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Read Ebook: Scritti politici by Mamiani Della Rovere Terenzio Conte

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Ebook has 1078 lines and 193749 words, and 22 pages

Per norma, dunque, di cotesta lenta e difficile preparazione degli animi alla indipendenza e alla libert?, egli ci par bene di ristampare qui presso alcuni pratici Documenti, scritti e pubblicati non lungo tempo addietro, ed ora ampliati notabilmente e corretti dall'autor loro: con tali indicazioni e consigli, appropriati in ispecial modo all'educazione del popol minuto, noi compiamo la esposizione del nostro parere intorno alle condizioni presenti d'Italia.

DOCUMENTI PRATICI

Per gran ventura d'Italia, ciascuno si va ora persuadendo di questa capitalissima verit?, che il risorgimento italiano non possa aver luogo senza il concorso efficace ed universale delle moltitudini, e per? lo sforzo di tutti i buoni doversi rivolgere all'educazione progressiva del popolo. Un'altra persuasione sembra eziandio entrare e radicarsi forte negli animi; e questa ?, che per trascinar seco il popolo a fatti animosi e ritemperarlo al bene, occorre participare ai sentimenti, agli affetti e alle credenze di lui: nella qual cosa non pericola punto la verit?; ch? quegli affetti e quelle credenze, guardate nel loro midollo, costituiscono la natura instintiva dell'uomo, e sono fonte delle passioni pi? generose, de' concepimenti e delle ispirazioni pi? alte e magnanime che ricorda e ammira la storia. Non si dee pertanto n? dispregiarle n? combatterle, ma s? purgarle di molti errori e di molte misere superstizioni, e scioglierle dalle abbiette consuetudini indotte per entro il cuore dalla servit?, dall'ignavia e dall'indigenza.

Si opina poi dai pi? assennati, che per giugnere a questo massimo effetto della rigenerazione italiana, quattro cose sieno da praticare da ogni buon cittadino. 1? La emendazione di s? stesso. 2? La carit? operosa nella parte minuta del popolo. 3? L'istruzione intellettuale e morale di essa. 4? La cura e l'arte di convertire il clero alle nostre opinioni.

Il buon Italiano a' d? nostri debb'essere un animo forte e incorrotto, apparecchiato alla sventura, ugualmente sdegnoso della servit?, che afflitto ed avverso ai vizj e alle colpe de' servi. In mezzo a genti fiacche, oziose, lascive e non curanti del viver comune, ci dee serbare austerit? e purit? di costumi, volont? infiammata e sempre operosa, prudenza con dignit?, coraggio con fede. A lui dee star sempre nel cuore la dolce patria, e volerne il bene in tutti i modi, per tutte le vie, con incessante sudore, con ferma perseveranza. Facil cosa ? cospirare; facile aspettare oziando e gozzovigliando il segnale della rivolta; non troppo difficile e laborioso maneggiarsi nelle s?tte e rischiare la vita in una congiura: ma duro e difficilissimo travagliarsi quotidianamente e in silenzio per cogliere senza fama un frutto scarso e tardivo di bene, e per fecondare, con lunga e tediosa sollecitudine, un suolo smagrato da tre secoli d'infortunj, di vergogne e di tirannie.

O per qual buona ragione il minuto popolo ? da tener dietro alle mosse de' liberali? che opere fanno questi in suo pro? che esempj d'alte virt? gli offeriscono per guadagnarsene la stima e la riverenza? che dottrine professano intelligibili a lui e confacenti co' suoi pensieri e co' bisogni suoi quotidiani?

Vuoi tu, o buon cittadino, tirarti dietro le moltitudini? vuoi tu il sudore, il sangue, la vita loro per te e per la causa che tu caldeggi e difendi? Comincia ad amarle di grande affetto: entra continuo a parte dei lor patimenti: consiglia la loro ignoranza, conversa con esse domesticamente, amorosamente. L'uno cade infermo; va tu accosto al suo letto e soccorrilo: un altro ? difetto di lavoro; fa di procurarglielo: ?i tu poderi? sii padre de' tuoi contadini, sovvienli nelle carestie, largheggia ne' patti, instruiscili con pazienza nelle rustiche lor faccende. Non fuggire la frequenza della gente minuta; e s'ella entra in chiesa a pregare, e tu prega con lei; se accorre a qualche onesto sollazzo, vi accorri tu pure e mostra di compiacertene. Per tali atti e maniere, quando spunteranno giorni di grandi prove, e tu disceso nelle piazze griderai: -- Popolo, a me! -- questo, non mai ingrato al beneficio n? tiepido e pigro al bene che crede, risponder? tostamente: -- Siam teco; menaci dove vuoi; tu se' il nostro amico, sii il nostro salvatore.

Abbiamo fede nelle plebi italiane.

Il giovine Vito B..... possedeva un poderetto nelle montagne di Barolo, e spesso andava col? per ricrearsi della caccia e dell'aria buona. Il curato di quel luogo lo visitava, ed egli lui. Parlavano di coltivazione, di pastorizia, d'uccellagione, e il curato trovando il giovane non poco istruito e propenso alla religione, l'avea caro oltremodo. Vito ne profittava per diradare le male apprensioni del prete e farlo persuaso di utili verit?. Gli accennava abilmente gli ostacoli numerosi opposti dai reggimenti avari e oppressivi alla pubblica prosperit?: saliva bel bello dagli ultimi effetti alle somme cagioni, e dai rimedj parziali ed incerti ai certi ed universali. Le domeniche dopo i divini uffizj, cadendo il discorso pi? volentieri sovra materie di chiesa, Vito esponeva prudentemente i principj, le massime e la bellezza della religione civile. Alle sue parole davano autorit? li suoi specchiati costumi, l'animo caritatevole e l'amor grande che portavagli la gente minuta di quel contado. Cos? non gli fu gran fatica condurre a poco a poco il buon parroco a partecipare alle sue opinioni, e fu immenso guadagno. Deh! che non potrebbe sperare l'Italia se alcune centinaja di giovani possedesse simili a questo Vito?

Ora andremo discorrendo partitamente di alquante pratiche relative ad alcuna delle quattro categorie registrate in principio. E per seguitare l'ordine loro, noi ci faremo dalle cose che ?nno riferimento alla emendazione di s? medesimo.

Perci? le vecchie accademie o si spengano o si trasformino: sia messa in deriso la smania tanto comune del poetare e gli sciocchi t?mi prescelti. Accusinsi d'inettezza i filologi e gli eruditi che non contemprano le discipline loro con la filosofia e con le scienze. Si biasimi forte quella turba di letterati egoisti e infingardi che vassi baloccando coi libri senza voler nulla produrre.

DELL'EDUCAZIONE DEL POPOLO.

Ora, seguitando, registreremo alcuni precetti intorno alla educazione, si voglia morale e si voglia intellettuale, del popol minuto, incominciando dall'ultima nominata.

Il trapasso dai negozj municipali ai generali dello Stato e d'Italia sar? poi naturale ed agevole.

I Calabresi e alcune altre popolazioni italiane aveano fino ai d? nostri conservata o ricuperata molta fierezza e gagliardia. Spesso, gli ? vero, prorompevano in brutta ferocia, in vendette e in ammazzamenti; ma era forza e non fiacchezza, ardore e non gelo.

Ripariamo dunque, per quanto ? da noi, alla presente fiacchezza:

CAPITOLO TERZO.

DELLE SPERANZE DEL POPOLO.

N? solo dobbiam noi soccorrere il popolo di questi beneficj ed ajuti, quali la condizione nostra presente concede di fare; ma dobbiamo istruirlo altres? di quelli molto maggiori che gli promettiamo, appena le sorti ci daranno facolt? e comodit? di attuarli.

In altre contrade, la plebe meglio informata de' suoi diritti che dei doveri, e meglio educata della mente che del cuore; accesa oltre a questo dai demagoghi in affetti violenti d'odio, d'invidia e di cupidigia; e infine, inasprita dal patente egoismo degli ottimati e dei facoltosi, i quali ogni cosa tirano al lor profitto e si mostrano la pi? gran parte indifferenti per li suoi mali, o tepidi e lenti a procurarne i rimedj; la plebe, dico, in quelle contrade sembra divenire subbietto di gravi paure, e minacciare la ruina degli ordinamenti sociali.

Ma gl'Italiani, se intenderanno bene la lor generosa indole, e studieranno assai nelle storie della comune patria, piene tuttequante di fatti e di glorie popolaresche, nessuna paura prenderanno delle povere plebi; e questo alto esempio porgeranno all'Europa di averle sapute educare e ajutare tanto efficacemente, da sciogliere inverso di loro il debito antico della civilt?, e farle capaci e degne di assumere molti diritti e saviamente esercitarli.

I lavori, poi, scelti e ordinati in quelle saranno volti con provvidenza ed accorgimento alla pubblica utilit?, e segnatamente a quella del popolo minuto.

Vedr? eziandio il Consiglio quel che sia da ristorare degli antichi Statuti dell'arti e quello che sia da aggiungervi; e ad ogni modo, promover? con istanza le congregazioni e consorterie legali degli operai, de' capomaestri e d'ogni maniera artefici, con l'intento di accrescere a ciascheduno i mezzi di produzione, e lo spirito di fratellanza e di disciplina; cos? ristorando e migliorando, giusta il senno moderno, quelle compagnie italiane di muratori e di fabbri ferrai che nel medio evo menavan grido per tutta Europa. Similmente, il Consiglio promover? con zelo perseverante le unioni e consorterie dei piccoli proprietarj e dei fittajoli, compensando di tal guisa i danni e gli inconvenienti dei troppo angusti poderi.

Veglier? eziandio sulle pubbliche mostre, sui comizj agrarj, sugli incoraggiamenti e sui premj da compartire; studier? il valore dei nuovi trovati e degli ultimi perfezionamenti, ed agevoler? ai poveri artieri lo smaltimento di loro lavorazioni, contro il monopolio dei troppo ricchi, ed a freno degli incettatori e rivenditori.

Infrattanto non debbono i buoni Italiani, aspettando giorni migliori, desistere mai dal cercare tutti i modi, tentare tutti gli espedienti, rinvenire tutti gli ingegni per condurre ad effetto alcune parti almeno di cotesto nobile disegno. E di che non viene a capo, di che non trionfa la travagliosa operosit?, la perseveranza e l'unione?

Veduto quello che importa di pi? nell'educazione del popolo, procederemo a discorrere d'alcuni precetti che toccano materie di gran momento per la rigenerazione italiana.

Nel che dobbiamo porre innanzi l'esempio del governo prussiano, il quale, per aver forma di monarchia assoluta, dee parere modello non punto rischioso a copiare: ci? si ripeta eziandio in risguardo di molte altre innovazioni e provvedimenti che quel governo ? per porre ad effetto; come l'unit? e conformit? dei pesi, delle misure e delle monete fra pi? Stati contigui.

Una specie di scrittura assai popolare e istruttiva ? quella degli almanacchi ordinati per modo, che a ciascun giorno dell'anno cada il ricordo d'un fatto notevole cercato nelle istorie d'Italia e nelle biografie de' suoi grandi uomini.

Comecch? da qualche tempo la Storia italiana porga materia frequente alle invenzioni degli artisti e alle composizioni dei drammaturghi, utile ? di accrescere e propagare cotesta nobile usanza; e piacerebbemi molto vedere pi? spesso in iscena taluni de' nostri sommi poeti, artisti, capitani, navigatori e politici.

Perch? non ci acconciamo a scrivere un gazzettino di mode italiane con figurino italiano, traendo il bene puranche dalle umane frivolezze? Perch? non s'innovano appresso di noi quanti usi e costumi italiani antichi possono tuttora tornare graziosi e pregevoli? Perch? alle stoffe, ai panni, ai fornimenti nostrali si preferiscono sempre gli oltramontani, qualora non la cedano quelli a questi se non di poco s? per la bont? e s? pel costo?

S'inviti l'Accademia dei Georgofili, od altra avuta in riputazione, ad istituire una mostra triennale d'ogni industria italiana per tutti gli Stati della Penisola, decretando medaglie e simili segni d'onore ai pi? meritevoli. Altrettanto si faccia a rispetto dell'arti belle; e dove n? alcun ricco privato n? alcun Governo n? alcun istituto vogliasi in ci? adoperare, rimane che si colleghino con tale proposito i migliori cittadini d'ogni parte d'Italia, seguitando l'esempio dato dai cittadini di Colonia.

Fra le imprese industriali, promoviamo quelle singolarmente che sono di qualit? da espandersi ed abbracciare l'intera Penisola o molte parti di essa; come grandi consorter?e di assicurazione, corse di battelli a vapore, strade che traversino pi? Stati italiani, e simiglianti.

Tra noi le opinioni riusciranno varie e diverse in qualunque tempo, perch? troppa per natura ? in ciascuno la singolarit? e l'indipendenza dell'ingegno. Ma se il cuor nostro verr? compreso e infiammato da magnanimi affetti, e se la devozione sincera alla causa comune italiana rattemperer? l'invidia degl'inferiori e l'orgoglio e l'ambizione smodata dei capi, la discrepanza dei pareri non impedir? mai certa unit? di operare nelle cose di maggior momento; perch? un affetto generoso e comune e prevalente sugl'interessi privati e individuali termina sempre col rinvenire alcuno spediente onorato e alcun modo pratico di conciliazione e d'accordo. Rimedio, adunque, al conflitto acerbo delle opinioni, al soverchiare dell'orgoglio e all'insorgere abituale contro l'autorit? e la disciplina, ? l'amore immenso e puro nella Patria comune, e il sentimento profondo e radicatissimo del dovere.

NOTA.

Tutti i precetti e suggerimenti fino qui registrati sono insufficientissimi a compire la trattazione delle materie a cui guardano. Il poco che scrivemmo vuole unicamente delineare un esempio della maniera d'investigare e proporre simile sorta di pratiche.

ALLA CONTESSA OTTAVIA MASINO

DI MOMBELLO.

Pregiatissima signora ed amica.

. . . . . . .

Di Parigi, li 31 di agosto del 1846.

LETTERA IN FORMA DI CIRCOLARE.

Signore.

In questo anno, come v'? noto, compiesi il centenario della cacciata degli Austriaci dalla citt? e riviera di Genova. E il primo atto della gloriosa sollevazione accadde il 5 del vicino dicembre. Tal gesto, il pi? bello forse della storia moderna italiana, e che diviene caparra e simbolo di altri non molto remoti da noi, merita di essere celebrato con ogni possibile dimostrazione.

Pare a me ed ai miei amici che uno dei segni di gioja pubblica da praticarsi in quel giorno, esser dovrebbe di ardere fuochi sulle colline pi? prossime a ciascuna citt? nelle prime ore della notte. Noi ne abbiamo scritto a parecchi in Romagna, in Liguria e in Piemonte. Se vi garba l'idea, parlatene ai vostri amici e invitateli a porla in effetto, facendo loro avvertire ch'ella ? cosa la qual non incontra n? spesa n? rischio; e d'altra parte, ? vistosa e significativa oltremodo. N? altro per questa.

Di Parigi, li 20 novembre 1846.

LETTERA AL CARDINALE FERRETTI

SEGRETARIO DI STATO.

Eminenza Reverendissima.

Che io non possa poi ringraziarla condegnamente, e come io desidero, della bont? e parzialit? singolare in me adoperata, scorgesi bene da ci?, che se il rivedere la patria ed i suoi dopo sedici anni d'esilio e dopo estinta la speranza di pi? abbracciarli, ? da computarsi fra le maggiori consolazioni del mondo, a me dee mancare qualunque fiducia di esprimere all'Eminenza Vostra, non pur coi fatti ma con le parole, la gratitudine che me le stringe e annoda in perpetuo. Solo vorrei pregarla a considerare che questi sentimenti li dice un uomo lontanissimo da ogni maniera d'adulazione, e a cui sono ignoti affatto le corti ed i grandi, ignoto il conversare e il carteggiare con esso loro; e a cui infine reca una vera e novissima meraviglia e soddisfazione il potere e dovere far ci? la prima volta in sua vita con l'Eminenza Vostra, nella quale si avvera e l'antico adagio che la bont? soggioga ogni cosa, e l'antica massima dei giuristi filosofi, che negli ottimi ? un diritto naturale e non prescrittibile di dominio e d'impero.

Di Genova, li 15 agosto 1847.

Dell'Eminenza Vostra

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