Read Ebook: Del governo della peste e della maniera di guardarsene by Muratori Lodovico Antonio
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Tanta quantit? d'ingredienti spaventer? forse alcuni e rincrescer? ad altri; ma io per me tengo essere bens? utili, ma non essere necessari molti d'essi, e bastare per li primi due profumi i principali d'essi ingredienti che sono presso a poco i sei primi. E per conto dell'ultimo profumo della sanit?, dovrebbono bastarne alcuni altri, fra' quali non si dee mai tralasciare il solfo, la cui virt? contra gli spiriti pestilenziali ? di troppo momento, anzi sola basterebbe allo spurgo delle case e delle robe. Che se ancora tali aromati mancassero alla povera gente, procuri essa almeno di prendere legno o foglie e grani di cipresso e di ginepro, rosmarino, timo, lavanda, salvia, maggiorana, absintio o sia medichetto, o sia assenzio, melissa ed altre erbe simili di sano e potente odore, e ben secche le riduca in polvere, e mescolatele con un poco di solfo, ne faccia profumo. Le ragioni fisico-mediche comprovano il valor di tali profumi; e Francesco Ranchino con altri stima essere maggior l'efficacia di quei che son fetenti o velenosi; ma io lasciando tali ricerche, mi ristringo alla sperienza e all'uso, per quanto c'insegna il mentovato cappuccino.
Il profumo, dice egli, della sanit? ? un preservativo mirabile; e se dall'uomo, cui convenga trattar con altri ed esporsi ad evidente pericolo di restar ferito, sar? applicato a s? e alle vesti prima di partirsi di casa, non si contrarr? il veleno pestilenziale, merc? della qualit? contraria impressa avanti da quel fumo, la cui virt? da me scoperta la provarono i maestrati di Genova, i quali, bench? pi? fiera che mai incrudelisse la peste, ad ogni modo, uscendo per soddisfare nella citt? alle obbligazioni delle cariche loro, mai pi? per divin favore non s'infettarono. Impedirono cotali profumi che non si dessero alle fiamme tante robe, come si faceva prima con danno incredibile de' particolari, e pericolo della stessa citt? per altri conti. Per mezzo d'essi non si smarrisce cosa alcuna, n? meno abbandonandosi dagli abitanti le lor case, e si toglie a' ladri la comodit? di rubare.
Questi profumi mutano l'aria delle case. Giovano, ? vero, ancora i gran fuochi ne' cortili e innanzi alle finestre; ma non s'hanno a tralasciare gl'interni delle medesime. Vero ? che le robe sospette o infette, purch? possa in tutte le lor parti giocar l'aria e il sole, se vi stiano esposte per lungo tempo, si purgano abbastanza. Senza questo si cover? quel veleno e potr? far gran danno anche molti anni dopo. Pi? sono stimabili i profumi perch? in termine di ventiquattro ore restano purgatissime le case e i lazzeretti medesimi e insino i letti degli appestati; laddove le robe esposte all'aria han bisogno di quaranta giorni, tempo molto lungo per una purga, e sono sottoposte a vari accidenti di pioggia e ladri, e ad altri incomodi.
I profumi si fanno cos?. Bisogna chiuder porte, finestre e cammino; e sopra una corda distribuire e collocar le vesti infette, lenzuola, coperte, ecc., scucendole prima. Poi prese quattro o cinque libbre di fieno molto secco, e compresso ben questo fieno vi si ponga sopra tanto profumo, quanto capir? in ambe le mani unite insieme per due volte; e poscia ricoprir questo con altro poco fieno spruzzato d'aceto, acciocch? quella materia non si consumi se non a poco a poco. Si attacchi il fuoco dalla parte di sotto in due o tre luoghi del fieno, sostenendolo con bacchetta; e non si parta il profumatore, se nol vedr? ben acceso. Dopo di che si ritiri ognuno, e si chiudano le porte molto bene. Alcuni persuadono l'esporre anche dipoi le robe all'aria libera, e il maneggiarle e batterle con verghe. Sar? utile, ma non ? forse necessario.
Per le robe non infette, ma sospette, baster? aprir le casse, le credenze, gli armari, le scatole, gli scrigni, ecc. Le robe preziose si potran coprire con qualche tovaglia o tela grossa, affinch? non ricevano in s? la parte pi? grossa e terrea del fumo. Le vesti, ove sia argento, e cos? i vasi d'argento patiscono notabilmente, come ancora le pitture; e per? si pu? adoperar loro qualche leggier profumo in camera aperta, o pure esporli all'aria e al sole per quindici d?. Alle robe solamente sospette si pu? adoperare il solo profumo della sanit?. Per l'espurgazion delle case infette ? necessario il primo dei suddetti profumi, fatto il quale, si lascino per tre giorni ben chiuse la casa e le stanze; e dipoi spalancate le porte e finestre, si faccia che l'aria vi giuochi e ne scacci il cattivo odore. Si pu? dipoi, occorrendo, far ivi qualche soave profumo, per liberar le camere dal puzzo. Oltre a ci? ? ottimo consiglio il fare, e prima e poscia, scopar ben bene tutte le stanze e insino i cammini, e in fine imbiancar di nuovo le muraglie; e credo io che gioverebbe ancora il solo bagnarle con acqua ove fosse stemperata calce viva. Certo la calce smorzata con acqua entro le camere infette, ? creduta bastante col suo penetrante fumo a dissipare o consumare i semi nascosi del contagio; e la sperienza lunga ha poi fatto conoscere che il dare pi? d'una mano d'essa alle pareti, riesce uno spurgo delle case sicuro ed egualmente comodo a' poveri che a' ricchi. Deesi pur lavare il pavimento ed altri mobili delle stanze, purch? ne sieno capaci, con un forte liscivo o aceto; avvertendo di non lasciare indietro alcun ripostiglio o masserizia e mobile capace di simili lavande e sospetto d'infezione, con levar via insino le tele de' ragni, e mandar lontano dalla casa tutte le immondezze ivi raccolte e bruciarle. Natal Conti narra che nella peste di Venezia del 1576 pi? di tutti gli altri giovarono dodici Grigioni, i quali tra due o al pi? quattro giorni, purgavano le robe contagiose; n? molti, quantunque diligentissimi perscrutatori, poterono intendere il modo da lor tenuto. Usavano diversi, spessi ed efficacissimi profumi, e praticando nelle case senza nocumento alcuno, restituirono le robe purgate ai padroni che pi? non ne sentirono danno. Cos? era vicina nell'anno 1675 a rimanere affatto spopolata per cagion della peste l'isola e citt? di Malta; ma chiamati col? i profumatori di Marsiglia, non diversi nell'operare dal P. Maurizio da Tolone, seppero cos? ben profumare case, robe e persone, che indi a poco cess? interamente quella terribile pestilenza.
Per li lazzeretti e per le sepolture, ove imprudentemente fossero stati seppelliti cadaveri d'appestati, a fine di non perderne l'uso e di levar anche i pericoli, caso che s'aprissero un giorno, usava il suddetto cappuccino il secondo de' profumi, cio? il pi? violento. In Genova nella peste del 1656 purg? egli 430 tombe, ripiene sino al colmo, colla seguente ingegnosa invenzione. Fece fare un tabernacolo di legno, cio? il telaio d'una gran cassa quadrata lungo e largo dodici palmi; e fattolo tutto al di fuori coprire e foderar molto bene di tela incerata, di modo che non potesse il fumo aver uscita, lasciava nelle parti che poggiavano in terra due fenestrelle quadrate di quattro palmi l'una, acciocch? per l'una d'esse si aprisse il sepolcro e per l'altra si preparasse o presentasse il profumo. Questo telaio si andava postando sopra cadauna sepoltura; e mentre questa dall'una delle fenestrelle facilmente s'apriva, dall'altra si accendeva e spingeva dentro la composizione violenta. Ci? terminato, tutte e due subito si chiudevano; e quel terribil fumo penetrando nelle tombe, non solo soffocava e distruggeva il veleno pestilenziale, ma corrodeva e consumava i cadaveri stessi. Dopo un'ora estinto il profumo, si rimoveva il cassone dall'avello, e in esso gittata copiosa quantit? di terra, e calata poi con una fune nel vacuo rimanente nuova materia da profumare ben aspersa di solfo pesto, vi si lasciava accesa, con riporre al suo luogo la pietra e suggellarla diligentemente con calcina, acciocch? il profumo di dentro purgasse ogni cosa. Dopo qualche anno si poteano liberamente aprire ed usar quelle sepolture. Ma chi abbonder? di giudizio, non avr? mai bisogno di fare espurgar le tombe, perch? in tempi di peste non permetter? che alcuno sia ivi seppellito.
Gi? ? manifesto doversi espurgar tutte le robe infette o sospette, sieno del paese o della citt?, sieno forestiere, n? poter queste rientrar nel commercio degli uomini e de' padroni stessi, se non sar? preceduto lo spurgo: sopra che debbono farsi ordini rigorosissimi, con replicarli ed accrescerli, affinch? tutto venga denunziato fedelmente ai deputati, ancorch? fossero robe d'altri, e bench? rubate; nel qual caso non si proceder? criminalmente contra i ladri denunzianti. In Roma, ove ogni cosa dovea portarsi agli espurgatorj e ben lontano, con quel grave incomodo che si pu? facilmente immaginare, ma che si pu? anche schivare usando i sopra insegnati profumi, i deputati allo spurgo prendeano per s? una nota di tutte le robe loro consegnate, e un'altra simile ne lasciavano ai padroni. Erano costituite gravi pene ai deputati che levassero cosa, bench? di minimo valore, portata allo spurgo: il che dee praticarsi in ogni sistema. Le gioie, danari, ori ed argenti si purgavano senza levarli dalle case dove si trovavano, e doveano subito consegnarsi ai padroni, o non essendovi essi, portarli al Monte di Piet? in credito d'essi padroni o eredi. Era vietato a tutti, ed anche agli ecclesiastici, l'entrare senza licenza negli espurgatorj, siccome luogo infetto o sospetto. Sogliono anche deputarsi religiosi per sovrastanti allo spurgo; e i medesimi assistono all'inventario delle robe, entrando anch'essi nelle case per impedire che i ministri non rubino. Sempre poi dee avvertirsi che gli espurgatori e i condottieri di robe infette o sospette non hanno da praticar con altri, e saran tenuti a portare abiti e segni distinti, siccome gente sospetta. Nella nostra citt? fu nel 1630 prudentemente pubblicata intimazione che i mobili e le case da espurgarsi non si potessero espurgare n? far espurgare senza l'intervento dei pubblici deputati e senza servare il modo prescritto per tal funzione; ed altrimenti facendo, dovea riputarsi nullo, e rifarsi lo spurgo. Le citt? ricche alle spese del pubblico fanno espurgar case e robe o almeno esentano i poveri da tale aggravio. Quantunque poi molti de' beccamorti ed espurgatori sogliono resistere al mal contagioso, tuttavia per ogni buon fine vien loro consigliato e prescritto, allorch? hanno da entrar in case ammorbate, il prendere prima qualche antidoto e il non andarvi digiuni. Abbiano sempre la lor sopravveste di tela incerata ed anche alle mani guanti di simil materia. Entrino col? portando avanti a s? vasi di fuoco che faccia fumo. Entrati, aprano le finestre e gli usci, ritirandosi, finch? l'aria abbia fatto un poco di sventolamento, e dispersi que' maligni vapori. Dopo di che facciano l'uffizio loro. Altri sogliono, e saggiamente entrar nelle case infette con de' soffioni accesi, composti di polvere da fuoco, salnitro, canfora, carbone di salce, e con un poco d'acquavite, o pure con torcia da vento accesa. Per alcuni gi? avvezzi a trattar dimesticamente con gli spiriti pestilenziali, parran forse superflue alcune di queste precauzioni; ma pur troppo quello ? un nimico da non fidarsene mai; e per? anche gli espurgatori abbiano manopole, legni lunghi, graffi di ferro, mollette, forchette ed altri ordigni per maneggiare il men che potranno colle mani le robe.
A fin poi di ben comprendere la somma importanza e necessit? di una esatta e fedele espurgazion delle case e robe infette, ha ciascuno da imprimersi altamente nell'animo che tali robe e case facilmente possono portar la morte a' padroni stessi e a qualunque altra persona che le maneggi o le abiti, non solamente allorch? dura la peste, ma eziandio dappoich? essa ? cessata. Quella di Roma nell'anno 1656 fin? verso la met? di marzo; ma per l'occultare che suol farsi delle robe infette e non spurgate, il male ripullul?, con succedere varie morti anche per alcuni mesi dipoi, finch?, replicate le diligenze, rest? esso affatto espugnato circa il principio dell'agosto. In tali casi, bench? fosse stato restituito il commercio colle terre e citt? confinanti, ? necessario levarlo francamente di nuovo, col bandire s? stesso dai sani, cos? esigendo la buona politica e la carit? cristiana; e s'ha poi da restituire a poco a poco la comunicazione, secondoch? detter? la prudenza. In Marsilia l'anno 1649, gi? cessata la peste e restituito il commercio, dal contatto d'alcune vesti non ancora purgate fu riacceso il fuoco in alcuni quartieri della citt?, il quale con rigoroso governo fu s? valorosamente ristretto che non s'innoltr? in altre parti della citt? con incendio maggiore. Il che si noti ancora, per chiudere, occorrendo, quelle contrade che sole fossero infette, tentando la preservazione di quelle che fossero sane. Gli editti pubblicati in Modena l'anno 1630 fanno giustamente sospettare o credere che anche dopo il d? tredici di novembre succedessero casi di peste entro la medesima citt?, essendo rimaso nel solo seguente gennaio affatto estinto il malore per le diligenze che si replicarono. Quello ancora che dee far pi? spavento, si ? la sicura testimonianza di Filippo Ingrascia, celebre medico, il quale narra che finita in Palermo la peste, per cui egli tanto scrisse ed oper?, questa da l? ad un anno ripullul?, e s? fieramente, come se non vi fosse stata dianzi; colpa di robe non purgate e portate col? da altri luoghi non peranche liberi dal male. Cos?, terminato affatto in Firenze il contagio l'anno 1631, e restituita col commercio la pubblica tranquillit?, vi fu esso di bel nuovo portato da Livorno nel 1632. Come si pot? il meglio fu fatto riparo a questo nuovo assalto con rimettere il lazzeretto e usar le altre diligenze, tanto che si credette con grande allegrezza della citt? estinto il malore. Ma sul principio del 1633 divamp? esso in un pi? grave incendio per cagione di panni infetti venduti agli Ebrei e seminati per la citt?. E per? anche finita la peste, bisogna invigilare a' casi che seguono, perch? questo ? un male che rifiglia. N? per altro ? credibile che si rinnovi tanto spesso in Costantinopoli e in altre citt? del Turco la pestilenza, se non perch? ivi troppo bestialmente si sprezzano o si trascurano gli spurghi. Il Fracastoro, Giorgio Garnero, Alessandro Benedetto, Erasmo Edeno, Mattia Untzero ed altri scrittori raccontano vari casi di robe infette che dopo molti mesi ed anche anni, tirate in luce e toccate infettarono le persone. Tralascio tanti altri esempi, bastando questi per ben concepire che grave tradimento, s? del pubblico come di s? stesso, commetta chiunque nasconde robe, vesti e masserizie infette senza i convenevoli spurghi, e quanto sia biasimevole e nociva in questo punto la negligenza o indulgenza de' magistrati.
Noteremo ora altri ricordi intorno all'infezione che pu? venir dalle robe, e intorno allo spurgo delle medesime. E primieramente a fin di salvarne molte dalla necessit? dello spurgo, riuscir? di maggior quiete e minore incomodo del pubblico, e di sommo vantaggio de' particolari prima che nella casa succeda accidente alcuno di peste, il levare dalle guardarobe e stanze tutti i mobili, le scritture, pitture ed ogni altra suppellettile che non servisse all'uso quotidiano o non potesse bisognare in que' pericolosi tempi, e far tutto rinchiudere in una o pi? stanze con far sigillare le porte di essa o di esse camere per mano di pubblico ministro, e con sigillo del pubblico o almeno con sigillo e rogito di pubblico notaio, di maniera che nessuno possa entrarvi senza rompere quel sigillo. Operando cos?, qualora dipoi avvenisse disgrazia di peste in quella casa, le robe tutte ivi rinserrate s'intenderanno non suggette all'incomodo degli spurghi. In Ferrara nel 1630 fu per buona precauzione ordinato agli ufiziali del monte di piet? e a' banchieri ebrei di mettere in luogo separato i pegni da loro presi per l'addietro, e non di confonderli coi susseguenti, bollando le stanze ove li riponevano, con sigillo e notizia del pubblico o in altra maniera che assicurasse non aver eglino dipoi maneggiate pi? quelle robe.
Gli animali irragionevoli possono ricevere nei loro peli o piume gli spiriti pestilenziali e portarli seco e comunicarli a chi degli uomini non si guarda, bench? eglino per l'ordinario nulla ne patiscano, essendo cosa notissima che la peste d'una spezie d'animali non suol ferire quei dell'altre spezie, ma s? ben dilatarsi e comunicarsi per mezzo ancora di chi non ne resta internamente infetto. Cos? all'incontro ? avvenuto ed avviene nella terribil mortalit? delle bestie bovine, che da tre anni in qua va devastando senza rimedio tanti territorj di Lombardia, ed entra, mentre sto scrivendo, anche nel nostro paese, con far parimente una misera strage nel regno di Napoli, nello Stato della chiesa romana, in Olanda e in altre parti dell'Europa, mentre gli uomini praticando con buoi e vacche infette senza provarne eglino danno alcuno nella persona portano via quegli alimenti velenosi e infettano disavvedutamente le stalle, proprie o d'altrui. Perci? in tempo di peste convien provvedere al pregiudizio che possono recare i cani e gatti col portare nella lor pelle alle case e persone sane l'infezione raccolta altrove, siccome ce ne assicurano Marsilio Ficino, Guglielmo Grattarolo ed altri. Sogliono perci? le ben regolate citt? allora far editto che si uccidano tali bestie, e il pubblico d'alcune ha talvolta pagato sei o otto giulj per cadaun cane ucciso, purch? fosse d'altri. Dovendosi nondimeno osservare che nel 1630 per essere stati ammazzati tanti gatti in Padova, fu quella citt? col suo territorio soggetta per gli due anni seguenti ad una mirabil quantit? di sorci; parrebbe pi? sicuro ripiego il solamente ordinare che tutti custodissero con diligenza, anche per proprio bene, i loro gatti e cani, con facolt? poi ed ordine di ammazzar quelli che uscissero delle case e vagassero per le strade o per le case altrui. Si pu? esser pi? rigido co' cani cittadini, perch? la lor vita regolarmente importa poco al pubblico, e sarebbe sciocchezza il volere unicamente per lusso esporre a un gran pericolo la propria e l'altrui vita.
Per poi regolarsi bene nel commercio o contatto degli altri animali e delle altre robe, si osserveranno le seguenti regole tratte da' migliori maestri. Alcuni tengono che l'oro, l'argento e gli altri metalli non ricevano n? serbino contagio; e il suddetto Ingrascia fa sapere agli altri medici che piglino pur le monete allegramente, mentre anch'egli faceva lo stesso insino dagli appestati, e cos? caldi caldi se li metteva in tasca, non avendo operato diversamente gli altri medici e cerusici del suo paese, e tutti senza infezione e danno. Certo la superficie de' metalli per s? stessa, a cagione della lor densit? e freddezza, non par capace di ritener gli spiriti velenosi della peste. Tuttavia perch? pu? essere attaccata qualche ruggine, feccia, untume o altra materia impura o terrea ad essi metalli, e massimamente a' danari, e con ci? unirsi gli aliti pestilenziali, e possono i medesimi essere stati toccati dal sudore d'un infetto: per ogni maggior cautela si dee ritenere o non abbandonare la regola inveterata di purgarli, mettendoli in aceto o in acqua ben calda. Le pietre preziose anch'esse si porranno solamente in acqua, acciocch? non restino offese dall'aceto. Da altri si crede che la carta e per conseguente le lettere non contraggano n? ritengano l'infezione per cagione della lor superficie consistente e liscia. Trattandosi nondimeno di risparmiare i pericoli, s'ha da ritener la saggia cautela di profumare o bagnar coll'aceto le carte sottili da scrivere o da stampare, e di profumare i libri, ma con pi? diligenza; e non sarebbe se non bene il tenere, dopo i profumi, la carta grossa e i cartoni e le pergamene all'aria per molti giorni. Per conto poi delle lettere suddette, costume lodevole si ? il profumarle ben bene, bagnandole anche prima con aceto, e il tagliare i pieghi affinch? entro vi penetri il profumo. Gli espurgatori di esse lettere debbono contenersi come gente sospetta, e perci? non trattar co' sani, e hanno anch'essi da preservarsi con guanti, incerate, profumi, ecc. Le lettere che vengono da paese infetto o non si debbono ammettere, o convien aprirle e profumarle con pi? diligenza. Che se ne' pieghi delle lettere si chiudesse altro che carta, s'ha da provvedervi con aprirle; avvertendo di deputare per s? geloso ufficio persone timorate di Dio, ed anche religiose che prendano giuramento di non rivelare i fatti altrui.
I vasi di vetro coperti di paglia o vimini si purghino col profumo; se nudi, con acqua sola. Ogni sorta di panno, corde e tele, s? di seta come di lino, canapa, bambagia, e massimamente di lana, si purghi per due ore col profumo della sanit?. Le piume, i peli e le pelli d'ogni animale, quando non sieno salate di fresco ed umide, sono soggette a ricevere e comunicar l'infezione; e per? si debbono ben purgare o con profumi o con esporle per molto tempo all'aria e al sole. I cavalli, buoi, vitelli, muli ed altri giumenti e le capre, purch? si facciano prima transitar per acqua ovvero sieno immersi pi? volte in essa o lavati interamente due o tre volte con essa, potranno ammettersi, avvertendo per? che vengano nudi; perch? portando capezze, corde, briglie o selle, si dovranno tali arnesi profumare o almeno lavar con lisciva o con sapone. A' castrati ed agnelli e alle pecore, se avranno pelle, e molto pi? se questa sia ben lanuta, sar? necessaria maggior diligenza, per essere certo che la lana riceve e nutrisce pi? delle altre cose il veleno pestilenziale. I polli, i capponi, le galline e gli uccellami tutti, quando abbiano le piume, insegnano alcuni che non basti il tuffarli nell'acqua, ma che si ricerchi l'immergerli pi? volte nell'aceto, ovvero per pi? sicurezza, spogliatili delle piume, abbrostolirli; ma altri tengono che sia sufficiente una buona lavata con acqua pura.
L'uova cavate dalle ceste e poste sulla nuda terra, si prenderanno senz'altro con rimetterle in altre ceste; e lo stesso pu? farsi per le erbe e frutta e per le carni fresche senza pelle. Andr? nulladimeno pi? sicuro chi laver? con acqua robe tali. L'olio pu? prendersi colle nude pelli senza altra diligenza, purch? non vi si lascino corde oltre a quella che lega sufficientemente la bocca della pelle, la quale non ? capace d'infezione. Il pane, vino, zucchero, i limoni, cedri e aranci, il mele, i salumi e formaggi, gli aromati, le robe medicinali, le cere e le droghe d'ogni sorta si possono ricevere liberamente, avvertendo solo di levare gli invogli, le corde, i secchi, le carte, le casse, i vasi, i barili ove fossero tali robe. Cos? le farine, il frumento, frumentone, o sia grano turco, e tutti gli altri grani e legumi si possono liberamente prendere, a riserva sempre de' sacchi e d'altri simili invogli ed arnesi, che si debbono lasciare indietro o profumare o lavar con acqua secondo la loro qualit?.
Ed a fine di regolar bene colle maggiori cautele possibili il commercio tra chi conduce o vende e chi ha da comperare grani, vino ed altre grasce e commestibili che abbiano detto esenti dal portar seco infezione, ? da fuggirsi per quanto si pu? l'avvicinamento delle persone e il contatto delle vesti, de' sacchi e d'ogni altra roba che possa, coll'aver seco la peste, pregiudicare a chi ? sano. Per questo ottima regola si ? il deputar certi siti e luoghi aperti, fuori, se si pu? mai, della citt?, con piantar ivi due file di cancelli o palizzate, che impediscano dall'una parte e dall'altra il passaggio e contatto de' cittadini e paesani. Le robe vendute si depongono in terra, o sopra lenzuoli o coperte stese in terra, quando si possa, e poi vanno a prenderle i compratori. I vini ed altri liquori si v?tano da quei di fuori ne' vasi deposti in terra dai cittadini, senza toccar punto essi vasi. Il danaro che si sborsa sar? purgato per ogni buon fine da chi il riceve, bagnandolo in aceto. E perciocch? troppo ? necessario che vengano alla citt? le grasce o vettovaglie, e ci? dee anche farsi senza pregiudizio della salute de' condottieri; sar? libero a questi il poter andare e venire colle loro fedi di sanit?, purch? non si levino dal diritto cammino e si guardino di praticar per viaggio con genti sospette. A qualche osteria deputata in mezzo al cammino dovr? farsi la posata dai vetturali. Fuori della citt? saranno deputate osterie per loro soli; e si far? il commercio della roba da loro condotta ai cancelli posti fuori d'essa citt?, in maniera che i sani esteri non pratichino coi sospetti cittadini. Nulla si dovr? consegnare se non alla presenza de' commissari, che invigileranno all'esecuzione degli ordini, affinch? non segua miscuglio n? contatto. I consoli o massari delle arti si troveranno ad essi cancelli per istabilire i prezzi e far tosto pagare e sbrigare i condottieri. Si vieter? ai commessari delle porte il comperare e mercantar le vettovaglie portate ai cancelli, per rivenderle poi ai bottegai, bench? per altro sia da procurare che, mancando compratori, vi sia qualche deputato il quale comperi quelle robe, affinch? si tenga viva ne' rustici e in altre persone estere la voglia di condurne e di accrescere il mercato, e a fine ancora di spedire in breve i poverelli del contado, aspettati a man giunte dalla misera lor famigliuola con qualche soccorso.
Con queste ed altre simili precauzioni un popolo sano pu? aver commercio di vettovaglie con un altro infetto, senza contrarne la stessa disgrazia. E perci?, posto ancora che l'uno bandisca l'altro, si pu? ai confini fare una specie di mercato, quando vi sia bisogno di ricevere o comperar grasce, obbligando per? tutti a non far questo commercio se non ne' luoghi destinati e sotto gli occhi de' deputati da ambedue le parti. In Modena fu fatto editto che niuno potesse toccar vettovaglie, frutti e simili commestibili prima d'averli pagati. Nelle citt?, e massimamente in quelle di gran popolazione, bisogna provvedere che tutta la gente non concorra ad un luogo solo per comperar da vivere, perch? ci vuol poco ad intendere che mescolandosi e fregandosi insieme moltissimi, alcuni pochi infetti, de' quali ne trapela sempre fuori qualcheduno, possono appestar gli altri; pericolo a cui sono sottoposti tanto i poveri quanto i ricchi, quelli per andarvi in persona, e questi pel commercio con la servit?. Tutte le botteghe ove si vendono robe soggette a ricevere infezione e quelle dei commestibili, e cos? le spezierie, dovranno tener chiuse le loro porte o con rastrelli o in altra forma, di modo che niuno v'entri, ma si eseguisca la consegna delle robe o per le finestre o pei cancelli; n? si faccia adunanza entro o davanti bottega alcuna. Specialmente si usino tali riguardi alle botteghe de' fornai e a' macelli, o sia alle beccherie. Le stesse cautele possono proporzionatamente osservarsi nel somministrar cibi ed altre robe agl'infetti o sospetti di mal contagioso, potendosi ci? bene spesso fare senza accostarsi loro e senza toccare i loro vasi e robe. Nella peste di Roma del 1656 furono pubblicate sagge istruzioni, raccolte poi tutte dal cardinale Gastaldi nel suo Trattato della Peste, con insegnar al popolo la maniera di governarsi nel commercio delle robe e persone. Altre ne furono fatte pei deputati ai quartieri ed ai mercati fuori della citt?; pei medici, cerusici, speziali, osti, guardarobieri, soldati di guardia ed altri ministri de' lazzeretti; pei deputati all'espurgazione delle case e robe infette o sospette, insegnando ancora la maniera di far tali spurghi. Cos? nel 1680 furono stampati in Ferrara vari ordini da osservarsi in sospetti e tempi di contagio da tutti gli uffiziali della sanit?, con un editto ancora del vescovo pei conventi delle monache, mentre allora la peste di Vienna metteva molta apprensione all'Italia tutta. ? degna quell'opera di essere studiata e tenuta davanti agli occhi dai maestrati delle altre citt?, alla prudenza de' quali in tempo di contagio apparterr? il vedere quali e quante istruzioni s'abbiano a formare e pubblicare, secondo le forze e il sistema di ciascuna.
Hanno in oltre i maestrati da invigilare non solamente per impedire che il morbo non si comunichi e dilati inavvertentemente per lo commercio delle persone e robe infette o sospette, ma ancora per vedere che non sia esso accresciuto dalla malizia e diabolica ingordigia degli scellerati. ? cosa che fa orrore, anzi pu? comparir tosto come incredibile, cio? che si dieno delle pesti suscitate o dilatate per via di veleni, polveri ed unzioni pestifere. Alcuni negano che ci? sia avvenuto mai o possa avvenire; ma superiori in numero e pi? accreditati sono quelli che l'asseriscono, e citano i casi. Raccontano essi che nella peste di Casale del 1536 furono giustiziati molti i quali in numero di 40 s'erano congiurati per moltiplicare la mortalit? con unguenti e polveri pestilenziali. Niccol? Polo scrive succeduto lo stesso in Franchestein l'anno 1606. Ercole Sassonia e il celebre nostro Falloppia attestano il medesimo della peste de' loro tempi, ed altri narrano fatta la medesima scelleraggine in diverse pesti di Ginevra, Parma, Padova e d'altre citt?. Non importa che io citi gli autori. Mattia Untzero nel lib. 1, cap. 17 del suo Trattato della Peste ne ha raccolto molti. Ma nessun caso ? pi? rinomato di quel di Milano, ove nel contagio del 1630 furono prese parecchie persone che confessarono un s? enorme delitto, e furono aspramente giustiziate. Ne esiste ivi tuttavia la funesta memoria nella Colonna infame posta ov'era la casa di quegli inumani carnefici. Il perch? grande attenzione ci vuole affinch? non si rinnovassero pi? simili esecrande scene.
Tuttavia avvertano i saggi maestrati e i lettori che una tal vigilanza non degenerasse poi in superstizione e in timori ed in apprensioni spropositate, dalle quali potrebbono poi nascere altri non meno gravi disordini. Il punto ? di particolare importanza, e per? bisogna pesar bene e tenersi a mente anche le seguenti riflessioni: Egli ? facilissimo, secondo me, che sia accaduto spesso ed accada spessissimo anche di nuovo ne' tempi di peste ci? che veggiamo tante volte accadere nei mali straordinari o non molto usitati delle donne e de' fanciulli del volgo, mentre con gran leggerezza s'attribuiscono quasi tutti a malie e stregherie e ad invasioni di spiriti cattivi, giungendosi anche talvolta non solo a sospettare, ma a credere streghe certe povere donne che altro delitto non hanno se non quello d'esser vecchie. Molto pi? senza paragone possono occorrere tali sospetti nell'inusitato ed orrendo spettacolo d'una pestilenza, al mirar tante morti, e tanti che, di sani che erano, restano all'improvviso estinti. Basta che un solo cominci a sparger voce, bench? dubbiosa e timida, che quella misera e non mai pi? veduta carnificina proceda da stregherie, unguenti, o polveri di veleno artefatto, affinch? tal voce prenda gambe e corpo, e diventi una indubitatissima verit? in mente dei pi? del popolo. Il solo aver letto o inteso a dire che si danno e si sono date dilatazioni di peste per empia e crudel manifattura d'alcuni, ? bastante a cagionare in molti una fiera apprensione dello stesso, e che l'apprensione gagliarda ad ogni picciol rumore od osservazione passi in ferma credenza. In que' tempi s? calamitosi, nei quali, per attestato di chi n'ha veduta la prova, non si pu? dire quanto sia il terrore del popolo, passando esso insino a farne molti stolidi ed insensati, egli ? troppo facile il concepir simili spaventi, e che alla fantasia sembri poi di trovar qua e l? fattucchierie, e unti i martelli delle porte, o le panche o i vasi dell'acqua santa nelle chiese, e sparse polveri pestifere, e simili altre visioni.
Un'altra gran cura de' maestrati della sanit? in tempo di peste ha da esser quella de' lazzeretti, per prepararli sul principio, se gi? sieno fatti, o pure per costruirli, se mancassero, con provvederli di tutto il bisognevole, cio? di ministri, letti, mobili, medicamenti, vettovaglie, ecc. Sieno questi separati, se si pu?, dal corpo della citt?, ma non molto lontani, in sito d'aria buona, ed abbiano le stanze che non comunichino l'una con l'altra, acciocch? sia diviso chi abita, e ricevano aria pi? tosto dalla tramontana che dal mezzogiorno, dovendosi tener chiuse le finestre allorch? spirano dalle parti meridionali venti caldi, sempre mal sani, ma specialmente in tempo di peste. Abbiano fosse e mura d'intorno che impediscano ai sani il commerciare e l'accostarsi, e agl'infermi il fuggire; con due sole porte ben custodite dalle guardie, per l'una delle quali entrino gl'infermi ed escano i cadaveri, e per l'altra passino gli uffiziali e le vettovaglie. Il cimitero sia per un gran tratto distante da essi, acciocch? i suoi vapori non arrivino ad accrescer l'infezione di chi sta ne' lazzeretti. Le case o camere degli uffiziali sieno segregate anch'esse in buona forma dalle camere degl'infetti; anzi, se mai si pu?, la loro abitazione sia separata affatto dallo stesso spedale, poich?, per attestato de' saggi, ci? ajuta di molto per conservar quelli che operano in servigio degli appestati. Si provveder? d'uno o pi? sacerdoti che ministrino i sacramenti e celebrino la messa nella cappellina aperta da tutti i lati, la quale sar? situata in mezzo al cortile, onde gl'infermi tutti dalle loro camere possano vedere il santo sacrifizio. S'abbia ivi, se si pu?, un medico; ed ? indispensabile l'avervi uno o pi? cerusici, speziale, cuochi, vivandieri, o sia provveditori del vitto, beccamorti, oste, o sia dispensiere de' cibi, con un direttore supremo ed altri uffiziali subalterni e serventi, tanto uomini quanto donne per servigio dell'uno e dell'altro sesso, che ivi ha da essere segregato. Tali basse persone sogliono allora non difficilmente trovarsi, avvertendo eziandio che ai disubbidienti del popolo si cambia talvolta la pena da loro meritata nell'aggravio di servire ai lazzeretti: nel che per? si dee camminare con pesatezza, perch? la forza ? un duro maestro al ben fare. Si tenga nota del nome, cognome e parrocchia di chi vi entra e della sua morte, occorrendo, per avvisarne poi il paroco o altri uffizi, cosa da ricordarsi anche pel resto della citt?. Si faccia anche provvisione di molte donne lattanti, avendole pronte pei fanciulli sani, ma rimasi orfani e abbandonati per la morte de' suoi. E in difetto di nutrici, si procurino per tempo molte capre, le quali sono ottime balie in caso di necessit?, come s'? tante volte provato. Alle donne che lattano bisogna levare, immediatamente che s'ha indizio del loro male, i fanciulli, con poscia provveder cagnoline che tirino il latte loro, quando ve ne sia bisogno. Si terranno rinchiuse tali bestie come se fossero persone sospette; e infettandosi esse debbono tosto ammazzarsi e prontamente seppellirsi in fosse profonde.
Due lazzeretti indispensabilmente convien costituire. Il primo per gl'infetti, ove debbono condursi senza dilazione coloro che si scoprono aver segni o infermit? pestilenziale; e l'altro per gli sospetti, cio? per condurvi coloro che non sono gi? infetti, ma hanno praticato con infetti o robe infette. Egli ? una crudelt? somma l'obbligare quest'ultima sorta di persone ai lazzeretti degli appestati, perch? potendo facilmente essere elle con tutto il sospetto ben sane, la carit? e giustizia esige che non si espongano al gravissimo pericolo di divenir veramente infette nel coabitar con tanti altri appestati. Se in questo secondo lazzeretto alcuno si scoprir? ferito dalla peste, si trasferisca subito all'altro degl'infetti, acciocch? non si ammorbino gli altri; e si profumi la stanza sua per renderla abitabile ad altri che sopravvengano. Chi dei sospetti dopo 20 giorni resta sano, si licenzj; e pu? in questo lazzeretto tenersi unita cadauna famiglia, con che per?, se venisse ad ammalarsi alcuno in essa con segni d'infezione, e perci? s'avesse immediatamente da trasferire all'altro lazzeretto, debba il resto della famiglia cominciar da capo la contumacia de' sospetti. Ma avvertasi che prima di licenziare alcuno tanto da questo quanto dall'altro lazzeretto, s'hanno di nuovo da purgare le vesti e il corpo di lui. Cio? nel lazzeretto degl'infetti, risanato che uno sia ben bene, v'ha da essere una gran caldaia d'acqua bollente in cui si purgheranno le lenzuola, i panni e le vesti che servono o hanno servito a lui, purch? sieno robe che soffrano tal purga; e si useranno i profumi coll'altre robe incapaci di sofferir la caldaia. Intanto il guarito, trattenendosi nudo in una stanza per un quarto d'ora, si laver? o lascer? lavarsi il corpo con una buona lavanda d'aceto. A chi dovr? licenziarsi dal lazzeretto de' sospetti, baster? fare s? a lui come a' suoi panni un leggier profumo per lo spazio di mezz'ora. Consigliano alcuni che i liberati dal male e dal chiostro degl'infetti si facciano passare per alquanti giorni a quello dei sospetti. In tutti e due i lazzeretti si faranno giornalmente dei profumi. Veggasi che anche i poveri Ebrei costituiscano per lazzeretti della lor nazione alcune case del loro ghetto colle necessarie provvisioni, ed abbiano carretta a posta che in sito determinato fuori della citt? conduca i loro cadaveri ad essere seppelliti. In difetto di fabbriche di pietra pei lazzaretti, si sono talvolta fatte gran file di capanne alla campagna aperta con tavole e travicelli a guisa de' lazzeretti formali, e tutto alle spese del pubblico. Dee anche avvertirsi che i condottieri degl'infetti, siccome gente sospetta, debbono regolarsi come tutti gli altri uffiziali e serventi de' lazzeretti nell'abitare e vestire, acciocch? ognuno fugga il commercio loro; ed essendo costoro per lo pi? di genio ed impiego poco diversi da' beccamorti, sar? necessario aver sopra di loro una somma attenzione, perch? nel trasporto degl'infermi non nascano que' disordini, che non sono rari, di violenze, di ruberie o di strapazzi a quei miseri pazienti. Chi poi potesse costituire un terzo lazzeretto per i convalescenti a fine di condurvi i risanati dalla peste, per assicurarsi meglio, farebbe un'utilissima provvisione. Ci? si ? praticato e si pratica dalle citt? doviziose. Ma le altre appena han forza da reggere agli altri pi? necessari lazzeretti. Almeno si noti ci? che scrive il P. Maurizio cappuccino colle seguenti parole: Gli ammalati attuali s'hanno a separare dai convalescenti, perch? questi sono molto pi? facili ad infettarsi dei primi, come in Genova, Marsiglia e Tolone ed altrove ho diligentemente notato.
Null'altro dir? io intorno al governo de' lazzeretti per non ingrossar di troppo quest'opera. La prudenza de' maestrati supplir? facilmente a ci? ch'io tralascio; e il volume del cardinale Gastaldi risparmier? loro la fatica di pensarvi molto. Pi? tosto mi preme di esporre qui alcuni dei mali effetti e disordini che nascono dall'introduzione ed uso tanto dei lazzeretti quanto dei sequestri degli infetti o sospetti nelle loro case, in difetto di lazzeretti. Certo la sperienza ha fatto vedere che tali ritrovamenti, utilissimi senza fallo, quando se ne fa buon uso, accrescono, non diminuiscono i malori della peste, se sono male usati. Il perch? presso alcuni scrittori ? un punto disputato forte, se talvolta sia maggiore l'utilit? o il danno dei lazzeretti, sequestri ed altri simili rigorosi rimedi politici. Se crediamo a Lorenzo Candio e ad altri, nel 1478, essendo fiera la peste, furono introdotti rigori inusitati, e cominciarono circa que' tempi a dirizzarsi lazzeretti , e a mettersi pena la vita per ogni minima cosa. La misera plebe spaventata e dal male e dai rimedi del male, cadeva morta per tal timore impresso vivamente nella loro immaginazione, massimamente al mirar tante morti ogni giorno. Si facevano tutto d? ripari nuovi e consigli di medici, ma senza frutto e sempre peggio. Finalmente aperti gli occhi, fu risoluto generosamente di rallentare l'austerit?; laonde cominci? a declinare il male, e in breve cess?. Perci? non par buon consiglio l'usar talvolta eccessivi rigori, sostenendo alcuni essere alle volte stati pi? quelli che in tempi tali sono morti d'inopia e terrore senza peste, che gli altri estinti di peste vera.
L'invenzione de' lazzeretti e sequestri, soggiungono essi, apre l'adito a mille ingiustizie, oppressioni e rubamenti, mentre quando non si possa convenevolmente provvedere al bisogno degl'infermi e sequestrati, ? cagione che molti periscano di fame, di fetore, di doglia di cuore e disperazione, essendo i lazzeretti d'ordinario mal tenuti e mal provvisionati, e bene spesso serviti da gente empia e ladra. Il solo timore d'essere condotto col? o di essere sequestrato, fa che molti ascondano il male e conversino con gli altri; e senza medicarsi, e, quel che ? peggio, senza sacramenti, se ne muoiano e facciano morir altri che alla buona hanno praticato con esso loro. Certo ? che la maggior parte naturalmente abborrisce l'essere strascinato sul carro e il venir consegnato a gente non conosciuta e inumana, fra i puzzori e le schifezze di tanti ammorbati. Che se vengono nelle lor case sequestrati, niuno talora ardisce di dar loro mangiare e di medicarli, morendo perci? alcuni abbandonati e disperati, anche per mali non pestilenti, perch? n? pure i parenti osano entrare in casa di que' meschini, per non esser poi anch'eglino sequestrati o condotti al lazzeretto. E poi, chi ? d'animo s? forte che non si atterrisse e non cadesse in qualche o disperazione o passione straordinaria d'animo al vedersi per ogni picciolo motivo di male, che talvolta n? pure ? di peste, levato e rapito improvvisamente, e con rigori e violenze, dal proprio letto e casa, o dalle braccia de' suoi pi? cari, con pericolo ancora o perdita di tutte le robe sue , e al mirarsi portato in massa con altri ammorbati in que' lazzeretti, che pur sono come tante beccherie, e luoghi regolati e serviti per lo pi? da gente di poca o niuna carit?, la quale non aiuta n? consola, e se pur si risolve a soccorrere, il fa colla punta d'una lunga picca, e con roba che non sollieva, ma accresce la miseria?
E per conto degli altri usi e rigori, egli ? troppo facile l'avvilirsi e il morire di spavento al vedere o sentire i ministri de' lazzeretti e i beccamorti andare attorno con facce orribili, abiti stravaganti e voci spaventevoli, e portar via infermi e sani, vivi e morti, purch? vi sia da rubacchiare. N? si pu? dire che orrore spiri il frequente suono di que' loro campanelli. Certo si sa per relazione di persone accreditate che molti da questi e simili spaventi oppressi, senza essere appestati, vi lasciarono la vita. Perci? anche Livio narra essersi in una peste mossi i Romani a rallentar tanti rigori; il che fe' in breve cessare la mortalit?. Narrano parimente che ne' contagi di Firenze del 1325 e 1340 fu provveduto che si levassero via certi segni funebri, certi suoni di campanelli per le strade, i quali aumentavano la mestizia e il terrore ai poveri infermi, e che si rammentassero loro i vivi e non mai i morti, con assicurarli di non muoverli dalle loro case. In Bologna nella peste del 1527 fu ritrovato in fine per miglior rimedio il levare i sequestri, e, lasciata la libert? e rimesso il commercio, permettere che tutti comprassero e vendessero: con che, tolta la strettezza, slargossi il cuore al popolo, e molti camparono che sarebbono morti. Cos? in Venezia una volta e in alcune terre grosse di Lombardia nel 1630 e 1631, dove moriva in quantit? la povera gente, n? si sapeva pi? che rimedio prendere, ho letto che furono levati i sequestri, e subito que' miseri tanto si rallegrarono, che uscendo tutti all'aria libera e andando a procacciarsi le cose necessarie, cominciarono a risanarsi la maggior parte, e cess? la mortalit?.
Tali sono i sentimenti d'alcuni scrittori, ed io n'ho fatta menzione non perch? s'abbia a mutare alcuna delle regole prescritte da tanti saggi e praticate da loro, ma perch? questi disordini e danni facciano ben tenere aperti gli occhi a' maestrati, affinch? i rimedi non diventino mali intollerabili anch'essi. Vero ? che la costituzione dei lazzeretti e il rigore dei sequestri soggiacciono a diversi abusi; ma cos? ? di tanti altri savi ritrovamenti e costumi politici, il bene de' quali non si ha da dismettere, perch? esso non vada disgiunto per l'ordinario da molti pericoli e mali. Sicch? considerino seriamente i maestrati di prevenire e rimediare, per quanto si pu?, agli accennati abusi. Quando non possano provvedere di tutto il bisognevole i lazzeretti, si contentino de' sequestri. Men male sar?, o almeno men crudelt?, il lasciare in mano alla divina Provvidenza i poveri infermi nelle case loro e fra i loro parenti, che trascinarli a morire di disperazione e di stento in lazzeretti informi e senza misericordia. Che se mancassero anche le forze per mantenere i sequestrati bisognosi, meno male sar? il permettere a tutti qualche forma di libert?, attendendo allora a regolar solamente il commercio, affinch? si distinguano e si fuggano dai sani gl'infetti e i sospetti, con obbligar questi a non camminare senza certi convenienti segnali, e coll'impedire il pi? e il meglio che si potr? i concorsi e miscugli delle persone; ricordandosi che ? un gran vantaggio nella state e nell'autunno il guadagnar tempo con salvare la gente, poich? d'ordinario il freddo del verno suol metter fine a tante miserie. Non si nieghi ai sequestrati l'ingresso de' medici, cerusici e sacerdoti; o pure sieno essi dalle finestre o porte ascoltati e consigliati da essi medici. Chi pu? curarsi in sua casa nelle debite forme, o essere inviati a' suoi poderi, sarebbe da esaudire. Coi poverelli abbandonati e privi di scampo, e con chi sarebbe troppo di danno agli altri, e massimamente per chi abita case anguste, si venga al ripiego del lazzeretto, ma con tutti i buoni termini e carit? cristiana. S'abbia cura delle loro vesti, esponendole all'aria e purgandole, e salvando loro quel che lasciano in casa e quel che vogliono portar seco, giacch? non dee essere interdetto a chi ? condotto ai lazzeretti il menar seco quelle comodit? o robe che a lui saranno pi? in grado, e di cui egli sia padrone. Si procuri di non accrescere il terrore al popolo, ma di sminuirlo per quanto sia possibile. E per questo non si suonino allora campane a morto, n? si lascino mirare ai fanciulli, alle donne, ai melanconici le carrette dei cadaveri, n? altri funesti spettacoli. Consentono tutti i medici che sia di un singolar pregiudizio alla sanit? in tempi s? fatti il timore e lo spavento. Una divota allegria pu? recare allora un giovamento incredibile. Del pari si procurer?, per quanto si pu?, di destinar ministri fedeli e serventi caritativi e timorati di Dio alla cura degli infermi ne' lazzeretti ed altrove; e vi sia soprintendente il quale ogni d? faccia la visita con informarsi dalla bocca propria di ognuno se hanno avuto i medicamenti destinati, e come si portino gli astanti messi per loro servizio, i quali non saranno allora presenti, per correggerli o scacciarli occorrendo. E torno a dire che si abbia una rigorosa avvertenza sopra gli andamenti de' beccamorti e de' condottieri degl'infermi, n? mai si permetta che chi ? solamente sospetto sia condotto ai lazzeretti degl'infetti, quando non meritasse, per essere caduto in pena, d'essere forzato a fermarsi col? per servire agl'infermi. Non si portino sullo stesso carro infetti e sospetti ai lazzeretti; non insieme morti e semivivi alla sepoltura: queste sono crudelt? indegne d'uomini, non che di cristiani. Nella peste di Milano del 1576, cio? a' tempi di S. Carlo, accadde questo caso. Fu portato dallo spedale, o sia lazzeretto di S. Gregorio un uomo non peranche morto di peste alla sepoltura, confuso con gli altri. Stette egli tutta la notte in una massa di que' cadaveri. Passando la mattina per quelle bande il sacerdote che portava il viatico agli appestati, il povero uomo per gran desiderio di quel divino cibo, si alz? in ginocchioni tutto pieno d'allegrezza e d'ansiet?, e con quella voce che pot?, siccome spirante, chiese la santa comunione. Avendogliela volontieri data il sacerdote, ed avendola egli ricevuta con somma venerazione e tenerezza, da l? a poco in quel luogo tutto consolato se ne mor?. Alessandro Benedetto racconta d'una nobil matrona portata inavvertentemente alla fossa, creduta gi? morta. Licostene, l'Ildano, il Crafizio, il Diemerbrochio riferiscono altri simili casi accaduti nelle pesti de' loro tempi. Adunque raccomandare e invigilare, affinch? non si commettano somiglianti errori o barbarie dai beccamorti, soliti in qualche luogo a portar via i poveri agonizzanti, o tuttavia spiranti, con quell'indegno pretesto che tal gente si pu? contare per morta. Alcuni gi? tenuti per estinti, si sono riavuti ed hanno ricuperata la vita e la salute. E perciocch? talvolta accade che alcuni cerusici o per ignoranza o per poca diligenza mandano al lazzeretto persone inferme, ma non di contagio, perci? fatti depositare gl'infermi in un lettuccio prima d'introdurli, e ben visitati da' cerusici del lazzeretto alla presenza del religioso, se vi trover? che sieno appestati, loro si dieno ivi i sacramenti, e poscia entrino; o pure, scoperti infermi d'altro male, si mandino al luogo de' sospetti.
Nelle citt? opulente e capaci di far grossissime spese per la salute del popolo suo, tutto pu? venir ben fatto, e non seguiranno tanti disordini, cagionati per lo pi? dal voler certi buoni fini senza aver anche buoni mezzi per arrivarvi. Ed eseguendosi le leggi fin qui accennate, i lazzeretti, sequestri ed altri rigori torneranno tutti in vantaggio del popolo. L'altre citt? o terre debbono regolarsi come possono il meglio. Almeno procurino di formare un lazzeretto per gli appestati, poich? alle persone solamente sospette si pu? provvedere in caso di bisogno con ben regolati sequestri, e senza lazzeretto a posta. Nella nostra citt? l'anno 1630 tre erano gli spedali degl'infermi, cio? uno a S. Lazzaro, un altro nelle Sgarzerie e il terzo nelle Stimmate, tutti e tre mantenuti alle spese del pubblico. Si lasciavano nelle loro abitazioni le persone comode, e molte altre che aveano case capaci per separar gl'infermi e i sospetti dai sani, restando proibito che n? essi infetti o sospetti, n? chi loro serviva potessero praticar con altri, e venendo obbligato al sequestro medesimo chiunque avesse conversato con esso loro. I poveri e alcuni altri, secondo la prudenza dei conservatori e deputati, si mandavano ai lazzeretti. Nella peste di Roma sul principio si cammin? con gran rigore; e il condurre irremissibilmente ai lazzeretti anche i cittadini pi? comodi, fece che gli altri furono pi? ritirati dal conversare e pi? cauti dal contagio. Ma non istettero molto ivi a permettere che restassero in casa propria, per far ivi la contumacia, le persone civili o agiate, purch? con rigorosa separazione dai sani. Altrettanto ? da fare in altre simili funeste congiunture, asserendo ancora accreditati scrittori che basta rinserrare i sospetti nelle loro case, con profumar bene le medesime e le robe loro, e con visita giornaliera dei medesimi rinchiusi, facendoli venire alle porte o finestre, per chiarirsi se alcuno si fosse di nuovo ammalato. Dopo quindici d? trovandosi eglino tutti sani, si pu? dar loro la libert?. Certo i profumi serviranno di gran rimedio e di risparmio di molte altre spese ed incomodi. Morto che sia di peste alcuno, profumandosi la sua stanza colle robe ivi poste o che abbiano servito a lui, possono ivi abitar fra non molti giorni altre persone; e potendo i sospetti sequestrati in essa casa abitar altre stanze, non c'? necessit? precisa di forzarli ad uscire, giacch? il soccorso dei profumi pu? liberar quelle stanze e le robe loro dai vapori pestilenziali che per disavventura vi fossero penetrati. Vero ? che in Firenze nel 1630, essendosi osservato che il lasciar fare la quarantena nelle case ove era morto alcuno di peste, riusciva di gran nocumento ai sani, perci? fu risoluto da l? innanzi di condurli tutti al lazzeretto de' sospetti; ma il danno procedeva dalle anguste e pestilenti stanze: al che ci ? rimedio, come s'? detto, e massimamente per chi ha case larghe e abbonda di comodit?. Ivi medesimamente ripullulato il contagio nel 1633, vinse il parere di chi consigliava il contentarsi dei soli sequestri nelle case proprie degl'infetti; ma conosciuto da l? a non so quanti giorni che si andava di male in peggio, si apr? di nuovo il lazzeretto, non ostante l'abborrimento che vi aveva il povero volgo, e se ne prov? in breve buono effetto. In Ferrara nel 1630 fu preparato per lazzeretto il monistero di S. Giorgio degli Olivetani, ed altre citt? si sono pure servite d'altri conventi in s? estremo bisogno.
Volendo persone o robe procedenti da luoghi sospetti introdursi in un territorio sano, ognuno sa che debbono elle soggettarsi alla contumacia, o sia alla quarantena, la quale n? pur si dee, se non con gran riguardo, concedere a chi venga da paese infetto e vicino. Per la quarantena si ha da eleggere un luogo ameno e separato dalla frequenza degli altri, colle sue divisioni per varie famiglie e persone, e regolarsi poi nella seguente forma. Sul principio, spogliate le persone delle loro vesti, si lavino ben bene i loro corpi con aceto in ogni parte e si rivestano con altri vestimenti non sospetti. In mancanza di questi altri abiti, dovranno sopportare il profumo della sanit? per lo spazio di mezz'ora in circa con tutte le robe che avranno portato, in una camera ben chiusa, avendo ben distese essa robe ivi, in maniera che per due ore possano ricevere perfettamente il profumo, dopo il quale si possono usar come nuove. Ci? fatto, si noti in un libro il giorno da cui comincer? la quarantena. Non parlino, n? trattino con altri se non con le cautele prescritte per la gente sospetta. Se si ammalasse alcuno, il visitino i medici o cerusici; e scoperto appestato o temuto per tale, si far? porre in una capannetta molto separata dall'altrui abitazione con guardie. Ma non avendo peste, si potr? curare in compagnia de' suoi, i quali, solamente in caso ch'egli fosse scoperto infetto di mal contagioso, dovranno ricominciare la quarantena. Sui principj si pu? con questo ripiego soffocar la peste nascente.
Il tempo della quarantena, secondo la pratica de' prudenti maestrati di Venezia, ora ? di pochi, ora ? di molti giorni, prendendosi la misura di ci? dal maggiore o minor pericolo e sospetto, e dalla maggiore o minor lontananza dell'infezione. L'intera quarantena ? di 40 d?, dal che venne il suo nome, e tanto si suol richiedere negli urgenti sospetti di peste. Nulladimeno a me sembra meritevole di molta riflessione e fondatissima la sentenza di Lodovico Settala e del P. Maurizio da Tolone cappuccino, dell'ultimo de' quali rapporter? i sentimenti e le ragioni. La pratica, dice egli, di 20 e pi? anni mi d? animo di francamente asserire essere bastevoli 20 giorni di quarantena, bench? l'uso sia introdotto di 40. Certo ? che chi avr? maneggiato robe infette, o attratta aria appestata, in guisa che gli si sia attaccato il male, prover? prima che passino 15 d? qualche grave accidente, come di febbre con vertigini ed inquietudine; camminer? vacillando; avr? gli occhi ottusi ed aggravati, la faccia pallida e livida, vomito, sonno grave che ha del letargo, frenesia, ecc., o veramente mostrer? segni esterni di buboni, petecchie, ecc. Quindi ? che se qualche persona sospetta si sar?, nell'entrare in quarantena, lavata bene con aceto, mutando le vesti e insieme profumando tutte le altre suppellettili, n? avr? sentito ombra o apparenza di male, si pu?, passato il ventesimo giorno, licenziare come sicura di ogni infezione, avendo io pi? volte osservato non esservi infetto che prima de' 15 evidentemente non si conosca, o abbia passato quel termine con salute e poi si sia scoperto appestato. Vero ? che se si trascurassero le cautele suddette e le diligenze prescritte ne' lazzeretti, potrebbe la peste divampare non solo dopo i 30, ma anche dopo i 40 giorni. Avverto che la mutazione dell'aria fatta da luogo infetto in altro sano ? cagione che la malignit? del morbo si dia pi? presto a conoscere che se si fosse fermato nel primo.
Stieno poi bene oculati i conservatori della sanit?, perch? nel dare le quarantene si commettono tutto d? dei gran disordini, con venir delusi i saggi editti. Le guardie, persone vili, per danari permettono tutto, e spezialmente l'oltrepassar le mete s? a' quarantenari come a quei di fuora. Spirando scirocco, o aria umida e piovosa, avvertano che l'infezione delle robe, anche esposte all'aria, non si leva, ma si fomenta, facendosi talvolta la quarantena intera senza purgarsi. Si dee anche temere d'un inconveniente nel verno che non suol accadere la state, cio? che in tempo freddo, o spirando la tramontana, si nascondono e si concentrano nei panni e nelle robe gli spiriti pestilenziali, i quali, venuto poi il caldo, fanno strage orribile. Ma in qualunque tempo che corra, se saranno ben fatti i profumi alle robe e verr? ben custodita la persona e governata coll'aceto e colla mutazione dei panni, la quarantena sar? mezzo sicuro per accertarsi se la persona abbia condotta seco l'infezione, e per liberarnela ancora. Nessuno adduce una ragion soda e vera per cui si assegnino 40 giorni alla purga suddetta. Ma posto per vero che la pestifera qualit? del male non pu? stare pi? di 15 d? a scoprirsi, hanno da bastar 20 giorni. E per le robe, quantunque infettissime, si purgano queste in 24 ore a segno che si potranno dipoi maneggiare con tutta sicurezza. Ad un uomo che parla colla sperienza alla mano e reca buone ragioni, parmi che si possa acquetar la prudenza anche a' tempi nostri. Veggasi Paolo Zaccaria, lib. 9, tit. 5 delle Quist. Medico-Legali, che tiene e diffusamente tratta la sentenza medesima.
Una delle pi? dure e difficili, ma delle pi? necessarie applicazioni di chi governa in congiuntura di contagio, si ? quella dell'annona e delle grasce, cio? di provveder grani e vettovaglie, e massimamente per mantenere alle spese del pubblico i poveri e chiunque non ha mezzo allora per alimentarsi colle sue rendite o colle sue fatiche. Il cardinale De Luca saggiamente insegna che i due punti principali del buon governo in tempi di peste sono l'ubbidienza rigorosa, eguale in tutti e senza eccezione o rispetto di persona alcuna, e l'allettamento e la piena libert? de' vivandieri che da' paesi non infetti, colle dovute cautele, portino vettovaglie. E certo non si dee in tempi tali perdonare a diligenza e spesa veruna, perch? la fame pu? fare non meno danno allora che la peste medesima. Questo ? un atto di somma carit?, ed ? medesimamente un interesse importantissimo, perch?, perduti gli artigiani, i contadini, i trafficanti e gli altri operai, non si pu? dire che pregiudizio ne venga a coloro che restano in vita. ? misero il capo allorch? nol servono o gli mancano le membra. Finita la peste del 1630, e finite tante altre, fu carestia in alcuni paesi perch? erano mancati i contadini. Le persone ricche e nobili furono gastigate nella morte dei poveri, perch? non trovavano pi? chi loro servisse, n? chi rendesse loro frutto de' loro poderi, case, botteghe, dazi, gabelle e fondachi. Tutte le mercatanzie, s? del paese, come straniere, e le manifatture del vestire, fabbricare, ecc., vennero carissime, con tanti altri danni e sconcerti che si possono bene immaginare moltissimi, ma che non si possono saper bene tutti se non da chi ha la disavventura di farne la prova. Il perch? gran gastigo ? la peste, anche dopo esser finita, per gli effetti suoi, e per conseguente i principi, le citt?, i ricchi e i nobili dovrebbono ben accudire per preservare il paese da s? aspro flagello, o almeno per conservare in vita il pi? che potessero il misero popolo, contro del quale suol per l'ordinario sfogarsi il principal furore della pestilenza. E i vicini sani anche debbono, purch? possano, vendere e condurre al paese infetto, che ne abbisogni, i viveri, s? per motivo di carit? cristiana, e s? per altri riguardi. Si ricordino che nella peste del 1576 i cittadini di Monza rinserrati, non sapendo come vivere, per disperazione saccheggiarono il paese circonvicino.
Non solamente hanno i maestrati e i principi da adoperare ogni sforzo per la pronta ed anticipata provvisione delle biade, e perch? si seguiti a fare il trasporto delle vettovaglie, col concedere ancora, occorrendo, esenzioni al condottieri, ma debbono con egual cura invigilare, affinch? non succedano monopolj e frodi, assai facili in tempi s? sconcertati, con troppo aggravio o delle borse o della sanit? del popolo. Non si vendano dunque commestibili a prezzo eccedente, n? vini guasti, n? altre robe nocive; e per? sieno vietate le frutta acerbe o fradice, i citroni, l'uve immature, i moscatelli, le persiche, i funghi di qualsivoglia sorta, il latte quagliato e il pesce preso con pasta o esca, o pur cattivo o fradicio, e anche il marinarlo o friggerlo per poi venderlo. Ricordo nondimeno che il sugo d'agresta ? utile in tempi tali per condirne le vivande entrando esso fra gli acidi che possono o debbono adoperarsi. Nella nostra citt? fu in fine proibito il vendere anche ogni sorta di pesce forestiero fresco, tanto vivo quanto morto, a fine di fuggire vari mali effetti che ne venivano o ne poteano venire. Cos? ? da vietare l'estrazione dell'olio, delle droghe, dei commestibili e d'altre robe non facili ad aversi. Appresso ? da tener l'occhio attentissimo ai macelli, acciocch? non si vendano se non carni sane, e molto pi? ai fornai e ai provveditori di grani, farine e pane, per impedire che non si vendano biade guaste o immonde, o non si assassini, col pane stesso pieno di loglio e d'altre brutture, il povero popolo, e non succedano frodi o ruberie nella loro distribuzione. Meglio ? pane sano con acqua pura che cibo guasto. Tengano l'occhio ai mulini ove s? macina grano, perch? si schivi il mescuglio de' sacchi per quanto si potr?. Facciano custodire con buon recinto i pubblici forni, ed abbiano premura che i fornai si tengano lontani dal commercio dei popolo, mentre pi? volte ? accaduta la disgrazia che o morti, o caduti infermi essi fornai per poca loro avvertenza, s'? provata per qualche giorno nella citt? non lieve penuria d'un alimento s? necessario. In Firenze l'anno 1630 la maggior parte de' fornai s'infett? pel concorso di tante persone e maneggio di tante asse e tele. Convien pensare al rimedio. Dovrassi anche ordinare per tempo che le spezierie sieno provvedute con abbondanza di medicamenti, droghe ed altre cose occorrenti in simili congiunture, prestando anche danaro del pubblico agli speziali, qualora mancasse loro il mezzo di far simili provvisioni. Toccher? poi ai medici l'osservare che non si vendano ivi robe tarlate, muffate o guaste, e medicamenti inutili o finti, senza verun giovamento e forse con pregiudizio della salute altrui, e nulla si venda a troppo caro prezzo. Sar? anche interdetto agli speziali il vendere medicine solutive e a' barbieri il cavar sangue senza licenza de' medici per le ragioni che si diranno.
E perch? in s? fastidiosi tempi sogliono i nobili, i cittadini e l'altre persone comode allontanarsi dalla citt?, il che pure s'? da me ancora consigliato di sopra, alla riserva di quelli che sono tenuti alle pubbliche incumbenze e a certe obbligazioni per la cura della patria, sar? necessario provvedere che la loro ritirata non gli esima dal sovvenimento dei poveri e dall'impiego dei pubblici uffizj, quotizzando tutti nel far collette di letti, biancherie, buoi, cavalli, carrette e simili cose, e obbligandoli, se sar? creduto bene, a supplir col danaro l'opera che negassero prestar colla propria persona, essendo pur troppo in tali disgrazie gravissimi i pubblici dispendi. Nella nostra citt? l'anno 1630, a d? 3 di settembre si venne al seguente placido ripiego. Fu fatta pubblica intimazione a tutti i capi di famiglia, abitanti o soliti ad abitare in citt? in casa propria o tenuta ad affitto, e ad ogni altro cittadino originario abitante del distretto, purch? questi possedessero beni in essa citt? o suo distretto, che in termine di tre giorni sotto pena di molti scudi si trovassero, o venissero, o mandassero deputato in citt? a fare l'infrascritta obblazione, con obbligare a ci? anche i minori e le donne, ed altri che fossero capi di famiglia, per i quali erano tenuti i tutori e curatori. Cio? sapendosi pur troppo il bisogno della citt? per le intollerabili spese che giornalmente si faceano in occasione della peste, doveano tutti fare un'offerta di danari, o biade, o argento, o oro conforme alla loro possibilit?, presentandola con polizza a chi era deputato. Si aggiunse che non si voleva far colletta forzata, perch? pi? si sperava dalla spontanea amorevole carit? de' cittadini. Tuttavia a chi fosse pi? scarso di quello che portassero le forze sue si facea sapere che verrebbero presi contro di lui altri spedienti; e che incorrerebbe nella pena chi mancasse all'offerta fatta, la quale si dovea poi pagare in termine di quindici giorni: sperandosi intanto che il Signore Iddio avrebbe inspirato nella mente e nel cuore di tutti un acceso e piissimo sentimento di carit?, e una pronta risoluzione d'impiegare tutto quel che potessero in soccorso e servizio dell'afflitta loro patria.
Fu anche nella nostra citt? facilitata con dispensa del principe la maniera di far testamento durante il contagio. In citt? era lecito il farlo con un legittimo notaio e tre testimoni, bastando pei codicilli il notaio con due testimoni. Quanto al distretto e alle ville sue, ove non si potesse facilmente trovar notaio, bastava che del testamento o codicillo si rogasse il proprio paroco, o pure il cappellano, in assenza o legittimo impedimento del paroco, alla presenza di due soli testimoni; ma che non si usassero fraudi, perch?, scoperte, sarebbono con ogni rigor punite. Che se venissero a mancare nella citt? i notai, allora anche per la citt? si concedeva la facolt? conceduta alle ville suddette. Cos? furono levate via le dispute che possono nascere per le formalit? d'essi testamenti, intorno ai quali hanno, oltre a vari legisti, scritto due teologi, cio? il P. Marchino o il P. Gio. Angelo Bossio, t. 2, tit. 9. Gli appestati si potranno far portare alle finestre o alle porte, ed ivi alla presenza de' testimoni e del notaio pubblicare la loro ultima volont?. Non aggiungo altro intorno a questo argomento per non entrare nel caos. Certo ? che in tempo di peste sono validi molti atti, bench? mancanti di alcune solennit? richieste dalle leggi in altri tempi; perch?, a cagion d'esempio, allora basta un testimonio, dove regolarmente ce ne vorrebbero due; e una donna pu? servire di testimonio a un testamento, ed essa pu? far dei contratti senza l'intervento de' parenti o vicini, per tacer altri privilegi di que' miseri tempi. In Roma fu anche ordinato che gli strumenti pubblici allora fatti si conservassero diligentemente ne' protocolli, e se ne desse copia senza dilazione al pubblico archivio.
Abbiano cura i maestrati anche degli spedali. Se ve n'ha di quegli ove si ricevano bambini esposti, orfani e vecchi inabili, non si permetta che vi entri o ne esca alcuno se non per necessit? e con gran riguardo, tenendoli chiusi con rigoroso sequestro. Si pu? provvedere al loro bisogno senza capitarvi dentro; e quando vi penetrasse il morbo, sarebbe difficile l'impedire che non vi facesse un eccidio universale. Gli altri spedali, ne' quali si sogliono ricevere o i febbricitanti, o i piagati, sar? necessario chiuderli affatto per tali persone, affinch? sotto l'apparenza d'altro male non vi entrasse la peste che di tutti farebbe scempio. Non meritano minor attenzione le pubbliche carceri. Per le segrete, ove non suol trattenersi che uno o pochi altri per cadauna, la disgrazia stessa ? una specie di ventura per quei prigionieri, mentre, segregati dal commercio altrui, possono facilmente assicurarsi ancora dal morbo. Solamente per costoro s'ha d'aver cura de' loro custodi, acciocch? incautamente somministrando il cibo, non portino la morte entro que' nascondigli, o pure se venissero a mancar tali guardiani, i miseri carcerati, coll'essere dimenticati, non perissero anch'essi. Il pericolo e la difficolt? maggiore si ? per le prigioni comuni, che essendo d'ordinario ripiene di rei e di sordidezze, sono per conseguente una facile occasione e un pi? facile pascolo alla pestilenza. Adunque o liberare i rei di minore importanza e mettere nelle segrete gli altri, o pur chiuderli tutti, o trovarvi altro pi? utile o pi? plausibile e spedito ripiego, comandato dalla giustizia o consigliato dalla carit?. In Palermo nella peste del 1625 non si carcerava alcuno per liti civili. Per delitti criminali leggieri si assegnava la casa per carcere sotto pena della vita; e per gli eccessi gravi il reo si metteva in prigione, ma non se gli lasciava portar seco altro che il solo vestito e una camicia bianca. E ci? sia detto del Governo Politico io tempo di peste. Passiamo al Governo Medico.
DEL GOVERNO MEDICO DELLA PESTE
LIBRO SECONDO.
Dopo le diligenze de' magistrati per tener lontano il contagio o per impedirgli venuto che sia, ulteriori progressi e maggiori stragi, ? da vedere quanto dal canto loro debbano e possano fare i medici per ottener lo stesso fine. Ancor qui l'arte loro principalmente si divide in preservativa e curativa. In quanto alla prima; c'insegnano essi a regolarci bene, massimamente in que' tempi, nella dieta, cio? nell'uso di sei cose appellate da loro non naturali, che sono l'aria, il mangiare e bere, il movimento e la quiete, il sonno e la vigilia, la retenzione ed escrezione delle cose consuete, e le passioni dell'animo.
Non occorrerebbe dir qui altro intorno all'uso dell'aria, perch? gi? di sopra se n'? parlato diffusamente, coll'addurre ancora i rimedi preservativi, affinch? essa resti purgata, o per mezzo di essa non si contragga l'infezione. Tuttavia aggiunger? qui che il fuoco ? uno de' migliori correttivi dell'aria pestilenziale, avendo insin lo stesso Ippocrate, per quanto si crede, domata ed estinta quella fierissima pestilenza che a' suoi d? pass? dall'Etiopia nella Grecia col far accendere, e specialmente in tempo di notte, dei gran fuochi per la citt?. Questi tanto pi? riescono utili quanto pi? sono odorose le legna accese. Ma sovente, costando troppo simili incendi, e potendo essi talvolta cagionarne anche de' maggiori nelle citt?, baster? ritenerne l'uso per purgare l'aria interna delle case, bruciando ivi per le camere ginepro, frassino, cipresso ed altre simili legna di grato e sano odore, che sono mirabili correttivi degli effluvj pestilenziali. Nicol? IV, sommo pontefice, nella pestilenza del 1288, e Clemente VI in quella del 1348 si tenevano chiusi nelle loro stanze, facendo far ivi e per tutto il palazzo gran fuoco anche nel mese di luglio. In tempo di state ardendo tai profumi e fuochi in una camera, si pu? stare ritirato in un'altra; e allora ancora giover? il valersi di sprazzi d'aceto, e di fiori, e d'erbe odorifere sparse per le stanze. Ho veduto alcuni che in vaso di maiolica o d'altra terra bene inverniciata conservavano varie erbe con fiori di buona fragranza, alquanto spruzzate di sale, bagnandole di quando in quando con acqua in tempo di state, con che davano buon odore a tutta la stanza. Sono erbe sane ed odorifere la menta, la salvia, l'origano, l'abrotano, il puleggio, la calaminta, la satureja, la lavanda, l'erba sangiovanni, cio? la sclarea o sia il gallitrico, la ruta, l'artemisia, la matricaria, ecc. Il pi? sicuro per? fra simili preservativi si ? l'uso dei profumi sopra da noi descritti. Si facciano dunque per le camere in tutti i tempi dell'anno due o tre volte il giorno. E perciocch? abbiamo gi? biasimato certi odori acuti e calidi, come quei del muschio e dello zibetto, ora non vo' tacere che dopo il Massaria, seguitato da altri, il Diemerbrochio, uno de' pi? dotti ed esperti maestri di questa materia, ci assicura d'aver notato che i suffumigi di soave e sottile odore non solamente poco giovavano nella peste del suo tempo, ma ancora a moltissimi erano di gran nocumento, se non per altro, per recar loro doglia di capo. Per? lasciando egli stare i lussi del naso, prescriveva odori anche poco soavi, ma pi? sani, e non gi? molti, ma pochi. Utilissimo ? il suo ricordo; n? ci? si oppone a quanto ho consigliato di sopra colla scorta d'altri autori intorno al valersi ancora di alcuno d'essi odori sottili, essendo bens? da dir nocivi i profumi composti di soli ingredienti, per dir cos?, effemminati, ma non gi? se alcuno d'essi venga unito ad altri odori maschili e alquanto o molto spiacenti alle narici.
Il perch? lo stesso Diemerbrochio commendava quasi a tutti le seguenti cose: Cio? far profumi con incenso e bacche di ginepro parti eguali, essendoch? tal profumo, quantunque vile e comune, vince per? in vigore moltissimi altri. Prescriveva egli anche i seguenti
Il Sennerto pei poveri prescrive le seguente
Il medesimo e Gregorio Horstio lodano molto per la prova fattane quest'
Torno poi ad inculcare che il solo solfo pu? servire d'un mirabil profumo, poich? il suo alito e fumo resiste mirabilmente agli aliti pestilenziali e toglie in poco tempo ed ottimamente le corruzioni dell'aria. Ma perch? solo esso riesce troppo spiacevole e stringe il respiro, perci? giover? mischiarlo con altri meno molesti suffumigi. Anche la pece ? stimatissima, ed essa dicono che fu il segreto d'Ippocrate per correggere l'aria infetta. Lo stesso buon effetto pu? sperarsi da altri bitumi. Pazienza se il naso ne ha disgusto: la sanit? ne avr? ben vantaggio. Oltre di che non c'? necessit? di star nelle stanze allorach? si profumano col solfo. ? anche migliore il solfo col nitro, e perci? la polvere da fuoco ? tenuta per egregia ed ottima medicina per purgare l'aria. Levino Lemnio ed altri lodano molto pei suffumigi le corna delle bestie, siccome ricche di sale volatile, e massimamente quelle di becco. Possono anche bruciarsi scarpe vecchie, e peli, e unghie ed anche sterco di bestie bovine: delle quali cose io fo menzione perch? in difetto di meglio possano i poveri ricorrere ad un s? facile profumo. Anche il fumo del buon tabacco ? creduto giovevole pi? di moltissimi altri per impedire o estinguere il contagio dell'aria nelle case. Sembra poi ottimo consiglio, quando il tempo non sia piovoso o nebbioso, l'aprire la mattina, una o due ore dopo la levata del sole, le finestre delle camere, quelle per? che riguardano l'oriente, e molto pi? le volte a tramontana, acciocch? v'entri buon'aria, lasciando sempre chiuse quelle che mirano il mezzod?, e le cloache fetenti o altre case confinanti ove fossero ammorbati. Il vento aquilone, o sia la tramontana, ? tenuto da Ippocrate e dagli altri medici per molto salutifero in Europa; e all'incontro i venti spiranti dall'austro, cio? dal mezzod?, sogliono essere nocivissimi, essendo stato osservato insin da Plinio che spirando gli scirocchi s'aumenta la peste.
Per conto del mangiare e bere, allora pi? che mai debbono guardarsi gli uomini da cibi malsani e di cattivo nutrimento, e dalle bevande guaste o perniciose anche in altri tempi. Non ? qui luogo da copiare la Scuola Salernitana; e sarebbe anche per altro impresa tendente al ridicolo il mettersi, come appunto fanno alcuni medici, ma non di prima sfera, in trattando del contagio, a decidere sopra l'utile o danno d'una lunga serie di carni, pesci, frutta, ecc., ventilando tutto come vuole la lor fantasia, e pronunziando: Questo ? buono e sano; quell'altro ? cattivo. Una tale scrupolosit? viene derisa dai medici pi? assennati, perch'eglino sanno non doversi, n? potersi camminare con s? rigoroso bilancino, e dependere il buono o il cattivo dei cibi non tanto dalla loro qualit?, quanto dalla disposizione di chi ha da prenderli. Baster? pertanto avvertire che i commestibili, de' quali abbiam detto di sopra doversi proibire il mercato, regolarmente si hanno a fuggire da tutti in tempo di contagio, ed esser bene l'astenersi, per quanto si pu?, da quelli che si credono di mal sugo o per la loro troppa grassezza, o troppa durezza, o troppa facilit? a corrompersi, come per esempio le carni di porco ed altri simili grassumi, i salmoni, le anguille, i legumi, il latte, i cocomeri, i melloni, le cerase, le pesche, o sia i persici, esortando insino alcuni a non mangiare quasi mai frutta in tempo di peste: il che a me sembra troppo, e cos? credo che parr? ai pi? intendenti di me. Convengono ancora gli scrittori doversi allora pi? che mai lasciare i cibi molto dolci, come il mele, i canditi, lo zucchero, ed altre simili dolcezze anche dei vini e delle frutta , attenendosi per quanto si pu? a cibi e bevande che abbiano sapore naturale e sano di acido e di amaro. Perci? sono anche da ricercarsi allora, siccome utilissimi, i limoni, cedri ed aranci, i pomi cotogni e i granati, il ribes e simili, che possono coll'acetoso ed astringente loro preservare dalla corruttela e dallo scioglimento gli umori e il sangue, mischiandone il sugo col vino o spremendolo sopra le vivande. Anche le scorze degli agrumi sono buone. Del resto chi ? solito a nutrirsi di cibi grossi, non dee allora mutar registro, siccome n? pure chi ? assuefatto a cibi leggeri e di facile digestione. E perch? ? comune opinione, assistita ancora da non pochi medici, che gli agli e le cipolle sieno un gran preservativo contro la peste, si vuol avvertire che tal credenza viene impugnata da altri medici, tenendo essi che s? fatti cibi, almeno l'aglio, sieno di cattivo sugo, e producano dei mali effetti nel corpo umano. Tuttavia per la gente di stomaco gagliardo e usata alle fatiche, quali per l'ordinario sono i contadini e i facchini, l'arte medica li permette, e forse loro giovano assai. Potrebbe consigliarsi ai delicati e a' nemici della fatica corporale che se ne astenessero, almeno dall'aglio, chiamato da Galeno triaca bens? dei rustici, ma non gi? di tutte le persone; quando non volessimo supporre che l'aglio, preso in discreta quantit?, potesse colle sue parti saline e penetranti avvalorare la digestione del ventricolo, spesso languente nelle persone delicate, e introdurre col suo odore ne' fluidi certe parti vigorose per resistere agli aliti pestilenziali. E che questi frutti dell'orto possano, se non con altro, almeno col grave loro odore difendere dagli spiriti velenosi della peste, io facilmente il credo, n? trovo chi fra i medici si metta a risolutamente negarlo, per nulla dire, scriversi dal Sennerto che se non sono buoni per alimento, sieno ben buoni per medicamento contro il morbo suddetto.
E questo quanto alla qualit? de' cibi e delle bevande. Quanto alla quantit?, si dee ricordare che il troppo e il troppo poco sono due estremi da' quali dee allora pi? che mai tenersi lontano chi vuol preservarsi ed ama la sua salute. Se si ha da pendere all'uno di questi due estremi, si faccia allora verso il poco, pi? tosto che verso il molto, con guardarsi accuratamente dai conviti e dalle gozzoviglie e dalla moltiplicit? delle vivande, e sopra tutto da certe composizioni inventate dal frenetico lusso della gola per rovina degli stomachi e dispendio delle borse. S'hanno per consiglio di tutti da amare ed eleggere cibi e vivande semplici e naturali; e ancora di questi conviene mangiar moderatamente per ischivar le indigestioni e crudit?, cio? la sorgente della maggior parte dei mali che fanno fare il mestier del corriere ai medici e buone faccende alla morte. Questi sono ricordi utilissimi per tutti i tempi, ma specialmente per quei del contagio, ne' quali per l'ordinario chi ha umori cattivi pi? degli altri ? in viaggio per quel paese ove i medici non hanno giurisdizione. La sperienza poi ha fatto vedere con troppi casi che l'ubbriachezza allora ? pi? che mai perniciosa; anzi alcuni proibiscono affatto in quelle congiunture il vino. Ma per parere de' migliori esso, purch? sano e moderatamente preso, ? preservativo dalla pestilenza: il che fu asserito ancora dagli antichi. Anzi alcuni il lodano, e permettono insino alle persone febbricitanti, ferite dalla peste medesima, e ne concedono pi? spessi i bicchieri alle malinconiche.
Nulla per? di meno hanno licenza i lettori di dar qualche calata a tanti magnifici encomi dei cauteri, giacch? del loro valore, per quel che concerne la preservativa, non ? s? facile l'addurre qualche fisico-anatomica ragione che appaghi. Oltre di che pu? avvenire che non in tutte le pesti si ottenga lo stesso buon effetto; e in fatti il Diemerbrochio scrive di aver osservato in quella dei suoi giorni che qualche persona manc? di vita pel veleno contagioso, tuttoch? provveduta di fontanelle. Forse era gente disordinata. Comunque per? sia, buon consiglio reputo io il non trascurare in occorrenza di peste questo preservativo, o almeno questo tentativo, che che sentano in discredito di esso alcuni moderni seguaci delle ingegnose, ma non di rado stravaganti idee dell'Elmonzio, giacch? la sperienza, pi? venerabile di tutte le speculazioni, sembra commendarlo per utile, e vien esso consigliato anche dal mentovato Diemerbrochio; e tanto pi? perch? non ? molto l'incomodo di tali emissari, quand'anche fossero superflui, e cessata la peste e il bisogno, si pu? facilmente lasciarne l'uso. Fu anche notato che alcuni sentendosi assaliti dalla peste, avendo prontamente preso qualche rimedio sudorifero, ne restarono liberi in breve, coll'avere la natura cacciato fuori per le fontanelle una marcia nera e velenosa. Il suddetto Chirchero scrive d'aver conosciuto un medico, deputato alla cura d'uno de' lazzeretti di Roma, che si fece cinque cauteri, e si preserv? sempre illeso. Io non assicurerei per? che questa fosse la precisa cagione d'essersi egli felicemente salvato; ma dir? bene d'esser io persuaso che almeno per la curativa possano recar molto vantaggio s? fatti emissari. Per queste medesime ragioni ? lodato da alcuni medici, al primo sospetto d'aver contratta la peste, il forar la cute di qua e l? nell'estremit? de' muscoli delle braccia, ovvero de' fianchi, con poi mettervi e tenervi dentro radice d'elleboro nero, come si fa a' buoi e cavalli, essendo veramente tal erba un semplice di gran forza per attraere o per purgare i cattivi umori e i sali peccanti, e potendo esso in tal guisa impedire la generazione de' carboni e de' tumori pestilenziali. Se poi tale operazione, chiamata setaccio, e dai nostri popolari sedagno, riesca di grande utilit? alle prove, nol so dire; ma sembra che non dovrebbe se non giovare per l'analogia che ha coi cauteri. Angelo Sala molto la magnifica, citando ancor qui la sperienza sua, e contando miracoli dell'elleboro nero, del quale dice egli non darsi medicamento pi? efficace per tirar via gli umori peccanti. Nulladimeno essendo i medici-chimici, fra' quali ? celebre questo autore, in concetto di aprir molto la bocca, bisogna star cauto in credergli tutto; e in fine essendo questo un rimedio dolorosissimo, si dovr? andare adagio a valersene e a consigliarlo. Quello s? che vien tenuto per certo si ?, che non meno, e forse pi? de' cauteri artificiali, giovino e difendano dalla peste i cauteri fatti dalla natura, quali sono la rogna, le ulcere e le fistole; e per? allora non bisogna chiudere, n? levare questi canali e sfoghi de' perversi umori, ma lasciarli aperti per isperanza d'un maggior benefizio. Questa ? sentenza quasi comune.
Oltre a queste persone sottoposte meno dell'altre all'infezione della peste, ne accenner? qui per parentesi alcune che pi? o meno vi sono soggette. Gi? notammo che i fanciulli e i giovanetti, a cagione non meno della loro tenera complessione, che della loro poca avvertenza, pi? di tutti sono facili a contrarre questo morbo attaccaticcio. Ai vecchi difficilmente s'appicca esso; e le donne pi? degli uomini, e pi? le parturienti, e pi? le gravide che le altre il contraggono. I podagrosi, o sia gottosi, e quartanarj meno degli altri; e i flemmatici meno de' sanguigni e biliosi prendono la pestilenza. Cos? le persone comode e ricche meno dei poveri, a cagione del loro miglior nutrimento e governo, e non gi? per altro privilegio; perciocch? in Firenze l'anno 1630 fa osservato che pochissimi bens? de' nobili s'infettarono, ma pochissimi ancora ne guarirono. Del resto quantunque regolarmente pi? sieno in pericolo di restar ferite dal veleno della pestilenza le persone piene di cattivi umori e disordinate nella dieta, che non sono i ben sani di corpo e ben regolati nel vivere, tuttavia bisogna confessarlo, la peste non porta rispetto n? meno a queste; n? serve allora il gloriarsi di sentirsi ben forte, giovane e sano, perch? pi? forte si ? la malignit? di questo nemico nell'assalire i corpi umani, o deboli o robusti che sieno, qualora essi non istan bene in riguardo. Il che sia detto per consigliar le cautele a chi pu?, poich? per altro ? degno di molta attenzione l'osservazione fatta da alcuni; cio? che nel principio de' contagi molti di coloro che servono agli appestati si appestano anch'essi, e molti ancora ne muoiono. Crescendo la strage del morbo, meno di queste persone resta infetto; e allorch? il contagio ? nel suo furore e in declinazione, pochissimi e quasi niuno di tali serventi o beccamorti s'infettano; o pure infettandosi, meno degli altri restano offesi. Pu? proceder questo o dal restare in vita quei che hanno interna disposizione per resistere al veleno pestilenziale, mancando gli altri che ne sono privi, o pure dalla poca apprensione e dal molto coraggio di costoro, essendo questo un gran preservativo autenticato dalla sperienza; ovvero dall'assuefarsi eglino a poco a poco e col lungo uso a quel veleno, talmente che non ne sentano poi nocumento. Appresso ? da avvertire che chi una volta ha avuta la peste e ne ? guarito, per l'ordinario non ? pi? soggetto a questo pericolo durante la medesima; dissi per l'ordinario, perch? Marsilio Ficino ed altri non concedono s? francamente questa esenzione, raccontando essi qualche caso di chi pi? d'una volta ? stato colto da questo morbo e ne ? restato morto alla seconda o alla terza. Ma siccome si osserva che chi ha provato una volta i vaiuoli e la rosolia, o sia le ferse, non torna pi? a patirne, contuttoch? si legga qualche caso di chi per la seconda volta ne ? stato o si crede che sia stato colpito; cos? ? da dir della peste, in cui per lo pi? i guariti dalla medesima sogliono poscia andarne esenti finch'essa dura. Tuttavia le eccezioni, osservate ancora a questa regola, debbono rendere guardinghi e cauti i risanati dal medesimo mortalissimo morbo. Anche Evagrio nel lib. 4, cap. 28 della Storia Ecclesiastica narra che in quella orrenda peste, che dur? 52 anni e gir? per tutta la terra, accadde alle volte che chi una e insin due fiate era guarito da esso morbo, alla terza ne restava oppresso.
Ritorniamo ora ad altri antidoti preservativi della peste, insegnatici o dalla chirurgia o dalla farmacia. Alcuni professori di medicina, il cui gran capitale consiste nel prescrivere a diritto e a rovescio la purgazione del ventre e la cavata del sangue, vogliono ancora promettere l'immunit? dalla peste a chi si premunisce per tempo con questi due gran rimedi, replicati di quando in quando. Ma i medici pi? accreditati e saggi non solamente ne biasimano il consiglio, ma ci assicurano essere riuscito un tal preservativo in quei tempi nocivissimo, non potendo certamente i purganti rendere pi? gagliardi gli umori e gli spiriti contro la peste, dopo averli s? fattamente agitati e indeboliti; n? potendo sperarsi di meglio dal salasso, il quale anzi pu? far s? che pi? intimamente si mescolino colle particelle del sangue gli aliti pestilenziali. Certo ? stato allora osservato in assaissime prove che con tali preservativi mirabilmente si preparavano e disponevano i corpi a ricevere con pi? facilit? la peste, e che pi? questi che gli altri ne rimanevano estinti. Giover? dunque il solo riserbare in que' tempi qualche alleggerimento di sangue ai temperamenti pletorici; e lasciati stare i gagliardi purganti, sar? da lodarsi il tener con piacevoli medicamenti sufficientemente lubrico il corpo. Anzi queste benigne medicine non si dovranno scegliere a capriccio, ma comporle d'ingredienti che abbiano del balsamico per resistere alla putredine e alla malignit? de' veleni, e servano d? corroborativo alle viscere. Mi sia lecito il valermi di questi termini, perch? credo che abbastanza esprimano ci? che voglio dire. Sono in questo genere decantate e lodate da tutti le antichissime pillole di Rufo, o sia pillole De Tribus, come un antipestilenziale maraviglioso; e tanto pi? sono esse da stimare, quanto che si fanno con poca spesa, e tengono senza sensibile incomodo lubrico e netto il ventre. Si compongono nella seguente forma.
Oggid? per? la maggior parte dei medici prescrive quest'altra composizione e la crede migliore.
Altri vi uniscono mezz'oncia di diagridio, e mezzo ottavo di canfora. Altri v'aggiungono altri ingredienti. Vedi lo Scradero, il Lemery, o pure il Donzelli nel Teatro Farmaceutico, part. 3, pag. 654. Una o due volte per settimana prese due o tre o quattro di s? fatte pillole grosse come un pisello o cece, senza incomodo tengono in ubbidienza il corpo, e si credono un utile preservativo. Il Diemerbrochio dice che 4 once del seguente vino fanno il medesimo effetto.
Prima per? d'inoltrarmi nel gran caos de' preservativi farmaceutici che si prendono in bocca o per bocca, mi sbrigher? dagli esterni. Che non fa l'intenso natural desiderio che ha ognuno di conservare la sanit? e la vita in mezzo ai gran pericoli? Esso ha anche inventato non pochi antidoti esteriori ed amuleti contro la peste, con dar loro, o buonamente o maliziosamente, un credito e spaccio considerabile. Gli astrologi e i superstiziosi hanno inventato molti sigilli, medaglie, bullettini, anelli, carte e simili cose con figure, segni, numeri e parole anche sacre. Alcuni, e massimamente in Germania, esaltano e danno per un preservativo maraviglioso il portare in tempi di contagio sospeso al collo un rospo seccato o bruciato e ridotto in cenere, e chiuso in un sacchetto. Altri nella stessa guisa, consigliano il portare argento vivo ben chiuso e sigillato con cera in una noce o in una penna da scrivere, e ne raccontano mirabili effetti. Per parere d'altri lo smeraldo, lo zaffiro, il giacinto ed altre gemme appese al collo, in maniera che tocchino l'esterna regione del cuore, atterriscono talmente la peste, che non osa accostarsi. Pi? celebri degli altri sono gli amuleti d'arsenico cristallino puro, o varie paste e composizioni di polveri ed erbe, nelle quali entra arsenico o sublimato, da portar chiuse in uno zendado o sacchetto di tela vicino al cuore. Anche i nostri medici italiani, e fra essi alcuni de' primi, commendano forte questo segreto, citando massimamente l'esempio di papa Adriano VI, che dicono preservato dal contagio per mezzo d'una lamina d'arsenico portata sopra la regione del cuore, e sostenendo che l'un veleno resiste all'altro.
Io lascio altri simili curiosi antidoti, e mi ristringo a dire che i precetti della religione infallibile sono chiari contro que' rimedi che vengono manipolati dalla superstizione, essendo non meno delitto presso a Dio che follia presso gli uomini il prestar fede a tali invenzioni. E per conto degli amuleti velenosi, creduti contravveleni, i pi? saggi tra i medici li vogliono sbanditi dall'uso; e ci? perch? la ragione fa intendere che o non sono atti a giovare, come si crede, o possono anche nuocere. In fatti la sperienza adduce vari casi funesti, che qui non importa riferire, avendo essi avvelenato chi veniva a sudare e chi per mezzo loro si credeva sicuro dall'altro veleno, e non avendo essi difeso tanti altri dalla peste, che pur deridevano i medici con portar simili amuleti. Io per me non oserei affatto riprovare l'uso di questi pretesi rimedi; ma dir? bene che non saprei fidarmene molto. E se taluno rispondesse che per attestato d'insigni medici hanno essi giovato e giovano nella peste, se gli vuol rispondere essere pi? che difficile in molti casi il decidere qual cagione o rimedio abbia precisamente preservato dal male o salvato dalla morte un uomo. Ne' tempi di contagio pu? essere che si sieno preservati molti, portanti simili velenosi amuleti, non per cagione d'essi amuleti, ma per altre circostanze, ed anche talora per la gran fede che appunto aveano riposta in essi e che li riempieva d'intrepidezza e coraggio, due gi? da noi dichiarati buoni preservativi contro la pestilenza. All'incontro sapendosi che rospi, ragni, arsenici, argenti vivi ed altri di questi almeno sospetti ritrovamenti, sono stati avvertiti per inutili ne' medesimi contagi da altri pi? attenti e men creduli medici, egli ? difficile che la sperienza di questi abbia preso abbaglio; e perci? bisogna qui andar cauto per non cadere nel cerretanismo, da cui pur troppo non sanno talvolta tenersi lontani alcuni ancora che fanno strepito nella medicina. Aggiungo nulladimeno che se tali amuleti, e specialmente il mercurio, di cui so alcuni mirabili effetti in altri casi, verranno portati in maniera da non poter nuocere, allora se ne potr? permettere l'uso; purch? non si tralascino altre diligenze e preservativi non pericolosi e degni di pi? fede. ? bizzarro il Rivino nel trattar della peste di Lipsia, che dopo aver derisi tutti gli amuleti, ne eccettua la radice dell'erba colchico, la quale ? da lui commendata come un sicurissimo amuleto contro la peste. Io non ne so il perch?.
Egli ? poi qui da ricordare ai savi maestrati che nascendo e crescendo pi? in tempo di peste che negli altri i ciurmatori, i medicastri e i venditori di specifici e di segreti, con attribuirsi allora anche le persone idiote il diritto di prescrivere medicine, bisogna con pubblico e rigoroso editto rimediare al disordine di tali rimedi. Cio? convien proibire che senza l'approvazione de' medici deputati non sia venduta o spacciata cosa alcuna sotto nome di preservativo o di curativo per la peste, nascendo per lo pi? tali invenzioni o da una ridicola e temeraria ignoranza, o da unico motivo di proprio interesse, senza pensare all'inganno della povera gente, facilissima a credere ci? che desidera, e per tali imposture distratta dal procacciarsi altri o meno disutili, o pi? giovevoli medicamenti. Fanno anche gran male in tempi tali alcuni cerusici che in loro cuore credendosi degni della toga dottorale, la fanno da medici risoluti, e prescrivono rimedi soporiferi, purganti, amuleti ed altri medicamenti, in parte ancor qui riprovati, mandando per le poste all'altra vita infermi che forse sarebbono guariti. Ci bisogna rimedio per quanto si pu? a questi omicidi. Per parere ancora del signor Gian-Domenico Santorini, valente protomedico della sanit? in Venezia, d'una cui giudiziosa Istruzione MS. ho anch'io profittato in questa occasione, si ? sperimentato pi? volte riuscir veleni quei che si dispensavano come antidoti, non gi? perch? si sapessero e si dispensassero come tali da una abbominevole malizia, ma perch? senza cognizione e metodo venivano impastati e spacciati dalla temeraria ignoranza. Noi vedremo che anche il cavar sangue e il dar medicine solutive agli appestati, possono essere due veleni che cos? alla buona vengano prescritti nelle pesti da chi ? dottore senza dottrina, o ha sempre il nome, ma non sempre il giudizio de' medici veri.
Del resto non ? che non possano permettersi e anche lodarsi in tempi di contagio alcuni sacchetti da portarsi appesi al collo e sulla regione del cuore, purch? la loro composizione ammetta soli ingredienti chiamati per la loro qualit? o odore antipestilenziali. In questa forma, quand'anche non giovassero, siccome dovrebbono coll'espansione delle loro particelle odorose, certo non nuoceranno, e potrebbono almen recare quel non picciolo benefizio d'indurre animosit? e fiducia in chi li portasse: il che in tempi s? fatti ? di molto vantaggio. Tale sar? la seguente composizione:
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