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Read Ebook: The A B C of Relativity by Russell Bertrand

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Ebook has 601 lines and 48466 words, and 13 pages

MATILDE SERAO

DAL VERO

MILANO CASA EDITRICE SOCIALE PERUSSA & QUADRIO Via Bocchetto, 3.

DAL VERO

MATILDE SERAO

DAL VERO

MILANO,

CASA EDITRICE SOCIALE

PERUSSIA & QUADRIO,

Via Bocchetto, 3.

Tip. Milanese, C.^a A. GIULIANI--Via Larga, 35-37.

A me, ignota ancora, voi apriste generosamente le colonne del vostro giornale; nella breve e modesta via letteraria che ho percorsa mi foste prodigo d'incoraggiamenti. Permettete che ve ne ringrazi, ancora una volta, offrendovi questo libro.

MATILDE SERAO.

Napoli, Giugno 1879.

FANCIULLO BIONDO.

A Mim?.

Di certo il fanciullo era bellissimo. Aveva gli occhi grandi ed azzurri, ma di quell'azzurro vero, leale che non diventa mai nero di sera; il bianco della cornea era anche irradiato da una tinta bluastra, cosa che faceva sembrare anche pi? grande la pupilla: i lumi della sala, riflettendosi in quegli occhi azzurri, vi accendevano una stella luccicante, una sola. Poi era biondo; non tendente al giallo, come la Gioconda di Leonardo da Vinci, n? al fulvo, come la Maddalena del Tiziano, e nemmeno come dovette essere biondo il danese Amleto: quei capelli erano fini, lucidi, biondi e dolci alla vista, riposavano lo sguardo stanco da tante teste sfrontatamente brune. Quella testina originale, dal profilo abbozzato, dai lineamenti puri, dalla fronte serena, attirava il mio sguardo.

La commedia quella sera mi annoiava, gli attori strillavano, io non avevo il programma e non ci capivo nulla. In palco, con noi, vi era un medico, ma uno di quelli moderni, che sono prima filosofi, poi fisiologi, poi medici: un materialista calmo e feroce, che in tre parole distruggeva l'amore, l'anima, l'immortalit?, riducendoli a questioni di nervi. Di Dio non discorreva pi?; lo aveva ammazzato da un pezzo. Io, fosse conseguenza di una giornata triste ed uggiosa, dipendesse dalla lettura di un libro stupido, o venisse dal dispetto di non aver ritrovata la catenina del mio braccialetto, mi sentivo disposta all'idealismo e quindi a contraddire aspramente il dottore. Per questo, preferii guardare attorno.

Il fanciullo ascoltava religiosamente la recita: spalancava i suoi occhioni, quasi a vedere maggior numero di cose, ed appoggiava il mento sulle due manine incrociate; ma il labbruccio inferiore, rosso come una ciliegia, era avanzato in atto d'infantile fierezza. Forse la commedia non gli andava a versi, ma non ne perdeva una parola, non batteva palpebra, non si moveva: a fissarlo bene con l'occhialino, si vedeva sotto la candida pelle, salire il sangue per lo sforzo dell'attenzione e pel calore del teatro. All'intervallo rialz? il capo, pens? un poco, poi sorrise a qualcuno che gli parlava: quella sua bellezza si completava, animandosi. Doveva essere anche intelligente.

--Vi piace quel fanciullo?--chiesi al dottore.

--Carino!--mi rispose costui sorridendo.

--Come vorreste che fosse, per chiamarlo bello? Bruno forse?

--Forse.

--Nulla di questo--rispose il dottore, niente commosso dalla valanga delle mie parole--per me, non amo i biondi, e la ragione ? chiarissima. Quella tinta, egregia amica, ? il risultato di una debolezza nella materia colorante, ? la pruova di un temperamento linfatico: da ci?, poca forza fisica e quindi poca forza morale, se vogliamo adoperare questa parola. Come tutte le persone deboli, le femmine bionde sono perfide, e se un uomo biondo arriva a fare grandi cose, ha dovuto adoperare una forza di volont? doppia per dominare il suo organismo. Ma i casi sono rarissimi; la statistica.....

--Per carit?!

--Vedete, dottore--ripresi--la casa dove vive quel fanciullo non deve essere mai triste: egli la rallegra, la riempie con la sua presenza, i corridoi echeggiano dei suoi passi, le volte sono piene delle sue voci, gli angoli oscuri illuminati dal suo sguardo. Il padre, quando ascolta il suo riso trillato, argentino, sente rianimarsi e riprende coraggio a vivere; la madre, guardandolo, pensa che la primavera si ? incarnata nel suo figliuolo, tanto i suoi capelli ricordano il sole ed i suoi occhi il cielo. Quando parla, gli risponde l'uccellino dalla gabbia, ed il loro dialogo ? carissimo, e se anche egli commette una piccola mancanza ? cos? soave il perdonargli....

--Quando si far? grande.....

Mi tacqui subito; il sogno era svanito.

E che! Tu diventerai grande, il tuo labbro innocente si piegher? al sogghigno, la fronte bianca diventer? pensierosa, gli occhi azzurri si annebbieranno per la collera! Tu, immagine pura, conoscerai in che fiume d'amarezze si convertano le cose pi? dolci della vita! Saprai che valgano i nomi di amicizia, di amore, di gloria! E ti sar? palese l'odio, assaporerai la vendetta! Non sarai pi? grazioso, noncurante, allegro; non riderai pi?, piangerai; dubiterai, ti annoierai, vorrai dominare il mondo e ne cadrai poi vinto! Sei un fanciullo, e sarai uomo!

Oh! se io fossi Michetti ti dipingerei; se fossi Victor Hugo scriverei per te un libro: ma se io fossi un Dio, fermerei la tua et?, biondo fanciullo!

LA CANZONE POPOLARE.

Ciascuno vivendo della vita comune, ha una vita propria; e chi la trova nel pensiero, chi nell'arte, chi nel desiderio di gloria. Il popolo, questa grande parte dell'umanit?, non conosce ancora la lotta dell'idea, nulla sa di arte e lo splendido fantasma della gloria non gli apparisce--eppure il popolo ? l'uomo; l'uomo che soffre, ama, ? felice, infelicissimo e deve avere una vita sua, una sua speciale manifestazione. L'ha; ed ? il canto. Canta dappertutto--certo dove il sole lo riscalda, dove la luce lo inonda, dove il mare unisce la sua voce, il popolo canta di pi?, ma nel freddo e nebbioso nord, in quell'atmosfera grigia, il canto popolare si eleva a menomare la tristezza della vita; le strade della citt? ne echeggiano, come le vallate della campagna; e lo stesso contadino che lavora nelle fatali paludi Pontine, scaccia il pensiero della morte col canto. In ogni stagione il popolo canta: nelle sere solitarie dell'inverno ? una voce lontana, fievole, che si perde poco a poco nella distanza; nel risveglio della primavera, nella ricchezza dell'estate, ? un concerto che sale da tutte le parti, che vi obbliga a spalancare le finestre ed a lasciare entrare la gioia del popolo; nell'autunno ? un sospiro, un addio al bel tempo che parte!

La canzone popolare non si definisce, essa si sottrae all'arida spiegazione della scienza; ? una cosa vaga, fuggevole, senza contorni determinati, evanescente. ? tutto ed ? nulla; ? un soffio leggiero e pu? diventare una leva potente; brilla di tutti i colori dell'iride, si crede che sia una perla ed ? una bolla di sapone; donde viene non si sa, dove va non si conosce; pu? morire, ma pu? anche risuscitare; ha una fragile esistenza e la si vede resistere all'urto degli avvenimenti ed al trascorrere degli anni. In essa si ritrova lo spirito multiforme del popolo; ? gaia, vivace, dal ritornello allegro, dalle battute affrettate e rapide; ? malinconica, dalle note lunghe e cadenzate con un pensiero mesto che ricompare ogni tanto; talvolta ? burlesca, vi si sente lo scoppiett?o del sarcasmo ed il fischio dell'ironia--ed infine, con una profonda ed inconsciente filosofia unisce spesso parole dolenti ad un motivo brillante. ? un lamento, una risata, un sogghigno, un bacio; l'espressione di un momento, la durevole rappresentazione di un sentimento rapidissimo; ? una idea complessa ed energica che ha bisogno di svolgersi con la parola e con la musica. Senza sapere la prima bocca che l'ha intuonata, la canzone si propaga in un momento, diventa la propriet? del popolo, e se essa ha saputo cogliere bene l'idea ed il sentimento, sopravvive lungamente, forse pi? che nella classe degli intelligenti un'opera di grande maestro.

Al popolo nessuno parla di patria e di libert?, nessuno gli dice che ha dei diritti, nessuno gli suggerisce la parola eguaglianza; il popolo non sa la storia e niuno cura d'insegnargliela, eppure il popolo si solleva, combatte, cade, risorge, ? glorioso: una canzone patriottica lo ha infiammato, ne ha risvegliato il valore e sostenuto il coraggio. Nel 1860 vennero fuori mille canzoni di guerra, senza sapere chi ne avesse gettata la prima nota; al loro suono sorgevano i soldati dalla terra, i giovani ed i vecchi sentivano per le vene un fremito, i cervelli si mettevano in tumulto, le mani correvano all'armi; e si moriva, si moriva con la gioia negli occhi ed il canto sul labbro. Anche adesso, dopo tanti anni, dopo che l'Italia ? compiuta, dopo che tante febbrili illusioni sono svanite, al risentire quei canti gli occhi si riaccendono ed il cuore si solleva. Bonaparte il grande, prima d'inebbriare i suoi soldati con la polvere ed il fuoco, li inebbriava con le canzoni popolari; ? la canzone popolare che, insieme alle teorie dei filosofi, crea la presa della Bastiglia e la rivoluzione francese; essa ? un'arme contro il tiranno, contro il cattivo governante, un'arme che vale pi? del fischio, pi? dell'urlo, pi? della pietra; perch? il fischio, l'urlo, la pietra significano l'individuo e la canzone significa la massa, il numero e la forza.

Chi sa! ? forse cos? che parla a Dio.

PSEUDONIMO.

Trovarlo non ? molto difficile: vi ? il campo della buona ed inesausta mitologia, vecchia mitologia, che tutti spregiano ed a cui tutti ricorrono, quando vogliono esprimere la parvenza del bello e del divino; vi ? la storia, fantasmagorica galleria di tipi spiccati ed eccezionali; vi ? l'arte con le sue manifestazioni pittoriche, scultorie, musicali, poetiche; vi sono le stranezze dei nomi greci, la severit? dei latini, i modi di dire, i sottintesi di tutte le altre lingue; vi sono i fiori, il paradiso, le stelle, l'inferno--ed il mondo. Un vocabolario senza fine! Allora si cerca, si cerca, si cerca; si discute, si chiede agli amici, s'interroga l'amica, si consulta il professore, l'archeologo: oggi vi ? una decisione, domani esitazione, dopodomani abbandono. Da capo a cercare, ? un affar serio, bisogna averlo, non si pu? vivere senza di esso, ne va della dignit?; l'attenzione si ferma, finalmente! Lo pseudonimo ? trovato, lo si assume, lo si spiega, lo si commenta; ? stampato sulla carta da lettere, ricamato sui fazzoletti, inciso sul suggello--investitura completa. Il fortunato possessore passa a godere i vantaggi ed i malanni della sua nuova propriet?.

La storia aneddotica dello pseudonimo ? molto ricca. Sono incidenti agrodolci, talvolta punto piacevoli: state con gente in un ritrovo e salta fuori uno sbarbatello che non vi conosce, a dichiarare che il tale ? un cretino nato e pasciuto--quadro plastico degli ascoltanti che vi conoscono. Un altro giorno ricevete una lettera poco rispettosa dal fratello di una cantante in cui si dice che se non volete smetterla di dir male della germana correranno le batoste: voi che siete innocente di critiche musicali, v'informate ed arrivate a sapere che un corrispondente incognito di un giornale teatrale ignoto, si compiace firmare col vostro medesimo nome di guerra. Ma questo equivoco non sar? il solo, n? il pi? innocente.

La gente comincer? a chiamarvi sempre col nome falso--le lettere verranno a quell'indirizzo, la vostra individualit? di cittadino e di elettore tender? a scomparire; vi avverr? che, presentato col nome di vostro babbo, vedrete dei visi indifferenti ed aggiungendovi lo pseudonimo, subito grandi riverenze e profondi inchini. Voi stesso, dimenticherete il vostro casato e se ne ricorder? solo l'esattore della ricchezza mobile! Ancora: vi ? una parte del pubblico che crede lo pseudonimo essere il rifugio dei burloni, della gente che scrive alla giornata, ed ? incapace di serio lavoro; andate un po' a farvi eleggere, se avete stampato senza la vostra firma!

Gli ? per questo che una parte degli scrittori si rifiuta al nuovo sistema: si tratta di qualche giovanotto che ambisce al posto di professore in un ginnasio qualunque; si tratta di qualche vecchietto quadrato, ragionevole, che ? stato uso di schiccherare, in fondo alle proprie opere, nome, cognome, titolo qualit? e magari anche la paternit? e il luogo di nascita; si tratta di qualche uomo maturo, grave, che scrive un libro con uno scopo pi? o meno politico, e che quindi ha bisogno di far sapere che ? stato lui, proprio lui e non un altro ad averlo fatto.

--Vedete--mi diceva uno dei contrarii alla innovazione--questo rifugiarsi nei nomi altrui, sa di sotterfugio, di bugia. E sapete perch?? Perch? coloro che assumono un nome di guerra dovrebbero pensare ad assumere anche un tono, un genere, una idea relativa a questo nome. Per nulla; conosco uno scrittore lugubre che firma Momo, un materialista che si chiama Psiche ed un uomo di spirito che perpetua il tipo di un imbecille! Lasciamo correre: credete che uno pseudonimo possa andare ai posteri?

--La letteratura moderna ha troppa fretta per pensare ai posteri--gli dissi.

--E la gloria?

--Bah! ? un pezzo che la critica l'ha abolita.

CASA NUOVA.

E dentro la casa, che monotonia! Gira, gira e rigira, si ? sempre in un posto: tutto ? uniforme, regolato, ordinato; lo stesso disordine del salottino ? stato pesato e discusso; dello studiolo non si discorre le pareti occupate dalle librerie, il tavolo di fronte alla finestra, le statuine sui piedestalli, una simmetria desolante. Lo spirito ? oppresso, schiacciato, ridotto al silenzio; i suoi slanci e le sue ispirazioni si frangono contro tutta quella immobilit?, non ci ? pi? modo di scrivere, di lavorare, di sorridere. Irritazione, dispetto, fastidio in tutti; la casa ? brutta, cattiva, micidiale; si ? stanchi, si soffoca, si muore, bisogna scapparne via.

Sospiro di conforto.

Invece la casa nuova, quella dove si andr?, ? un amore, un paradiso terrestre. ? vasta, ci si pu? giocar di spadone, vi ? lusso di aria e di luce, il Vesuvio entra nella stanza da pranzo, il golfo nel salotto, dal terrazzo si veggono tutte le colline tenersi per mano. I vicini sono roba fina, aristocratica; si ? saputo, cos? di straforo, che vi sono due cavalieri, una contessa, un vice-sindaco, un ex-ministro, figurarsi! Il portinajo, una vera pasta di miele, una perla nascosta nella conchiglia del suo casotto. I mobili andranno sottosopra, vi sar? un grande rimest?o, se ne compreranno dei nuovi ed i vecchi avranno la pensione in soffitta; discussioni infinite su questo soggetto. Tutto sar? nuovo, bello, diverso. E quanti cari progetti, quante dolci speranze si realizzeranno nella casa nuova! Si far? il matrimonio di Carolina, il figliuolo ritorner? dal suo lungo viaggio, ed allora che feste, che allegria! Il lavoro progredir? rapidamente, l'ispirazione verr?; non ci saranno i mille guai domestici che menomano e ristringono la mente: la famiglia sar? felice. Ma viene o non viene questo benedetto maggio? Si contano i giorni, si sorride ad ognuno che ne passa, si ? soddisfatti, completamente soddisfatti.

? vero, ? vero: il cuore si stringe pensando a quelle stanzuccie dove si ? tanto amato, tanto vissuto e che non si vedranno pi?; pare che dalle vecchie pareti, dagli angoli oscuri partano voci di affetto e di tenerezza; nella notte si ode un susurrio indistinto e carezzevole. In ogni cantuccio vi ? una parte di vita, un brano di cuore: sul muro, quel segno col lapis ? la misura del bambino che ora l'oltrepassa di tutta la testa--ed accanto quel ritratto, quel caro ed amato ritratto di persona morta! In questa camera la buona madre si ? ammalata, e quando la salute ? tornata a brillare nei suoi buoni ed amorevoli occhi, essa ha respirato l'aria presso quel balcone: sul balcone dove alla primavera tutte le pianticelle hanno fiorito, dove l'edera, pi? tenace dell'uomo, si ? abbarbicata; sul balcone dove nelle sere estive vi furono tante dolci parole mormorate all'orecchio. E quando vi fu quella grande, grande disillusione, la pace del piccolo studio ha calmata l'asprezza della ferita. Dio, quante memorie! Che fiotto di ricordi!

La pruova che il passato ha esistito bisogna abbandonarla, bisogna dimenticare; e perch? anche l'ultimo profilo delle rimembranze si cancelli, bisogna lasciare il fedele testimonio della vita trascorsa. Staccarsi da tutto, annullare, fare il vuoto. ? uno spasimo acuto. Si vagola per le camere, sogguardando lungamente, quasi a volersi imprimere nella mente ogni linea; non si va pi? fuori quasi a prolungare i momenti della permanenza; non si scambiano che brevi frasi; le fanciulle sono malinconiche, i vecchi parenti si fanno pensosi. Il giorno della partenza viene: i visi sono pallidi e scomposti, si va e si viene senza far nulla, quasi per distrarsi; si resta seduti sopra un baule a guardare tristamente i mobili che se ne vanno; la casa ? piena di persone estranee, di facchini ruvidi, di voci irose; la casa ? profanata, manomessa, sembra una chiesa dove sia passata un'orda di cosacchi. I mobili se ne vanno, se ne vanno, e si ? ancora l?, in un angolo polveroso a guardare, a prolungare quello strazio interno: vengono i vicini a salutarvi e si scopre che quella gente era buona ed onesta; che tormento! Passano, passano le ore, pare un triste sogno; ? invece una realt?--il nuovo abitante ? venuto, vuole la casa sua, vi scaccia quasi. Si gitta intorno un'ultima occhiata; lentamente, con le labbra serrate ed un gruppo nella gola, si parte.

La nuova casa! ? un'estranea; non la conoscete, non vi conosce, non avete vissuto con lei, le sue mura sono mute, hanno parlato ad altri; ? fredda, vuota, sembra un deserto, sembra una rovina, ci si parla a bassa voce come in una piazza. Sorprese dappertutto; anditi, scalette, porticine, e non si sapeva nulla, ed in quei momenti eccezionali sembrano tradimenti, trabocchetti; la notte non si dorme, si sta a disagio; gli oggetti non trovano il loro posto, tutto va di traverso. Qualche sera, per una soave distrazione, si prende l'antica strada, perch? della nuova casa non si sa che farne; si vuole la vecchia, la vecchia e buona casa che ? senza tradimenti, senza sorprese, che ama, parla, compiange--? l? che si vuol andare, per viverci come tanto tempo ci si ? vissuti, in un ambiente cognito ed amico; ci si vuole restare sino alla morte. Non si pu? pi?.

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