Read Ebook: Marocco by De Amicis Edmondo
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Ebook has 905 lines and 95552 words, and 19 pages
--? vero, fece rispondere sua Eccellenza,--ma la mano essendo lo strumento ? anche il simbolo della facolt? della mente.
La discussione si prolung? per qualche altro minuto.
--? un dono d'All?--conchiuse finalmente Sidi-Bargas.
--Avaro All?! dissi in cuor mio.
La conversazione dur? un pezzo e s'aggir? quasi sempre intorno al viaggio. Fu una lunga citazione di nomi di governatori, di provincie, di fiumi, di valli, di monti, di pianure, che avremmo trovato sul nostro cammino; nomi che mi suonavano all'orecchio come altrettante promesse di avvenimenti meravigliosi, e mettevano in gran moto la mia immaginazione. Che cos'era la Montagna rossa? Che avremmo veduto sulle sponde del Fiume delle Perle? Che omo doveva essere un governatore chiamato Figlio della cavalla? Il nostro Incaricato fece varie domande riguardo alle distanze, all'acqua, all'ombra. Sidi-Bargas aveva tutto sulla punta delle dita, e da questo lato bisogna riconoscere ch'era molto al di sopra di Visconti Venosta, il quale non sarebbe certo in grado di dire a un ambasciatore straniero quante sorgenti d'acqua pura e quanti gruppi d'alberi si trovano sulla strada da Napoli a Roma. Augur? infine un buon viaggio colla formola:--La pace sia sulla vostra strada,--e accompagn? l'Incaricato fin sull'uscio, stringendo la mano a tutti coll'apparenza d'una grande cordialit?. Il Caid Misfiui, sempre muto, ci porse la punta delle dita, senza guardarci nel viso.--La mano, veh!--dissi tra me stendendogli la mia;--non la testa.
Eravamo gi? fuori della sala, quando il ministro ci raggiunse.
--Che giorno partite? domand? al Comm. Scovasso.
--Domenica,--questo rispose.
--Partite luned?!--disse in tono premuroso Sidi-Bargas.
L'Incaricato gli fece domandare perch?.
--Perch? ? giorno di buon augurio!--rispose con seriet?,--e fatto un nuovo inchino, disparve.
Sidi-Misfiui, mi fu detto poi, ha tra i Mori la fama di gran dotto, fu maestro del Sultano regnante, ed ?, come gli si legge nel viso, un mussulmano fanatico. Sidi-Bargas gode la riputazione pi? amabile di gran giocatore di scacchi.
? ? ? ? ?
Tre giorni prima della partenza, la stradetta dove d? la porta della Legazione era gi? affollata di curiosi. Dieci grandi cammelli, che dovevano portare a Fez, prima del nostro arrivo, una parte delle provvigioni di vino, vennero l'un dopo l'altro a inginocchiarsi davanti alla porta per ricevere il carico, e partirono accompagnati da un drappello di servi e di soldati. Dentro la casa, in quegli ultimi tre giorni, raddoppi? il lavoro e il via vai. Ai servi e ai soldati della Legazione s'aggiunsero i servi venuti da Fez. Ad ogni ora del giorno arrivavano provvigioni. La casa pareva un'officina, un magazzino e uno scalo. Si temette un momento che non bastasse il tempo agli apparecchi per poter partire il giorno fissato. Ma la domenica sera, tre di maggio, tutto era pronto, compresa l'asta altissima d'una smisurata bandiera tricolore che doveva sventolare in mezzo alle tende; e la notte poterono essere caricati sulle mule tutti i bagagli, che partirono il luned? mattina, molte ore prima di noi, affinch?, arrivando la sera alla tappa, trovassimo l'accampamento piantato.
Ricorder? sempre, con una emozione gradevole, quegli ultimi momenti che passammo nel cortile della Legazione prima della partenza.
Alle cinque in punto l'ambasciatore mont? a cavallo e sulle terrazze delle Legazioni s'alzarono le bandiere in segno di saluto.
Preoccupato com'ero della mia cavalcatura, in quel tafferuglio pericoloso della partenza, non ricordo che confusamente la folla che ingombrava le strade, le belle ebree affacciate alle terrazze, e un ragazzo arabo che mentre uscivo per la porta del Soc, esclam? con un accento strano:--Italia!
Sul Soc si unirono a noi i rappresentanti di tutte le Legazioni, per accompagnarci, secondo l'uso, fino a qualche miglio da Tangeri; e prendemmo tutti insieme la via di Fez, confusi in una cavalcata rumorosa, davanti a cui sventolava la bandiera verde del Profeta.
HAD-EL-GARB?A
Era una folla di ministri, di consoli, di dracomanni, di segretarii, di cancellieri, una grande ambasciata internazionale, che rappresentava sei monarchie e due repubbliche, composta per la maggior parte di gente che aveva girato mezza la terra. Fra gli altri, il console di Spagna, vestito del grazioso costume della provincia di Murcia, con un pugnaletto alla cintura; il console gigantesco degli Stati Uniti, antico colonnello di cavalleria, che s'alzava di tutta la testa al di sopra della comitiva, e cavalcava un bel cavallo arabo bardato alla messicana; il dracomanno della Legazione di Francia, un uomo di forme atletiche, piantato sopra un enorme cavallo bianco, col quale presentava in certi atteggiamenti i contorni fantastici e poderosi di un centauro; delle faccie inglesi, portoghesi, andaluse, tedesche. Tutti parlavano, ed era una conversazione in dieci lingue, accompagnata da risate, canterellamenti e nitriti. Davanti a noi cavalcava il portabandiera, seguito da due soldati della Legazione d'Italia; dietro venivano i cavalieri della scorta, guidati dal generale mulatto, coi fucili ritti sulle selle; dai lati uno sciame di servi arabi a piedi. Tutta questa comitiva, dorata dagli ultimi raggi del sole, presentava uno spettacolo cos? splendidamente pittoresco, che ognuno di noi lasciava trasparire sul volto la compiacenza d'essere una figura del quadro.
A poco a poco quasi tutti coloro che ci accompagnavano, si accomiatarono e tornarono a Tangeri; non rimasero pi? con noi che l'America e la Spagna.
La strada, per allora, non era delle peggio; la mia mula pareva la mula pi? docile dell'Impero; che cosa mi rimaneva a desiderare? Ma non c'? felicit? intera sulla terra. Il capitano mi si avvicin? e mi diede una notizia spiacevole. Il vice-console, Paolo Grande, nostro compagno di tenda, era sonnambulo. Il capitano stesso l'aveva incontrato la notte prima, su per le scale della casa della Legazione, ravvolto in un lenzuolo, con un lume in una mano e una pistola nell'altra. I servi della casa, interrogati, avevano confermata la cosa. Dormire sotto la tenda con lui era pericoloso. Il capitano pregava me, poich? avevo maggiore famigliarit? col vice-console, d'indurlo a rimettere a qualcuno le sue armi durante la notte. Io promisi di fare tutto il possibile.--Mi raccomando--; disse allontanandosi;--anche in nome del Comandante; si tratta di salvare la pelle.--Questa ci mancava!--pensai, e cercai subito il vice-console. Egli stesso mi venne accanto. Di domanda in domanda riuscii a sapere che aveva con s? un piccolo arsenale, tra armi da fuoco e armi da taglio; compreso un pugnalaccio moresco, di cui mi fece la descrizione, e che, non so perch?, mi pareva stato fabbricato apposta per farmi un buco nel cuore. Ma come fargli capire la cosa? E se non ne avesse avuto coscienza? Decisi di aspettare fino a notte, quando andassimo a letto, e per tutta la strada non mi potei pi? liberare da quel pensiero molesto.
Camminavamo sopra un terreno ondulato a grandi curve, in una campagna verde e solitaria. La strada, se si pu? chiamar strada, era formata da un gran numero di sentieri paralleli, in alcuni punti incrociati, serpeggianti in mezzo a cespugli e pietroni, infossati come letti di rigagnoli. Qualche palma e qualche alo? disegnava le sue forme nere sull'orizzonte dorato. Il cielo cominciava a coprirsi di stelle. Non si vedeva nessuno n? vicino n? lontano. A un certo punto, sentimmo alcune fucilate. Era un gruppo d'arabi che dalla sommit? d'una collina salutavano l'ambasciatore. Dopo tre ore di cammino, era notte fitta; cominciavamo a desiderare l'accampamento. La fame in qualcuno, in altri la stanchezza aveva troncate le conversazioni. Non si sentiva pi? che il passo dei cavalli e il respiro affannoso dei servi che ci seguivano correndo. A un tratto risuon? un grido del Caid. Ci voltammo e vedemmo un'altura, alla nostra destra, tutta scintillante di lumi. Era il nostro primo accampamento e lo salutammo con un grido.
Non saprei esprimere il piacere che provai mettendo piede a terra in mezzo a quelle tende. Se non fosse stata la dignit?, che dovevo serbare, di rappresentante della letteratura italiana, mi sarei messo a fare delle capriole. Era una piccola citt?, illuminata, popolata, rumorosa. Da ogni parte scoppiettavano i fuochi delle cucine. Servi, soldati, cuochi, marinai andavano e venivano scambiandosi ordini e domande in tutte le lingue della torre di Babele. Le tende formavano un gran circolo, in mezzo al quale era piantata la bandiera italiana. Di l? dalle tende erano schierati i cavalli ed i muli. La scorta aveva il suo piccolo accampamento appartato. Tutto era ordinato militarmente. Riconobbi subito casa mia e corsi a prenderne possesso. V'erano quattro letti da campagna, stuoie e tappeti, lanterne, candelieri, tavolini, seggiole a ?ccase, lavamani colle asticciuole strisciate dei tre colori italiani e un grande sventolatore all'indiana. Era un accampamento principesco, da passarci volentieri un annetto. La nostra tenda era posta fra quella dell'ambasciatore e quella degli artisti.
L'accampamento era immerso in un profondo silenzio. Davanti alla tenda dell'Ambasciatore, che s'era ritirato prima di noi, vegliava il fido Selam, primo soldato della Legazione. Fra le tende lontane passeggiava lentamente, come una larva bianca, il Caid della scorta. Il cielo era tutto scintillante di stelle. Che beata notte, se non avessi avuto quella spina del sonnambulo!
Entrando nella tenda, il capitano mi ripet? la raccomandazione. Decisi d'intavolare il discorso quando fossimo a letto. Era indispensabile; ma mi costava un grande sforzo. Il viceconsole avrebbe potuto prender la cosa in mala parte e ne sarei stato dolentissimo. Era un compagno cos? piacevole! Da schietto siciliano, pieno di fuoco, parlava delle cose pi? insignificanti collo stile e coll'accento d'un predicatore ispirato. Profondeva gli aggettivi terribile--immenso--divino--ad ogni proposito. Il suo gesto pi? riposato era di agitare le mani al di sopra della testa. A vederlo discutere, con quegli occhi che gli uscivan dal capo, con quel naso aquilino che pareva volesse agganciare l'avversario, si sarebbe giudicato un uomo irascibile e imperioso; ed era invece la pi? buona, la pi? arrendevole pasta di giovanotto che si possa immaginare.
--Animo--disse il capitano quando fummo tutti e quattro a letto.
--Signor Grande,--io cominciai--lei ha l'abitudine di levarsi durante la notte?
Parve molto meravigliato della mia domanda.--No--rispose--e mi spiacerebbe che l'avesse qualchedun altro.
Quest'? curiosa! pensai.--Dunque--soggiunsi--lei riconosce che ? un abitudine pericolosa.
Mi guard?.
--Scusi--disse poi--mi pare che su quest'argomento lei non dovrebbe scherzare.
--Mi scusi lei, io risposi,--non ho menomamente l'intenzione di scherzare. Non ? mia abitudine di scherzare sulle cose tristi.
--? una cosa triste davvero, e toccherebbe a lei a scongiurarne le cattive conseguenze.
--Questa ? bella! Pretenderebbe che andassi a dormire in mezzo ai campi?
--Dei due mi pare che ci dovrebbe andar lei e non io.
--? una vera impertinenza!--diss'io balzando a sedere sul letto.
--Oh stiamo a vedere adesso,--grid? il viceconsole alzandosi istizzito,--che ? un'impertinenza il non volersi lasciar ammazzare!
Una gran risata del capitano e del comandante tronc? la discussione, e prima ancora che essi parlassero, il signor Grande ed io capimmo d'esser stati corbellati tutt'e due. A lui pure avevan fatto credere che io giravo la notte per la casa della Legazione, con un lenzuolo sulle spalle e una pistola nel pugno.
? ? ? ? ?
La notte pass? senz'accidenti, e la mattina mi svegliai in tempo per vedere l'aurora.
L'accampamento europeo era ancora immerso nel sonno; soltanto in mezzo alle tende della scorta si cominciava a mover qualcuno.
Il cielo era tutto color di rosa ad oriente.
Mi avanzai fino in mezzo all'accampamento e rimasi per molto tempo immobile a contemplare lo spettacolo che mi si spiegava d'intorno.
Le tende erano piantate sul fianco d'una collina tutta coperta d'erbe, di fichi d'india, d'alo? e d'arbusti fioriti. Vicino alla tenda dell'ambasciatore s'alzava una palma altissima, inclinata graziosamente verso oriente. Davanti alla collina si stendeva una grande pianura ondulata e florida, chiusa lontano da una catena di monti di color verde cupo, di l? dalla quale apparivano altri monti azzurrini quasi svaniti nella limpidezza del cielo. Non si vedeva in tutto quello spazio n? una casa, n? una tenda, n? un armento, n? un nuvolo di fumo. Era come un immenso giardino chiuso ad ogni creatura vivente. Un'aria fresca e odorosa faceva stormire leggermente le foglie della palma: unico rumore che mi giungesse all'orecchio. A un tratto, voltandomi, vidi dieci occhi spalancati fissi nei miei. Erano cinque arabi seduti sopra un masso di roccia, a pochi passi da me: lavoratori della campagna, venuti durante la notte, chi sa di dove, per vedere l'accampamento. Parevano scolpiti nella roccia medesima su cui riposavano. Mi guardavano senza battere palpebra, senza dar segno n? di curiosit?, n? di simpatia, n? di malevolenza, n? d'imbarazzo: tutti e cinque immobili e impassibili, coi visi mezzo nascosti nei cappucci, che parevano la personificazione della solitudine e del silenzio della campagna. Misi una mano in tasca; quei dieci occhi accompagnarono il movimento della mano; tirai fuori un sigaro; quei dieci occhi si fissarono sul sigaro; andai innanzi, tornai indietro, mi chinai a raccogliere un sasso, e quei dieci occhi m'erano sempre addosso. E non erano i soli. A poco a poco, ne scopersi molti altri, pi? lontano, seduti in mezzo all'erba, a due a due, a tre a tre, anch'essi incappucciati, immobili, cogli occhi fissi su di me. Parevano gente sbucata allora di sotto terra, morti cogli occhi aperti, apparenze piuttosto che persone reali, che dovessero svanire ai primi raggi del sole. Un grido lungo e tremulo, che veniva dall'accampamento della scorta, mi distrasse da quello spettacolo. Un soldato mussulmano annuciava ai compagni l'ora della preghiera, la prima delle cinque preghiere canoniche che ogni musulmano deve fare ogni giorno. Alcuni soldati uscirono dalle tende, stesero per terra le loro cappe, vi s'inginocchiarono su, rivolti verso l'oriente; si soffregarono tre volte le mani, le braccia, la testa e i piedi con una manata di terra, e poi cominciarono a recitare a bassa voce le loro preghiere inginocchiandosi, rizzandosi in piedi, prostrandosi col viso sull'erba, alzando le mani aperte all'altezza delle orecchie, e accoccolandosi sulle calcagna. Poco dopo usc? dalla sua tenda il comandante della scorta, poi i servi, poi i cuochi; in pochi minuti la maggior parte della popolazione del campo fu in piedi. Il sole, appena spuntato sull'orizzonte, scottava.
? ? ? ? ?
Rientrando nella tenda feci la conoscenza di parecchi personaggi assai curiosi, di cui mi occorrer? di parlare sovente.
--Che ne dici di questa vita?--gli domand? il comandante, mentre l'aiutava a vestirsi.
--Che vuol che ne dica?--rispose.
--Oh bella! Il viaggio, il paese nuovo, tutto questo trambusto, non t'ha fatto nessuna impressione?
Stette un po' pensando, e rispose ingenuamente:--Nessuna impressione.
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