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Words: 382131 in 121 pages

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Commentator: Gian Francesco Galeani Napione

ANNALI D'ITALIA

DAL PRINCIPIO DELL'ERA VOLGARE SINO ALL'ANNO 1750

DA L. ANTONIO MURATORI

E CONTINUATI SINO A' GIORNI NOSTRI

VOLUME SETTIMO

ANNALI D'ITALIA

DALL'ANNO 1501 FINO AL 1750

CLEMENTE X papa 6. LEOPOLDO imperadore 18.

Per questi flagelli funestissimo fu l'anno presente, ed anche per un altro sommamente lagrimevole spettacolo, cio? per un tremuoto nella Sicilia, le cui scosse non son gi? forestiere in quella per altro fortunata isola, ma senza che vi fosse memoria fra la gente d'allora di averne mai provato un s? terribile e micidiale. Cominci? nel d? 9 di gennaio a traballar la terra in Messina, e ne' susseguenti giorni and? crescendo la violenza delle scosse, talmente che atterr? in quella citt? gran copia delle pi? cospicue fabbriche, e parte ancora delle mura d'essa citt?, ma con poca mortalit?, perch? il popolo, avvertito dal primo scotimento, si ritir? alla campagna e a dormir nelle piazze. Le relazioni che corsero allora, alterate probabilmente dallo spavento e dalla fama, portano che in altre parti della Sicilia incredibile fu il danno. Che la citt? di Catania, abitata da diciotto mila persone, and? tutta per terra, colla morte di sedici mila abitanti seppelliti sotto le rovine delle case. Che Siracusa ed Augusta, citt? riguardevoli, restarono diroccate, colla morte nella prima di quindici mila persone, e di otto mila nell'altra, in cui anche la fortezza, per un fulmine caduto nel magazzino della polve, salt? in aria. Che le citt? di Noto, Modica, Taormina, e molte terre e castella al numero di settantadue furono desolate, ed alcuna abissata in maniera che non ne rimane vestigio alcuno. Che pi? di cento mila persone vi perirono, oltre a ventimila ferite e storpie. Che in Palermo fu rovesciato il palazzo del vicer?. Che la Calabria e Malta risentirono anch'esse non lieve danno. Che il monte Etna, o sia Mongibello, slarg? la sua apertura sino a tre miglia di giro. Io non mi fo mallevadore di tutte queste particolarit?. Certo ? solamente che miserie e rovine immense toccarono alla Sicilia per s? straordinario tremuoto, e che non si possono invidiare ai Siciliani le ricche lor campagne e delizie, sottoposte di tanto in tanto al pericolo di una s? dura pensione.

Ma eccoti giungere lo sterminato esercito de' Musulmani, creduto ascendere a ducento mila combattenti, sul principio di agosto, e piantare il suo campo per gran tratto di paese, arrivando dal Danubio quasi fino al Savo, con occupare, in faccia dell'armata cristiana, tutto il piano e le colline. Era un bel vedere in lontananza disposte le innumerabili loro tende rosse e verdi con quantit? immensa di gente, cavalli e carriaggi. In vece che di recar terrore ai cristiani, quello spettacolo accresceva loro la gioia per la speranza di divenir padroni di tutto. S'era ben trincierato l'esercito cesareo, e, a riserva delle scaramuccie giornaliere, niun movimento faceva quello de' Turchi. Indarno si sper? che per mancanza di foraggi si ritirasse quella gran moltitudine di cavalli; e intanto le dissenterie cominciarono a far guerra alle milizie cristiane, talmente che ogni d? le centinaia si portavano al sepolcro. Di ottanta mila guerrieri alemanni, che dianzi era l'armata, si vide essa ridotta a sessanta. Fu in questo tempo che non solo i saccenti in lontananza, ma non poca parte degli uffiziali dell'oste cesarea, non sapendo intendere i segreti pensieri del principe Eugenio, o ne condannarono in lor cuore la condotta, o ne predissero sinistre conseguenze. Miravano essi l'imperiale esercito in quella inazione, posto fra due fuochi, cio? fra un'armata nemica in campagna tanto superiore di forze dall'un lato, e dall'altro una piazza che teneva impegnato un gran corpo di truppe cristiane nell'assedio. Maniera di vincere Belgrado non appariva; intanto ogni di pi? veniva scemando l'esercito cesareo; grande il numero de' malati; troppo pericoloso il tentare una battaglia contro di oste s? poderosa e ben trincierata, e con avere alle spalle l'esorbitante guernigion di Belgrado, che potea mettere in forse ogni tentativo dall'altra parte. Non erano occulti al generoso principe questi divisamenti, e le doglianze sotto voce di chi invidiava la sua gloria, o odiava la sua autorit?. Lasciava egli dire, e come gran capitano sapeva le ragioni di cos? operare. Spacciavano i Turchi per debolezza il s? lungo ozio dell'armata cesarea, e si seppe che gi? meditavano essi di venirla ad assalire nel suo accampamento, quando all'improvviso si trov? ella assalita e sorpresa fra i suoi forti trincieramenti.

Guarino, vescovo di Modena, IV, 130.


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