Read Ebook: Storia degli Italiani vol. 05 (di 15) by Cant Cesare
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Rimase dunque come un esercito in mezzo a un popolo civile; come uno di que' governi militari, di cui neppure a tempi pi? civili manc? la ruina. Colla labarda propria e de' venderecci compagni scherm? Italia da nuovi invasori: per assodare la propria autorit? e punire gli assassini di Giulio Nepote, sottomise la Dalmazia: per mantenere libera comunicazione fra l'Italia e l'Illiria osteggi? i Rugi, piantati sul Danubio ove ora dicesi Austria e Moravia; e abbandonando quelle terre a chi le volesse, men? prigioniero in Italia Feleteo, ultimo re loro, e molta gente. Ad Eurico, re de' Visigoti, conferm? la porzione di Gallia che aveva occupata sotto Giulio Nepote, aggiungendovi l'Alvernia e la Provenza meridionale; e strinse alleanza con lui e con Unnerico re de' Vandali, da cui ottenne la Sicilia mediante annuo tributo. Tuttoch? ariano, rispett? i vescovi e sacerdoti cattolici, viet? al clero di vendere i beni, acciocch? la divozione dei fedeli non fosse messa a nuovo contributo per riprovvedernelo. Ma era un conquistatore; e guai ai vinti! Gi? prima, scarsissima cura adoperavasi ai campi, s? per la sterminata ampiezza dei possessi, s? perch? le largizioni imperiali mettevano sui mercati il grano ad un prezzo, col quale non poteva concorrere l'industria privata: e al modo che usa ancora nella campagna di Roma, su gl'immensi poderi lasciati sodi educavansi branchi di pecore, a guardia di pochi schiavi. Gl'invasori, rubando questi e quelle, lasciavano deserto e fame; nelle regioni pi? fiorenti a pena si scontravano uomini; la plebe, avvezza a vivere coi donativi del pubblico o dei patroni, periti questi, dismessi quelli, basiva in lunga inedia o migrava.
Odoacre spart? un terzo dei terreni a' suoi seguaci; ma non che ripopolassero il paese e coltivassero le sodaglie, come alcuno sogn?, avranno da prepotenti snidato i nostri. N? gl'italiani potevano quetarsi al nuovo stato, come si fa ad una stabile miseria: giacch?, mancando ogni accordo nazionale, e reggendosi unicamente sulla forza, poteano prevedere che poco durerebbe quel dominio, e che a nuovi Barbari frutterebbero i terreni che si disselvatichissero.
E cos? fu. Perocch? i Greci non si rassegnavano a perdere quest'Italia, culla dell'impero; e mentre aveano fatto s? poco per conservarla, adesso la sommoveano con brighe secrete o aperte guerre, che le toglievano pace senza darle libert?. L'Impero col restringersi era cresciuto di forza, e in Oriente non si trovava esposto all'arbitrio soldatesco come gi? l'occidentale: non turbato da memorie repubblicane, o da ambizioni di famiglie antiche, o dall'opposizione d'un clero robusto, n? d'un senato memore d'antica potenza, n? da ordinamenti municipali; ma costituito in regolare dominio, e con una metropoli ben munita e stupendamente collocata, poteva godere quella quiete del despotismo, ch'? il ristoro, sebbene infelicissimo, delle nazioni corrotte.
Ma di rimpatto lo agitavano dentro, sia intrighi di palazzo, sia il farnetico delle dispute religiose, nelle quali parteggiavano gli stessi imperatori or favorendo, or anche inventando eresie, e per esse trascurando gli affari. Il popolo di Costantinopoli, tra garriti teologici, tra le chiassose gare pei combattenti del circo, tra le frivolezze d'un lusso spendiosissimo, abbandonava ogni esercizio d'armi, sicch? bisognava affidar la difesa a capitani barbari, i quali, profittando della disciplina, ultimo merito che perdessero gli eserciti romani, prevalevano agli altri Barbari osteggianti l'Impero.
Tra quei capitani, serviva all'imperatore Zenone l'ostrogoto Teodorico, discendente in decimo grado da Augis, uno degli Ansi o semidei de' Goti. Questa nazione, recuperata l'indipendenza al cadere di Attila, e piantatasi nella Pannonia, promise pace all'Impero, purch? le tributasse trecento libbre d'oro. Siccome statico fu dato Teodorico, giovane figlio del re Teodemiro, il quale crebbe in Costantinopoli alternando gli esercizj di corpo proprj della sua gente colla conversazione colta de' Greci, e in quel centro del mondo civile affin? lo spirito nelle arti del governare e negli scaltrimenti della politica. Succeduto al padre , gli fu dall'imperatore assegnata la Dacia Ripense e la Mesia inferiore, acciocch? vi collocasse i suoi Ostrogoti in posto da potere pi? facilmente accorrere in ajuto dell'Impero. Di fatto Teodorico li men? contro i nemici interni ed esterni dell'imperatore, il quale gli prodig? i gradi di patrizio e di console, statua equestre, nome di figlio, capitananza de' soldati palatini, migliaja di libbre d'oro e d'argento, e gli promise una moglie di puro sangue e di laute ricchezze.
Sintomi di paura pi? che d'affetto; e come avviene di cotesti liberatori militari, Teodorico divenne minaccioso all'Impero che difendeva, e l'obblig? a vergognose concessioni. Ma pi? alto levava egli le mire; e volendo terger la taccia appostagli dai compatrioti, di piacersi soverchiamente negli ozj cortigiani, si present? a Zenone , e -- L'Italia e Roma, retaggio vostro, giaciono preda del barbaro Odoacre. Consentite ch'io vada a snidarnelo. O cadremo nell'impresa, e voi resterete sollevato dal nostro peso; o ci riuscir?, e mi lascerete governar quella parte che avr? al vostro imperio recuperata>>.
Qual partito meglio di questo potea piacere a Zenone? All'annunzio d'un'impresa diretta da tal capitano, accorsero in folla gli Ostrogoti, che nel colmo della vernata, con bestiami, salmerie, mulini da macinare, con donne, vecchi, fanciulli, impaccio per la guerra, eppur necessarj a chi cercava non una conquista ma una patria, per settecento miglia si volsero all'alpi Giulie, pretessendo alla loro invasione il nome romano. Quanti avanzi di altre orde scontravano per via, gli arrolavano seco, come una valanga che rotolando ingrossa; e tal turba formavano, che nell'Epiro in una sola azione perdettero duemila carri.
Alla fortuna di lui si sottomise Italia dall'Alpi allo Stretto; vandali ambasciatori gli rassegnarono la Sicilia; popolo e senato l'accolsero qual liberatore -- consueta lusinga degli Italiani.
L'ambigua convenzione coll'imperatore lasciava dubbio se Teodorico avesse a tenere il bel paese come vassallo o come alleato. Mand? a richiedere le gioje della corona che Odoacre avea spedite a Costantinopoli; e Anastasio, nuovo imperatore, concedendole, parve investirlo del regno. Ma se l'ambizione imperiale lo poteva considerare come luogotenente, egli sentivasi padrone, e da padrone reggeva l'Italia. Per? sulle prime volle tenersi amici gl'imperatori onorandoli di epigrafi, lasciando l'impronta loro sulle monete, e scriveva a questi: -- Nello Stato vostro appresi come governare i Romani con giustizia; non durino separati i due imperi; una volta uniti, eguale volont?, egual pensiero li governi>>. Ma Anastasio s'accorse che erano mostre, e che l'Italia era perduta per l'Impero: laonde a osteggiare Teodorico sped? nella Dacia il prode Sabiniano con diecimila Romani e molti Bulgari; e poich? li vide sbaragliati in riva al Margo, indispettito mand? ducento navi e ottomila uomini che saccheggiarono le coste di Puglia e di Calabria; e rovinato Taranto e il commercio, superbi di indecorosa vittoria, recarono piratesche spoglie al despoto di Bisanzio. Teodorico con mille legni sottili tolse agl'imperatori la voglia di pi? molestarlo; eppure non neg? loro il titolo di padre e fin di sovrano, consentiva ad Anastasio la preminenza che egli stesso esigeva dagli altri re, e di concerto con esso eleggeva il console per l'Occidente, come costumavasi durante l'Impero.
I Rugi, gente fierissima, ai quali avea dato a custodire Pavia mentr'egli osteggiava Odoacre, furono ammansati dal santo vescovo Epifanio: ma poi Federico lor re si avvers? a Teodorico, e ne rest? disfatto e morto. Duranti quelle guerre stesse i Borgognoni aveano devastato ancora la Liguria , moltissimi abitanti menandone prigioni di l? dall'Alpi, lasciando le campagne spopolate.
Teodorico in prospere guerre estese il dominio anche sulla Rezia, il Norico, la Dalmazia, la Pannonia; ebbe tributarj i Bavari, in protezione gli Alemanni; dom? i Gepidi, piantatisi fra le ruine del Sirmio; dispose in opportune colonie Svevi, Eruli ed altri che chiesero di vivere sotto le sue leggi; e come tutore del nipote regolando i Visigoti di Spagna, ebbe riunite, dopo separazione lunghissima, le due frazioni dei Goti, che cos? dai monti Macedoni fin a Gibilterra, dalla Sicilia fin al Danubio occupavano i migliori paesi dell'antico impero occidentale.
I principi circostanti avevano tremato pei recenti lor regni; ma quando videro Teodorico frenare la propria ambizione, e nella vigoria della giovinezza riporre la spada vincitrice, tolsero a guardarlo con fiduciale rispetto, e cercarne l'amicizia e la parentela; e ad insinuazione di lui presero qualche modo di pacifico e civile ordinamento. Egli mand? donativi ai re Franchi; da altri ricevette cavalli ed armi: un principe scandinavo spodestato a lui rifuggiva, e fin gli estremi Estonj gli tributavano l'ambra del Baltico.
Quanto all'Italia, Teodorico cominci? il regno come gli altri Barbari, col dividere a' suoi un terzo dei terreni conquistati, sopra i quali si stanziarono con titoli d'ospiti e con fatti da padroni. Aveva decretato la cittadinanza romana, vale a dire la piena libert? a quelli che l'avevano favorito nella conquista; mentre ai fedeli ad Odoacre tolse di poter testare n? disporre dei loro beni. Epifanio, vescovo di Pavia, si condusse intercessore per questi a Ravenna, con Lorenzo, vescovo di Milano; e Teodorico gli esaud?, solo alcuni capi eccettuando; poi disse ad Epifanio: -- Vedete in che desolazione giace l'Italia, spopolata dai Borgognoni. Io voglio riscattarli; n? trovo vescovo pi? atto a ci?. Andate, ed avrete il denaro occorrente>>.
Epifanio dunque, con Vittore vescovo di Torino, fu a Lione, e da Gundebaldo re ottenne il rilascio de' prigionieri, pagando riscatto sol per quelli presi colle armi. Al fausto annunzio della liberazione, per tutta Gallia si commossero i tanti soffrenti; quattrocento in un giorno partirono da Lione; seimila furono restituiti senza riscatto; Godegisilo, re di Ginevra, concesse altrettanto ad Ennodio; la carit? de' Galli sovveniva alla povert? italiana; e il papa ebbe a ringraziare i vescovi di Lione e d'Arles pe' sussidj da loro mandati in Italia: Epifanio ripass? le Alpi nel pi? bello e pi? inusato trionfo, non conducendo schiavi, come soleano i re, ma gente da lui redenta; e accolto dappertutto fra benedizioni, coron? l'opera coll'impetrare che Teodorico ripristinasse i tornati nei beni perduti. A quest'uopo traversava il Po, allora impaludato in estesissimo letto, e obbligato a giacersi la notte fra quelle pestifere esalazioni, fu preso da gravissima malattia; oppresso dalla quale si present? a Teodorico, e ottenuta la grazia, volle rivedere il suo gregge, fra il quale appena giunto, mor?.
Ma gl'italiani come stavano sotto Teodorico? Il popolo risponde, Pessimamente, e nel nome di Goto compendia ogni barbarie, ogni ignoranza, ogni avvilimento della vita e del pensiero. I dotti vollero figurarlo principe desiderabile anche all'et? nostra, e il regno suo un de' pi? giocondi o dei meno dolorosi all'Italia. Opinioni entrambe eccessive. I meriti di Teodorico sono esaltati nel panegirico che Ennodio recit? in presenza di lui per ringraziarlo o mansuefarlo; e nelle lettere di Cassiodoro, che, a nome di esso, con barbara eleganza stese decreti pomposi, magnificando il principe, e il bello ubbidirgli, e il fiore ch'e' recava ai sudditi, e la grata benevolenza di questi. Fonti sospette.
Merito suo certo ? l'avere procurato alla penisola trentatre anni di pace, gran ristoro anche sotto tristo reggimento: ma non sa di storia chi si figura che i Goti od altri Barbari accettassero come pari la gente italiana. Lingua, consuetudini, credenze, li teneano distinti: il Goto, tutt'armi, insultava le oziose scuole letterarie; di rimpatto l'imbelle Romano, nel misero orgoglio del tempo passato, intitolava barbaro il suo padrone: e sebbene questi adottasse alcun uso del vinto e professasse desiderio di fondersi insieme, al fatto repugnava l'indole di quei governi. Che se la storia degnasse guardare ai vinti, registrato avrebbe le sanguinose proteste che fecero a volta a volta contro i conquistatori. I tributi furono conservati quali sotto i Romani, cio? enormi, ed occasione d'abuso ai magistrati: v'erano soggetti al pari i terreni de' Romani e de' Goti, neppure eccettuati quelli del re. L'amministrazione municipale rest? ai natii, ma il re nominava i decurioni; magistrati paesani che giudicavano dei loro concittadini, curavano la polizia, compartivano e riscotevano le imposizioni, dal prefetto del pretorio assegnate a ciascuna comunit?. Sette consolari, tre correttori, cinque presidi reggevano le quindici regioni d'Italia, colle forme della romana giurisdizione: un duca fu posto alle provincie di confine, ch'erano state munite contro nuovi attacchi.
I Romani in materie civili appellavansi al vicario di Roma, e al prefetto della citt? nelle otto provincie della bassa Italia, dai quali davasi ancora appello al prefetto del pretorio, e da ultimo al re in persona: viluppo di brighe e di spese.
Conserviamo una serie di brevetti di nomina , ove a ciascun eletto si spiegano gli uffizj suoi, esortandolo a ben adempirli; ma la luce che ne potremmo derivare ? adombrata dai fiori retorici di Cassiodoro che li stese: bastano per? ad attestare che brevi duravano gl'impieghi, e dagli alti si passava agli inferiori, con iscapito della buona amministrazione.
Unico legislatore sembra il re, senza le assemblee nazionali, comuni fra i Germanici. Un consiglio di Stato sedente a Ravenna discuteva gli atti di suprema autorit?, che poi erano comunicati al senato di Roma. Questo corpo degenere poteva invanirsi allorch? il re gli mandava i suoi decreti, compilati in forma di senatoconsulti, e gli scriveva: -- Auguriamo che il genio della libert? riguardi, o padri coscritti, la vostra assemblea con occhio benevolo>>; ma in effetto non gli rimaneva che a far complimenti e a dire di s?.
Ma dove i precedenti conquistatori aveano portato solo ira e distruzione, poi n'erano fuggiti, quasi spaventati dal fantasma dell'Impero che avevano assassinato, Teodorico vide poter assumere uffizio pi? glorioso e piacente, e farsi considerar successore degli Augusti, conservando gli ordini antichi, e cercando introdurli fra la sua gente. A tal uopo non potea che valersi di nostrali, ed ebbe il senno e la fortuna di sceglier bene, e il merito di non temer gl'ingegni superiori. A Laberio confer? la prefettura del pretorio, malgrado la fedelt? mostrata verso Odoacre; tenne amico Simmaco, grande erudito pel suo tempo; Cassiodoro e Boezio, ultimi scrittori romani, posti in grandissimo stato, contribuirono non poco a mascherare il regno di un Barbaro agli occhi dei contemporanei e dei posteri.
Traverso all'ambizioso moralizzare del legislatore e alle declamazioni di Cassiodoro trapela come il rispetto alle leggi romane fosse o una maschera del conquistatore, o patriotica illusione del compilatore: del resto si riducono a istantanee provvigioni, indicanti il buon volere del re, non attitudine o potenza di farle eseguire, non concetti generali, non larghi intenti. Comanda giustizia pronta non precipitosa, senza badare a grado o nascita de' contendenti; esecra i rapportatori e le migliaja di curiosi, de' quali valevansi gl'imperatori piuttosto a turbar la pace privata codiando gli andamenti, che a tutelare la pubblica sicurezza; desidera il popolo agiato, nutrito nelle carestie. Diresti il regno della felicit?: ma la storia ci fa vedere come a spie desse fede Teodorico, sino a danno de' suoi pi? cari; trovasse ragione di crescere i tributi la migliorata agricoltura, punendo cos? l'industria; i deboli fossero costretti invocare contro dei prepotenti il braccio militare de' Sajoni; l'avarizia dei magistrati e il favore corrompessero la giustizia; considerati come delitti frequenti, e perci? minacciati con nuove pene, l'invasione violenta, l'omicidio, l'adulterio, la poligamia, il concubinato, la frode di rescritti surrettizj, le donazioni estorte con minaccie, il perpetuarsi delle liti per sempre nuove appellazioni. Un anonimo contemporaneo asserisce che poteansi lasciar dischiuse le porte, e denaro ne' campi: ma le lettere stesse di Cassiodoro rivelano e violenze e furti non radi; -- buon avvertimento a riscontrare le lodi dei principi coi fatti.
Trai delitti, la fellonia ? punita di morte e confisca; il caporibelli e il calunniatore, bruciati vivi; morte a maghi, a Pagani, a violatori delle tombe, a rapitori di donna o fanciulla libera, al falsificatore di carte o di pesi, al giudice venale, all'involatore di bestie; bandito chi abusa dell'autorit? o depone il falso; l'accusatore si esponga a sostener la pena che sarebbe tocca al reo, se questo si scolpi. Ma ai Goti non era consueto il guidrigildo, cio? lo scontar i delitti a denaro, e l'omicidio punivasi con pene corporali al modo romano: il che dovea fare men dura la sorte dei vinti, perch? meno sproporzionata.
Salvo queste disposizioni comuni, i Goti conservavansi superiori e distinti dai Romani, sottoposti a un grafione o conte che, al modo germanico, in guerra li capitanava, in pace decideva dei loro litigi; associandosi un giurisperito romano qualora con un Romano si discutesse.
Durava dunque l'organamento antico, ma vi sovrastava un governo militare, siccome ne' paesi che ora si pongono in istato d'assedio. Soli Goti portavano le armi; e Teodorico ne congratula i Romani come d'un bel privilegio, mentre era un sospettoso disarmo dei nostri, e una consuetudine generale de' Barbari, il cui nome stesso nazionale indicava che la pienezza dei diritti spettava solo all'armato. Nel dolce clima d'Italia moltiplicaronsi i Goti a segno, da poter fra breve mettere in piedi ducentomila guerrieri, obbligati a servigio non per soldo, ma per le terre ad essi distribuite. E la penisola perseverava su piede di guerra; e al primo bando accorrevano i Goti per far guardia al re, presidiare la frontiera o marciar contro i nemici, provvisti d'arme e vettovaglie dal prefetto al pretorio. Anche di buona marina fu munita la costa, comprando abeti da tutt'Italia e massime dalle boscose rive del Po, sgombri dalle fratte pescatorie il Mincio, l'Oglio, il Serchio, l'Arno, il Tevere, perch? ne scendessero il legname e le barche.
Senza credere che il nome di Goti significhi buoni, alcuni fatti attestano la vigorosa loro disciplina, non esigua virt? in bande armate. Allorch? Teodorico vinse i Greci al Margo, nessuno de' suoi stese un dito alle ricche spoglie dei vinti, perch? egli non diede il segno del saccheggio. Pi? tardi Totila, presa Napoli, non solo la camp? dalle violenze che il feroce diritto della guerra consente fin alle genti civili, ma fece distribuire agli assediati il vitto in misura, che non nocesse dopo il lungo digiuno. La lingua gotica era gi? stata scritta, se non altro per tradurre i Vangeli, ma non era coltivata; e in latino pubblicavansi le leggi e le epistole, valendosi di segretarj romani, e lasciando che i legati spiegassero la cosa nel vulgare nat?o. Teodorico medesimo non sapea sottoscrivere se non scorrendo colla penna negli incavi di una lastrina d'oro: eppure dilettavasi di ragionamenti istruttivi, fece attentamente educare le sue figliuole, e volle anche favorire le lettere e le arti. Ma qui, come nel resto, appare il contrasto fra le abitudini nazionali e il proposito d'imitazione; perocch? egli interdisse ai Goti gli studj come corruttori, mentre li promoveva fra i Romani.
Severino Boezio, nato a Roma da padre che avea sostenuto primarie dignit?, dai dieci ai ventott'anni studi? in Atene, ove tradusse opere di Tolomeo, Nicomaco, Euclide, Platone, Archimede, Aristotele. I suoi commenti su questo rimasero canoni nel medio evo, e diffusero tra noi la cognizione delle opere dello Stagirita, del cui metodo si valse egli per trattare dell'unit? e trinit? divina. Pari in elevatezza di pensiero a qualsivoglia filosofo, vi unisce il sentimento cristiano; e sebbene la ridondanza e l'enfasi degli ultimi Latini guastino il suo stile, sorvola in questo ad ogni contemporaneo.
Gli ? inferiore Ennodio, vescovo di Pavia, che stese esortazioni scolastiche ed altre a modo delle antiche declamazioni; poi alquante lettere di materie ecclesiastiche, la vita di sant'Epifanio e di sant'Antonio Lerinese, un gonfio e bujo panegirico di Teodorico, oltre alquanti epitafj ed epigrammi. Quando Boezio fu fatto console, esso gli scriveva: -- Mi congratulo dell'onore a te conferito, e ne ringrazio Dio, non perch? sii sopra gli altri sollevato, ma perch? il meriti. N? questo consolato ? concesso agl'illustri natali: chi per quelli soli l'ottenesse, sarebbe indegno di succedere al grande Scipione, essendo ricompensa degli avi, non sua. Pi? che alla gentile tua prosapia, era dovuto alle tue doti. Qui non sangue sparso, non soggiogate provincie, non popoli ridotti in servit? e trascinati dietro al carro trionfale, sciagurato preludio in una carica volta tutta a conservazione dei popoli, non a loro distruzione. Ora che profonda pace gode Roma, divenuta anch'essa guiderdone e premio al coraggio dei nostri vincitori, di altra natura virt? si domandano ne' consoli suoi>>.
Cos? alla mente del vescovo italiano ricorrono le glorie passate; se ne consola colle nuove destinazioni, e mitiga con sentimento cristiano la fierezza dell'antica gloria.
Con queste gratuite e inamene difficolt? cercavasi supplire all'eleganza e alla castigatezza: quindi gli anagrammi ed altre ingegnose combinazioni; quindi ancora l'uso della rima, gi? evidente in un epigramma di papa Damaso, e che coll'armonia delle cadenze vellicava le orecchie, dacch? s'erano divezze dal riconoscere il tempo esatto di ciascuna sillaba; onde la poesia veniva passo passo da metrica trasformandosi in ritmica.
La musica doveva esser coltivata alla reggia di Teodorico se Cassiodoro e Boezio ne scrissero: Clotario, re de' Franchi, gli chiese un musico che col suono accompagnasse il canto: a Gundebaldo mand? regalare un orologio solare e uno a acqua.
Le arti belle continuarono a decadere, ma Teodorico istitu? magistrati sopra il conservare i monumenti; e a ristaurare gli edifizj pubblici destin? un architetto sperimentato, annui ducento denari d'oro, e le dogane del porto Lucrino, non ancora spopolato. Essendo in Como rubata una statua di bronzo, promise cento soldi d'oro a chi indicasse il ladro, lagnandosi che, mentr'egli cercava nuovi ornamenti alla citt?, venissero a perdersi gli antichi. Qui minaccia chi ruba il rame o il piombo dai pubblici edifizj; l? chi svia gli acquedotti; stipendi? anche un Africano che pretendea saper scoprire le sorgenti: tanto al falso s'appone chi ai Goti attribuisce la rovina delle arti belle in Italia, cominciata assai prima, compita assai dopo. Anche emulare gli antichi cerc? Teodorico con edifizj a Terracina, Spoleto, Napoli, Pavia. A Ravenna, sua residenza in tempo di guerra, alz? un palazzo e condusse acque, disagevole impresa fra le paludi che la separano dalla collina: un altro palazzo edific? presso il Bidente alle falde dell'Appennino: un magnifico con portici in Verona, residenza di pace, ove pure ristor? l'acquedotto a tutte sue spese, e le mura: un altro ne eresse in Pavia, e terme e anfiteatro; altrettanto presso i bagni di Abano.
Amalasunta pose a suo padre un mausoleo rotondo, con una cupola, dalla quale sorgeano quattro colonne sostenenti un vaso di porfido attorniato da dodici apostoli di bronzo, entro cui riposava il re. Se la descrizione non ? favolosa, altro non potrebb'essere che Santa Maria della Rotonda, la quale ad ogni modo sorse tra il fine del V e il principio del VI secolo. Nella distribuzione generale vi sono conservate le buone tradizioni antiche; piano semplice, elevazione di qualche magnificenza: meravigliosa poi la cupola, formata d'un pietrone di metri 10. 4 di diametro, m. 4. 5 dalla base al vertice, m. 1. 14 di grossezza, talch? il masso, qual fu tratto dalla cava, aveva la solidit? di almeno metri cubi 495, e pesava 1287 mila chilogrammi: e se, come pare, fu scarpellato prima di trasportarlo dalle cave dell'Istria, aveva ancora il volume di 109 metri cubi e il peso di 283 mila chilogrammi; eppure fu alzato a 13 metri, prova di singolare abilit? meccanica. Infelicemente vi sono disposte le decorazioni, di pesante e sgraziato taglio, n? proporzionate fra s? o col tutto; riparti non ben calcolati, profili delle porte dissonanti dal resto; modiglioni irregolarmente distribuiti; piedritti che, invece d'imposta, reggono una mal eseguita cornice.
I peccati dell'architettura del suo tempo conosceva e additava Cassiodoro: altezza smodata, gracili colonne, superflui ornamenti, che sono s? i difetti dello stile gotico, ma non l'essenza sua. Somiglievoli forme presenta una medaglia ov'? effigiato il palazzo di Teodorico, con archi voltati sopra esili colonne, ma in tondo. Non era dunque un genere gotico, ma un deterioramento dell'antico gusto: e non ispeciale de' Goti, perocch? anche nel pittoresco ponte sul Teverone, a tre miglia di Roma, ricostruito dal greco Narsete il 565, alla solidit? ? sacrificata la bellezza. N? d'introdurre uno stile nuovo sarebbesi brigato Teodorico, che mostrava o affettava tanto rispetto alla civilt? latina. Condottosi a Roma, non finiva d'ammirarne i capolavori, il Campidoglio, il Foro Trajano, i teatri di Pompeo e di Marcello, il Colosseo, stupendi anche dopo i guasti del tempo e de' nemici; gli acquedotti, la via Appia, di cui nove secoli non aveano ancora sconnesso i lastroni; e l'Acqua Claudia che per trentotto miglia veniva dalle montagne sabine fin alla sommit? dell'Aventino. Non era perduto il senso del bello e del grande quando Cassiodoro descriveva con tanto esaltamento il fuoco de' cavalli del Quirinale, la vacca di Mirone, gli elefanti di bronzo della via Sacra.
Teodorico vi fu accolto con uno splendore che rammentava alla fantasia di un patrioto i trionfi degli Augusti, a quella di un pio le magnificenze della vera Gerusalemme. Nella sala della Palma d'oro pot? ammirare la nobilt?, il decoro, l'ordine della Curia romana, distinta a seconda della dignit?: e sfoggi? egli stesso d'eloquenza, ottenendo applausi. Il grano della Puglia, della Calabria, della Sicilia vi si distribuiva ancora al popolo decimato, che poteva nel circo veder le belve combattenti, o parteggiare pei Verdi e i Turchini, e insuperbire allorch? il goto conquistatore ammirava le magnificenze e le portentose comodit?, le statue rapite ai vinti e salvate dai vincitori. A quel popolo Teodorico assegn? ventimila moggia di grano ogn'anno, ponendone memoria in bronzo; ristabil? le strade romane che solcavano l'Italia; diede venticinquemila tegoli ogn'anno per riparare i portici di Roma; ordin? che i marmi dispersi fossero riuniti ai palagi da cui erano svelti.
Per riparare all'incolto spopolamento vi invit? i Romani rifuggiti nel Norico, redense prigionieri, trapiant? schiavi. Decio san? le paludi Pontine; Spes e Domizio quelle di Spoleto: e l'Italia pot? avere s? buon mercato di sue derrate, da mandarne sin fuori. Ennodio chiama la Liguria genitrice di messe umana, avvezza a numerosa progenie d'agricoltori: intorno a Verona raccoglievasi il vino per la regia mensa, e Cassiodoro non rifina di lodar questo liquore, a cui nulla d'eguale pu? vantar la Grecia, sebbene medichi i suoi vini con odori e marine misture. Metalli e marmi cavavansi per conto del re, e una miniera d'oro fu aperta nelle Calabrie.
Teodorico, tutto che ariano, rispett? la credenza cattolica; sua madre la professava, e molti illustri personaggi vi si convertirono senza scapitare nella grazia di lui; mentre un suo segretario avendo creduto ingrazianirsegli col farsi ariano, fu da lui mandato a morte, dicendo: -- Non potr? esser fedele a me chi fu infedele al suo Dio>>. Al papa e ai vescovi mostr? rispetto e confidenza, valendosene nelle legazioni ai re od all'imperatore: accoglieva le querele dei sacerdoti contro i suoi ministri, e per loro mezzo soccorreva ai calamitosi: contribu? millequaranta libbre d'argento per rivestire la volta di San Pietro, cui regal? pure due candelabri di settanta libbre d'argento: una patena simile di sessanta diede a Cesario vescovo d'Arles, e trecento monete d'oro. Disputandosi il papato Simmaco e Lorenzo, dopo due anni di guerra civile fu rimessa a Teodorico la decisione; ond'egli radun? un concilio. E avendogli il vescovo di Milano rimostrato che tal convocazione non era di sua spettanza, egli asser? averne lettera del papa: e perch? quegli ne dubitava, non esit? a porgliela sott'occhio. Vero ? che tenne sempre occhio e mano alle elezioni, dubitando che i papi non favorissero a suo scapito gl'imperatori; e pretendeva esercitare giurisdizione anche sopra gli ecclesiastici, bench? la pena da infliggersi rimettesse al vescovo.
In tale o moderazione o indifferenza non persever? sino alla fine. Avendo l'imperatore Giustino tolto chiese, cariche e libert? di culto agli Ariani nell'Impero orientale, Teodorico gli sped? papa Giovanni e vescovi e senatori, minacciando pari intolleranza in Occidente. Il papa non pot? o non volle distogliere Giustino; onde al ritorno fu messo in carcere e vi mor?. Allora sgorgarono gli odj, immortali ne' natii contro lo straniero, e la paura invas? Teodorico; la paura punitrice degli oppressori; la paura che consigli? tre quarti dei regj delitti. Proib? dunque, pena la testa, agl'italiani ogni altr'arma che il coltello per usi domestici; e popolo e re si credettero a vicenda insidiati.
Dicemmo come Boezio avesse meritato la confidenza di Teodorico, che il nomin? console, patrizio, da ultimo maestro degli uffizj; e i due figliuoli, in tenera et?, ne elev? al consolato fra l'esultanza del popolo e le largizioni del padre. Non ligio al principe che lo innalzava, Boezio avea saputo frenarne talvolta gl'impeti e mitigarne il rigore; impedir le rapine dei magistrati, e lenire la condizione degli obbedienti. Non dimentico per? di sua nazione, mal soffriva di vederla a giogo straniero, e pi? quando, aggravato dai sospetti, Albino senatore fu accusato di sperare la libert? romana; e Boezio dichiar?: -- Se questo ? delitto, io e tutto il senato ne siamo in colpa>>.
In fine, strettogli da una fune il capo sin quasi a schizzarne gli occhi, Boezio fu finito a colpi di bastone . I suoi coevi lo compiansero come martire e santo: la posterit? non gli negher? la compassione che merita la vittima di timida oppressione e di secreto processo. Perch? l'illustre Simmaco, suo suocero, os? compiangerlo, si temette volesse vendicarlo; onde cadde nuova vittima per calmare i sospetti di Teodorico.
Ma non i rimorsi. Nella testa di un pesce imbanditogli, il re credette ravvisare la minacciosa faccia di Simmaco, e preso da ribrezzo, dopo tre giorni spir? nel palazzo di Ravenna; e la vendetta degli oppressi il perseguit? oltre la tomba, dicendo essersi veduti i demonj strascinarlo pel vulcano di Lipari all'inferno. Eppure la posterit? deve contarlo per uno dei migliori re barbari; storia e poesia lo immortalarono; e s'egli avesse sortito successori degni, poteva di due secoli avere anticipata la rinnovazione dell'Impero e della civilt?.
Fine del regno ostrogoto. -- Belisario. -- Narsete. Italia Liberata.
Il regno di Teodorico comprendeva l'Italia; la Sicilia, eccetto il capo Lilibeo; la Dalmazia; il Norico; gran parte o tutta l'odierna Ungheria; le due Rezie, che or sono il Tirolo e il canton de' Grigioni; la Svevia o bassa Germania colle citt? d'Augusta, Costanza, Tubinga, Ulma: nella Vindelicia aveva raccolto molti Alemanni; sicch? confinava a settentrione col Danubio da Ratisbona a Nicopoli, a maestro col Lech, col lago di Costanza e coll'antica Elvezia: aggiungete la Provenza e il litorale fino ai Pirenei, sottoposti a duchi da lui dipendenti, e la maggior parte della penisola spagnuola. Parea dunque il gotico dovesse prevalere agli sminuzzati dominj di Barbari, e sostituirsi all'impero romano; eppure in breve and? a fascio.
Teodorico non avendo figli maschi, per continuare la stirpe degli Amali chiam? di Spagna Eutarico Cillica , ultimo rampollo di quella, e sposatagli Amalasunta sua figlia, il fece adottare coll'armi da Giustino imperatore, e applaudire dal popolo con suntuosissimi spettacoli nel circo, e caccie e giostre. Ma l'erede designato gli premor?; e Teodorico, assicurato il regno dei Visigoti di Spagna al nipote Amalarico, il proprio trasmise ad Atalarico, nato da Amalasunta. Costei, bellissima, sperta nel latino, nel greco, nel gotico, eppure senza ostentazione, fedele ai secreti, sollecita d'imitare il padre e ripararne i falli, assunse il governo come reggente, notificando i suoi diritti all'imperatore, quasi a capo supremo, e pregandolo a dimenticare i dissidj paterni; al senato promise non disdire veruna domanda. Ammiratrice dell'antica civilt?, bramava mutare le costumanze dei Goti talmente che non si distinguessero dai Romani; e tre ministri che avversavano quel femminile despotismo, mand? a morte. Anche il figlio educava sotto maestri romani e fra gente di lettere e d'ingegno; e una volta coltolo in fallo, gli di? uno schiaffo. Egli scapp? piangendo, e mosse a indignazione i signori goti, i quali si presentarono ad Amalasunta, dicendole, A re guerriero non servire tanti pedagoghi; Teodorico non sapea tampoco scrivere; come sar? prode in campo uom che apprese a tremare sotto lo staffile di un pedante? Anzi sorsero minacciosi, e le tolsero di mano il re futuro per metterlo fra giovani nazionali: dov'egli sguinzagliato si sciup? di modo, che ne mor? .
Non consentendosi dalle consuetudini gotiche il comando a donna, Amalasunta lo fece attribuire a Teodato suo cugino, in cui l'istruzione non aveva scemata l'avarizia e la pusillanimit?. Possessore di gran parte della Toscana, cercava assicurarsela col cacciare i proprietarj confinanti; poi assunto al trono, riusc? spregevole a Romani e a Goti, inetto a finire le discordie di questi, o a cattivarsi l'amore di quelli. Amalasunta, non trovando in lui n? gratitudine n? rispetto, pensava con quarantamila libbre d'oro cercare a Costantinopoli riposo o vendetta: ma Teodato la prevenne, e chiusala nell'isola di Bolsena, la mand? a morte.
Imperava allora a Costantinopoli Giustiniano il legislatore, che mostr? rare virt?, macchiate da vizj e debolezze: favor? grandemente la religione, il degenerante sapere e le arti belle; represse le correrie de' Barbari; guerreggi? prosperamente Cosroe il Grande, re di Persia; annichilando il regno de' Vandali richiam? all'impero l'Africa e la Sardegna. Spiava egli l'occasione di recuperare l'Italia, sollecitato dai nostri che aborrivano dal dominio di stranieri e d'eretici; e volentieri assumendo l'aspetto di vendicatore d'Amalasunta, destin? contro i Goti Belisario, ch'era stato l'eroe della guerra persiana.
Pi? che a' Pompej o agli Scipioni, patriotici generali, somigliava costui ai condottieri del nostro medioevo, poich? del proprio stipendiava differenti corpi, che giuravano obbedire a lui, e che in lungo esercizio egli indurava ai combattimenti. Con tal espediente venivano ad opporsi Barbari a Barbari, e difendeasi l'Impero coi fratelli di coloro che lo minacciavano. Celebrato appena il suo trionfo sui Vandali, Belisario sbarc? in Sicilia con ducento Unni, trecento Mauri, quattromila confederati di cavalleria, tremila Isauri di fanteria, oltre un corpo di sue guardie a cavallo. Sarebbe stato un inetto sforzo contro ducentomila Ostrogoti in armi, se questi, com'? destino dei padroni odiati, non avessero dovuto vigilare il paese scontento: e Teodato in fatti pensava meno a difendersi che a patteggiare; e con Pietro, legato di Costantinopoli, stipul?, rassegnerebbe ogni diritto sopra la Sicilia, manderebbe ogni anno una corona di trecento libbre d'oro all'imperatore, darebbe tremila Goti a suo servigio qualvolta richiesto, non colpirebbe di morte o confisca alcun senatore o sacerdote senza assenso dell'imperatore, al quale pure ricorrerebbe per promuovere altri a patrizio o senatore; agli spettacoli si acclamerebbe prima il nome dell'imperatore, n? a Teodato si erigerebbero statue se non alla sinistra della imperiale.
Con tali proposizioni lo rimand?, e perch? avessero maggior peso, costrinse papa Agapito a seguirlo a Costantinopoli intercessore, minacciando far morire lui, i senatori e le loro famiglie se non impetrassero la pace; codardo coi forti, minaccioso coi deboli. Poi li richiam?, ora disposto a ceder tutto, or persuaso che l'umiliazione a nulla approderebbe: e poich? Pietro l'assicurava che con ci? torrebbe a Giustiniano ogni ragione di guerreggiarlo, -- Tu sei filosofo ; studii in Platone, e ti recheresti a coscienza d'ammazzar uomini in guerra, bench? tanti n'abbia il mondo: ma Giustiniano, che vuol farla da magnanimo imperatore, nulla ha che lo rattenga dal ripigliare coll'armi le antiche ragioni dell'impero>>. E conchiudeva: -- Se non posso conservare il regno senza guerra, vi rinunzio. A che sagrificherei la dolce quiete per la pericolosa e difficile gloria del regnare? m'abbia io poderi da trarne milleducento libbre d'oro, e tengasi egli i Goti e l'Italia>>. Ma allorch? Mundo, che conduceva un esercito greco per la Dalmazia, fu sconfitto e ucciso dai Goti, Teodato rimbaldito pi? non volle udire di patti e promesse. L'imperatore in conseguenza rianima la guerra, riprende Salona e la Dalmazia: Belisario, guadagnato Eurimondo, genero del re che difendeva a Reggio lo sbarco in Italia, e accolto nelle Calabrie come liberatore, assedi? per mare e per terra Napoli. Questa, difesa dai proprj cittadini, timorosi sovrattutto di avervi guarnigione barbara, cos? vigorosamente si sostenne, che Belisario gi? pensava lasciarla, quando alcuno gli mostr? un acquedotto. Pel quale penetrato nottetempo, vide la citt? mandata a barbaro scempio, per quanto gridasse a' suoi: -- L'oro e l'argento a voi; ma risparmiate gli abitanti, cristiani e supplichevoli>>.
I Goti, vedendo il re inetto ad ogni atto e consiglio vigoroso, lo dichiararono scaduto, e fuggiasco l'uccisero; ed elevarono sullo scudo il prode generale Vitige , il quale, per annestarsi in alcun modo alla stirpe degli Amali, spos? Matalasunta, sorella d'Atalarico. Mentr'egli s'accinge a ravvivare il coraggio e rinnovar le prodezze gotiche, Roma riceve Belisario, esulta nel vedersi dopo sessant'anni sgombra da Barbari e da Ariani, resta edificata dalla devozione che Belisario mostra alle reliquie sante e alle gloriose memorie, e proclama la liberazione, parola che in Italia troppo spesso equivalse a mutazione di servaggio. Vitige, ritentate invano nuove proposizioni di pace, e chetati i Franchi col ceder loro quanto possedeva di l? dall'Alpi, riusc? a trarre insieme cencinquantamila Goti, coi quali assedi? il greco generale in Roma, tagliando gli acquedotti, impedendo i mulini, adoprando le migliori macchine. Belisario aveva appena cinquemila combattenti; ma l'indomita sua operosit? e lo zelo dei cittadini vi suppliva, dopo avere sul Tevere imbarcato per la Sicilia le bocche inutili. Dall'alto del mausoleo d'Adriano, convertito in fortezza, sono rovesciati sugli assalitori i preziosi fregi, le cornici ammirate, le statue di Lisippo e di Prassitele: perisca l'arte, ma la patria si salvi.
Prodi e generosi entrambi i due campioni; ma l'uno scarso di denaro e di forze, sostenuto solo di sterili voti dagl'italiani; l'altro, contrariato da questi, vede consumarsi l'esercito e il regno senza cascar di cuore. Belisario, temendo non la fame inducesse i Romani a capitolare con Vitige, e sospettando ve li spingesse papa Silverio, il releg? in Oriente, dandogli successore Vigilio, il quale con ducento libbre d'oro s'era acquistato il favore d'Antonina, che comandava al marito Belisario, comandata essa pure da Teodora, moglie e padrona di Giustiniano.
Qualche rinforzo giunto di Grecia ravviva il coraggio dei veterani, che per fare una diversione assaltano le citt? del Piceno, ed occupano anche Rimini, per tradimento di Matalasunta moglie di Vitige, il quale fu costretto allargar Roma, dopo perduti assaissimi de' suoi per la mal'aria e per gl'incessanti combattimenti. N? per? fiaccato, assedia Rimini, spedisce a sollecitare i Persiani perch? assaliscano ad oriente l'Impero, e i Franchi perch? si calino dalle Alpi. In effetto diecimila Borgognoni unitisi alle truppe d'Uraja , nipote di Vitige, drizzarono sopra Milano. Quest'era la prima citt? dell'Occidente dopo Roma per estensione, popolo e abbondanza; e tollerando di mala voglia i Goti, il vescovo Dazio con molti nobili era ito a Roma dicendo: -- Forniteci di qualche truppa e sbratteremo la Liguria>>. Belisario mand? in fatti Mondila con mille fanti, che bastarono perch?, levato popolo, i Goti fossero respinti in Pavia, mentre anche Bergamo, Como, Novara e altri luoghi acclamavano Giustiniano. Ma ecco ai rivoltosi sopraggiungere Uraja, e stretta Milano di tal fame che qualche madre mangi? i proprj nati, l'ebbe a discrezione, e fattone scempio, la lasci? un mucchio di pietre. Dazio riusc? a campare a Costantinopoli; i capitani greci furono menati prigioni a Ravenna; e tutta la Liguria torn? al dominio gotico, o piuttosto alle bande ladre.
Dalla vittoria e dal saccheggio invogliati, l'anno dopo scesero per l'alpi della Savoja centomila Franchi pedoni, che passato il Po senza contrasto de' Goti, presero le mogli e i figli di questi, e ne fecero sagrifizio alle loro divinit?; poi raggiunto il campo gotico a Tortona, ne cominciarono tal macello, che appena poterono camparsi traversando il campo de' Romani. I Romani se ne rallegravano, ma ecco i Franchi gettarsi anche su loro, e devastar la Liguria, rovinare Genova, con grave apprensione di Belisario non occupassero tutta Italia. Essendo per? venuti pi? ch'altro per saccheggiare, pattuirono e se n'andarono.
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