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Read Ebook: Del governo della peste e della maniera di guardarsene by Muratori Lodovico Antonio

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Ebook has 234 lines and 96077 words, and 5 pages

Del resto non ? che non possano permettersi e anche lodarsi in tempi di contagio alcuni sacchetti da portarsi appesi al collo e sulla regione del cuore, purch? la loro composizione ammetta soli ingredienti chiamati per la loro qualit? o odore antipestilenziali. In questa forma, quand'anche non giovassero, siccome dovrebbono coll'espansione delle loro particelle odorose, certo non nuoceranno, e potrebbono almen recare quel non picciolo benefizio d'indurre animosit? e fiducia in chi li portasse: il che in tempi s? fatti ? di molto vantaggio. Tale sar? la seguente composizione:

L'uffizio della sanit? di Milano divulg? nel 1630 quest'altra composizione, come usata per preservativo da chi senza appestarsi spargeva la peste col? ; e molte altre citt? l'approvarono. Per le ragioni di sopra addotte ? da considerare se sia da ritenere uno di questi ingredienti, cio? l'arsenico; e di tal composizione potrebbe forse valersi chi sta esposto al servigio degli appestati o al maneggio delle robe e dei cadaveri loro. Eccone la ricetta:

Sono ancora consigliati e descritti dai medici per preservativi della peste molti balsami, unguenti, pittime, ecc., o da tener sulla regione del cuore, o da ungerne le narici e i polsi. Il P. Maurizio da Tolone loda la seguente

Io lascio di riferire altri simili olj, unguenti, balsami, ecc., nei quali, per consiglio d'alcuni pi? sinceri medici, non s'ha poi da confidar troppo, s? perch? non sono assai note o certe le loro forze, e s? ancora perch? molti paiono inventati parte per soddisfare agli uomini timorosi in que' terribili tempi, e parte dall'avarizia di certi medici o speziali, che non solo spremono volentieri le borse altrui, ma molto pi? facilmente le spremono quanto pi? ? il numero degl'ingredienti dei loro recipe, e quanto pi? costano s? fatte composizioni, quasi ci? che ? pi? prezioso, e si paga pi? caro, sia ancora pi? atto a guarir dai mali e a sbandire la morte. Cos? in oggi nelle citt? ove sono medici di gran sapere e di buon gusto, e che amano i disinganni suoi e gli altrui non hanno pi? voga, o almeno tanta voga, come una volta, i magisteri, le tinture e le confezioni di perle, d'oro e di gemme, avendo insegnato i chimici pi? accreditati colle sperienze fatte che queste ricche preparazioni sono o inutili trasmutazioni, o superficiali corrosioni delle materie preziose, le quali per la sanit? non hanno altro valore se non se quello che loro impone la vanit? di chi le prescrive, o la credenza dei corrivi che a gran prezzo le comperano, sperandone, ma indarno, salute o profitto.

Un'altra classe di preservativi contro la peste si ? quella dei rimedi che possono prendersi per bocca. E primieramente in que' fieri tempi, siccome vien consigliato dai saggi il non aprir le finestre delle case se non dopo la nascita del sole, e il chiuderle prima ch'esso tramonti; e siccome per loro parere non si dee uscir di casa finch? non sia levato il sole, e vi s'ha a tornare avanti il fine della giornata, quando gravi urgenze non impedissero l'uso di questa regola, cos? ci viene da tutti consigliato il non partirsi la mattina di casa, n? accostarsi a parlar ad altri, o a medicare infermi, o trattar persone o robe sospette, senza aver prima preso qualche medicamento preservativo. Quando altro non s'abbia, almeno si faccia colazione con qualche cibo sano e una bevuta di vino generoso. Il ventre digiuno ? un mal compagno in questi pericoli. Uscendo dal corpo e specialmente dalla bocca di chi s'? cos? premunito una evacuazione odorosa, non tanto per la qualit? della bevanda, quanto perch? l'aiuto sopravvenuto allo stomaco mette pi? in moto gli umori del corpo, e viene a formarsi, per cos? dire, un'atmosfera di buoni aliti, che hanno forza di tener lontani gl'impuri e pestilenziali, o pure di correggerli allorch? si accostano.

Ma quali saranno questi interni preservativi? Ne contengono una gran farragine i libri de' medici. Io ne trasceglier? quelli che scorger? pi? accreditati dalla sperienza e dalla riputazione degli autori, dovendosi qui anteporre quelli che per la loro balsamica, odorosa e spiritosa qualit? si conoscono pi? propri per resistere ai veleni, alla putredine e ai vapori maligni. Correndo dunque tempi di peste, pu? giovare molto, massimamente a quei che debbono uscir di casa, il tenere in bocca e andar masticando qualche cosa odorosa e sana. L'Ingrascia asserisce che moltissimi si preservarono dalla peste ch'egli descrive, e in particolare i beccamorti e i serventi de' lazzeretti e simili altre persone, col masticare fra giorno l'erba zedoaria e inghiottir quella saliva. Altri lodano il tenere in bocca la radice d'essa erba, o quella di dittamo, o di genziana, o dieci grani di ginepro macerati in aceto, o pure la polvere di cardo santo. Anche il nostro Falloppio scrive che a' suoi d? chi serviva agli appestati, non si preserv? con altro che col masticare la mattina zenzero e bevervi appresso un bicchiero di malvag?a e coll'andare masticando dipoi tutto il giorno zedoaria. Cos? un grano di garofano di quei di Levante tenuto in bocca, quando non s'abbia di meglio, vien creduto giovevole, siccome ancora le scorze di cedro o di melangolo. Altrettanto scrivono alcuni della mirra coll'inghiottire di quando in quando la saliva; ma questa suol riuscire pel suo sapore troppo spiacevole, e l'Elmonzio l'ha osservata fallace in casi tali. La radice d'angelica viene assaissimo consigliata ai poveri da masticare. Quella poi dell'elenio, o masticata secca, o presa in polvere, o condita con un poco di zucchero, in guisa per? che resti pi? tosto disgustosa al palato, ? sommamente lodata dal Diemerbrochio, il quale consigli? a moltissimi questo solo preservativo, facendone mangiar delle condite due o tre o quattro la mattina, perch? dice d'averle trovate pi? giovevoli che assaissimi altri medicamenti preparati con gran fatica e spesa. Jacopo Primerosio ed altri credono che il tabacco nulla vaglia contro la peste. Ma il fumarlo nelle pipe vien decretato da altri per un potente preservativo; e il suddetto Diemerbrochio attesta d'averne provato in s? stesso e in assaissimi altri un insigne giovamento nel contagio dei suoi giorni; sostenendolo per un'erba di qualit? specifica per resistere a simili veleni e alla corruzione, ed aggiungendo che non solo moltissimi coll'unico uso del fumar tabacco restarono illesi da quel morbo, ma che alcuni ancora, colpiti dal medesimo, coll'uso del solo fumo di tabacco sul principio del male se ne liberarono. Ma conviene adoperarne, dell'ottimo e colle foglie non putride e ben torte, e valersene poi anche moderatamente. Chi per? se ne serve si guardi dall'acquavite, non convenendo insieme tal rimedio con tal disposizione, secondo il parere di alcuni. N? credesse persona che il bere sugo di tabacco o l'inghiottire la sua sostanza, producesse l'effetto medesimo. Sarebbe anzi un veleno tanto nella preservativa quanto nella curativa della peste, per le deiezioni di ventre e per gli sconvolgimenti di spirito che da esso provengono. Il noto, perch? l'esempio d'alcuni pazzi potrebbe tornarsi a vedere.

Per preservativi da prendersi per bocca vengono lodate le seguenti

Altre tavolette sono prescritte dai medici, impreziosite ancora da perle e coralli preparati, da oro in foglia e da altre gemme: cose tutte che bene spesso entrano per sovrammercato in composizioni per altro buone.

A tutti, ma specialmente ai poveri, si pu? consigliare il Mitridato minore, che ? un preservativo antichissimo, attribuito, non so se con tutta ragione, a Mitridate re di Ponto, ma certo comunque sia, generalmente lodato da tutti i medici per i tempi di peste, dicendosi ancora che Carlo V salv? dal contagio con questo s? facile, ma stimatissimo rimedio l'esercito suo: nel che io lascio la verit? a suo luogo.

Che se taluno vorr? conservarsi delle foglie di ruta come fresche per ogni tempo, ne ponga molte in qualche vaso di vetro dalla bocca larga, acciocch? ne possa cavar fuori senza gran pena, e le cuopra di buon aceto, tenendo anche il vaso ben coperto. Cos? egli conserver? la ruta, ed avr? pure aceto preparato con essa, il quale anche da per s? viene molto stimato in tempi di peste, e serve per odorarlo, e per prenderne anche la mattina un poco in bevanda. Altri medici hanno accresciuto, ciascuno a suo gusto, il Mitridato minore; ma io penso d'avere accennato quello che basta.

Altri lodano come utilissima la seguente

Io volentieri accenno qui le composizioni facili e di poca spesa, affinch? tutti, e massimamente i poveri, possano provvedersi di qualche riparo contro gli assalti della pestilenza. Allorch? questa ? padrona del campo, a molti mancano gl'ingredienti, e a pi? manca ancora il danaro per procacciarseli. E se taluno dicesse di non aver gran fede in certe semplici o vili composizioni, ho il dispiacere di rispondergli che n? pur egli s'ha a fidar troppo d'altre composizioni e preservativi pi? preziosi e faticosi; perciocch? in mezzo alla peste nessun altro rimedio sicuro e privilegiato c'? se non la mano di Dio; e per conto dei rimedi umani pi? talvolta giover? un poco d'aceto, di solfo, di ruta, di canfora o altro semplice, che un lunghissimo recipe composto dall'ambizione. Seguitiamo dunque a dire che alcuni trovano buono il seguente

Potr? parimente giovare ai poveri il porre in infusione entro vino buono foglie verdi di pimpinella, e beverlo alquante ore dopo. Ovvero mettere la sera in aceto buono, sicch? stia coperta, una noce secca mondata dalla pelle; e la mattina seguente si mungi la noce e si beva l'aceto. Questo, bench? tanto facile, pure si d? per un buon difensivo. Pu? essere che si metta a ridere qualche medico, non per? addottorato in medicina; ma sappia egli che in fatti alcuni, anche valentuomini, col solo aiuto dell'aceto, preso in picciola dose le mattina con un poco di pane, e fiatato alle occasioni, si sono preservati. Ne parleremo fra poco. Le bacche poi di ginepro mature e fresche, cio? di color nero o pavonazzo, e non rosse, vengono commendate da tutti, ed entrano in moltissime composizioni contro la peste. Si potr? farne estratto, cio? cavarne il sugo con acqua, dove sieno state infuse e calde per tre giorni, spremendole dipoi per pezza netta. O pure si tengano in fiasco con vino buono sopra, per mangiarne tre o quattro per volta, riuscendo anche utile lo stesso vino.

Angelo Sala insegna a fare il mele, o sia l'estratto di ginepro, con pestare grossamente nel mortaio le bacche fresche, e cuocerle poi in acqua, finch? si vegga separata la materia glutinosa. Spremuta la decozione, per quanto si pu?, si faccia essa di nuovo cuocere, finch? si riduca in consistenza di mele, che sar? dolce e fragrante. Servivasi poi il medesimo autore di questo estratto per uno degl'ingredienti a formare la seguente composizione, chiamata da lui Triaca de' poveri, e consigliata come un eccellente antidoto contro la peste:

Varie erbe possono servire di preservativo. Sei d'esse fra l'altre sono credute contravveleni, cio? l'ipperico, il vincetossico, l'enula, il dittamo, l'aristolochia e il rafano selvaggio. Marsilio Ficino dice d'aver dato del rafano un poco per volta ai poveri con utile notabile. Si prendono tali erbe in boccone mattina e sera, o seccate in polvere con buon vino, o il loro sugo si bee al peso di un'oncia in circa. L'assenzio, che anche medichetto si chiama, ? tenuto da tutti per un egregio preservativo contro il veleno pestilenziale, e moderatamente preso tiene in buon appetito le persone. In varie maniere si pu? prendere; la pi? facile ? d'infonderlo nel vino, e prendere talvolta una bevuta di questo. Sono ancora lodate quest'altre: Scabbiosa, tormentilla, pimpinella, sassifraga, acetosella, imperatoria, scorzonera, angelica, carlina. A chi la borsa non suggerisce di meglio, potranno giovare questi facili medicamenti, che in fine anche dai medici migliori sono riconosciuti per non inutili, anzi adoperati come molto proficui nelle loro ricette. La galega, o sia ruta capraria, appellata da alcuni castracane, si tiene anch'essa per potente preservativo contro il veleno pestilenziale. Si usa in vari modi, cio? cruda in insalata, o cotta in minestra. Si piglia polverizzata in vino o altra bevanda appropriata. Si mette in infusione entro il vino o in aceto, che poi di quando in quando si bevono. Se ne bee anche il brodo e l'acqua distillata; ed ? nel verno buona anche la sua radice. Dell'una e dell'altra piantaggine dicono cose grandi alcuni medici per preservarsi dalla peste; e lodano altri non poco l'acetosa, cio? l'oxalide, prescrivendone un boccone d'essa ogni mattina a digiuno.

Per la gente delicata possono servire, secondo il Diemerbrochio, le scorze di melarancio o di cedro condite, o alcune gocce d'olio di ginepro da bersi con un poco di vino, o sia l'estratto di bacche di ginepro, quanto una noce moscata da mangiarsi. Anche gli spiriti di sale e di vitriuolo, e di zolfo, e di sugo di cedro ed altri simili acidi, appunto per questa loro qualit?, vengono celebrati per efficacissimi in resistere alle putredini, se mi lice usar questo termine degli antichi. Si prendono in bevanda d'acqua di scabbiosa, di cardo santo, di betonica, di melissa, o in altro liquore. I coriandoli preparati, e presi la mattina a digiuno, e anche dopo pasto, possono essere di qualche utilit?. Per rimedio facile, di poca spesa e di non poca virt?, viene consigliata da alcuni la seguente

Il cardinale Gastaldi insegna quest'altro preservativo, da prendersi per bocca in rotoline di peso d'una dramma prima di cena o prima di dormire, aggiungendo che se ne videro degli ottimi effetti nella peste di Roma del 1656.

Il Diemerbrochio, lasciati stare tanti altri elettuari, sciroppi, conditi, polveri, tavolette, ecc., formati con gran moltiplicit? d'ingredienti, pi? per ostentazion di sapere che per altrui utilit?, usava di prescrivere in qualunque tempo l'uso del mitridato minore, descritto di sopra, e talvolta le seguenti composizioni:

Non vi mischiava egli polvere di corno di cervo, terra sigillata, croco, e assaissimi altri ingredienti, perch? tutti stanno nella confezione liberante, nella polvere bezoartica, nel diascordio, ecc. Prescriveva ancora ad alcuni il seguente

Il Minderero scrive d'essersi servito per suo primario rimedio preservativo nella peste de' suoi tempi del seguente

Scrivono alcuni che in una peste d'Inghilterra fu approvata da tutti i medici, e trovata alle prove un felice antidoto per chi ne prendeva un poco ogni mattina, la seguente

Nell'ultima pestilenza di Polonia del 1709 il miglior preservativo che si dica ivi provato fu l'elisire dello Schomberi, i cui ingredienti sono quei che seguono:

L'elettuario, chiamato d'Angrisani, vien chiamato dal Cristini con parola assai magnifica miracoloso contro la peste, aggiungendo egli che dell'anno 1656 nella peste di Napoli, Roma ed altri luoghi fu il medesimo con gli esperimenti provato per uno de' migliori preservativi ed anche curativi. Eccone la ricetta:

Scrive il P. Chirchero che nella peste di Roma del 1656 chiunque si serv? del seguente rimedio si preserv?, ancorch? dimorasse nella casa stessa con appestati o avesse cura di loro. Tanto pi? volentieri il rapporto, quanto che ? di poca spesa. Cos? avesse egli anche notata la dose.

Stimo anche bene di aggiungere, bench? fuor di luogo, che lo spirito d'orina per testimonianza del Doleo e del Wedelio s'? provato utile fiutandolo in simili tempi, e m'immagino che si potr? sperar lo stesso dagli spiriti e sali ammoniacali per la salutevol forza del loro odore. Parimente non reputo inutile il descrivere qui un'unzione, che dicono adoperata da coloro che in Milano nel 1630 dilatarono con veleni la peste, preservandosi eglino che forse non ebbero bisogno o non si servirono mai d'antidoto alcuno. Soggiugner? tre altre composizioni, attribuite pure ai medesimi, forse per dare ad esse pi? credito, ma che tuttavia non paiono da sprezzarsi.

E giacch? abbiam nominato il celebre olio di sasso che nasce nello stato di Modena, dir? che forse non ? peranche ben conosciuto tutto il suo valore, quantunque esso venga portato e ricercato per tutta l'Europa. Bisognerebbe che eccellenti fisici ne tentassero con varie prove le virt?. Forse anche egli ? da mettere fra i preservativi contra la peste, s? per l'odore suo, e s? per le qualit? balsamiche, delle quali abbonda, se pure la sua calidit? non sia da temere in tali casi.

Ma io avrei un bel che fare, se volessi rapportar qui tanti altri antidoti preservativi che si leggono ne' libri dell'Untzero, Alberti, Quercetano, Cratone, Foresto, Horstio, Dodoneo, Sennerio, Etmullero, Diemerbrochio, di Cellino Pinto e di altri autori. Forse ne ho anche rapportato troppi, potendo nascerne confusione ai lettori in tanta copia; e finalmente n? pur io son persuaso che tanti bei rimedj abbiano la forza che talun crede contra la peste. Ma che si ha a fare? La gente vuol dei rimedj da preservarsi. Io ne suggerisco i pi? facili, o pure altri, i quali se non gioveranno, certamente n? pur dovrebbono nuocere, e sono in fine i pi? commendati dai pratici. Finir? dunque la serie de' preservativi con ritoccare per consolazion de' poveri un punto di molta importanza, cio? che il Diemerbrochio, uno de' pi? eccellenti medici osservatori e trattatisti di questa materia ch'io conosca, consigliava nel contagio de' suoi giorni alla gente povera il bere ogni mattina uno, due o tre cucchiai d'aceto ben forte, e fatto di buon vino, con alcuni pochi grani di sal comune, o pur senza, mangiandovi immediatamente dietro un pezzo di pane, avendo egli osservato che questo fu allora uno degli ottimi preservativi purch? non se ne servissero gli asmatici ed altri afflitti da mal di petto o di polmoni o di reni. Anzi aggiunge d'aver veduto gran copia di poveri meglio preservati con questo solo antidoto che molti altri provveduti di preziosissimi preservativi. Anche S. Carlo e i suoi che lo servivano nella peste di Milano, bench? praticassero s? spesso con persone e in luoghi infetti, pure si preservarono tutti, senza usare altro preservativo che non spugna bagnata in aceto, e posta entro una palla che andavano odorando. Oh! si dir?: egli era un santo. Or bene: Francesco de le Boe Silvio non ? stato altro che eccellente medico, e pure anch'egli attesta di non aver preso altro preservativo nella peste de' suoi d?, se non un cucchiaio d'aceto con una fetta di pane inzuppata in esso ogni mattina prima di visitar gli appestati; e bench? seguitasse per otto mesi continui a curare tal sorta di gente, pure con questo solo rimedio non sent? mai infezione di pestilenza. Avendone egli nel declinar del morbo dismesso l'uso, provava solamente un certo dolor di capo ogni volta che entrava in qualunque casa infetta. Non tutti, e spezialmente quei di temperamento melanconico, potrebbono seguitare per alcune settimane l'uso dell'aceto; ma a noi basta di poter qui conchiudere che la virt? dell'aceto per resistere al veleno pestilenziale ? grandissima, ed halla per tale comprovata anche la sperienza di troppi secoli; ne si trover? medico rinomato che non la commendi assaissimo. Insino l'antico Rasis tanto la stimava, che in tempo di peste consigliava il mischiarne ne' cibi e nelle bevande e ne' medicamenti, e il premunirsene coll'odore e lo spargerne insino per casa. Alcuni medici aggiungono all'aceto in infusione, o in altra forma, qualche altro semplice di qualit? antipestilenziale, e preferiscono a tutti i preservativi gli aceti triacali. Forse non han torto. Ecco la composizione d'uno di questi aceti fatta dal Timeo, che dice d'averne veduto un felicissimo successo nella peste de' suoi tempi. Altre simili men ricche, ma forse egualmente efficaci, se ne possono fare.

Anche l'aceto solo in cui sia stata disciolta canfora, dicono che preservi egregiamente. Egli ? probabile che gli spiriti pestilenziali ordinariamente penetrino ne' corpi de' sani coll'aria, che si tira col respiro; e per? bisogna pi? di tutto difendere le entrate dell'aria infetta nelle viscere nostre; al che pu? mirabilmente servire l'odore e la sostanza dell'aceto, anche per correggere quegli aliti maligni. Il Massaria scrive che nella crudelissima peste del suo tempo molti in vece di aceto, si valevano dell'erba acetosa con effetto felicissimo, prendendo il sugo d'essa, spremuto, o solo o mischiato con altri medicamenti, e da questa unicamente riconoscevano la salute preservata. E perci? il Gordoni ed altri lodano cotanto e con gran ragione per gli tempi della pestilenza tutti gli acidi, come sono i sughi degli agrumi, dell'agresta, de' meli granati, del ribes, dell'acetosa e d'altri simili, fra' quali ? forse dovuto il primo luogo all'aceto stesso. Anche il sale comune si trova commendato come un buon preservativo contra il veleno pestilenziale dell'Augenio, Jouberto, Witichio e da altri autori.

Bernardino Cristini, che fu uno dei medici dei lazzeretti di Roma nella peste del 1656, e discepolo del Riverio, confessa che sulle prime si sentiva battere forte il cuore in petto. Cominci? a valersi di rimedj antimoniali e di vomitivi e di bezoartici, bagnando i polsi, le narici e la region del cuore con balsami o essenza di scorza di cedro, e usando la triaca, canfora, controierva, angelica, carlina, rosmarino, ginepro, tormentilla, ecc., e vedendone benefizio, prese coraggio con altri medici. Il costume, tanto suo, come de' suoi famigliari, fu di andar prendendo due o tre volte per settimana, un quarto d'ora avanti cena, al peso di mezza dramma, certe pillole piacevolmente purganti e corroborative, le quali in fine son quelle di Rufo, caricate con altri ingredienti, e descritte a noi dal Riverio. Eccone la composizione.

Dar? fine alla parte preservativa coll'accennare ancora il metodo tenuto dal Diemerbrochio per guardarsi dal contagio dell'anno 1635 e dei due seguenti che afflisse tutta la Fiandra e gran parte della Germania. Si maravigliava la gente com'egli visitasse tanti infermi e case d'infetti, intrepido sempre ed illeso. Ecco la sua forma di vivere. Non avea punto paura del male, n? permetteva che collera, terrore o tristezza d'animo alloggiasse con esso lui. Venendo la malinconia, facile a lasciarsi vedere, mentre in tutta Nimega non v'era casa esente da peste, egli ordinava a tre o quattro bicchieri di vino che la cacciassero tosto di casa. Non potendo dormire assai la notte per le troppe faccende del giorno, dopo il pranzo prendeva sonno d'un'ora. Medicava per carit? anche i poveri. Il suo vitto era di cibi di buon sugo e di facil digestione, con fuggire gli opposti; e la bevanda vino mediocre, preso talvolta sino all'ilarit?, non mai all'ubbriachezza. Una o due volte fra la settimana prima d'andare a letto prendeva una o due delle seguenti

La mattina per la nausea egli non poteva prendere medicamento alcuno prima d'andare alla visita degli ammalati, ma solamente masticava alcuni grani di cardamomo minore. Da l? per? a due ore prendeva un poco di triaca o di diascordio o una scorza d'aranci condita, ovvero per lo pi? tre o quattro pezzetti di radici d'elenio condite. Da l? a poco mangiava un pezzo di pane con butirro e cacio verde pecorino, bevendovi appresso birra e talvolta un bicchier di vino medicato con assenzio o sia medichetto. Due ore prima del mezzod?, se gli era permesso, fumava una pipa di tabacco; dopo il pranzo ne fumava due o tre altre, e dopo cena altrettante. Talvolta in qualche ora del dopo pranzo ne prendeva ancora qualche altra pipata. Se punto punto si sentiva alterato dal fetore delle case o persone appestate, subito, lasciato stare ogni altro anche necessario affare, qualunque ora del giorno fosse, fumava due o tre pipe di tabacco, avendo egli sempre creduto e coll'esperienza provato per un primario preservativo nella peste il tabacco in fumo. Teneva egli che non fosse mai stato inventato migliore preservativo contra la peste, purch? fosse tabacco d'ottima qualit? e colle foglie ben mature ridotto in corda, e purch? fumato, appena che si sentisse qualche vertigine, nausea o ansiet? di cuore, che possono facilmente assalire chi pratica tra i fetori degli appestati, con passar poco dopo in vera infezione. Contento egli del tabacco solo, non si valeva d'altri suffumigi ed odori, avendone consumato non poca quantit?, durante essa peste, la qual poi finita fin? anch'egli di fumar tabacco, affinch? l'uso lodevole non passasse in un abuso detestabile, come si vede tuttod? avvenire a molti. Pu? essere che non pochi alla prova non ne sentissero tanto profitto; ma egli attesta che altri ancora il provarono utilissimo. Arrigo Sayer, medico valentissimo d'Oxford, per quello narra il Willis, medicava tuttod? francamente poveri e ricchi appestati, e maneggiava le ulcere loro senza danno alcuno e senza adoperare altro preservativo che una buona bevuta di vino generoso prima di uscir di casa. Chiamato poscia ad un castello dove la peste era pi? atroce, avendo avuto l'animo di dormire nel medesimo letto con un duca suo grande amico infetto della medesima, la contrasse anch'egli e vi lasci? la vita. Majuscola fu questa bestialit?. Non mi fermer? a pregare i medici nostri di non imitarlo. E ci? basti intorno alla preservazion della peste per quanto si pu? sperare dalla medicina.

Veniamo ora a trattar dei medicamenti e rimedj per curare chi ? gi? infetto, cio? preso dal morbo pestilenziale. Per tempo sono obbligato anch'io ad intonare quella spiacevol sentenza, cio?: che non si d? antidoto alcuno specifico, il quale per sua particular qualit? sia atto a preservare ogni persona dalla peste, e che molto meno si d? alcun determinato rimedio per guarire chi ? gi? colpito dalla medesima. Perci? tutto quello che ha mai saputo pensare e suggerir qui la medicina e la sperienza, consiste in certi rimedj generali per espugnare la malignit? dei veleni contratti e resistere alla putredine, che per analogia possono anche servire contra la peste. N? c'? da maravigliarsene da che l'arte medica con tutti i suoi studj n? pure ha trovato finora rimedj specifici a tanti altri mali e malattie di molto minor importanza e malignit? che non ? il crudelissimo della peste. Ora anche la curativa pu? ben vantare per questo morbo un'infinit? di rimedj, pubblicati gi? in varj ed assaissimi libri che trattano della pestilenza; ma di nessun d'essi pu? dirsi con sicurezza: Questo guarir?. Anzi ? da por mente che tanto nella preservazione, quanto nella cura ad uno giover? un rimedio che nulla poi servir? ad un altro ferito del medesimo male, perch? concorre il temperamento e la disposizione interna delle persone a fare che sia giovevole ad uno e inutile nello stesso tempo ad un altro il medesimo rimedio. Anzi si osserva che alcuni medicamenti provati efficaci in una peste, non servono poi in altre, essendo che quasi ciascuna peste ha qualche suo proprio e particolar sintoma diverso da quei delle altre. Forse ancora ? avvenuto, ed avverr?, che un medicamento sia stato e sia per essere utile tra i Franzesi, Tedeschi, Inglesi, ecc., e questo non riesca poi tra gl'Italiani; oltre al vedersi che ce ne vengono proposti dagli autori di quei che sono d'indole contraria per preservare e per guarire dalla stessa stessissima peste; riflessioni tutte che rendono anche me perplesso e timoroso nel trattar qui dei rimedj. Ma finalmente un pessimo rimedio potrebbe essere il non voler n? pure tentare veruno di tanti rimedj che veggonsi ancor qui lodati dai medici saggi.

Credono alcuni che non si trovi, se non tardi, rimedio alla peste, e che appunto i contagi facciano tanta strage prima di cominciare a cedere ai medicamenti, perch? non si giunge a scoprire il proporzionato, se non dopo molte esperienze. Dissi che cos? credono alcuni; ma non dir? gi? che sia certa questa opinione, perch? non ben sussiste che tardi si trovi il rimedio; ma sussiste pi? tosto che non si trova giammai. In qualsivoglia peste v'ha delle cose strane, la cagion delle quali non si sa rinvenire, almeno con sicurezza, potendo essa attribuirsi alle qualit? meno o pi? fiere del male, alla buona o rea disposizion dell'aria e de' corpi, o pure a un complesso e concorso d'altre sconosciute circostanze che la man di Dio unisce per gastigare i cattivi e purgare la terra. Per altro son da avvertire tre tempi diversi di qualsisia peste, cio? il principio, mezzo e fine. Nel principio o sia nell'accessione di questo malore, un solo, o pochi almeno saran quegli che porteranno la peste in una terra o citt? e la parteciperanno a chi disavvedutamente con esso loro tratti. Costoro quasi infallibilmente morranno o perch? non sar? conosciuto per tempo il male, o i rimedj non avran forza, o n? pure s'applicher? loro alcun rimedio essendo tutti sul principio d'un contagio pieni pi? di spavento che non s'? all'arrivo d'un fiero esercito di nemici in paese disarmato e che gode da gran tempo la pace. Se per? conosciuto tal disordine, con pronte ricerche e rigorosissime determinazioni, verranno scoperte e serrate quelle case, e sequestrate persone e robe che possano aver portata o contratta l'infezione, con separar le famiglie sospette dal commercio degli altri, e si provveder? coi profumi alle case e robe loro; la peste sar? soffocata e forzata a cedere e morire, potendosi con ci? tuttavia preservare la Citt?, perch? il veleno non ? peranche invigorito, n? dilatato.

Il mezzo, o sia lo stato della pestilenza ? quando essa ha preso possesso delle citt? e scorre liberamente, atterrando chi le capita alle mani, e facendo girar le carrette senza riposo. O sia che allora l'aria stretta delle contrade s'imbeva tutta di quegli aliti e vapori mortiferi, cagionando con ci? tanta carnificina; o sia che difficilmente possano le persone, almen popolari, guardarsi allora dall'ambiente o contatto di qualche aria, persona o roba infetta; o sia in fine che il veleno pestilenziale si trovi allora nel maggior suo auge, malignit? e furore; certo ? che in tale stato di cose i rimedj non sembrano aver forza e difficilmente si veggono guarir gl'infermi. Anzi ? stato osservato che alcune persone, bench? si tenessero chiuse nelle lor case, n? conversassero con alcuno, pure se per altri lor disordini o casualmente venivano assalite da una febbre, non si fermavano qui, perch? la febbre degenerava poscia in peste. Del pari scrivono alcuni che altri mali spontaneamente allora si mutavano in pestilenza: il che per? potrebbe essere stato cagionato o dalla visita di qualche medico, o da altre persone o robe infette, senza che se ne accorgessero i poveri infermi. Nel fine poi, o sia nella declinazion del contagio, il male cos? facilmente non si comunica, n? passa dall'uno nell'altro della stessa famiglia, e gl'infetti facilmente guariscono, riducendosi le morti a poco a poco in nulla. Pu? essere che dopo avere il morbo perduto il suo pascolo con essersi perduta tanta gente, venga egli meno, non gi? perch'esso manchi di malignit?, ma perch? manchi a lui la preda; ovvero che restando solamente in vita quei che sanno ben difendersi o col ritiro o con altri preservativi, e quei che hanno un temperamento talmente opposto alla qualit? del male che anche in mezzo agli appestati e senza alcun preservativo, non ne risentono danno; pu?, dico, essere che il morbo non trovi finalmente alcuno, sopra cui infierire; n? fomite o esca, ove pi? attaccare il suo incendio; o non gliel lasci trovare il buon governo de' maestrati, i quali non ommettendo diligenza e premura alcuna di profumi, sequestri ed altri mezzi, si studino di conservare illesi quei che fin allora son campati.

Contuttoci? non sembra n? pure improbabile che il veleno stesso della peste possa andare a poco a poco smarrendo il suo vigore dopo alcuni mesi di dimora entro d'una citt?, tanto che si lasci vincere o dalle naturali forze dei corpi umani, o da quelle de' medicamenti che dianzi nel suo furore valevano poco o nulla. Anche il morbo gallico sul principio e per molti anni, era quasi immedicabile o certo faceva dei terribili danni. Va esso a poco a poco perdendo la sua rabbia, e si lascia medicare con facilit?, bench? la calata in Lombardia di tanti eserciti dalla parte del Rodano ne abbia tornato ad inferocire alquanto gli spiriti dal 1701 fino ai d? nostri, siccome ho inteso dire ad eccellenti medici che l'hanno osservato. Non m'arrischier? gi? di dire che passando il veleno pestilenziale da tanti in tanti altri corpi si vengano a poco a poco a rintuzzare le particelle acute, fiammeggianti e maligne che il compongono; perciocch? so che se da quella citt?, in cui esso finisce, passer? ad un'altra fin'allora intatta, si vedr? ch'esso ivi sar? quel vigoroso tiranno di prima. Ma dir? bene che per un vento, il qual venga a soffiare in quella citt?, portando seco o nitro o zolfo o altri effluvj e vapori, correttivi dell'aria e contrarj al veleno pestilenziale che vien creduto da alcuni formato di particelle d'arsenico o napello o aconito, questo potr? infiacchirsi, e divenir tale che dia poi luogo ai medicamenti, o non sia ivi tanto attaccaticcio, o non conduca s? facilmente alla fossa. Ovvero potrebbe immaginarsi che tali venti e vapori, senza cangiar punto la qualit? di questo veleno, cangiassero la costituzion dell'aria e de' corpi umani di quella citt?, onde eglino da l? innanzi non sentissero s? presto, n? provassero cos? fiero questo crudelissimo morbo, rendendosi disposti a maggiormente resistergli. Cos? qualora accade che, contro il costume ordinario, infierisca pi? una peste in tempo di verno che di state, probabilmente ci? verr? de qualche pernicioso scirocco che ostinatamente allora soffj, e con alterare e mettere in moto il sangue e gli umori, faccia strada alle devastazioni del veleno pestilenziale. La tramontana molte volte ha snervata o fermata affatto la peste. Guai se da qualche cagione esterna, operante o nell'aria, o ne' corpi, o pure contro le particelle del fermento contagioso, non venisse indebolito e finalmente estinto questo morbo: non si rimarrebbe esso mai di fare strage nelle citt? finch? vi fosse popolo. E pure si sa ch'esso dopo il periodo d'alcuni mesi per l'ordinario si estingue, e che talvolta un improvviso gran freddo l'abbatte affatto.

Comunque sia, Bernardino Cristini scrive che nel contagio di Roma del 1656 sul principio si adoperavano vari rimedi, ma indarno tutti. Sospetta egli che non giovassero agl'infermi del lazzeretto, perch? non erano ministrati al debito tempo dai serventi, impauriti dal pericolo della morte; ed aggiunge che non si pu? esprimere qual fosse il disordine dei cerusici; ma che nel progresso del male cominci? egli con altri medici a far di belle cure e a guarir non pochi appestati. All'incontro il cardinale Gastaldi nella descrizione di quella peste medesima, ove egli sostenne la prefettura dei lazzeretti, attesta essere stati di gran lunga pi? i guariti ne' lazzeretti romani per benefizio della loro natura che i risanati dal sapere e dalle ricette dei medici. Quegl'infermi che aveano gagliard?a di spiriti vitali, espugnavano il contratto veleno per mezzo di ascessi o sudori, effetti tutti della loro benefica natura, bench? poi paressero ridonati alla vita dal possente aiuto delle medicine; ed appunto anche senza medicamenti guarirono molti dai buboni. Di pi? scrive egli essersi conosciuto alle prove che niuno seppe trovare un vero e specifico antidoto contro quella pestilenza; che i medicamenti giovevoli agli uni, riuscivano poi nocivi ad altri; e che meno degli altri medici conobbero o seppero medicare tal morbo quei che si credeano pi? barbassori nella professione medica; e in fine che tanti bei rimedi e consigli suggeriti dai libri de' medici, o dalla loro viva voce, o mandati anche dagli stranieri a Roma in soccorso di quella misera congiuntura, pi? tosto portarono confusione che sollievo; e ancorch? per avventura avessero giovato in altre pesti, in quella si trovarono vani, e talvolta ancora dannosi.

Queste sono cattive nuove. Contuttoci? non bisogna perdersi d'animo. Certo io per me sono abbastanza persuaso , cio? che la guarigione de' mali venga per lo pi? dalla natura, vera medicatrice d'essi, qualora ? alle sue forze permesso il fare le separazioni ed espulsioni de' cattivi umori, nel che consistono le vere crisi. Ma credo ancora del pari che il dotto e giudizioso medico possa contribuir molto alla salute degl'infermi, prescrivendo opportunamente rimedj che aiutino i movimenti regolati della natura, e che in certo modo la correggano se talvolta ella sceglie le strade non convenienti, o pure se caccia fuori con disordine gli umori confusi e non peranche ben separati. Perci? siccome pu? essere che alcuni medici romani si facessero vento alla barba con troppa facilit? nell'attribuire a s? la guarigione di tanti, cos? pu? darsi caso che anche il cardinale Gastaldi si dilungasse alquanto dal vero nell'ascrivere al solo benefizio della natura ci? che ancora fu benefizio d'alcuni medicamenti opportunamente dati e trovati buoni in quella occasione. Passiamo dunque avanti per consultare ancor qui la medicina, di cui in fine, non ostante tutta la sua incertezza e debolezza, si dee fare anche ne' tempi di peste un gran capitale.

Ma prima d'accennare ci? che pu? essere utile, convien dire quello che pu? nuocere. Il Mercati, il Mercuriale, il Foresti, il Massaria, Zacuto Portoghese con altri insigni medici sostengono che si abbia da cavar sangue nel principio del male agli appestati, mettendo mano a vari raziocini e testi de' medici antichi, e il Settala cita anche la sperienza sua. Certo non ? improbabile che in qualche peste ci? sia stato di giovamento; io per? inclino a credere che queste lodi del salasso sieno procedute dall'osservazione di soli pochi casi che non bastano a fissare una decisione legittima, o pure che s'esso giov?, fu per cagione de' sintomi e non della peste medesima; e per? quando non ne apparissero chiari da un'accurata inspezione i suoi buoni effetti, quanto a me senza fallo non mi lascerei allora cavar sangue; e quando la sperienza non gridasse in contrario, consiglierei anche a tutti gli altri il non lasciarsi aprire la vena in casi tali: s? se fanno conto della loro pelle. Un'altra folla d'eccellenti medici, fra' quali il Fracastoro, il Cardano, il Fernelio, il Platero, il Salio, il Riverio, il Barbetta, il Doleo, il Sorbait, il Waldschmidio, e per tacer di tanti altri, il celebre nostro Falloppio, asseriscono che questo ? un colpo mortale, recando non solamente ragioni e testi migliori, ma anche la sperienza, vera maestra in simili dispute. Il Falloppio scrive che nella lunga peste che dal 1524 dur? in Italia sino al 1530, morirono tutti coloro a' quali fu cavato sangue; e molti, che se ne guardarono, salvarono anche la vita. Anche il Pareo interrog? una gran moltitudine di medici e chirurghi trovatisi nella peste del 1565, che infest? quasi tutta la Francia, e n'ebbe per risposta che nessuno camp? dopo il salasso, risanati all'incontro moltissimi coll'uso de' soli alessifarmaci. Lo stesso fu osservato in altre pestilenze dall'Andernaco, da Arrigo Fiorentino, dal Dodoneo, Minderero, Hildano, Gesuero, Bauhino e da altri assaissimi rinomati fisici, che per brevit? tralascio. E per parlare de' contagi pi? recenti, abbiamo anche l'attenta osservazione del Diemerbrochio, il quale ci assicura che chiunque ferito dalla peste de' suoi giorni era salassato, indubitatamente e presto moriva. Anzi osserv? egli di pi? che gl'infermi d'altri mali, se si lasciavano aprir la vena, poco dopo venivano presi dalla peste; e che anche a moltissimi dei sani dopo il salasso incontr? la medesima disgrazia. Misera condizione degli uomini, diventando carnefici nostri quei che sono scelti per conservare la nostra vita. Abbiamo ancora dal Cristini che nella peste di Roma del 1656 fu perniciosissima la cavata del sangue, notizia confermata medesimamente dal cardinale Gastaldi con dire essersi avverata anche allora l'osservazione del Falloppio, il quale narra che un medico famoso de' suoi tempi fece cavar sangue a mille appestati, e che appena due scamparono dalla morte. Aggiunge per? il Gastaldi che fu meno dannoso il taglio della safena per alcuni pletorici e robusti. Finalmente anche nella nostra citt?, grassandovi la peste nel 1630, fu stampato un avvertimento in cui si faceva sapere come osservato in varie citt? che il cavar sangue e dar medicine da purgare il ventre, affrettava irremissibilmente la morte ai malati, e probabilmente uccideva alcuni che sarebbono guariti. Il punto ? importantissimo, e per? mi son qui diffuso. Tuttavia concepisco io molto bene che in alcune pesti la sperienza possa far conoscere utile la cavata del sangue, almeno per le complessioni pletoriche, e solo in principio, o pure quando il morbo cagionasse sintomi di pleuritidi o altre infiammazioni: al che i saggi medici porranno ben mente. Il moderno contraddittore d'Ippocrate, Michele Sinapio, scrive che a quanti della corte del principe di Radzvil, ambasciatore di Polonia a Vienna, fu aperta la vena nella peste dell'anno 1679 tutti guarirono, morti all'incontro quei d'essa famiglia che se ne astennero. Aggiungo di pi? insegnare il Sidenham che il salasso, purch? fatto con larga mano e replicato pi? volte, prima che escano fuori i buboni, giova assaissimo; e nuoce solo il cavarne poco, o pure l'aspettare a cavarlo dopo l'uscita dei tumori. Cita la sperienza sua e l'autorit? di Leonardo Botallo. Cos? egli; la disgrazia per? si ? che lo stesso Sidenham in fine, vedendo, che questo suo metodo zoppicava forte, abbandon? i salassi, e si diede anch'egli ai sudoriferi, che trov? meno pericolosi e pi? utili. In una parola, ci vuol qui gran cautela trattandosi d'un rimedio che pu? essere anch'egli pestifero.

Subito che si scorge l'uomo preso dal morbo contagioso, cerca di dargli soccorso la medicina con sudoriferi e con antidoti creduti opposti alla corruzione, procurando o di vincere in casa il fermento pestilenziale, o di ridurlo alla cute e di espellerlo fuori. Per conto dunque del far sudare, io non voglio tacere che il cardinale Gastaldi, ragionando della peste di Roma, dice che un tal rimedio talvolta fu utile e talvolta ancora nocivo; e che i sudoriferi si formavano di pietra bezoar sino a cinquanta grani, o pure di polvere viperina o di bacche di lauro, e di simili cose, con riguardo sempre ai vari temperamenti. Anche il Sidenham trova in questa operazione degl'incomodi, o perch? cagioni frenesie in chi difficilmente pu? sudare, o perch? impedisca il nascere o faccia tornare indietro i buboni, che potrebbono essere pi? legittimi ascessi del male. Nulladimeno la comune opinione si ? che il promovere sulle prime il sudore ai feriti dalla peste, possa e soglia riuscir loro di sommo giovamento, purch? si faccia con prudente moderazione e con diversi riguardi alle forze, al sesso, all'et?, al paese e alla stagione. Lo stesso Sydenham, come dicemmo, lasciati stare i salassi, si diede in fine tutto ai sudoriferi, coi quali confessa d'aver guariti moltissimi.

Un'infinit? di sudoriferi ci viene suggerita dai medici: io trasceglier? quei massimamente che sono pi? facili a trovarsi o a comporsi, e che possono venire pi? prontamente alle mani della povera gente, rimettendo al discernimento de' medici il prescrivere quei che meglio converranno, secondo la disposizione degl'infermi e del morbo. Vero ? per? che non ? sempre in mano de' medici il far sudare; e in oltre dubito io se certi generosi diaforetici meritino le lodi con cui sono esaltati, appunto perch? forse troppo generosi, credendo io che possano adoperarsi con profitto maggiore quei che senza far troppa violenza alla natura e agli umori sono buoni da promuovere benignamente il sudore. Per altro a tal crisi la natura suol inchinare al morbo pestilenziale. Appena dunque si scopre alcuno ferito dalla peste, che dovr? egli mettersi in letto, e preso uno dei seguenti diaforetici, a cui bever? dietro, un'ora dopo, un poco di brodo caldo, si coprir? bene affinch? si provochi il sudore; replicando poi varie volte lo stesso rimedio, e aiutando con qualche cibo o bevanda il corpo subito che si sentir? infiacchito dall'espansione degli spiriti ed umori.

Dicono ancora che serve molto bene a far sudare alquanto di polvere di radici d'angelica in un bicchiero d'acqua della stessa pianta, replicando ci? ogni sette ore; e mancando l'erba fresca da farne acqua, si pu? farla con infusione o decozione della radice. ? decantata anche la polvere di bacche d'edera colte ben mature e seccate all'ombra, prendendola in un mezzo bicchiero di vino bianco buono. Le bacche esposte alla tramontana si credono di pi? virt?. Se in luogo di ci? darai 3 once d'acqua distillata d'esse bacche fresche, attestano che se ne vedr? pi? felice l'effetto. Ottimo per far sudare la gente povera scrive l'Etmullero che ? il darle alcuni capi d'aglio ben pestati con aceto o vino generoso. Anche 2 once di sugo di cipolla bianca con mezz'oncia di aceto ottimo in acqua di cardo santo, o in altre simili, bastano per far sudare. Lo stesso otterrai bevendo un bicchiero di decozione di foglie e bacche di ginepro, o pure quella di cardo santo, cotta insieme con una dramma di triaca, o anche prendendo prima la triaca in un bocconcino, e poi bevendole dietro la decozione. Ovvero cotta che avrai una cipolla, infondila in aceto rosato; cavala dall'aceto e spremila; aggiungi poscia a tal sugo una dramma di triaca e un'oncia di siroppo d'agro di cedro. Parimente mezza dramma o due scrupoli di fior di solfo o di solfo sublimato, che ? lo stesso, presa con 3 once d'aceto tepido comune, fa egregiamente sudare. Pietro da Castro scrive che nella peste di Roma del 1656 sommamente giov? il dar 2 dramme di solfo ben polverizzato con 2 o 3 once di buon aceto. ? tenuto ancora per facilissimo sudorifero il solfo vergine con sale, bollito in vino a bagnomaria, o pure quello del Crollio. Lo stesso dicono del sale di frassino preso in acqua di cardo santo al peso di 12 grani. Oltre a ci? un bicchier di vino bianco potente, con alquante gocce di spirito di vitriuolo, ma moderatamente, e non in guisa che diventi brusco, servir? egregiamente ad ottener l'intento; il che per? camminer? nel supposto che la peste sia dissolvente, come poi cercheremo. Teofrasto anch'egli il loda; e l'Untzero tiene che questo spirito sia uno de' migliori medicamenti contro la peste s? per preservarsi, come per curarsi, e cita moltissimi autori che sono dello stesso parere. In fatti la ragione s'accorda con tale sentenza, se non che avendo esso del corrosivo, potrebbe lo stomaco risentirne grave nocumento, ove con qualche intemperanza e senza la compagnia di molto fluido si prendesse. L'olio di vitriuolo anch'esso ? stimatissimo. Entra esso nel seguente

Le bevande tutte hanno da esser caldette. Gi? si sa che per far sugo di qualunque erba convien pestarla in mortaio, spremerla forte, e lasciare che il sugo deponga le parti pi? grosse. Chi avesse abborrimento al sugo dell'erbe crude, le faccia cuocere in poca acqua e non tanto che sfumi tutto il balsamico, e spremute poi ben bene esse erbe, ne beva quella decozione, entro la quale chi ancor volesse far cuocere un poco di carne, pu? farlo.

Soggiugne l'autore la preparazione d'un estratto dalle fecce nel modo seguente:

Per espugnare l'interno veleno della peste hanno sempre studiato i medici, ma senza trovar finora medicamento alcuno sicuro, specifico ed universale. In difetto di ci? si sono eglino rivolti a prescrivere que' rimedi che per la loro naturale attitudine sono o paiono contrari ai veleni, ed atti ad impedire o correggere la corruzione, o il troppo o troppo poco moto dei fluidi del corpo umano, e non senza apparenza di aver eglino con ci? aiutata di molto la natura, allorch? ne seguita la sanit? degl'infermi. Egli ? incredibile, quanta copia di radici, erbe, fiori, frutta, semi, oli, pietre, sali, estratti, siroppi, conserve, conditi, minerali, polveri, elettuari, ecc., ci venga posta davanti nei libri loro col bell'elogio di medicamenti efficaci o mirabili contro la peste, s? semplici come composti. Io non prender? qui ad esporre, come fa l'Untzero con assai curiosa minutezza, ad una per una tutte l'erbe, radici, frutta, ecc., che servono o si pensa che possano servire contro i morbi pestilenziali. Non crederebbono n? pure gli altri a me, siccome io non credo a tanti discorsi prolissi degli altri intorno alla virt? di s? gran copia di medicamenti. E dopo ancora che avessi riferito tutto, ci resterebbe da imparare a fare il medico per sapere a chi convengano questi medicamenti, e come s'abbia a mescolare ed usare ora questo ed ora quello; cosa nondimeno anche difficile per i medici stessi, perch? dipendente dal giudizio pratico e dalla prudenza, con la quale, per colpire nel segno, s'hanno da considerare non solamente il mal della peste, ma ancora i sintomi che l'accompagnano, e il temperamento, le forze degl'infermi, ed altre non poche circostanze, dalle quali nascono diverse indicazioni. Mi ristringer? io dunque a notar solamente i primari e pi? facili de' medicamenti e rimedi che sono creduti a proposito per guarire, piacendo a Dio, il morbo della pestilenza. E sono principalmente, per quanto ho ricavato da vari autori, gli aromatici e balsamici, de' quali vien creduto che possano col loro sale volatile oleoso resistere, diciamo cos?, alla corruzione degli umori; e i diaforetici, o sia sudoriferi, prescritti con intenzione di espellere fuori della cute il veleno pestilenziale, ed aiutar la crisi pi? salutevole che possa tentar la natura. Hanno pure tra questi alessifarmaci il luogo loro e le lor lodi molti acidi, i quali possono in alcune pesti impedire o levare lo squagliamento e sfibramento degli umori e del sangue, e talvolta ancora, secondo il parere d'alcuni, o col precipitare o col dar tuono alle fibre, contribuire all'operazione del sudore, alla quale dee allora particolarmente mirare la diligenza dei medici.

E primieramente nella peste del 1630, per quanto apparisce dall'Avvertimento stampato allora in Modena, si vede che in molte citt? fu costume, subito che appariva la vanguardia pi? ordinaria del morbo contagioso, cio? febbre mista con dolore di capo, il prendere in bevanda alquanto di polvere, creduta cordiale, con un poco di brodo o acqua di scorzonera, ed ungere la regione del cuore con olio del Granduca o del Mattiuolo. Poco dopo si bevea una dramma di triaca o di elettuario del Mattiuolo, distemperata in 6 once dell'acqua suddetta, o in altra simile, per promuovere il sudore, dopo il quale solevano uscire i carboni, o buboni. Il corno di cervo, la terra sigillata e gli occhi di granchio si costumavano ancora con profitto; cose nondimeno che non veggo tenute per rimedi di gran forza contro il ferocissimo assalto della pestilenza. Anzi essendo stato osservato da altri che i coralli, gli occhi di granchio e la creta sono medicamenti che opprimono l'acido e levano l'appetito, perci? vien consigliato che si vada cauto a valersene nelle pesti, le quali pur troppo sogliono indurre inappetenza. Non trovo poi qual altro preciso rimedio giovasse allora, se non era il ben curare i carboni e i buboni; del che parleremo a suo luogo. ? bens? notato ivi che tutti gli altri esperimenti contro la febbre pestilenziale di quel tempo riuscivano vani, e che nella forma suddetta quasi tutti cominciarono a guarire; il che per? si noti essere stato avvertito solamente nella declinazione della peste, lasciando ci? dubitare che forse nel suo furore anche il mentovato metodo riuscisse inutile, siccome avviene allora di tanti altri medicamenti.

Secondo lui, per medicare allora gl'infetti, non v'era cosa pi? potente delle confezioni ristorative in forma soda o liquida, prese per bocca, e massimamente giovavano i bezoartici diaforetici, o sia sudoriferi. Prescriveva egli in forma soda il seguente

Questi medicamenti, se crediamo all'enfasi del suddetto autore, faceano dei miracoli, richiamando uomini ad una nuova vita; e quantunque possa parere diversamente a molti medici, pure tal sorta di rimedj fra gl'infiniti che furono adoperati, questa dice egli che fu divina. Aggiunge d'aver egli dato ad alcuni infermi con dei bezoartici bolo armeno e terra sigillata che a questo effetto son decantati da molti per mirabili; ma che in quel contagio servivano solamente a far del male, n? mai operavano bene. Ordinava egli per le stanze dei malati, affinch? non s'infettassero anche le camere e case dei sani, alcuni profumi di legni di ginepro, cipresso, incenso, mirra, belzoino, storace calamita e simili. Erano profumi pi? gagliardi quei ch'egli due volte il giorno adoperava nelle stanze sue e de' suoi amici, cio? le fecce di regolo antimoniale; ma perciocch? riesce troppo ingrato l'odore solfureo, vi aggiungeva pastelli composti di storace o altri simili grati odori, con che egli e tutti i suoi amici si conservarono sempre sanissimi in mezzo ai lazzeretti.

Passiamo noi innanzi a cose forse pi? sicure. E primieramente la canfora nella cura della peste ? esaltata dal Goclenio, dal Cratone, dal Minderero, dal Sennerlo e da altri per uno de' pi? potenti ed efficaci rimedj, e alcuni la tengono quasi il migliore di tutti. Fra gli altri l'Etmullero scrive che la canfora leva la palma a tutti gli altri alessifarmaci nella peste. Certo in lodarla assai s'accordano i migliori medici, considerata la sua qualit? e attesi i buoni effetti che ne ha fatto veder la sperienza. Perci? abbiamo dagli autori varj medicamenti, ne' quali entra la canfora. Il Minderero loda come pi? utile di tutti i pi? preziosi bezoartici, purch? non vi sieno dolori gagliardi di capo o di ventricolo, la seguente polvere descritta anche dal Platero e del Diemerbrochio, e commendata dal Follino.

Il Riverio prescrive quest'altra, di cui dice essersi egli felicemente servito.

Il Cratone si valeva d'un elettuario lodato poi come eccellente da altri medici. Eccone la ricetta.

Fu anche dal suddetto Cratone composta e poi lodata da altri la seguente

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