperatori non l'avessero scompigliata col crearsi un partito.

Deboli erano questi, in Germania osteggiati dai maggiori feudatarj, che aspiravano alla sovranit? territoriale; e in Italia dai papi nel lungo certame delle Investiture. Enrico V, ambizioso ed avido ma operoso, accorto, sprezzatore della pubblica opinione, poco sopravisse all'accordo di Worms col papa, e in lui si estinse la stirpe francona, che avea per un secolo dominato la Germania. Lotario II datogli successore , rassegn? il suo ducato di Sassonia, e molt'altri possedimenti al genero Enrico di Baviera, della casa Guelfa: glieli disput? Federico il Losco di Hohenstaufen duca di Svevia, uno degli aspiranti al trono germanico: sicch? fra le due case cominci? l'inimicizia, che, dopo mutato natura ed oggetto, sconvolse Germania e Italia sotto il nome di Guelfi e Ghibellini.

Questi ultimi traevano il nome dal castello di Waiblingen nella diocesi di Augusta, appartenente agli Hohenstaufen; gli altri dalla famiglia bavarese dei Guelfi d'Altdorf. Azzo, marchese di Lombardia, morendo centenario nel 1097, avea lasciato tre figli: Guelfo, che, come nato da Cunegonda erede dei Guelfi di Baviera, and? a ducare questo paese, e divenne stipite della casa di Brunswick, salita poi al trono d'Inghilterra; Ugo si condusse alla peggio, e vend? le proprie ragioni all'altro fratello Folco figlio di Garsenda principessa del Maine, e progenitore dei marchesi d'Este in Italia. Signoreggiava egli il paese dal Mincio fin al mare, cio? Este, Rovigo col Polesine, Montagnana, Badia, oltre molte terre nella Lunigiana e nella Toscana. Guelfo ne pretendeva una porzione; e venuto a ripeterla coll'esercito, collegandosi al duca di Carintia e al patriarca d'Aquileja, di molti paesi s'impadroni: infine fu stipulato che la linea di Germania tenesse un terzo della citt? di Rovigo e la terra d'Este, senza pregiudicare alle pretensioni che ostentava sull'eredit? della contessa Matilde.

Da questa linea proveniva Enrico, che per la cessione di Lotario era divenuto il pi? ricco signore d'Europa e il pi? potente di Germania, tenendo una serie di paesi dal mar Baltico al Tirreno. Ma dalla parte ghibellina Corrado duca di Franconia, fratello di Federico il Losco, aveva redato di qua dell'Alpi i beni allodiali della casa Salica, e scese in Italia cercandone la corona. Un principe non d'altre forze provveduto che di quelle somministrategli dal paese, non poteva riuscir pericoloso alla nascente libert?, onde fu il ben arrivato. A Milano lo storico Landolfo di San Paolo e il cavaliere Ruggero de' Crivelli, deputati dall'arcivescovo Anselmo, discussero le ragioni dei due principi emuli davanti al popolo, il quale indusse il metropolita a coronar re Corrado : molte citt? gli prestarono omaggio e doni; ma Pavia, Novara, Piacenza, Brescia e Cremona stettero contrarie a Milano, fin a dichiararne scomunicato l'arcivescovo che aveva unto l'usurpatore; anche la Toscana repugn? da lui; e Onorio II papa, che aveva riconosciuto imperatore Lotario, scomunic? questo pretendente. Il quale tent? invano occupar Roma; sicch? gli stessi che s'erano chiariti a lui favorevoli per farsene un appoggio, l'abbandonarono quando il videro incentivo di guerre. Maneggiatosi alcun tempo, egli si riconcili? con Lotario, e dopo essere stato a carico de' Milanesi e Parmigiani, part? dall'Italia covando contro i Comuni lombardi un dispetto che trasmise al nipote Federico Barbarossa.

Essi Comuni, appena costituitisi, esercitavano nimicizie un contro l'altro; e particolarmente in quel piano che dalle alpi Retiche e Leponzie declina sino al Po ed al mare, ricco di nove citt? indipendenti, Como, Bergamo, Brescia, Milano, Lodi, Crema, Cremona, Pavia, Novara, frequenti appigli di risse porgeano i terreni confinanti, le rivalit? di mercato, la comunanza delle acque irrigatorie. Presosi quel diritto del pugno, cio? della guerra particolare, che fin l? avevano esercitato i feudatarj, i Comuni, non compressi da superiorit? materiale, non da morale ritegno, abbandonavansi a quella ostilit? di vicini a vicini, che sembra inesorabile maledizione degl'Italiani. Non avevano ancor finito di abbattere i conti rurali, e gi? rompevano guerra Cremona a Crema e Brescia, Pavia a Tortona, Milano a Novara e Lodi; l'ambizione e la forza davano ai poderosi il desiderio e l'ardire di opprimere i deboli.

Pavia, memore di essere stata sede dei re goti e longobardi, e Milano superba d'antichit?, di vasto territorio, di popolazione maggiore e della superiorit? metropolitica, gareggiavano di preminenza, e si contrariavano in ogni fatto. Nella lite delle Investiture Pavia propendeva alla parte imperiale, alla pontifizia Milano, con cui parteggiarono Lodi, Cremona, Piacenza; e per insinuazione della contessa Matilde, giurarono lega di vent'anni onde osteggiare re Enrico, e sostenere Corrado quando al padre si ribell?. Le due parti erano equilibrate di forze; e poich? nessuno stabile nodo le congiungeva, era sicura della vittoria quella che arrivasse ad isolar la rivale. In fatto, secondo preponderasse una parzialit? o l'altra, le citt? mutavano bandiera; e girati pochi anni, a Milano troviamo unite Crema, Tortona, Parma, Modena, Brescia ; mentre con Pavia parteggiavano Cremona, Lodi, Novara, Asti, Reggio, Piacenza.

Quella mescolata che allora si faceva delle prerogative secolari colle ecclesiastiche, portava a nuove scissure. Crema col suo contado, che chiamavasi Isola di Folcherio, era stata a giurisdizione de' marchesi di Toscana, fin quando nel 1098 la contessa Matilde ne fe cessione al vescovo e alla citt? di Cremona. Tale dipendenza spiacque ai Cremaschi, che coll'armi assicurarono la propria libert?: ma di qui cominciarono nimicizie lunghe e vergognose.

Milano pretendeva non solo alla superiorit? che il suo metropolita traeva dal posto gerarchico, e per cui ordinava i vescovi della provincia e li convocava a concilio; ma che a lui competesse anche l'eleggerli, mentre le chiese particolari tenevano gelosamente al diritto antico di nominare i proprj pastori. Da ci? elezioni tempestose, contrastate, doppie, complicate dall'appoggio del papa e dell'imperatore, e per le quali il litigio delle Investiture dalle sommit? sociali scendeva fin a contingenze affatto particolari. Per simili ragioni, e insieme per gelosia del ricco mercato che vi si teneva, i Milanesi campeggiarono Lodi, rinnovando le ostilit?, cio? lo sperpero della campagna e la rapina delle messi per quattro anni, in capo ai quali ridottala per fame, la smantellarono ; gli abitanti dissiparono in sei borgate del contorno, sottoposte a rigide condizioni; sciolsero il ricco mercato, n? Lodi-vecchio risorse pi?.

Eguale contesa per l'elezione dei vescovi cagion? la guerra di Milano contro Como, descritta da un rozzo poeta contemporaneo, dolente di pubblicare il duolo anzich? la letizia d'un popolo da molti secoli fiorente. Aveano i Comaschi eletto canonicamente Guido de' Grimoldi di Cavallasca; mentre il milanese Landolfo da Carcano, destinatovi da Enrico V, si fece ordinare dal patriarca d'Aquileja, parziale d'esso imperatore; intruso di rapina nella sede, procurava mantenervisi ad onta del popolo, e fortificatosi nel castello di San Giorgio presso Maliaso sul lago di Lugano, scialacquava in privilegi e donazioni il patrimonio della mensa. Risoluti a tor di mezzo lo scisma e lo sperpero, i consoli comaschi Adamo del Pero e Gaudenzio da Fontanella coi vassalli di Guido vi assalgono Landolfo, e fattolo prigione, lo consegnano a Guido. Essendo nella mischia rimasto ucciso Ottone insigne capitano milanese , Giordano da Clivio arcivescovo di Milano, invece d'insinuare pace e perdono, espone alla basilica Ambrosiana le vesti insanguinate e le vedove degli uccisi, le quali strillando chiedono vendetta; e serrata la chiesa, egli dichiara resteranno sospesi i sacramenti, finch? non sia vendicato il sangue sparso.

In quelle assemblee tumultuose, dove la passione ? unica consigliera, e l'urlo predomina sulla ragione, fu decretata la guerra; i Milanesi, mandato un araldo a denunziarla, assalsero Como, e incominciarono una guerra, paragonata all'assedio di Troja per la durata, e meglio per l'accordarsi delle forze lombarde contro una sola citt?.

Il guerreggiare d'allora non conduceva a pronti esiti, come le imprese comandate e dirette da volont? unica e robusta. Un Comune avea ricevuto un torto, e nel consiglio erasi decisa la guerra? pi? giorni rintoccava la campana, acciocch? gli uomini capaci s'allestissero d'armi; uomini che mai non s'erano esercitati insieme, che fin allora aveano badato ai campi o alle arti, e che non usavano n? vestire n? armi uniformi, unicamente diretti a vincere e far al nemico il peggior male. A buona stagione traevasi fuori il carroccio, e dietro e attorno a quello moveva la gente contro il territorio nemico, stramenava le campagne, sfasciava i casali, rapiva gli armenti che non avessero avuto tempo di ridursi nel recinto della citt?, alla quale poi mettevasi assedio, procurando il pi? delle volte prenderla per fame, giacch?, prima de' cannoni, le terre murate aveano sempre il vantaggio sopra gli assalitori. Nelle guerre feudali vedemmo i soldati abbandonare il capo a mezzo dell'impresa, allo scadere dell'obbligato servizio. Qui gli assalitori erano gente che avevano campi, arti, famiglia, interessi, onde mal sopportavano i diuturni accampamenti, e alla mietitura o all'avvicinarsi della vernata tornavano a casa a rifocillarsi, per ripigliar poi col nuovo anno la campagna.

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