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Words: 103734 in 28 pages

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STORIA DI MILANO

DEL CONTE

PIETRO VERRI

COLLA CONTINUAZIONE

MILANO PRESSO IL LIBRAIO ERNESTO OLIVA Contrada de' Due Muri, N. 1044 1850

Frattanto che il crudele Lautrec inferociva in Milano, l'armata de' confederati s'accost? alla citt?. Io, come sempre, cos? al presente tralascio di annoiare il lettore colla esatta descrizione delle mosse e dei minuti avvenimenti marziali. Pare che gli scrittori prendono un piacer singolare ad internarsi colle descrizioni in siffatte carneficine, e nelle gloriose scelleraggini della guerra. La filosofia c'insegna a non abituarci a mirare con insensibilit? simili sciagure; e forse il bene dell'umanit? suggerirebbe di non consecrarle alla gloria, ma di punirle col silenzio degli storici. L'armata de' collegati s'impadron? di Milano il giorno 19 di novembre 1521. Vi entrarono Prospero Colonna, il cardinale dei Medici, il marchese di Mantova, . Molte case vennero saccheggiate dagli Spagnuoli col pretesto che fossevi roba de' Francesi. Venne proclamato duca Francesco II Sforza, e Girolamo Morone vi comparve governatore in nome di lui. Lautrec lasci? nel castello di Milano un presidio francese, sotto il comando del capitano Mascaron, di nascita guascone. Cremona pure conserv? nel castello i francesi sotto il comando di Janot d'Herbonville; Como, Pavia, Lodi, Alessandria, Piacenza e Parma vennero tosto in potere della lega. Appena Leon X ebbe la nuova d'essersi occupate dalle armi pontificie le citt? di Parma e di Piacenza, e d'essere in potere della lega lo Stato di Milano, e proclamato lo Sforza, ch'ei mor? improvvisamente, all'et? di quarantaquattro anni, il giorno 1.? di dicembre 1521, non senza sospetto di veleno, per cui venne carcerato Barnab? Malaspina, suo cameriere, deputato a dargli da bere. La morte del sommo pontefice, che aveva somma influenza negli affari appena innoltrati, cagion? non lieve inquietudine negli animi.

Carlo V, per dare al re di Francia di che occuparsi nel suo regno, senza pensare al Milanese, sped? un corpo d'armati oltre i Pirenei. S'impadron? di Fonterabia, che si arrese al contestabile di Castiglia Inigo Velasco. Il comando di quell'armata venne in apparenza affidato al duca Carlo di Courbon, e, secondo il trattato, dovevano occuparsi For?t Beajolis, Bourbonnois, Auvergne ed altri feudi del duca, il quale voleva rapidamente marciare a Lione, e cos? di slancio occupare la Francia meridionale, promessagli da Carlo V, confidandosi molto nel cuore de' suoi sudditi, sdegnati contro l'ingiustizia del re, ed affezionati a lui ed alla sua casa. Ma Carlo V temeva ch'egli, poich? avesse ottenuto l'intento, non si accomodasse col re. Pescara eragli a fianco, e ne attravers? l'idea. Si progett? di occupare le fortezze poste alle spiagge, acciocch? l'armata per mare avesse la sussistenza, la quale sarebbe stata in pericolo di esserle intercetta, qualora avesse dovuto passar per le gole dei Pirenei. Si pose l'assedio a Marsiglia. Il re di Francia, animato dall'ammiraglio Bonnivet, si dispose a portare in persona la guerra nel milanese. Questo colpo, che sembrava ardito ed inconseguente, nacque da uno di quei segreti di Stato, i quali rare volte si indovinano dal pubblico, perch? non sono parti di una sublime politica, alla quale soglionsi attribuire forse con troppa generosit? tutte le risoluzioni de' gabinetti; e rare volte trovansi scrittori informati o coraggiosi a segno di pubblicarli. Il segreto di questa risoluzione ci vien palesato dallo storico Brantome nella vita dell'ammiraglio Bonnivet. Bonnivet fece venire al re la smania di vedere la signora Clerici, la pi? bella donna d'Italia, la quale esso ammiraglio aveva conosciuta ed amata in Milano prima che ne partissero i Francesi.

In mezzo a tai felici successi per? i Tedeschi presidiati in Pavia, mancando di paghe, si mostravano malcontenti; fecero quanto potevano i Pavesi radunando denaro per acquietarli. Il Leyva fece battere l'argenteria sua in forma di denaro, stampandovi il nome proprio; ma non bastavano questi sforzi a formare una somma corrispondente al loro credito. Il giorno 22 di novembre tumultuarono a segno di minacciare che avrebbero aperte le porte al nemico. Il comandante di questi Tedeschi aveva nome Arzanes, ed era l'autore principale di tal emozione. Il vicer? Lannoy, informato di tal pericolo, raccolse a stento tremila ducati d'oro; tant'era la penuria in cui trovavasi l'armata; e per fargli entrare in Pavia si serv? dell'opera di due semplici fantaccini spagnuoli, i quali cucirono nella sottoveste questa somma, e comparvero al campo francese come disertori, ed ivi, c?lto il momento d'una uscita che fecero gli assediati, s'immischiarono nella zuffa, e nel ritirarsi che fecero i cesariani, con essi entrarono in Pavia, e consegnarono il denaro al Leyva. La fede, l'onore, il nobile sentimento di questi due uomini mi ha fatto bramare di sapere i loro nomi; ma in varii scritti da me esaminati ho trovata bens? la virtuosa azione, ma non i due nomi che meritavano luogo nella memoria de' posteri. Con questo sebben tenue soccorso, distribuito come un pegno del maggiore che aspettavasi per una sovvenzione dei Genovesi, si calmarono gli animi; e pienamente poscia venne ristabilita la tranquillit? colla morte dell'Azarnes, procuratagli, come sembra, dal Leyva, insidiosamente e per veleno. I costumi de' tempi si conoscono dai fatti non solo, ma dal modo ancora col quale gli storici li raccontano. Senza verun sentimento di ribrezzo un tale attentato del Leyva si descrive come un rimedio prudentemente adoperato da lui.

Era impaziente il re d'impadronirsi di Pavia, e lo doveva essere, perch? frattanto s'andavano accrescendo le forze de' cesariani, siccome vedremo. Non giovando gli assalti, essendo delusa e riparata l'azione dell'artiglieria, reso vano il progetto di deviare il Tesino, allontanata la speranza di ottenere colla fame una citt? di cui il presidio colle frequenti scorrerie, per lo pi? fortunate, riportava nuovi soccorsi, pens? a vincere corrompendo il comandante. Questa avventura sar? da me riferita colle parole del Tegio. . Malgrado per? l'industria e il valore degli assediati i viveri erano assai pochi in Pavia. Si vendevano alle macellerie carni di cavalli e d'asini. Una gallina si vendeva per un ducato d'oro, le uova si vendevano venticinque soldi l'uno. Mancava il burro, non v'era lardo n? olio; di che Tegio minutamente c'informa. Tutto soffrivasi da'cittadini per?, anzi che ubbidire nuovamente al dominio di un re che Lautrec aveva reso odiosissimo. In mezzo alla pubblica miseria Matteo Beccaria, il giorno 12 dicembre 1524, insult? l'umanit?, dando un convito magnifico agli ufficiali del presidio. Il Tegio lo racconta come una magnificenza nel modo seguente. . Oggid? si conosce meglio la virt?, e meglio s'imparano i doveri sociali. Un pazzo che facesse altrettanto, avrebbe la esecrazione pubblica, e l'autore che lo riferisse non lo farebbe certamente con lode.

AVVERTIMENTO

POSTO IN CALCE DEL TERZO VOLUME DELL'EDIZIONE DI MILANO DEL 1824

Il canonico teologo Frisi, editore del secondo volume in-4, stampato nel 1798, fece alla fine di questo capitolo la seguente osservazione.


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