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Words: 95552 in 23 pages
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aggior parte non hanno addosso che una semplicissima cappa bianca; eppure quanta variet? fra di loro! Chi la porta aperta, chi chiusa, chi tirata da un lato, chi ripiegata sulla spalla, chi infilata, chi sciolta, ma sempre posta con garbo, variata di pieghe pittoresche, cascante, in linee facili e severe, come se l'avesse panneggiata, o piuttosto, come la vorrebbe saper panneggiare un artista. Ognuno di costoro arieggia un senatore romano. Stamattina l'Ussi ha scoperto un meraviglioso Marco Bruto in mezzo a un gruppo di beduini. Ma se non ci ? abituata la persona, non basta la cappa a nobilitar la figura. Parecchi di noi n'han comperata una per il viaggio, e se la provarono; e m'? parso vedere dei vecchietti convalescenti infagottati in un lenzuolo da bagno.
Non ho ancora visto tra gli arabi un gobbo n? uno storpio n? un rachitico; ma molti senza naso, effetto di morbo celtico; moltissimi ciechi, e i pi? fra questi colle occhiaie vuote; vista che mi fa rabbrividire quando penso che ad alcuni, forse, ? stato strappato il globo dell'occhio in virt? della legge del taglione, che vige nell'Impero. Ma nessuna bruttezza ridicola in mezzo a tante figure strane e rincrescevoli. Il vestito ampio nasconde i piccoli difetti, come la gravit? comune e l'apparenza lignea, terracea o bronzina delle carni, dissimula la differenza d'et?. Il perch? s'incontrano ad ogni passo uomini d'un'et? indefinibile, dei quali si pu? dire soltanto che non sono n? vecchi n? adolescenti; e o si giudicano maturi, e un lampo di sorriso rivela inaspettatamente la giovinezza; o si credono giovani, e il cappuccio rovesciato mostra tutt'a un tratto i capelli grigi.
Trovo, sinora, che non ? un'esagerazione quello che si dice della bellezza delle ebree marocchine, che ha un carattere suo proprio, sconosciuto in ogni altro paese. ? una bellezza opulenta e splendida, di grandi occhi neri, di fronti nivee, di bocche porporine, di contorni statuarii, una bellezza da palco scenico, che abbarbaglia da lontano, e strappa piuttosto un applauso che un sospiro, e piace di raffigurarsela in mezzo alle fiaccole e alle tazze inghirlandate d'un banchetto antico, come nella sua cornice naturale. Le ebree di Tangeri non vestono in pubblico il ricchissimo costume tradizionale; son vestite presso a poco all'europea, ma di colori ciarlatanissimamente vistosi, bl? solferino e rosso di carminio, giallo di zolfo e verde d'erba montanina, scialli e gonnelle che feriscon l'occhio da una collina all'altra; in modo che paiono donne ravvolte dentro a bandiere di tutti gli Stati del mondo. Il sabato, passando per le strade abitate dagli ebrei, si vedono da ogni parte quei colori, quei visi floridi, quegli occhioni dolci e ridenti, quelle treccie lunghe e nerissime; nidiate di ragazze chiassose e curiose; un rigoglio di giovent? e di bellezza sensuale, che contrasta vivamente colla solitudine austera delle altre vie.
Mi fanno ridere i ragazzi arabi. Di quei piccini, che possono appena camminare, anch'essi insaccati nella cappa bianca, non si vede altro che il cappuccio, e paiono spegnitoi ambulanti. La maggior parte hanno la testa rasa nuda come la mano, eccetto una trecciolina sul cocuzzolo lunga un par di palmi, che si direbbe lasciata apposta per poterli appendere ai chiodi come le marionette. Alcuni l'hanno invece dietro l'orecchio o sopra la tempia, con qualche ciocca di capelli tagliati in forma di quadrato o di triangolo, che ? il distintivo degli ultimi nati nelle famiglie. I pi? hanno un bel visetto pallido, un corpicino ritto e sciolto e un'espressione d'intelligenza precoce. Nelle parti pi? frequentate della citt?, non badano agli Europei; nelle strade appartate, si contentano di guardarli attentamente, coll'aria di dire:--Non mi piaci.--Qualcuno avrebbe voglia di dire un'impertinenza: glie la vedete scintillare negli occhi e guizzare sulle labbra; ma di rado se la lasciano sfuggire dalla bocca, non tanto per rispetto del Nazareno, quanto per paura del padre, che sente l'odore delle Legazioni. In ogni caso, per?, alla vista d'un soldo si quetano. Ma bisogna guardarsi da tirare il codino, perch? ieri, passando, diedi una tiratina a un fantoccio alto un palmo, e lui mi si volt? contro inviperito, borbottando alcune parole, che significavano, mi disse l'interprete:--Dio faccia arrostire tuo nonno, maledetto Cristiano!
Ho finalmente veduto due santi, che vuol dire idioti o pazzi, poich? qui, come in tutta l'Affrica settentrionale, ? venerato come santo colui al quale Dio, in segno di predilezione, ha tolto la ragione per ritenerla prigioniera nel cielo. Il primo era davanti a una bottega, sulla strada principale. Lo vidi da lontano e mi fermai. Sapevo che ai santi tutto ? lecito, e non volevo espormi a ricevere una legnata tra capo e collo come il signor Sourdeau, console di Francia, o uno sputo nel viso come il signor Drummond Hay. Ma l'interprete che m'accompagnava mi spinse innanzi dicendomi:--Vada franco; i santi di Tangeri han messo testa a partito dopo che le Legazioni fecero dare degli esempi sonori, e in ogni caso gli arabi stessi le servirebbero di scudo, per impedire al santo di compromettersi.--Allora passai davanti a quello spauracchio, osservandolo attentamente. Era un vecchio, tutto faccia e tutto pancia, coi capelli bianchi lunghissimi, una barbaccia che gli scendeva fin sul petto, una corona di carta intorno alla fronte, un mantello rosso sbrandellato sulle spalle e in mano una piccola lancia colla punta dorata. Stava seduto in terra, colle gambe incrociate e le spalle al muro, guardando con aria annoiata la gente che passava. Mi soffermai: mi guard?. Ci siamo--pensai--ora lavora la lancia.--Ma la lancia ebbe giudizio, e fui anzi meravigliato dell'espressione tranquilla e intelligente di quegli occhi e d'un risolino astuto che vi brillava dentro, come se volesse dire:--Tu aspetti ch'io ti dia addosso, eh? A esser minchioni! Era certamente uno di quegli impostori che, sani di mente, si fingono pazzi per godere i privilegi della santit?. Gli gettai una moneta ch'egli raccolse con sbadataggine affettata, e tornai verso la piazzetta dove, appena arrivato, ne incontrai un altro. Questo era santo davvero. Era un mulatto, quasi tutto nudo, appena umano nel viso, tutt'una crosta immonda dalla testa ai piedi, e secco a segno che lasciava veder lo scheletro osso per osso, e pareva un prodigio che vivesse. Girava lentamente per la piazza sorreggendo a fatica una gran bandiera bianca, che i ragazzi correvano a baciare, e un altro pezzente accompagnato da due rabbiosi suonatori di piffero e di tamburo, chiedeva la limosina per lui di bottega in bottega. Gli passai accanto, mi mostr? il bianco dell'occhio; lo fissai, si ferm?; mi parve che apparecchiasse qualcosa in bocca, mi scansai lesto lesto e non mi volsi pi? indietro.--Ha fatto bene, mi disse l'interprete, a scansarsi, perch?, se avesse sputato, lei non avrebbe avuto dagli altri arabi altra consolazione che di sentirsi dire: Non asciugare, fortunato Cristiano! Non cancellare il segno della benevolenza di Dio! Te benedetto, che il santo t'ha sputato sul viso!
Ho visto due bambini condotti in trionfo dopo la funzione solenne della circoncisione. Uno poteva avere sei anni, l'altro cinque. Erano tutti e due a cavallo a una mula bianca, vestiti d'abiti rossi, gialli e verdi, ricamati d'oro, e coperti di nastri e di fiori, in mezzo ai quali si vedevano appena i loro visetti pallidi, che serbavano ancora l'espressione dello spavento e dello stupore. Davanti alla mula, gualdrappata e inghirlandata come un cavallo di corte, camminavano tre sonatori col tamburo, il piffero e il cornetto, sonando furiosamente; dai lati e dietro, venivano i parenti e gli amici, uno dei quali teneva i bimbi fermi sulla sella, un altro porgeva loro dei confetti, altri li accarezzavano, alcuni tiravan schioppettate in aria saltando e gridando. Se non avessi saputo il significato della cerimonia, avrei creduto che quei poveri bimbi fossero due vittime condotte al sacrificio; e nondimeno era uno spettacolo non privo di gentilezza e di poesia. Ma l'avrei trovato anche pi? poetico, se non m'avessero detto che l'operazione sacra era stata fatta dal rasoio d'un barbiere.
Stasera ho assistito ad una strana metamorfosi di Racma, la serva nera del ministro. La sua compagna mi venne a cercare, mi condusse in punta di piedi davanti a un uscio socchiuso, e spalancandolo tutt'a un tratto, esclam?:--Guardi Racma!--Io rimasi talmente meravigliato dell'aspetto in cui mi si present? quella nera, ch'ero abituato a vedere nei panni di una modestissima schiava, che per un momento non credetti ai miei occhi. Avrei detto ch'era una sultana fuggita dal palazzo dell'Imperatore, la regina di Tumbuctu, una principessa di qualche regno sconosciuto dell'Affrica, venuta l? sul tappeto miracoloso di Bisnagar. Non la vidi che per pochi momenti, non saprei dire esattamente com'era vestita. Era un bianco di neve, un rosso di porpora e uno sfolgorio di larghi galloni d'oro, sotto un gran velo trasparente, che presentavano insieme col viso nerissimo una cos? fragorosa armonia di colori e una ricchezza cos? barbaramente magnifica da non trovar parola per descriverla. Mentre m'avvicinavo per osservarne i particolari, tutta quella pompa scomparve sotto il lugubre lenzuolo maomettano, e la regina si trasform? in spettro, e lo spettro scomparve, lasciando nella stanza il puzzo nauseabondo di selvaggiume, proprio della razza nera, che fin? di togliermi ogni illusione.
Udendo un gran chiasso nella piazzetta, mi affacciai alla finestra e vidi passare un nero con tutto il busto nudo, a cavallo a un asino, fiancheggiato da alcuni arabi armati di bastoni e seguito da uno sciame di ragazzi che urlavano. Sul primo momento credetti che fosse uno scherzo e guardai col cannocchiale. Mi ritirai inorridito. I calzoni bianchi del nero erano macchiati di sangue, che gocciolava dalla schiena. Gli arabi coi bastoni erano soldati che lo battevano. Domandai informazioni. Aveva rubato una gallina.--Fortunato lui!--mi disse un soldato della Legazione:--pare che non gli taglieranno la mano.
Sono da sette giorni a Tangeri, e non ho ancora visto il viso d'un'araba. Mi par di trovarmi in un grande veglione di donne mascherate da streghe, come se le figurano i bimbi, camuffate in un lenzuolo mortuario. Camminano a passi lunghi, lentamente, un po' curve, coprendosi il viso col lembo d'una specie di mantello di tela, sotto il quale non hanno altro che una camicia a larghe maniche, stretta intorno alla vita da un cordone, come la tonaca d'un frate. Del loro corpo non si vede che gli occhi, la mano che copre il viso, tinta di rosso coll'henn? alle estremit? delle dita, e i piedi nudi, pure tinti, infilati in larghe pantofole di cuoio giallo. La maggior parte non lasciano vedere che mezza la fronte ed un occhio: l'occhio, per lo pi?, scuro, e la fronte color di cera. Incontrando un Europeo per una strada appartata alcune si coprono tutto il viso con un movimento brusco e sgraziato e passano stringendosi al muro; altre arrischiano un'occhiata tra diffidente e curiosa; qualcuna, pi? ardita, saetta uno sguardo provocatore e abbassa il viso sorridendo. Ma la pi? parte hanno un aspetto triste, stanco, avvilito. Son graziose le ragazzine, non ancora obbligate a coprirsi; occhi neri, visetto pieno, carnagione pallida, boccuccie rotonde, mani e piedi piccini. Ma a vent'anni son gi? vizze, a trenta, vecchie, a cinquanta, disfatte.
V'? a Tangeri un mostro, una di quelle creature su cui non si pu? fissare lo sguardo, e che gettano per un momento anche nell'anima d'un credente lo sgomento del dubbio. Si dice che ? una donna; ma non sembra n? donna n? uomo. ? una testa d'urango, mulatta, coi capelli corti ed irsuti, uno scheletro colla pelle, coperta di cenci neri, quasi sempre distesa come un corpo morto nel mezzo della piazzetta, o seduta in un angolo, immobile e muta come un'insensata, quando non la molestino i ragazzi, ai quali si rivolta urlando o piangendo. Pu? aver quindici anni, pu? averne trenta: la sua mostruosit? nasconde l'et?. Non ha parenti, non ha casa, non si sa come si chiami n? donde venga. Passa la notte accovacciata per le strade, in mezzo alle immondizie e ai cani. Gran parte del giorno dorme; quando ha da mangiare, ride; quando ha fame, piange; quando ? sole, ? un mucchio di polvere; quando piove, ? un ammasso di fango. Una notte, passandole accanto, uno di noi le mise nelle mani una moneta d'argento ravvolta in un pezzo di carta, affinch? la mattina avesse il piacere d'una sorpresa. La mattina la trovammo in mezzo alla piazza che singhiozzava disperatamente, mostrando una mano insanguinata: qualcuno, graffiandola, le aveva strappato la moneta. Tre giorni dopo la incontrai, a cavallo a un asino, tutta in lagrime, sostenuta da due soldati, seguita da una turba di ragazzi che le davan la baia. Qualcuno mi disse che la portavano all'ospedale. Non la rividi che ieri addormentata accanto al carcame d'un cane, pi? fortunato di lei.
So finalmente chi sono questi uomini biondi dalla faccia di malaugurio, che passandomi accanto per le strade appartate mi gettano uno sguardo in cui pare che scintilli la tentazione dell'omicidio! Sono quei Rifani, berberi di razza, che non hanno altra legge che il loro fucile, che non riconoscono n? caid n? magistrato; i pirati audaci, i banditi sanguinarii, i ribelli eterni che popolano le montagne della costa da Tetuan alla frontiera algerina; che non riuscirono a domare n? i cannoni dei vascelli europei n? gli eserciti del Sultano; gli abitanti, in fine, di quel Rif famoso, dove nessun straniero pu? mettere piede che sotto la salvaguardia dei santi e dei sceicchi; a cui si riferiscono ogni sorta di leggende paurose; e i popoli vicini ne parlano vagamente come d'un paese lontano e inaccessibile. Se ne vedono di frequente per Tangeri. Son uomini alti e robusti; molti vestiti d'una cappa oscura, ornata di nappine di vario colore; alcuni col viso segnato di rabeschi gialli; tutti armati di fucili lunghissimi, di cui portano la guaina rossa attorcigliata intorno alla fronte in forma di turbante; e vanno a gruppi, parlando a voce bassa, col capo chino e gli occhi all'erta, come drappelli di bravi che cerchino la vittima. E appetto a loro gli Arabi pi? selvaggi mi paiono amici d'infanzia.
Eravamo a desinare, a notte fitta, quando risonarono alcune fucilate nella piazzetta. Si corse fuori, e si vide ancora, da lontano, un bizzarro spettacolo. La stradetta che conduce alla porta del Soc di Barra era rischiarata, per un buon tratto, da grandi fiaccole, che apparivano al disopra delle teste della folla, intorno a qualcosa che pareva una cassa, posta sulla groppa d'un cavallo; e questa enimmatica processione andava innanzi lentamente, accompagnata da una musica malinconica, da un canto strascicato e nasale, da fucilate, da grida stridule, da latrati di cani. Rimasto solo in mezzo alla piazza, stetti qualche minuto almanaccando che cosa potesse significare quell'apparato lugubre, se in quella cassa ci fosse un cadavere, un condannato a morte, un mostro, un animale destinato al sacrifizio; e in quell'incertezza mi prese un senso di ribrezzo, che mi fece voltar le spalle e tornare a casa pieno di tristi pensieri. Un minuto dopo sopraggiunsero gli amici, ed ebbi da loro la spiegazione dell'enimma. Dentro la cassa v'era chiusa una sposa, e la gente intorno erano i parenti che la portavano a casa del marito.
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